Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 298, del 21 gennaio 2013
Beni Ambientali.Notifica vincolo paesistico

La Corte costituzionale ha affermato che, in presenza di “bellezze di insieme” di cui alla legge n. 1497 del 1939, caratterizzate da ambiti territoriali spesso di vaste dimensioni, la notifica a tutti i proprietari interessati dei provvedimenti costitutivi di vincolo diventerebbe estremamente difficile, macchinosa, e talora di scarsa possibilità. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00298/2013REG.PROV.COLL.

N. 00548/2007 REG.RIC.

N. 00549/2007 REG.RIC.

N. 00550/2007 REG.RIC.

N. 00551/2007 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 548 del 2007, proposto da: 
Conte Michele, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Silvio Dodaro e Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

 

sul ricorso numero di registro generale 549 del 2007, proposto da: 
Conte Cosimo, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Silvio Dodaro e Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

 

sul ricorso numero di registro generale 550 del 2007, proposto da: 
Conte Gaetano rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Silvio Dodaro e Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

 

sul ricorso numero di registro generale 551 del 2007, proposto da: 
Maiorano Giovanna, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Silvio Dodaro e Antonio Leonardo Deramo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Taranto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 548 del 2007:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. 4945 del 2006;

quanto al ricorso n. 549 del 2007:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n 4946 del 2006;

quanto al ricorso n. 550 del 2007:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. 4947 del 2006;

quanto al ricorso n. 551 del 2007:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. 4948 del 2006.

 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Buccellato, per delega degli avvocati Dodaro e Deramo, e l’avvocato dello Stato Lumetti.

 

FATTO e DIRITTO

1.– I Signori Michele Conte, Gaetano Conte, Cosimo Conte e Maiorana Giovanna hanno presentato, separatamente, nel gennaio 1995, una domanda volta ad ottenere il rilascio del titolo edilizio in sanatoria straordinaria (condono) con riferimento a quattro autonome unità immobiliari, che si trovano in un unico corpo di fabbrica, realizzate in agro di Taranto (località Tramontone).

Il Comune di Taranto, in data 22 ottobre 2002, ha espresso, per ciascuna delle domande, parere favorevole e, essendo la zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ha trasmesso gli atti alla Soprintendenza per i beni architettonici per il paesaggio e il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Lecce, Brindisi e Bari (d’ora innanzi solo Soprintendenza).

La Soprintendenza, con decreto dell’11 novembre 2003, ha annullato i predetti decreti.

Gli interessati hanno proposto distinti ricorsi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, impugnando tali decreti, unitamente alla nota del Comune di Taranto del 25 novembre 2003 (con la quale veniva comunicato il disposto annullamento) e al decreto ministeriale 1° agosto 1985 di imposizione del detto vincolo. E’ stata chiesta anche la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.

1.1.– Il Tribunale amministrativo, con sentenze numeri 4945, 4946, 4947 e 4948 del 2006, ha rigettato i ricorsi.

2.– I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello.

2.1.– Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, indicate in epigrafe, chiedendo il rigetto dell’appello.

2.2.– Deve essere disposta la riunione degli appelli proposti, stante la loro connessione oggettivi, affinché gli stessi vengano decisi con un’unica sentenza.

3.– Gli appelli non sono fondati.

4.– Circa l’incidenza della tutela del paesaggio sui procedimenti di condono, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che il parere di cu all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) ha natura e funzioni simili all’autorizzazione paesaggistica dell’alloraart. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per il costituire entrambi gli atti il presupposto legittimante, dal punto di vista paesaggistico, la trasformazione della zona protetta: per cui resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall’ordinamento allo Stato, come estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario (Cons. Stato, VI, 15 marzo 2007, n. 1255; VI, 4 dicembre 2012, n. 6216).

5.– Con un primo motivo è stata ritenuta l’erroneità delle sentenze nella parte in cui sono stati considerati tardivi i motivi di ricorso con i quali era stata dedotta l’illegittimità del decreto ministeriale di vincolo del 1° agosto 1985.

In particolare, si è rilevato come l’impugnazione non potrebbe ritenersi tardiva in quanto la Gazzetta ufficiale dell’8 agosto 1985, riportante il decreto, non sarebbe, come richiesto dal’art. 4 della legge n. 1497 del 1939, rimasta affissa per tre mesi all’albo pretorio del Comune di Taranto. Qualora, si aggiunge, si ritenesse sufficiente la mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 24, 42 e 113 Cost., in quanto si consentirebbero limitazioni al godimento di beni in assenza di notifica individuale del vincolo, con compromissione del diritto di difesa.

Il motivo non è fondato.

L’art. 4, comma 1, della n. 1497 del 1939, qui evocabile ratione temporis, prevede che l’elenco delle località che costituiscono “bellezze di insieme” sia pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Il secondo comma dello stesso art. 4 dispone che «una copia del numero della Gazzetta Ufficiale che lo contiene è affissa per tre mesi all’albo di tutti i Comuni interessati».

Gli appellanti non hanno dimostrato (mediante, ad esempio, un’attestazione del Comune) che il decreto non era stato affisso all’albo per il periodo sopra indicato.

Ma anche a prescindere da tale dato, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione del decreto di vincolo è sufficiente, in ragione delle modalità di diffusione garantite, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Lo stesso decreto ministeriale 21 settembre 1984, sulla cui base fu adottato l’impugnato decreto, contempla, con disposizione non oggetto di contestazione, quale unica modalità la pubblicazione dell’elenco dei beni vincolati in Gazzetta Ufficiale.

Nemmeno si può ritenere che quell’articolo 4 contrasti i parametri costituzionali evocati. La Corte costituzionale ha, del resto, affermato che, in presenza di “bellezze di insieme”, caratterizzate da ambiti territoriali spesso di vaste dimensioni, «la notifica a tutti i proprietari interessati dei provvedimenti costitutivi di vincolo diventerebbe estremamente difficile, macchinosa, e talora di scarsa possibilità» (sentenza n. 417 del 1995).

Alla luce di quanto esposto consegue che, essendo stato pubblicato il decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale dell’8 agosto 1985, la sua impugnazione con i ricorsi proposti nel 2005 è, come correttamente ritenuto dal primo giudice, del tutto tardiva.

Non possono, pertanto, essere esaminate nel merito le censure proposte avverso detto decreto.

5.1.– Con un secondo motivo si assume che la richiesta di integrazione documentale da parte della Soprintendenza sarebbe avvenuta oltre il termine perentorio di sessanta giorni. Sul punto sarebbe erronea la sentenza per aver ritenuto tempestiva la richiesta, basandosi su documenti richiesti irritualmente alla stessa Soprintendenza e facendo riferimento al solo timbro dell’ufficio protocollo. Sotto altro aspetto, si assume che la richiesta non avrebbe potuto avere efficacia interruttiva avendo ad oggetto atti già in possesso dell’amministrazione.

Il motivo non è fondato.

L’art. 82, nono comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (introdotto dall’art. 1 d.l. 27 giugno 1985, n. 312, quale convertito dalla l. 8 agosto 1985, n. 431) prevedeva che il Ministero potesse annullare l’autorizzazione regionale «entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».

Rientra nei poteri istruttori del giudice amministrativo, per accertare il momento in cui la comunicazione è avvenuta, di ordinare – in coerenza con la natura dispositiva con metodo acquisitivo della sua istruttoria – alla pubblica amministrazione, nella cui disponibilità di trovano gli atti, di depositare la documentazione rilevante.

Per individuare il dies a quo del termine per l’annullamento, è sufficiente avere riguardo al momento di acquisizione formale del parere al protocollo della Soprintendenza.

La richiesta soprintendentizia di integrazione documentale, se intervenuta nel suddetto periodo, ha efficacia interruttiva.

Nel caso in esame, il primo giudice, facendo corretta applicazione di queste regole, ha chiesto alla Soprintendenza di depositare gli atti dai quali risultasse l’acquisizione formale della richiesta di parere. A seguito del deposito il giudice ha correttamente accertato che i pareri favorevoli comunali del 22 ottobre 2002 furono trasmessi agli Uffici della Soprintendenza il successivo 11 novembre e ricevuti in data 18 dicembre. Essendo stata la richiesta di integrazione effettuata con atto del 3 febbraio 2003 l’amministrazione statale ha dunque rispettato il termine perentorio di sessanta giorni.

Nemmeno, per pervenire a diversa conclusione, possono rilevare le deduzioni degli appellanti (di cui alla memoria 23 ottobre 2012), secondo cui il Comune avrebbe ammesso che la Soprintendenza aveva avuto conoscenza dei pareri in data 11 novembre 2012. Ciò in quanto in tale atto è soltanto affermato, come del resto riconosciuto dagli stessi appellanti, che «i nulla osta paesaggistici in data 11/11/2002 venivano trasmessi dall’ente alla competente Soprintendenza[…]».

L’espressione “trasmessi” è generica e in quanto tale non integra la dimostrazione dell’avvenuta ricezione in quella stessa data da parte degli uffici statali destinatari.

Per quanto attiene, invece, all’assunto dell’inutilità dell’integrazione documentale, anche stando alla ricostruzione dei fatti degli appellanti, la richiesta di documenti non era superflua. Il Comune, infatti, ha trasmesso due relazioni tecniche, due copie di progetti e «documentazione fotografica». La Soprintendenza ha chiesto, in particolare, «esauriente ed ampia documentazione fotografica dei luoghi circostanti» e la «scheda paesaggistica» al fine di verificare se l’opera ricadesse o meno nei 300 metri dal mare, cioè nella zona vincolata ex lege. E’ evidente come non vi sia identità di oggetti e come la richiesta, riguardando gli estremi del giudizio di compatibilità, fosse funzionale a un migliore e comunque congruo ed informato esercizio della funzione di cogestione del vincolo.

5.2.– Con ulteriore motivo si deduce l’illegittimità dell’annullamento in quanto, da un lato, conterrebbe valutazioni di merito non consentite, dall’altro, non terrebbe conto del fatto che l’art. 39 delle Norme di attuazione del Piano regolatore generale di Taranto qualifica quelle aree come edificabili (consentendo «l’allocazione di attrezzature turistiche, balneari, fieristiche e nautiche») e che «la zona è già abbondantemente edificata/urbanizzata»).

Il motivo non è fondato.

Non si tratta invero di valutazioni di merito, ma di rilievi che riguardano l’illegittimità dell’atto di base per difetto strutturale di motivazione. E inoltre la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato costantemente afferma che il divieto di queste valutazioni di merito sussiste soltanto se l’ente che rilascia l’autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’opera. In caso contrario gli organi ministeriali possono annullare il provvedimento adottato per difetto di motivazione e indicare – anche per evidenziare il vizio di eccesso di potere dell’atto esaminato – le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità dell’intervento edilizio con i valori tutelati (tra gli altri, Cons. Stato, VI, 18 gennaio 2012, n. 173; VI, 28 dicembre 2011, n. 6885; VI, 21 settembre 2011, n. 5292).

Nel caso in esame il Comune si era limitato ad affermare che «l’abuso realizzato nell’anno 82 in relazione alla tipologia adottata e per entità non costituisce alterazione dell’ambiente circostante, già interessato da una diffusa edificazione». Il che, all’evidenza, non integra una motivazione che assuma gli elementi di paragone che presiedono al giudizio di compatibilità e che manifesti le ragioni intrinseche di questo stesso giudizio. La motivazione dell’atto di base era dunque del tutto carente e bene poteva essere annullato dalla Soprintendenza.

La Soprintendenza ha correttamente disposto l’annullamento perché «dall’esame degli atti acclusi al provvedimento comunale in esame si rivela che l’intervento in questione contrasta con i valori paesaggistici del sito, poiché l’immobile in oggetto determina gravissima alterazione del sito costiero. L’eccessivo ingombro pianovolumetrico, lo sviluppo su due livelli fuori terra, la breve distanza dal mare, costituiscono l’inaccettabile interferenza percettiva del paesaggio dalla costa al mare, definendo nell’insieme un negativo impatto ambientale, in contrasto con le finalità del vincolo cui l’area sottoposta».

Alla luce di quanto esposto, risulta pertanto da un lato che il parere del Comune era privo di una adeguata motivazione, dall’altro, che il Ministero, rilevando tale difetto, ha espresso consentite valutazioni di legittimità e rimarcato la sussistenza di elementi di fatto contrastanti con la compatibilità che non sono stati presi in considerazione dal Comune: l’atto annullato era, infatti, affetto, nei termini rammentati, da eccesso di potere.

Per quanto attiene, invece, all’edificazione esistente, a parte ogni rilievo circa l’effettività delle dedotte circostanze di fatto, si tratta di motivo inconferente, perché questo Consiglio di Stato ha da tempo costantemente sottolineato che la compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove costruzioni non deturpino esteriormente l’ambito protetto (Cons. Stato, VI, 11 giugno 1990, n. 600; VI, 28 agosto 1995, n. 820; II, 17 giugno 1998, n. 853; II, 4 febbraio 1998, n. 3018; VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; VI, 29 novembre 2005, n. 6756; II, 13 dicembre 2006, n. 10387/04; VI, 29 dicembre 2010, n. 9578).

La circostanza, poi, che sia consentita la realizzazione degli interventi indicati dallo strumento urbanistico, in ragione della loro specificità e natura, nulla rileva sulla distinta ed autonoma valutazione relativa alla compatibilità paesaggistica dei manufatti.

5.3.– Con un ultimo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto sussistente l’illegittimità degli atti impugnati per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo. L’obbligo di comunicazione sussisterebbe, infatti, si sottolinea, anche dopo l’entrata in vigore del decreto ministeriale 19 giugno 2002, n. 165.

Il motivo non è fondato.

L’art. 4 (comunicazione dell'inizio del procedimento), comma 1-bis, del decreto ministeriale 13 giugno 1994, n. 495 (Regolamento concernente disposizioni di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 , riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti), aggiunto dall’art. 2 del decreto ministeriale 19 giugno 2002, n. 165, prevede che la comunicazione dell’avvio del procedimento «non è dovuta per i procedimenti avviati ad istanza di parte [tra cui quello dell’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n.490] anche quando l’istanza è stata previamente valutata da una diversa amministrazione, in applicazione di norme di legge o di regolamento».

Questa Sezione ha già avuto modo di affermare che a seguito dell’entrata in vigore del regolamento approvato con il d.m. 19 giugno 2002, n. 165 il provvedimento ministeriale che annulla il nulla osta paesaggistico non va preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Ma a parte questo, sta di fatto che il Comune ha comunque inviato anche all’interessato la nota dell’11 novembre 2002 con la quale il nulla osta era stato trasmesso alla Soprintendenza. Ne consegue che, in ogni caso, la parte ha avuto conoscenza dell’inizio del procedimento statale di controllo e – a tutto concedere – tanto era sufficiente, alla luce dell’allora (2003) vigente disposizione dell’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, per evidenti ragioni di economia procedimentale e di utilità partecipativa comunque conseguita, a mostrare l’avvenuto raggiungimento dello scopo, quand’anche effettuato con un atto di comunicazione non statale ma dell’ente che aveva rilasciato l’autorizzazione di base (Cons. Stato, VI, 30 agosto 2011, n. 4841).

6.– Alla luce di quanto esposto, consegue alla insussistenza delle dedotte illegittimità l’infondatezza della domanda di risarcimento dei danni. L’illegittimità dell’atto amministrativo è, invero, un elemento indefettibile ai fini del perfezionamento del fatto lesivo rilevante ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ..

7.– In virtù del principio della soccombenza, gli appellanti sono singolarmente condannati al pagamento, in favore dell’amministrazione costituita, delle spese processuali che si determinano, per ciascuna parte, nella misura di euro 3.000,00 oltre iva e cpa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando

a) rigetta, previa loro riunione, gli appelli proposti con i ricorsi indicati in epigrafe;

b) condanna gli appellanti singolarmente al pagamento, in favore dell’amministrazione costituita, delle spese processuali che si determinato, per ciascuna parte, nella misura di euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)