Sez. 3, Sentenza n. 33186 del 02/08/2004 (Ud. 03/06/2004 n.01160 ) Rv. 229130
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Franco A. Imputato: Spano. P.M. Ciampoli L.
(Parz. Diff.)
(Dichiara inammissibile, App. Cagliari, 4 aprile 2002).
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Allargamento o modificazione di una strada - In zona vincolata - Autorizzazione paesistica - Necessità.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di tutela delle aree sottoposte a vincoli, la modificazione o l'allargamento di una preeesistente strada deve essere preceduta dal rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) e dalla autorizzazione dell'autorità proposta alla tutela del vincolo, atteso che trattasi di modificazione ambientale di carattere stabile; in assenza delle quali si configurano i reati di cui agli artt. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 03/06/2004
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 1160
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 28367/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SPANO GAVINO GIUSEPPE, nato a Bortigiadas il 9 aprile 1958, e da SPANO MARTINO, nato a Bortigiadas il 9 luglio 1969;
avverso la sentenza emessa il 4 aprile 2002 dalla Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari;
udita nella pubblica udienza del 3 giugno 2004 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermò la sentenza emessa il 16 gennaio 2001 dal giudice del tribunale di Tempio Pausania, che aveva dichiarato Spano Gavino Giuseppe e Spano Martino colpevoli dei reati di cui: a) all'art. 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere realizzato in zona sottoposta a vincolo ambientale (terreno ricoperto da bosco) ed in assenza di concessione edilizia, un allargamento (da cm. 310 a cm. 370) di una pista forestale preesistente, mediante opere di sbancamento (variabile da cm. 60 a cm. 170) e riporti di terra; b) all'art. 146, lett. g), 151 e 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, per avere realizzato le dette opere in assenza di autorizzazione paesaggistica; e li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia, con l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, alla quale era stata subordinata la sospensione condizionale della pena.
Gli imputati propongono separati, ma identici, ricorsi per cassazione, con i quali deducono:
a) erronea applicazione della legge penale e violazione dell'art. 152 decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. Rilevano che per le opere di bonifica dei fondi e per quelle finalizzate al taglio della legna non sono necessarie le autorizzazioni di cui all'art. 151, quando, come nel caso di specie, non si debbono fare interventi che apportino un'alterazione permanente dello stato dei luoghi. Nel caso in esame si è trattato solo del ripristino di una strada utilizzata in passato per il trasporto di massi di granito da una cava. In ogni caso è stata rilasciata l'autorizzazione ambientale in sanatoria da parte del comune, che ha rilevato l'inesistenza di ogni attività dannosa per l'ambiente.
b) illogicità e carenza della motivazione. Osservano che la pista, gli sbancamenti e le cunette oggetto dei lavori di ripristino erano proprio quelli realizzati dal Pirina nel 1981 con una ruspa di grosse dimensioni e utilizzata per il passaggio dei mezzi pesanti. Non si comprende da quali elementi il giudice abbia ritenuto come devastante ed abusiva l'opera realizzata dal Pirina e, di conseguenza, condannato gli imputati che si erano limitati al ripristino di ciò che legittimamente esisteva e che il tempo e l'incuria avevano reso inutilizzabile La motivazione è illogica anche nella parte in cui ritiene che la pista sia stata allargata da due a tre metri. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è manifestamente infondato (oltre che generico perché ripropone le medesime doglianze svolte con l'atto di appello senza tenere in alcun conto le motivazioni con le quali esse sono state respinte dalla corte d'appello). Il motivo non investe il reato di cui al capo a) (art. 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47), la cui sussistenza peraltro è pacifica, non essendo stata contestata la mancanza di concessione edilizia ed essendo principio costantemente affermato che per la costruzione o l'allargamento o la modificazione di una strada, anche qualora l'allargamento o la modificazione avvengano su una precedente pista o strada, è necessaria la concessione edilizia, trattandosi di una trasformazione edilizia del territorio (Sez. 3^, 9 giugno 1994, Daroit, m. 198.386;
Sez. 3^, 21 febbraio 1997, Moretti, m. 207.641; Sez. 3^, 26 maggio 1995, Carnevale, m. 202.490).
Quando poi la costruzione o l'allargamento o la modificazione di una strada avvengono in zona paesisticamente vincolata, occorre, oltre la concessione edilizia, anche l'autorizzazione paesistica, poiché viene posta in essere una trasformazione ambientale, che rende indispensabile l'intervento e la valutazione delle autorità preposte al controllo del paesaggio sotto i diversi profili urbanistico e paesaggistico ambientale (Sez. 3^, 26 maggio 1995, Carnevale, m. 202.490).
L'assunto dei ricorrenti secondo cui non sarebbe occorsa l'autorizzazione ambientale, ai sensi dell'art. 152 decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, trattandosi di opera di bonifica dei fondi e finalizzata al taglio della legna che non aveva comportato un'alterazione permanente dello stato dei luoghi, è palesemente privo di fondamento. È sufficiente ricordare che il citato art. 152 riguarda gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili (lett. b) ovvero il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia (lett. c).
Nel caso di specie, è pacifico, da un lato, che le opere civili eseguite hanno comportato un'alterazione permanente dello stato dei luoghi (sicché non ricorre il caso di cui alla lett. b) e che il preteso taglio colturale non era previsto ne' autorizzato in base alle norme vigenti in materia (sicché nemmeno ricorre l'ipotesi di cui alla lett. c). D'altra parte, la corte d'appello, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che l'opera realizzata non poteva in alcun modo essere qualificata come opera di bonifica, finalizzata al taglio colturale della legna, in quanto lo Spano aveva l'autorizzazione per il ripristino di una strada esistente ed aveva invece allargato la carreggiata da circa due metri ad oltre tre metri, con sbancamenti superiori ad un metro e mezzo, e quindi aveva realizzato un'opera completamente nuova, per ampiezza e funzioni, avendo stravolto le caratteristiche della pista preesistente, consentendo l'ingresso nell'area di grossi mezzi pesanti con tutte le possibili conseguenze sull'assetto del territorio.
È altresì manifestamente infondato l'assunto secondo cui non sarebbe ravvisabile il reato ambientale e questo sarebbe stato in ogni caso sanato da una autorizzazione ambientale in sanatoria rilasciata dal sindaco, la quale avrebbe escluso la esistenza di un attività dannosa per l'ambiente, perché, come esattamente ricordato dalla corte d'appello, il reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 è un reato formale e di pericolo presunto, che si realizza per la semplice realizzazione di una opera che sia astrattamente idonea ad alterare l'ambiente senza la preventiva autorizzazione da parte della competente autorità, giacché il suo scopo è proprio quello di evitare qualsiasi intervento senza che la detta autorità competente sia previamente avvertita e si sia pronunciata, di modo che è del tutto irrilevante che eventualmente l'intervento concreto non abbia alterato o arrecato alcun danno all'ambiente o addirittura abbia apportato ad esso dei vantaggi. Pertanto, un eventuale nulla osta o un'autorizzazione in sanatoria rilasciate dalla autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico non producono alcun effetto estintivo del reato commesso per l'esecuzione dei lavori in sua assenza, poiché la causa di estinzione dei reati prevista dagli artt. 13 e 22 legge 28 febbraio 1985, n. 47 (norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia) (ora artt. 36 e 45 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380) si applica esclusivamente ai reati contemplati dalla medesima legge (Sez. 3^, 26 novembre 2002, Caruso, m. 223.256). Il secondo motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato perché i giudici del merito hanno fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione delle ragioni per le quali hanno ritenuto provato che la vecchia pista era larga circa due metri, mentre con il loro intervento abusivo gli imputati la allargarono fino a tre metri, realizzando inoltre l'abbattimento di alberi ben oltre i limiti della autorizzazione concessa ed hanno depositato una tale quantità di sabbione, frutto degli scavi, da coprire addirittura il muretto a secco, il che dimostra ulteriormente l'imponenza degli sbancamenti, incompatibile con un'opera di mero ripristino.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità dei ricorsi, di ciascuno al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità dei ricorsi stessi, si ritiene congruo fissare in euro 500,00.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2004