Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Alghisi
Aria. Applicabilità articolo 674 c.p.
La Suprema Corte interviene nuovamente, con la decisione in esame, sulla dibattuta questione della configurabilità del reato previsto dall’art. 674, comma secondo, cod. pen. (emissione di gas, vapore o fumi atti a cagionare molestia alle persone) in presenza di emissioni moleste promananti da impianto industriale regolarmente autorizzato ed inferiori ai limiti massimi di tolleranza specificamente fissati dalla legge. La Corte, in particolare, dopo una approfondita ricognizione dello stato della giurisprudenza di legittimità sul punto, precisa che il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la violazione dell’art. 674 cod. pen. in presenza di emissioni provenienti da impianti autorizzati e nel rispetto dei valori limite fissati dalla normativa speciale trova applicazione solo nei casi in cui esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge; diversamente, punto di assoluto rilievo che emerge dalla pronuncia, il reato è configurabile nel caso di “molestie olfattive”, dal momento che non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori (non essendo applicabile la disciplina in materia di inquinamento atmosferico dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), con conseguente necessità di individuare il parametro di legalità nel criterio della “stretta tollerabilità”, ritenendosi riduttivo ed inadeguato il riferimento a quello della “normale tollerabilità” fissato dall’art. 844 cod. civ. in quanto inidoneo ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, attesa la sua portata individualistica e non collettiva.
(fonte Corte di cassazione)
Svolgimento
del
processo
Il Tribunale
monocratico di Crema, con sentenza del 21 ottobre
- agli
artt. 81 cpv.
e 674 cod. pen., poiché, nelle rispettive qualità di presidente del
consiglio
di amministrazione e poi di amministratore unico della s.r.l. “Alghisi”
(Alghisi Nicola) e di amministratore unico della s.r.l. “Alghisi
Trippa” già s.n.c.
“Alghisi” (Alghisi Federico), con più azioni esecutive del medesimo
disegno
criminoso, provocavano emissioni consistite in esalazioni odorose atte
a
molestare le persone, in quanto nauseanti e puzzolenti, eccedendo la
normale
tollerabilità - acc.
in Palazzo Pignano, dal 6 agosto 2002 al 15 agosto 2003 e, riconosciute
circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di euro
180,00
di ammenda, concedendo ad entrambi il beneficio della non-menzione.
Avverso tale
sentenza hanno proposto separati ricorsi i due imputati, i quali - sotto i
profili
della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno
eccepito:
- la
erroneità dell’orientamento
interpretativo, condiviso dal Tribunale, secondo il quale la
contravvenzione di
cui all’art. 674 cod. pen. sarebbe sempre configurabile in presenza di
una
molestia ex art. 844 cod. civ. e non sarebbe esclusa dal rispetto dei
limiti di
tolleranza specificamente fissati dalla legge.
Gli stabilimenti di
confezionamento di “trippa” alimentare e di lavorazione degli scarti
animali,
rispettivamente gestiti da essi imputati ed aventi un impianto comune
di
abbattimento dei fumi, erano muniti di regolari autorizzazioni
amministrative
per le emissioni in atmosfera; i limiti di emissione imposti da tali
autorizzazioni erano stati sempre rispettati e, nei plurimi controlli
eseguiti
dalla pubblica autorità, non erano state mai riscontrate molestie
olfattive.
In una situazione
siffatta il giudice del merito si sarebbe dovuto conformare a quella
diversa giurisprudenza
secondo la quale “non è configurabile il reato nel caso che le
emissioni
provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori
ai limiti
previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che
la
espressione nei casi non
consentiti dalla legge costituisce
una precisa indicazione della necessità
che l’emissione avvenga in violazione degli standards fissati
dalle normative di settore, il cui rispetto integra una
presunzione di legittimità”;
- la
incongrua
valutazione delle prove, non avendo il Tribunale tenuto conto - pure a
fronte di
deposizioni testimoniali tra loro contrastanti - che
nella zona erano presenti altre aziende che
svolgevano la medesima attività produttiva con impianti per i quali, al
contrario, risultava accertato il superamento dei limiti di legge.
Essi imputati
avevano agito sempre in assoluta buona fede e mai avevano ricevuto
notizia di
doglianze mosse dagli abitanti della zona in relazione a molestie
olfattive
asseritamente prodotte dalle aziende da loro gestite.
Motivi della decisione
I ricorsi devono
essere rigettati, perché infondati.
Parimenti è stata
ritenuta la loro capacità
offensiva, in considerazione
della indubbia idoneità di tali emissioni ad arrecare
molestia alle persone, dovendosi fare rientrare nel concetto di “molestia” tutte
le situazioni di fastidio, disagio,
disturbo e comunque di “turbamento della tranquillità e della quiete”,
che
producono “un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle
normali
attività quotidiane di lavoro e di relazione” (vedi Cass: Sez. I, 4
febbraio 1994,
n, 123, Sperotto ed altro; Sez. III, 24 gennaio 1995, n. 771, Rinaldi;
Sez. I,
22 gennaio 1996, n. 678, P.M. in proc. Viale).
In tale prospettiva
è stato affermato che può costituire “molestia” anche il semplice
arrecare alle
persone preoccupazione ed allarmi generalizzati circa eventuali danni
alla loro
salute per l’esposizione ad emissioni atmosferiche inquinanti (Cass.,
Sez. III:
7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; 12 maggio 2003, n. 20755, Di
Grado ed altri).
Deve ricordarsi,
inoltre, in proposito, che la contravvenzione di cui all’art. 674 cod.
pen.,
costituisce reato di
pericolo, per cui non è
necessario che sia determinato un effettivo nocumento alle persone,
essendo
sufficiente l’attitudine
concreta delle emissioni ad offenderle o molestarle nel senso sopra
indicato (vedi Cass., Sez. I: 15 novembre 1993, n. 10336, Grandoni; 17
dicembre
1994, n. 12428, Montini; 4 dicembre 1995, n, 11868, Balestra ed altro;
21
gennaio 1998, n. 739, P.M. in pro. Tilli; 14 gennaio 2000, n. 407,
Samengo;
nonché Cass., Sez. III., 21 marzo 1998, n. 3531, Terrile).
1.2 La
giurisprudenza
di questa Corte, poi, ha ravvisato la possibilità del concorso tra
l’art. 674
cod. pen. e le norme speciali in materia ambientale [con riferimento all’inquinamento atmosferico (vedi Cass.: Sez.
III, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. I, 31 agosto 1994, n. 9357,
Turino), all’inquinamento
idrico
(Cass.;
Sez. I, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione; Sez. III, 7 ottobre 2003,
n.
37945, Graziani) e all’inquinamento
elettromagnetico (Cass., Sez.
I: 12 marzo 2002, n. 10475, Fantasia ed altri; 14 giugno 2002,
n. 23066, Rinaldi)] e, anche in considerazione di tale asserita
concorsualità,
particolare attenzione, nell’interpretazione testuale dell’art. 674
cod. pen.,
ha riservato all’inciso “nei
casi non consentiti dalla legge”.
In relazione a
detto inciso, si era formato un orientamento giurisprudenziale [si
ricordino,
tra le molte decisioni, Cass.: Sez. I 17 novembre 1993, n. 781,
Scionti; Sez.
III, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. I, 6 novembre 1995, n.
11984,
Guarnero; Sez. I, 27 gennaio 1996, n. 863, Celeghin; Sez. I, 11 aprile
1997, n.
3919, Sartori; Sez. I, 21 gennaio 1998, n. 739, Tilli; Sez, III, 1
ottobre 1999,
n. 11295, Zompa ed altro; Sez, I, 24 novembre 1999, n. 12497, De
Gennaro] nel
senso che rientra pacificamente nei “casi non consentiti dalla legge”
il superamento
della soglia delle emissioni fissata dalla normativa di settore, ma che
- anche nei casi di
attività esercitata previo regolare rilascio dell’autorizzazione
amministrativa
e nel rispetto dei limiti tabellari fissati dalla normativa speciale - la
contravvenzione
è pur sempre configurabile alla stregua dei criteri civilistici, in
quanto la
“molestia” dell’emissione non è
esclusa per il solo
fatto che essa sia inferiore ai limiti massimi di tolleranza
specificamente
fissati dalla legge.
Un diverso
indirizzo interpretativo (già isolatamente enunciato da Cass., Sez.
III, 26
agosto 1985, rv; 7765, Diliberto) si è sviluppato, invece, a partire
dalla sentenza 7
luglio 2000, n. 8094,
ric. Meo, della I Sezione di questa Corte Suprema (concernente
l’emissione di
fumo dagli impianti di un oleificio), con la quale è stato affermato il
principio che, nella formulazione dell’art. 674 cod. pen.,
l’espressione “nei casi non
consentiti dalla legge” si
collega alla
necessità che l’emissione (di gas, vapori o fumi) atta a molestare le
persone
avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento
atmosferico.
Ne consegue che, ai
fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto
dall’art.
674 cod. pen., non basta che le emissioni siano astrattamente idonee ad
arrecare fastidio, ma “è indispensabile
la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards
fissati
dalla legge”.
Nel campo
dell’illecito penale, dunque, si riscontra una sorta di presunzione di
legittimità per quelle emissioni che non superino le soglie fissate
dalle leggi
speciali.
Tali conclusioni
devono ritenersi ormai largamente consolidate in una stabile
interpretazione
giurisprudenziale [vedi Cass., Sez. III, 3 marzo 2004, n. 9757, Pannone,
per emissioni provenienti da cava di
estrazione di pietra calcarea e da Cass., Sez. I: 12 marzo 2002, rv.
15717,
Pagano ed altri; 14 giugno 2002, n. 23066, Rinaldi, in relazione ad
emissioni
di onde elettromagnetiche; nonché, tra le sentenze più recenti di
questa III
Sezione: 5 giugno 2007, n. 21814, Pierangeli; 10 ottobre 2006, n,
33971,
Bortolato; 9 febbraio 2006, n. 8299, Tortora; 26 maggio 2005, 19898,
Pandolfini; 29 settembre 2004, n. 38297, P.M. in proc. Providenti ed
altri].
In ogni caso,
comunque, affinché possa configurarsi il reato di cui all’art. 674 cod.
pen.,
non basta che le immissioni in atmosfera superino i limiti
eventualmente
fissati dalla normativa speciale, ma occorre anche che esse abbiano carattere effettivamente molesto, nel senso dianzi
delineato (vedi Cass., Sez. I: 13 gennaio 2003, n. 760, Tringali; 7
luglio 2000,
n. 8094, Meo).
1.3 Il consolidato
orientamento giurisprudenziale del quale si è riferito dianzi trova
applicazione nei casi in cui esistono precisi limiti tabellari fissati dalla
legge, ed in tali csi non possono
ritenersi “non consentite” le emissioni che
abbiano, in concreto, le caratteristiche
qualitative e quantitative già
valutate ed ammesse dal legislatore ed
eventualmente trasfuse in legittimi provvedimenti amministrativi
autorizzatori.
Deve ritenersi,
però, che - ove
un’autorizzazione abbia consentito valori in contrasto rispetto a
quelli
normativamente delineati - resti ferma la valutazione del giudice circa
l’illegittimità dell’autorizzazione medesima, con ogni conseguenza
penale, non
potendo negarsi la rilevanza della produzione degli effetti che l’art.
674 cod.
pen. è rivolto a scongiurare.
Diversa è l’ipotesi
in cui non esiste una predeterminazione normativa, ove è affidata al
giudice
penale la valutazione della tollerabilità consentita, alla stregua
delle
conseguenze che le emissioni producono sull’area esterna all’azienda e
sulle
persone che vi abitano o comunque vi operano.
Tale valutazione
deve operarsi secondo criteri di “stretta
tollerabilità” [in tal senso
Cass., Sez. III: 5 giugno 2007, n. 21814, Pierangeli; 10
ottobre 2006, n. 33971, Bortolato; 31 marzo 2006, n. 11556, Davito
Bava],
dovendo ritenersi riduttivo ed inadeguato il riferimento alla “normale
tollerabilità” fissato dall’art. 844 cod. civ., che appare inidoneo ad
approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana,
attesa la
sua portata individualistica e non collettiva (vedi sul punto Corte
Cost., 23
luglio 1974, n. 247).
In quest’ottica devono
essere riguardate le c.d. “molestie olfattive”, dal momento che non
sussiste
una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e
valori-limite in
materia di odori e tale materia è diversa da quella dell’inquinamento atmosferica, che I’art. 268, 1°
comma -
lett. a),
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 definisce “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta
all’introduzione nella
stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali
da
ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità
dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere
gli usi
legittimi dell’ambiente”.
La normativa
nazionale si limita a stabilire alcuni principi fondamentali al fine di
prevenire le molestie olfattive, ovvero i criteri generali di
localizzazione di
alcune tipologie di impianti e le prescrizioni relative
all’applicazione delle
migliori tecniche disponibili per il contenimento e l’abbattimento
delle emissioni. Essa, tuttavia, non prevede limiti, espressi in unità
odorimetriche, alle emissioni di sostanze omogenee dagli impianti e
metodologie
o parametri per valutare la rilevanza o meno del livello di molestia
olfattiva
da essi determinato.
Solo alcune Regioni hanno individuato normativamente valori-limite alle emissioni di odori.
In assenza di una normativa di settore e di
standards fissati dalla
legge, dunque, può trovare senz’altro applicazione l’art. 674 cod.
pen., con
individuazione del parametro di legalità nel criterio della “stretta
tollerabilità”, secondo le argomentazioni già svolte al riguardo.
2. Nella fattispecie in esame - in cui
non risultano riscontrate violazioni della normativa in relazione
al contenuto delle emissioni autorizzate di scarico in atmosfera - il
giudice del merito ha tuttavia accertato
la intervenuta produzione di esalazioni puzzolenti, provenienti con
carattere
duraturo proprio dagli stabilimenti gestiti dai due imputati, idonee a
cagionare nausea e disgusto, con impatto negativo, anche psichico,
sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di
relazione. Né
gli imputati hanno dimostrato di avere adottato tutte le misure
imposte,
secondo la particolarità del lavoro, dalla migliore esperienza e dalla
tecnica
più avanzata per evitare quelle molestie (solo nell’ottobre del 2003 è
stato
messo in funzione un potenziato impianto di abbattimento fumi).
In ordine all’accertamento anzidetto, va rilevato
che le censure
concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della
ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona
dell’imputato non sono proponibili nei giudizio di legittimità, quando
la
struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da
logico
e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti
dal
processo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la
rilettura
del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza
impugnata.
3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna
solidale dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.