La cassazione penale sulla manutenzione straordinaria a Palazzo Tornabuoni: va in tilt il comune di Firenze
di Paola MINETTI
La sentenza n 6863 della Terza Sezione della Corte di Cassazione Penale, dello scorso 14 febbraio 2017 non ha avuto l'effetto di un San Valentino sul Comune di Firenze.
Il Sole 24 ore, versione digitale, ha pubblicato due articoli, in data 15 e 16 maggio, sugli effetti e le ripercussioni della sentenza negli ambienti edilizi della città. Significativamente il titolo di uno degli articoli è "Caos a Firenze, il Comune prende tempo".
La preoccupazione è quella di un blocco sui lavori di manutenzione o di restauro in città e l'Assessore si affretta a dire che non si deve temere perchè la sentenza non mette in discussione gli interventi di restauro e risanamento conservativo.
Il problema, in realtà, verte sulla possibilità, o meno, di realizzare dei cambi di uso in buona parte della città ma, soprattutto, nel centro storico.
Ma proviamo ad analizzare cosa sia successo nei fatti e quali siano gli interventi, in diritto, fatti dai Giudici della Corte di Cassazione Penale, terza sezione.
Fatto.
"In assenza del permesso di costruire e comunque in totale difformità dalle numerose D.I.A. presentate, e in violazione dell'art. 79, legge reg. Toscana n. 1 del 2005, e degli artt. 170, 176, 176-bis, del Reg. Edilizio del Comune di Firenze, (gli imputati) eseguivano sul «Palazzo Tornabuoni-Corsi» di Firenze, ubicato interamente in zona A del vigente PRG, un insieme sistematico di opere tali da realizzare un complesso in gran parte nuovo, mediante la radicale ed integrale trasformazione dell'immobile, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali dell'edificio, comportanti l'aumento delle unità immobiliari, l'alterazione dell'originale impianto tipologico-distributivo nonché dei caratteri architettonici dell'edificio, la modifica delle destinazioni d'uso di parti rilevanti dell'immobile stesso , trasformato in gran parte (10.000, metri quadrati) in struttura turisitico ricettizia, in attività terziarie e commerciali, e ciò in assenza "ogni adeguata dimostrazione della compatibilità con i caratteri storici, morfologici, tipologici ed architettonici dell'edificio", come imposto dall'art. 6.2 delle NTA del PRG.."
Una imputazione grave, quella di aver completamente eluso le normative esistenti sul cambio di uso e sul titolo edilizio, per realizzare, all'interno di un palazzo situato nel centro storico (di Firenze!) e tutelato dagli strumenti urbanistici, degli interventi non manutentivi, ma di cambiamento di tipologia di uso, atti a trasformare l'immobile in qualcosa di differente da quello legittimamente previsto dalle norme di pianificazione.
Come è possibile eludere le norme?
La risposta è assai semplice: si presentano una serie di titoli edilizi che dicono il "parzialmente vero" e rappresentano una parte dei fatti e si realizzano gli interventi un poco per volta, in maniera che non si abbia mai un quadro completo dell'insieme, e si possa mutare la destinazione di uso dell'immobile tramite vari "step". Si rappresentano gli interventi di manutenzione straordinaria (ammessa dalle norme di pianificazione) e si realizzano interventi di altro tipo (non ammessi).
Il Tribunale di Firenze manda assolti gli imputati e il PM propone ricorso per Cassazione, per vari motivi, sinteticamente e chiaramente riportati nella parte descrittiva della sentenza, dei quali vale la pena di riassumere i seguenti:
1) "l'erronea applicazione dell'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 che, secondo il Tribunale di Firenze sarebbe un atto privato in relazione al quale la buona fede dell'autore rispetto a provvedimenti o pareri emessi dalle pubbliche amministrazioni non è invocabile a propria scusante."
A 1 : In altre parole il PM sostiene che seppure la natura giuridica del titolo sia privata, tuttavia le affermazioni che sono contenute al suo interno non possono essere considerate come scevre da ogni rilevanza perchè non sono prodotti da una Amministrazione.
2) "l'intervento eseguito sull'immobile in questione non può essere qualificato alla stregua di un «restauro», eccepisce al riguardo l'errata applicazione dell'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 quale conseguenza dell'erronea interpretazione delle norme che definiscono gli interventi di «ristrutturazione» e «restauro conservativo», che escludono - quanto a questi ultimi - lavori che comportano l'introduzione di elementi nuovi e/o che modificano, come nel caso di specie, gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio.
Si tratta, prosegue, di un intervento che, in considerazione dell'entità degli interventi, delle numerose modifiche di destinazione d'uso e del rilevante incremento del carico urbanistico, deve essere qualificato come «ristrutturazione», per il quale era necessario il permesso di costruire e che in ogni caso non è ammesso dagli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Firenze che vietavano, nell'area in questione, addirittura anche i soli interventi di restauro e risanamento conservativo."
A: Gli interventi descritti sono molto diversi, nella qualificazione giuridica, dalla rappresentazione datane nel titolo presentato; infatti cambiano sia la fisionomia dell'edificio sia la destinazione d'uso incidendo su parametri urbanistici e, addirittura, in violazione delle disposizioni dello strumento urbanistico che non consente un aggravio degli standard in quel luogo. In sostanza, facendosi beffe delle disposizioni pianificatorie, i lavori sono volti a trasformare l'edificio in maniera radicale ma senza il necessario controllo preventivo sull'ammissibilità di quei lavori ma, anzi, falsando la reale natura degli stessi. Così a prima vista si rappresentano almeno un reato edilizio e un reato penale (il falso).
3) "il PM eccepisce che, anche a voler qualificare l'intervento nei termini ritenuti dal Tribunale, sussiste il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi comunque di intervento effettuato in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune di Firenze."
4) "il PM eccepisce, in relazione al reato di cui al capo B della rubrica, l'erronea applicazione degli artt. 481 e 483, cod. pen., deducendo, al riguardo, che le D.i.a. (o S.c.i.a) non possono essere qualificate come mere «valutazioni tecniche» o «attestazioni tecnico-valutative», quasi fossero mere opinioni. 2 Si tratta, afferma, di atti di natura dichiarativa (o asseverativa) con cui, a norma degli artt. 19 e 20, legge n. 241 del 1990, viene dichiarata l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti per il lecito svolgimento dell'attività che ne costituisce l'oggetto, che possono dunque essere oggetto di falsa rappresentazione.
A: il passaggio va sottolineato per l'importanza che assume nella dinamica dei rapporti tra i tecnici incaricati dei progetti e la Pubblica Amministrazione e ai fini dei risultati che queste affermazioni hanno nei confronti dei terzi (interessati o meno); infatti le valutazioni tecniche riportate all'interno dei progetti non sono mere opinioni ma "asseverazioni". Fanno fede di quanto contenuto e affermato ed è come se fossero eseguite dagli stessi operatori della Pubblica Amministrazione; sono una garanzia per chiunque voglia avvalersene. Questa singolarità dei titoli edilizi presentati dai privati sfugge, solitamente, a chi non abbia mai letto le sentenze della Cassazione Penale o si fermi al fatto che il legislatore ha "battezzato" la SCIA come atto privato. L'affermazione è sicuramente vera e reale ma il fatto che sia un atto privato non consente di rappresentare situazioni non conformi al vero o elementi che conducano ad un obiettivo non consentito o in violazione di legge (urbanistica).
5) "il PM eccepisce, in relazione al capo D della rubrica, l'erronea applicazione degli artt. 40, 110, cod. pen., 29 e 44, d.P.R. n. 380 del 2001, e lamenta al riguardo che il Tribunale, invece di concentrarsi sulla violazione degli obblighi di vigilanza che su loro incombevano, ha escluso la responsabilità dei pubblici funzionari sul rilievo della mancanza di prova del loro concorso doloso, nemmeno contestato dalla rubrica.
A: altro passaggio fondamentale della sentenza e, direi, cruciale: il potere - dovere di controllo di quanto venga presentato. Il legislatore dà per scontato che ogni SCIA sia controllata (in 30 giorni, con la visione quasi fantascientifica del mondo reale) e consente alle Regioni di promulgare disposizioni operative che consentono, nei fatti, il controllo di una percentuale delle stesse. Con il risultato che è stato rappresentato in questa sentenza, che diviene quasi un paradigma.
Le SCIA non sono tutte sottoposte a controllo, con una azione amministrativa del tutto legittima e consentita. I tecnici sanno che non tutte saranno controllate.
La somma di più SCIA, ognuna parzialmente vera, fanno una falsità (o una erronea rappresentazione dei fatti), che eludono la necessità di avere un titolo edilizio diverso per i lavori che vengono realmente eseguiti.
Il risultato di questo sistema, che presenta, nella sua pretesa semplificazione, molteplici "pecche" e lati opachi, quasi oscuri, in virtù di una pretesa semplificazione, è una situazione talvolta incontrollabile e il sospetto di una complicità, da parte dei funzionari.
Questo profilo è il più negletto: infatti non è assolutamente dimostrato che vi sia una complicità, dato che non vi è sempre un obbligo di controllo, ma il solo sospetto contribuisce a dare una falsata opinione del lavoro amministrativo e a provocare quanto è successo nel Comune di Firenze: tutte le SCIA presentate in questi giorni sono bloccate per timore che si generi (o, peggio, si sia già generata) una situazione analoga.
L'effetto "blocco" è una situazione profondamente negativa, da entrambe le parti, sia per l'Amministrazione sia per i privati ed è proprio l'antitesi della certezza che il legislatore pretendeva di ottenere con la SCIA della riforma Madia.
Diritto
A: Lascio ancora una volta la parola ai Giudici della Cassazione Penale (che hanno rinviato alla sentenza di Appello che dovrà tenere conto delle motivazioni espresse per non incorrere, nuovamente, nell'errore dei Giudici di primo grado) e, ovviamente, non riporterò l'integrale testo della sentenza ma i passaggi che mi paiono salienti in relazione a:
1) tipo di intervento eseguito che il Giudice deve accertare - in prima battuta - per comprendere quale titolo edilizio sia necessario (lavoro che è stato abdicato dal Tribunale di Firenze),
2) necessità di considerare l'intervento in modo unitario e non frammentato in piccole parti successive tra di loro (la classica figura della elusione della norma);
3) la necessità che l'Amministrazione sia una figura di garanzia per i terzi;
4) la necessità (anzi l'obbligo) che l'asseverazione dei tecnici corrisponda al vero, pena il reato di falso punito dall'articolo 481 del Codice Penale.
"Il ricorso è fondato: Il caso in esame ha ad oggetto il Palazzo Tornabuoni-Corsi-Sestini di Firenze (dichiarato di rilevante interesse storico artistico dal Ministro della Pubblica Istruzione il 03/04/1918) e si segnala per il fatto che le opere in contestazione sono state effettuate in base ad titoli edilizi (D.i.a.) che, secondo l'impostazione accusatoria, non lo consentivano.......
6.2. Il Tribunale, invertendo completamente i poli del ragionamento ed utilizzando principi di diritto elaborati da questa Suprema Corte in tema, tutt'affatto diverso, di illegittimità del permesso di costruire (titolo del quale invece è contestata proprio la mancanza), trascurando inoltre completamente la sentenza di questa Sezione, n. 8495 del 2012 (di cui
oltre si dirà ), compie un inammissibile atto di fede nei confronti degli imputati (ma anche degli organismi preposti al controllo della regolarità urbanistica e ambientale degli interventi progettati ed eseguiti) ed abdicando all'irrinunciabile dovere del giudice di controllare la legalità degli atti amministrativi , giunge sostanzialmente ad affermare che le opere potevano essere realizzate in base a semplice d.i.a. sol perché così sostanzialmente avevano attestato i professionisti che avevano redatto gli elaborati tecnici ad essa allegati, con l'autorevole avallo del Comune di Firenze ( i cui tecnici, però, sono stati chiamati a rispondere del concorso nel reato ai sensi dell'art. 40, cpv., cod. pen .) e della Soprintendenza che avevano condiviso la qualificazione come "restauro" dei singoli interventi oggetto delle varie dichiarazioni...........
6.3.Metodo, come detto, totalmente errato perché, in materia urbanistica ed edilizia, quando sia contestata l'esecuzione di opere in assenza di un valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra cosa accertare l'intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza, qualificarlo ai sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice d.i.a.). Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per l'opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il giudice non deve "disapplicare" la dichiarazione di inizio attività, perché non è di questo che si tratta ; è sufficiente che prenda atto del fatto che l'intervento è stato realizzato in assenza dell'unico titolo che lo consente. Nè rileva l'eventualità che l'opera, così come realizzata, possa esser conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali silenzi possono costituire argomento d'accusa per concorsi dolosi o colposi, ma non possono rendere lecito quel che tale non è........
<<la realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso , senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (...) mentre non risulta che, nella specie, la Tornabuoni s.r.I., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio»;
........imponeva dunque al Giudice di spingere l'indagine ben oltre la semplice conformità delle opere alle d.i.a di volta in volta presentate per il (formale) restauro e risanamento dell'immobile, non mancando mai di perdere di vista il risultato finale, nella sua interezza.....
L'ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all'art. 22, comma 1, d.P.R. n. 380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al successivo comma 3 (dal quale quest'ultima ripete natura e funzione). La cd. Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui cui al successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la denuncia di inizio attività di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001
...... il principio già affermato da questa Corte secondo cui il dirigente o il responsabile dell'ufficio urbanistica del Comune è titolare di una posizione di garanzia, e dunque dell'obbligo di impedire l'evento, discendente dall'art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, che ne determina la responsabilità ai sensi dell'art. 40, comma secondo, cod. pen. in caso di mancata adozione dei provvedimenti interdittivi e cautelari (Sez. 3, n. 9281 del 26/01/2011, Bucolo, Rv. 249785; si veda, sul punto, anche Sez. 3, n. 19566 del 25/03/2004, D'Ascanio, Rv. 228888). .........
7.4.Non ha perciò alcun fondamento la decisione del Tribunale di assolvere i due pubblici ufficiali sul solo dato della inesistenza in capo ad essi di una posizione di garanzia e della mancanza di addebiti di natura collusiva.
Quel che conta è l'esatta rappresentazione e descrizione grafica dell'intervento; la valutazione che ne compie il professionista non è assistita da alcuna presunzione di veridicità, essendo sempre riservata al dirigente o al responsabile dell'ufficio comunale, nell'ambito dell'attività di vigilanza di cui all'art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, ogni valutazione sulla conformità dell'opera progettata alle norme di legge e di regolamento e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ivi compresa la qualificazione stessa dell'intervento ed il suo regime edilizio.
7.5. Occorre piuttosto precisare che l'art. 20, comma 13, d.P.R. n. 380 del 2001, punisce con pena ancor più severa di quella prevista dall'art. 481, cod. pen., la condotta di «chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni». In questo caso, oggetto materiale della falsità non è il progetto allegato alla domanda di permesso di costruire , bensì la specifica dichiarazione del progettista abilitato «che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, alle norme relative all'efficienza energetica» .
Commento.
Ce n'è per tutti:
1) per il Tribunale che non ha considerato l'esatta natura dell'intervento e si è fermato alla dichiarazione delle parti, non verificata; invece il controllo di regolarità degli atti amministrativi (ai quali, in questo caso i Giudici di Cassazione assimilano il titolo edilizio presentato dal privato perchè contiene una dichiarazione asseverata) deve essere compiuto all'interno del processo.
2) per i tecnici: i Giudici non si stancano di insegnare che l'intervento edilizio si deve concepire in maniera unitaria; purtroppo, siccome il legislatore non lo scrive mai, chi si limita a leggere le norme si chiede da dove si evinca questo concetto o dove si trovi questo passaggio; sono almeno una ventina di anni che le sentenze di Cassazione Penale sostengono questa linea, ma probabilmente non vengono lette oppure c'è una certa impermeabilizzazione al passaggio del concetto, come avviene per l'acqua che scorre sugli specchi.
3) per il comune di Firenze, mettendo in dubbio la posizione dei funzionari che non hanno controllato i titoli e definendo quale sia l'importante profilo che l'Amministrazione riveste verso la collettività: quello di garantire che il controllo (sul territorio oltre che sugli atti presentati) sia effettivo e reale. Il controllo non si deve limitare alla forma ma deve andare alla sostanza di quanto presentato e dichiarato.
In questo caso va ribadito un altro concetto a mio parere rilevante: gli interventi astrattamente ammissibili e "liberalizzati" dal legislatore nella legge 134 del 2014 sono considerati su un piano astratto. Per valutarne l'ammissibilità in concreto devono sempre essere rapportati agli strumenti urbanistici vigenti, in quel momento, in quel luogo.
L'ammissibilità non è la possibilità di eseguire in concreto.
Questo banalissimo assunto, che collega il fondamento normativo di una disposizione alla concreta realizzabilità nel rispetto delle norme di pianificazione, è spesso "slegato" nella lettura tecnica.
Separare l'astratta possibilità di eseguire un intervento dalla sua concreta realizzabilità porta alla inutilità delle norme di pianificazione; allora Firenze sarebbe uguale a Crotone e i centri storici per cui va famosa l'Italia potremmo metterli sullo stesso piano delle zone agricole. La verifica di ammissibilità di un intervento comporta un fine lavoro di intersezione di norme e di piani, da rivalutare.
Infine l'attenzione va focalizzata anche sulla parte della motivazione in cui si rileva l'importanza della asseverazione del tecnico di parte. La norma penale è severa ma lo è ancora di più quella edilizia che punisce chi dichiari una conformità specifica, che non esiste, nei fatti, alle norme di piano e a tutte le specifiche leggi di settore che sono poste a tutela di beni quali: la salute, la staticità degli immobili e la sicurezza.
Da una parte la verità e dall'altra il controllo delle affermazioni; in mezzo sta la garanzia - per tutti - di interventi conformi ed eseguiti con titoli legittimi.
Paola Minetti
23 maggio 2017
1 commento
2 Il grassetto è dell'Autore
pubblicato su Ufficio Tecnico di Maggioli, Si ringraziano Autrice ed Editore