Sez. 3, Sentenza n. 10463 del 25/01/2005 Ud. (dep. 17/03/2005 ) Rv. 231247
Presidente: Zumbo A. Estensore: Squassoni C. Relatore: Squassoni C. Imputato: Di Cesare ed altro. P.M. Salzano F. (Conf.)
(Annulla senza rinvio, App. Sassari, 12 Giugno 2003)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Opera realizzata senza autorizzazione in zona sottoposta a vincolo paesistico - Reato previsto dall'art. 163 del D.Lgs. n. 490/90 - Danno ambientale - Necessità - Esclusione - Ragioni.
Massima (Fonte CED Cassazione)
Il reato di cui all'art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (ora art. 181 D.Lgs. n. 41/2004) si perfeziona ponendo in essere interventi in zone sottoposte a vincolo paesistico senza l'autorizzazione amministrativa, condotta che, in quanto impedisce un controllo preventivo della P.A. sull'opera, mette in pericolo il paesaggio, bene tutelato in via mediata dalla disposizione, mentre non ha alcun rilievo la eventuale mancanza di danno ambientale, ancorché attestata dall'Ufficio Tutela del territorio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 25/01/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 138
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giuseppe - Consigliere - N. 042734/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DI CESARE LORENZO GIOVANNI ANTONIO, N. IL 21/07/1961;
2) BARDEGLINO GRAZIANO, N. IL 05/05/1964;
avverso SENTENZA del 12/06/2003 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il P.M. nella persona del Dott. SALZANO F. che ha concluso:
prescrizione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In riforma della decisione 17.10.2002 del Tribunale di Tempio Pausania, la Corte territoriale di Cagliari sd Sassari, con la sentenza in epigrafe precisata, ha ritenuto Di Cesare Lorenzo e Bardeglinu Graziano responsabili del reato previsto dall'art. 163 D.Lvo 490/1999 e li ha condannati alla pena di giustizia. Per l'annullamento della sentenza, gli imputati ricorrono in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che la fattispecie di cui all'art. 20 L. 47/1985, richiamata dell'art. 163 D.Lvo 490/1999 era abrogata, all'epoca della impugnata sentenza per effetto dell'art. 136 DPR 380/2001;
- che la condotta non ha rilevanza penale dal momento che l'intervento non ha recato alcun danno all'ambiente come dimostrato dal parere dell'Ufficio Tutela del Territorio che la Corte immotivatamente ha disatteso.
Il Collegio rileva che le deduzioni non sono meritevoli di accoglimento.
Il problema sollevato dal ricorrente con la prima censura si pone perché il DPR 380/2001, che ha abrogato l'art. 20 L. 47/1985, è entrato in vigore dal 1 al 9 gennaio 2002 epoca in cui la L. 463/2001 ha differito la efficacia del testo unico nulla provvedendo sulla disciplina da applicare fino al raggiungimento della data prorogata;
in tale situazione, il ricorrente sostiene che si è
irreversibilmente prodotto l'effetto abrogativo delle norme indicate dall'art. 136 del testo unico.
Tale tesi si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3 sentenze 8556/2002, 19378/2002, 38182/2002, 2943/2003, 4452/2003, 10274/2003, 1572/2003, 9534/2003, 14452/2003, 22943/2003).
Tutte le ricordate decisioni hanno rilevato come non fosse nella intenzione del Legislatore, nel posticipare nel tempo l'entrata in vigore del DPR 380/2001, creare una lacuna normativa nel settore; la L. 463/2001, sia pure con terminologia impropria (in quanto non è possibile prorogare l'entrata in vigore di una normativa vigente), ha inteso sospendere l'efficacia del testo unico relativamente a tutte le disposizioni con conseguente "congelamento" dell'art. 136 DPR 308/2001 abrogativo dell'art. 20 L. 47/1985.
Che l'intentio legis fosse quella segnalata si deduce, anche, dal fatto che la eliminazione del ricordato articolo è contestuale alla introduzione di una nuova fattispecie di reato, disciplinata dall'art. 44 del testo unico, di analogo contenuto della precedente sicché tra le due disposizioni è rilevabile una continuità normativa di tipo di illecito; pertanto, la abrogazione della vecchia normativa è giustificata proprio perché sostituita dalla nuova. Per quanto concerne le residue censure, deve rilevarsi come l'art. 163 D.Lvo 490/1999 (ora art. 181 D.Lvo 41/2004) stabilisca, per raggiungere il risultato di un equilibrato sviluppo degli interventi sul territorio, che le modifiche su di esso si svolgano secondo le linee preordinate dalla autorità amministrativa; pertanto, il reato si realizza con l'impedimento del preventivo controllo che, secondo la comune esperienza, pone in pericolo il paesaggio che è il bene tutelato in via mediata dalla norma.
La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che l'illecito, avendo funzione prodromica alla tutela del territorio, non richieda per la sua consumazione il danneggiamento, il deturpamento, l'alterazione dei luoghi protetti.
Tuttavia la condotta, per il principio di necessaria lesività sotteso ad ogni tipo di illecito, deve essere tale da porre in pericolo l'interesse tutelato dalla norma; si deve, quindi, escludere dal novero degli interventi necessitanti di autorizzazione quelli di irrilevante entità che si prospettano, pure in astratto, inidonei a compromettere il paesaggio. Tale non è il caso in esame in quando sulla alterazione non marginale del territorio hanno concluso i Giudici di merito con motivato accertamento fattuale insindacabile in sede di legittimità. Come riferito, il reato si perfeziona con il porre in essere interventi in zone vincolate senza il controllo e la autorizzazione amministrativa indipendentemente dal risultato sulle bellezze naturali; pertanto, è circostanza irrilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, la mancanza di danno ambientale attestata dall'Ufficio Tutela del Territorio.
Tanto premesso, il Collegio, rileva che dall'epoca della constatazione del reato - 3.8.1999 - si è maturato il periodo prescrizionale che assomma, tenuto conto dell'interruzione, ad anni quattro e mezzo; di conseguenza, annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il reato è estinto per prescrizione dando atto, per quanto sopra riferito, che manca la evidente prova favorevole agli imputati che possa giustificare la priorità del proscioglimento del merito.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2005