Cass. Sez. III n. 25669 del 3 luglio 2012 (Ud 30 mag. 2012)
Pres. Petti Est. Ramacci Ric. Zeno ed altro
Urbanistica. Natura pertinenziale di un manufatto
La natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta esclusivamente dalla destinazione (peraltro, nella fattispecie, soltanto dichiarata e pure incerta: «lavanderia o legnaia») o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza dei requisiti richiesti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 30/05/2012
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 1553
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 46696/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) ZENO EGIDIO N. IL 10/01/1942;
2) BIANCO ROSA N. IL 02/11/1945;
avverso la sentenza n. 8696/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 05/01/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 5.1.2011, ha riformato parzialmente, rideterminando la pena, la decisione con la quale, in data 4.5.2009, il Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Pozzuoli aveva riconosciuto ZENO Egidio e BIANCO Rosa responsabili dei reati di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 65, 71 e 72 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per aver realizzato, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, in aderenza a preesistente fabbricato, un manufatto, costituito dal solo piano terra, di m. 6,00 X 8,00 X 4,50 h con struttura in ferro e copertura in lamiere coibentate, tompagnato con blocchi di lapil-cemento su due lati, poggiante su pilastrini in ferro cementati su cordolo in cis lungo il perimetro della tompagnatura.
Avverso tale pronuncia i predetti presentano separati ricorsi per cassazione.
2. Con un primo ricorso, a firma Avv. Piego ABATE, entrambi deducono la violazione di legge, rilevando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la condonabilità delle opere sul presupposto dell'esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, mentre quello contemplato dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149 è in realtà di natura relativa, tralasciando ogni ulteriore accertamento ancorché sollecitato dalla difesa.
Aggiungono che le opere realizzate avrebbero natura pertinenziale perché destinate a lavanderia o legnaia e che tale natura era desumibile dalla loro conformazione, cosicché non sarebbe stato necessario, per la loro esecuzione, il permesso di costruire. In ogni caso, pur volendosi ritenere necessario tale titolo abilitativo, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare la richiesta di sanatoria per "condono edilizio". I giudici del gravame avrebbero, inoltre, ignorato i rilievi aerofotogrammetrici prodotti, dai quali era dato desumere la presenza delle opere in contestazione a far data dall'anno 2001.
Rilevano ulteriormente la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla riconosciuta responsabilità della BIANCO, il cui concorso nei reati è stato ritenuto senza alcuna specificazione dell'apporto causale dalla stessa prestato nell'esecuzione del manufatto e senza considerare l'irrilevanza, a tal fine, della mera comproprietà dell'area ove insistono le opere e della residenza anagrafica, che ben potrebbe essere diversa dall'effettivo domicilio.
3. Con un secondo ricorso, a firma ZENO Egidio, viene dedotta la mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alla omessa acquisizione di documenti che avrebbero dimostrato l'innocenza del ricorrente e, segnatamente, di un atto di donazione dal quale poteva desumersi che, all'epoca dei fatti, il terreno era stato ceduto alla figlia, della sanatoria rilasciata dal Comune di Pozzuoli e dell'attestazione della Provincia di Napoli circa l'assenza di vincolo idrogeologico.
4. Con un terzo ricorso, a firma BIANCO Rosa, si deduce il vizio di motivazione, rilevando il travisamento delle risultanze probatorie acquisite con riferimento ai rilievi aerofotogrammetrici che documentavano l'esistenza delle opere fin dal 2001 ed osservando che, nel giudizio di merito, si era ritenuta la sussistenza del vincolo paesaggistico senza che tale circostanza risultasse in alcun modo provata.
5. Con un quarto ricorso, a firma ZENO Egidio, si rileva il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta mancanza di elementi che avrebbero potuto consentire il proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p..
6. In data 11.4.2012 lo ZENO depositava memoria a sostegno dei motivi di ricorso, allegando una "autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire in sanatoria di una tettoia smontabile dell'immobile sito in Pozzuoli via Libero Bovio" rilasciata dal Comune di Pozzuoli il 30.5.2011 rilevando come, alla luce di detta documentazione, il giudice del merito avrebbe avuto il dovere di effettuare tutti gli approfondimenti probatori necessari per verificare se l'illecito in contestazione potesse ritenersi sanato. Entrambi insistono, pertanto, per l'accoglimento dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO
7. Tutti i ricorsi sono inammissibili perché basati su motivi manifestamente infondati.
Occorre preliminarmente osservare che la Corte territoriale, nel richiamare legittimamente per relationem la decisione di primo grado, ha rilevato come le doglianze mosse con l'atto di appello fossero prive di elementi di novità rispetto a quanto dedotto innanzi al giudice di prime cure.
Ciò nonostante, ha fornito puntuale risposta a tutte le questioni sollevate dagli appellanti.
8. Tanto premesso, va osservato, con riferimento al primo motivo prospettato nel ricorso a firma Avv. ABATE, che correttamente i giudici del gravame hanno escluso la condonabilità delle opere eseguite.
La presenza del vincolo paesaggistico, come si desume dal tenore del ricorso, non è in contestazione, incentrando il difensore le proprie argomentazioni sulla natura assoluta o relativa del vincolo, richiamando l'espressione usata dai giudici del gravame. Va a tale proposito ricordato come questa Corte abbia già avuto modo di precisare, considerando anche la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenze n. 54 del 2009, n. 150 del 2009 e n. 290 del 2009), che gli interventi edilizi realizzati in zona vincolata non sono suscettibili di condono edilizio sia nel caso in cui l'area sia sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, sia nel caso in cui l'area sta sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa (Sez. 3, n.23429, 10 giugno 2011; Sez. 3, n.24647, 15 giugno 2009). Tale distinzione è, pertanto, del tutto ininfluente. 9. In ogni caso, risulta evidente dal tenore complessivo della decisione impugnata che, indipendentemente dalla correttezza dell'espressione utilizzata sulla natura assoluta o relativa del vincolo, i giudici del gravame hanno ritenuto di escludere la sanabilità dell'intervento per la presenza del vincolo paesaggistico ed a tale proposito hanno richiamato la giurisprudenza di questa Corte in materia.
Tale richiamo appare corretto e pertinente, dal momento che la costante giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha ripetutamente affermato, con riferimento al condono edilizio introdotto con la L. n. 326 del 2003, che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria (v. da ultimo, Sez. 3, n. 16471, 28 aprile 2010, nonché ex. pl. Sez. 3, n. 35322, 21 settembre 2007; Sez. 3, n. 38113, 21 novembre 2006; Sez. 4, n. 12577, 5 aprile 2005). In altra occasione, nel ribadire il concetto, si è anche fornita dettagliata confutazione di alcune posizioni dottrinarie divergenti che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431, 15 febbraio 2007). Tale ultima pronuncia evidenziava, tra l'altro, l'inequivocabile contenuto della Relazione governativa al D.L. n. 269 del 2003 che chiariva alcuni dubbi interpretativi e non smentiva il tenore delle disposizioni successivamente emanate.
In particolare, con riferimento alle conseguenze delle modifiche apportate alla L. n. 47 del 1985, art. 32 richiamate anche in ricorso, in detta decisione si osservava che la lettura della norma che riteneva incongrua la condonabilità dei soli abusi minori non poteva condividersi in quanto:
"anche l'effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio dei parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può avere sui paesaggio già il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore);
- la previsione della L. n. 47 del 1985, art. 32, ben si spiega con riferimento ai "vincoli" di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a quest'ultimo vincolo, può comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 143, comma 5, lett. b, nonché a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali;
- per l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica la conferenza di servizi non è imprescindibilmente obbligatoria". Quanto alla L. n. 326 del 2003, art. 23, comma 17, si osservava che tale disposizione è riferita alle "opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale". Essa però: è significativamente limitata dall'esclusione (posta dal precedente comma 14) "del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico" (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege); non comporta certamente, quale inevitabile conseguenza, che - nel caso di nuove costruzioni realizzate abusivamente su suolo di proprietà dello Stato e soggetto a vincolo paesaggistico, idrogeologico o forestale - queste possano essere sanate ed il trasgressore possa anche acquistare il suolo sui quale sono state realizzate, previa disponibilità dello Stato a cederlo ed acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. La disposizione va correttamente interpretata, invece, sempre alla stregua dell'ermeneusi della L. n. 47 del 1985, art. 32, dianzi illustrata, tenendo conto dell'ampia nozione di "vincolo" che detto articolo presuppone".
Tali condivisibili conclusioni evidenziano, dunque, come sia dei tutto inaccettabile la lettura delle disposizioni richiamate ipotizzata nel ricorso, per essere le opere certamente non suscettibili di sanatoria conseguente a "condono edilizio". A fronte di tale situazione, la Corte territoriale ha correttamente escluso ogni rilevanza alla procedura di condono attivata dai ricorrenti.
10. Quanto alla natura pertinenziale dell'intervento, circostanza che, da quanto emerge dal contenuto della sentenza impugnata, non pare sia stata dedotta innanzi al giudice del gravame, deve comunque osservarsi, in primo luogo, che la stessa risulta esclusa dagli stessi ricorrenti, i quali hanno inteso richiedere per dette opere il permesso di costruire in sanatoria necessario per le nuove costruzioni e dalla stessa amministrazione comunale che ha avviato, ancorché in difetto dei presupposti di legge per la condonabilità delle opere, il relativo procedimento.
Occorre rammentare, in secondo luogo, che le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica sono state più volte indicate, in vario modo, dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 37257, 1 ottobre 2008 ed altre prec. conf.) e possono essere così sintetizzate:
- deve trattarsi di un'opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato;
- deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso;
- deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentante funzionale) Si è ulteriormente chiarito, nella medesima decisione, che il manufatto pertinenziale, inoltre, deve accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente; deve necessariamente presentare la caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l'edificio principale e non deve essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati.
È dunque evidente che la natura pertinenziale di un manufatto non può essere astrattamente desunta, come si pretende in ricorso, esclusivamente dalla destinazione (peraltro soltanto dichiarata e pure incerta: "lavanderia o legnaia") o dalle caratteristiche costruttive, ma deve risultare dalla oggettiva compresenza dei requisiti menzionati.
11. Quanto alla irrilevanza dei rilievi aerofotogrammetrici, la Corte territoriale, con argomentazioni in fatto coerenti e logiche, ha osservato che detta documentazione non era idonea a dimostrare la effettiva corrispondenza tra quanto in essa rappresentato ed il manufatto oggetto di contestazione, stante l'assenza di qualsivoglia attestazione in tal senso da parte dell'ufficio tecnico comunale o di altro soggetto ed ha avvalorato tali conclusioni osservando che, dalle fotografie delle opere in sequestro allegate agli, atti lo stesso non presenta un grado di vetustà compatibile con la datazione che si intendeva attribuire attraverso la produzione delle fotografie aeree.
12. La sentenza impugnata risulta immune da censure anche per quanto attiene la riconosciuta responsabilità di BIANCO Rosa. In tema di responsabilità per abuso edilizio del proprietario (o comproprietario) dell'area non formalmente committente la costante giurisprudenza di questa Corte richiede la disponibilità di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti che sono stati individuati, ad esempio, nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest"); nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario, nell'eventuale presenza "in loco" del proprietario dell'area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3, 19 settembre 2008, n. 35907 che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce). Con specifico riferimento al rapporto di coniugio, si è osservato che la compartecipazione di un coniuge nel reato materialmente commesso dall'altro non può essere desunta dalla mera qualità di comproprietario.
Sono stati pertanto successivamente individuati, quali elementi indizianti : il fatto che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato realizzato l'edificio abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per completare l'opera al fine di trasferire la loro residenza (Sez. 3, n. 28526, 18 luglio 2007); l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, l'assenza di manifestazioni di dissenso, il comune interesse alla realizzazione dell'opera (fattispecie relativa ad imputata la quale, benché formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi) (Sez. 3, n. 23074, 10 giugno 2008); il regime patrimoniale dei coniugi (comunione dei beni), lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento (Sez. 3, n. 40014, 27 ottobre 2008). Ciò posto, deve rilevarsi che i giudici dell'appello hanno tenuto adeguatamente conto dei principi appena ricordati ed hanno chiarito come l'affermazione di responsabilità nei confronti della BIANCO non veniva desunta dalla semplice posizione di comproprietaria - circostanza peraltro non irrilevante stante l'interesse discendente dall'acquisto della proprietà del manufatto per accessione - ma anche dal fatto che la predetta abitava stabilmente sui luoghi oggetto di intervento abusivo, come dimostrato dalle dichiarazioni testimoniali di un verbalizzante, dall'esecuzione delle notifiche presso lo stesso luogo e dalla sua indicazione come residenza nell'atto di nomina di un nuovo difensore.
Si tratta, anche in questo caso, di argomentazioni giuridicamente corrette la cui solidità non viene minimamente scalfita dai contenuti del ricorso.
13. Per quanto riguarda il secondo ricorso, a firma ZENO Egidio, deve osservarsi, in primo luogo, che lo stesso risulta quasi esclusivamente argomentato in fatto e richiede l'esame, non ammesso in questa sede di legittimità, di documenti allegati. Viene inoltre lamentata la mancata assunzione di una prova decisiva richiamando i contenuti dell'art. 606 c.p.p., lett. d) ed affermando che detta produzione documentale avrebbe giustificato la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ma la censura si riferisce a documenti che la Corte territoriale, richiamando le argomentazioni precedentemente sviluppate per negare la condonabilità delle opere e, conseguentemente, confermare la penale responsabilità degli appellanti, ha motivatamente ritenuto ininfluente dando espressamente atto della loro sostanziale inutilità ai fini della decisione. Sul punto la motivazione appare più che sufficiente, atteso che, stante il carattere eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n. 24294, 25 luglio 2010; Sez. 5, n. 15320, 21 aprile 2010; Sez. 4, n. 47095, 11 dicembre 2009).
14. Parimenti infondate risultano le censure mosse alla sentenza impugnata con il terzo ricorso, a firma BIANCO Rosa.
Per quanto attiene il vizio di motivazione, lamentato con riferimento ai rilievi aerofotogrammetrici, va infatti ribadito quanto in precedenza osservato circa l'adeguatezza le considerazioni della Corte territoriale sulla loro irrilevanza ai fini della decisione, mentre la presenza del vincolo risulta espressamente riconosciuta e non contestata, come si è già detto, dai medesimi ricorrenti, nel ricorso a firma Avv. ABATE.
Ulteriore, implicita, conferma è data dalla documentazione citata in più occasioni dai ricorrenti ed inerente al procedimento amministrativo di sanatoria, ove sono presenti reiterati riferimenti ad atti amministrativi la cui emanazione presuppone l'esistenza del vincolo paesaggistico.
15. Anche la infondatezza del quarto ricorso, a firma ZENO Egidio è palese, poiché il percorso argomentativo seguito dai giudici del gravame per pervenire alla conferma della decisione di primo grado risulta, come si è già avuto modo di osservare in precedenza, del tutto adeguato.
16. Per quanto riguarda, infine, la memoria prodotta dallo ZENO, finalizzata alla produzione di una "autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire in sanatoria di una tettoia smontabile dell'immobile sito in Pozzuoli via Libero Bovio" rilasciata dal Comune di Pozzuoli il 30.5.2011, deve preliminarmente osservarsi che detta produzione è ammissibile, trattandosi di documenti che l'interessato non è certamente stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio come si rileva dalla data di emissione, successiva a quella della decisione in appello.
Va tuttavia osservato come, sulla base della semplice lettura, detta produzione documentale debba ritenersi del tutto ininfluente ai fini della decisione, trattandosi di provvedimento amministrativo estraneo alla procedura di condono cui si riferiscono i ricorsi e la decisione impugnata e consistente in un permesso in sanatoria rilasciato ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, il quale presuppone, peraltro, la preventiva esecuzione di interventi demolitori atti a ricondurre il manufatto descritto nell'imputazione alle condizioni di "tettoia smontabile", in contrasto con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte circa la illegittimità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere requisiti che non posseggono, in quanto il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria (Sez. 3, n. 23726, 8 giugno 2009 n. 41567, 12 novembre 2007; n. 48499, 18 dicembre 2003; n. 740, 13 gennaio 2003;
n. 42927, 19/12/2002; n. 41669, 21 novembre 2001; n. 10601, 11 ottobre 2000. Nelle stesse pronunce si è anche affermato che il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale).
Si ritiene pertanto, stante la palese illegittimità del provvedimento, di disporre la trasmissione dello stesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli per le determinazioni di competenza.
17. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) -consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dispone la trasmissione di copia dell'"autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire in sanatoria di una tettoia smontabile dell'immobile sito in Pozzuoli via Libero Bovio" rilasciata dal Comune di Pozzuoli il 30.5.2011 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli per le determinazioni di competenza. Così deciso in Roma, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2012