Con l'emanazione del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n.258, a modifica del Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n.152, si è stabilizzato il quadro normativo che disciplina la materia degli scarichi idrici e la tutela delle acque interne.
Tra gli aspetti che hanno trovato definizione, anche se con un certo travaglio, quello relativo alla scelta del metodo di campionamento.
Come si ricorderà nella prima versione del decreto vi era un’indicazione a proposito del prelievo di acque reflue industriali, riportata nell’allegato 5 allo stesso, da subito argomento di accese discussioni sia nel campo dottrinale che di quello più concretamente operativo degli enti di controllo: "I limiti indicati in tabella 3, per le acque reflue industriali, sono riferiti ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo, al fine di verificare le fasi più significative del ciclo produttivo, può effettuare il campionamento su tempi più lunghi."
Questa nuova proposizione pareva recitare il de profundis per il cosiddetto campionamento instantaneo (ved. in tal senso la Circolare della Regione Veneto 13/8/1999 n.18 "….Viene infatti superato il sistema del campionamento istantaneo,…" ).
Secondo queste interpretazioni la durata del campionamento non poteva essere inferiore alle tre ore, anzi, nella necessità, i tempi potevano essere più lunghi.
A parte la considerazione sullo scarso contenuto tecnico dell’enunciato, per il quale, a priori, sembrava si dovesse sempre propendere per il campionamento medio, indipendentemente dalle caratteristiche dello scarico, rimaneva, come rimane tuttora nel testo del decreto, un rimando all’applicazione delle metodologie IRSA: "Fatto salvo quanto diversamente specificato nelle tabelle 1, 2, 3, 4 circa i metodi analitici di riferimento, rimangono valide le procedure di controllo, campionamento e misura definite dalle normative in essere prima dell’entrata in vigore del presente decreto. Le metodiche di campionamento ed analisi saranno aggiornate dall’ANPA."
A questo punto si dovrebbe concludere per una imbarazzante schizofrenia del legislatore, il quale da una parte detta proposizioni categoriche e dall’altra ribadisce valide altre determinazioni, che con le prime non si trovano proprio.
Per questo una rilettura attenta delle metodiche IRSA, oltre a mettere in evidenza la inconsistenza tecnico-scientifica di certe improvvisazioni, serve a comprendere come tutta la discussione sull’argomento sia viziata all’origine dalla non conoscenza delle metodiche stesse.
Le metodiche ufficiali
Sia la prima legge Merli, che il nuovo decreto, stabiliscono che i campionamenti e le analisi debbano essere eseguiti secondo quanto normalizzato dai metodi IRSA. Il primo quaderno IRSA è del 1978, è poi seguito un aggiornamento nel 1994 a tutt’oggi rimasto invariato. A breve saranno emanate da ANPA_IRSA i nuovi metodi, da approvarsi mediante decreto.
La chiarezza di queste metodiche è ancora oggi esemplare e più che sufficiente a dissipare ogni dubbio sulla corretta operatività al momento del prelievo. Rimandando ad una lettura approfondita del testo, serve in questa sede ricordare alcuni dei concetti più importanti.
Sulla scorta di quanto si legge nel quaderno 100 la scelta della metodologia di campionamento non è così discrezionale come si vorrebbe intendere.
La prima analisi che l’operatore deve effettuare è infatti relativa alla corretta identificazione del tipo di scarico (secondo IRSA-CNR). I tipi si suddividono in tre categorie e relative sottocategorie:
- 2.1. Discontinuo periodico. Quando avviene con una periodicità
nota e definita nel tempo (ad es. una volta ogni 4 ore, cioè alle ore 4, 8,
12, 16, ecc.).
- 2.2. Discontinuo non periodico o saltuario, ma prevedibile.
Quando, pur non essendo ben definita la periodicità, si può prevedere lo
sversamento entro certi limiti di tempo (ad es. lo scarico è previsto fra
le ore 8 e le 12 del mattino).
- 2.3. Discontinuo non periodico, imprevedibile o occasionale. Quando la periodicità dello sversamento non solo è indefinita ma neppure prevedibile ( ad es. per cicli lavorativi diversificati di una certa attività si possono presupporre sversamento in tempi diversi e non ripetibili).
- Scarico accidentale. E' lo scarico che avviene improvvisamente per motivi di natura diversa, di solito in casi di forza maggiore (ad es. per inconvenienti o disservizi durante le lavorazioni, ecc.).
Si tratta di un inquadramento relativo a diverse modalità di scarico, con riferimento a situazioni che di norma si possono presentare.
Già da queste brevi note tecniche molto ci sarebbe da dire sulla disinvoltura con la quale, nella prima versione del D.lvo n.152/99, si utilizza il termine di immissione occasionale.
Del resto spesso si legge nelle sentenze come l’episodio che ha dato vita alla notizia di reato sia da ricondurre alla categoria degli scarichi accidentali (senza che tuttavia siano riconosciuti come caso di forza maggiore), o nelle peggiori delle ipotesi, ad una vera e propria azione dolosa e quindi difficilmente ricomprensibile all’interno di una delle categorie soprariportate.
In relazione al tipo di scarico le metodiche IRSA suggeriscono diverse modalità di approccio:
PROSPETTO TIPI DI CAMPIONAMENTO
Tipo di scarico |
Composizione quali-quantitativa del refluo |
Tipo di campione |
continuo (nel tempo) |
- costante - variabile |
istantaneo medio (a) (*) |
discontinuo (programmato nel tempo) |
- costante - variabile |
istantaneo medio (b) (*) |
discontinuo (non programmato nel tempo) |
- costante - variabile |
istantaneo |
accidentale (improvviso occasionale, durata brevissima) |
istantaneo |
|
qualsiasi tipo accertato in emergenza |
istantaneo |
(a) Più campioni istantanei in un determinato intervallo di tempo scelto caso per caso - cioè in maniera continua o discontinua proporzionale o non alla portata.
(b) Due campioni istantanei nell’intervallo di tempo proporzionato alla durata della frazione di scarico in esame.
(*) In questi casi, al concetto di determinazione sul campione medio potrà sostituirsi quello di determinazione su campioni istantanei, prelevati sempre nell’intervallo di tempo scelto per il campionamento, eseguendo infine la media dei valori delle singole misure (come previsto dalle metodiche IRSA-CNR).
Ogni volta che si tratterà di effettuare un controllo su uno scarico di tipo continuo o discontinuo la scelta se optare per un campionamento istantaneo o medio-composito dipenderà, in estrema sintesi, dalla costanza o meno della composizione quali-quantitativa del refluo.
Si definisce infatti per prelievo medio un un campione ottenuto da più prelievi effettuati in un dato intervallo di tempo (ad es. 3, 6, 12, 24 ore) in maniera continua o discontinua, proporzionale o non alla portata dell’effluente. Si distingue in:
a) campionamento medio-composito. Viene realizzato mescolando un numero di campioni istantanei prelevati ad opportuni intervalli di tempo, in modo proporzionale o non alla portata.
b) campionamento medio-continuo. Viene effettuato prelevando in maniera continua e per un dato intervallo di tempo, una porzione dell’effluente, proporzionale o non alla portata del medesimo.
In altre circostanze, ma in particolare quando cioè lo scarico è del tipo imprevedibile o occasionale o, a maggior ragione, quando si tratti di scarico accidentale, la scelta della metodica andrà giocoforza a cadere sul campionamento istantaneo.
Per campione istantaneo si intende infatti un campione singolo prelevato in un’unica soluzione in un punto determinato ed in un tempo molto breve. Il campionamento istantaneo è da considerarsi rappresentativo limitatamente alle condizioni di scarico presenti all’atto del prelievo ed è consigliabile per controllare scarichi accidentali e/o occasionali di brevissima durata.
Istantaneo o medio – composito?
La querelle sul metodo di campionamento utilizzato non ha quindi motivo di essere quando si consideri che, a monte della decisione, vi sia stata una corretta identificazione della tipologia di scarico.
Nel caso dello scarico doloso è indiscutibile, dal punto di vista tecnico, la scelta di raccogliere un’aliquota di refluo in un’unica soluzione, istantanea, quando vi sia il rischio di disperdimento della prova, considerato che l’interesse prevalente è quello di eliminare ogni possibile traccia che riconduca al trasgressore.
E’ altrettanto giustificato quando si tratti di uno sversamento accidentale, destinato ad esaurirsi nel volgere di breve tempo, o per naturale cessazione o perché vi è stato il pronto intervento di un soggetto pubblico o privato chiamato a risolvere lo stato di emergenza.
In entrambi gli esempi è importante sottolineare come l’operazione del prelievo non possa essere svolta secondo tutti i requisiti richiesti dalle metodiche per l’assenza delle più elementari pre-condizioni autorizzative: accessibilità del sito, sicurezza dell’operatore, presenza di pozzetto di prelevamento ecc..
Basterebbe questa semplice evidenza per ricusare ogni possibile contestazione circa l’inadeguatezza della metodica di prelievo.
Nel caso del medio-composito se andiamo ora a valutare le circostanze di formazione di uno scarico discontinuo periodico o, a maggior ragione, continuo, sono più numerosi i casi in cui la composizione quali-quantitativa del refluo non è costante che il contrario.
E’ decisamente più frequente infatti prendere conoscenza di diverse variabili che si possono presentare nel corso di una giornata-tipo del processo che dà origine allo scarico: consumo materie prime, fasi delle lavorazioni, scarichi parziali, manutenzioni, ecc. sono tutti aspetti che contribuiscono a variare la qualità e la quantità del refluo in uscita e quindi che consigliano, in ultima analisi, l’approccio di tipo medio-composito.
Bisogna invece rilevare come ancora del campionamento istantaneo se ne faccia un uso troppo disinvolto, anche nelle situazioni che, pur aventi un carattere di ripetitività, per le variabili che offrono, andrebbero rappresentate attraverso campionamenti più lunghi, giornalieri.
L’esempio più dirompente è quello dei controlli sugli impianti di depurazione di pubbliche fognature che ancora oggi, si può osservare, vengono effettuati con modalità che potremmo chiamare del "mordi e fuggi". La cosa non sarebbe così grave se non fosse per la volontà di trarre delle conclusioni generali sul funzionamento di questi impianti che, proprio per la scarsa rappresentatività del campione raccolto, non possono che somigliare più a giudizi sommari che altro.
A questo proposito è però importante chiarire meglio i termini: se in diverse parti del paese si è utilizzato spesso e comunque il campionamento istantaneo laddove invece doveva essere preferito l’approccio medio-composito non è per pervicacia ottusa, ma per carenza delle più elementari dotazioni strumentali necessarie alla concreta applicazione della metodologia IRSA: i campionatori automatici.
Su questo si dovrebbe riflettere, su quale sia, a tutto il 2000, il reale numero dei campionatori automatici in uso agli enti di controllo: Province, Comuni, USL, ARPA, NOE, CFS, ecc.ecc. E’ mortificante osservare come queste importanti funzioni vengano ancora svolte alla giornata, secondo le disponibilità che si presentano, senza un minimo di strategia, di pianificazione. Ancora una volta si deve porre l’accento sulla scarsità delle risorse che vengono dedicate allo svolgimento di attività di vigilanza e ispezione in materia ambientale.
L’approccio al campionamento
Secondo Youden l’incertezza prodotta dal campionamento costituisce da sola un terzo dell’incertezza totale del risultato di analisi. Questa considerazione deve portare in primo piano un aspetto del processo analitico troppo spesso ingiustamente trascurato.
Il primo elemento da considerare rispetto alla decisione di raccogliere un campione di acque di scarico è la conoscenza del ciclo produttivo. Perché il campione sia il più possibile rappresentativo delle reali condizioni quali-quantitative che si desiderano conoscere, occorre aver raccolto tutte le nozioni circa il processo attraverso il quale si originano i reflui.
L’affermazione sembrerà ovvia, ma la realtà è che ancora oggi numerose sono le occasioni nelle quali si consta l’effettuazione di controlli improvvisati, privi di una qualsiasi prgrammazione tecnico-operativa.
Perché si possa giudicare della conformità o meno di uno scarico rispetto a una tabella non è quindi sufficiente l’azione del raccogliere, ma è indispensabile predisporre in anticipo le condizioni perché tutta l’operazione si svolga con metodo.
C’è una legge nota a chi da tempo esercita metodicamente l’attività di vigilanza e ispezione: i controlli vanno preparati. La complessità normativa e la specializzazione settoriale è ormai arrivata a tali livelli che non è possibile sostenere l’abilitazione di tutto e tutti in un campo delicato come quello di cui si sta discutendo.
Perché i controlli possano essere preparati è indispensabile che vi sia un momento precedente all’uscita durante il quale questo ciclo di produzione che dà origine allo scarico possa essere sviscerato in tutte le sue componenti. Questo momento è lo studio della documentazione tecnica presentata a supporto della domanda di autorizzazione allo scarico.
Anche questa osservazione sembra appartenere al repertorio delle banalità, mentre non è così. La suddivisione delle competenze nella materia ambientale è, storicamente, fondata su un dogma non scritto: chi autorizza non controlla, quasi a sancire che la separazione dei compiti o delle funzioni serva ad evitare atteggiamenti compiacenti nei confronti dei soggetti controllati.
Questa suddivisione è deleteria: non ha significato alcuno che la fase istruttoria, precedente al rilascio di una autorizzazione, sia in capo a un ente, e la successiva, della verifica in campo, sia delegata a terzi. Per avere successo, perché le conoscenze siano sfruttate appieno nella fase finale del prelievo, è indispensabile che l’ente di controllo partecipi all’istruttoria autorizzativa. Laddove gli enti di autorizzazione e di controllo non lavorano in sinergia i risultati sono lasciati al caso, alla coincidenza fortuita.
Il giusto approccio al campionamento non è quindi deciso di volta di volta secondo le circostanze, ma è il risultato di una pianificazione, di un percorso conoscitivo che vede il suo inizio fin dal momento in cui l’interessato deposita l’istanza per effettuare uno scarico di acque reflue.
Basilare perché la verifica in campo abbia successo è la mappatura dello stato dei luoghi.
Per questo nella modulistica che rappresenta la traccia per la presentazione dalla domanda non si potrà prescindere da una cartografia che descriva accuratamente tutti i punti critici del processo ispettivo e consistenti in:
Planimetria dello stabilimento e della rete fognaria in scala 1:200, firmata da tecnico abilitato, contenente:
La planimetria del reticolo fognario deve essere valutata, per così dire, come la "madre di tutte le carte". E’ uno strumento indispensabile all’azione dell’accertamento, irrinunciabile perché il campione possa essere considerato rappresentativo dell'intero sistema ambientale oggetto d'indagine. E’ un elemento indispensabile anche al giudizio di conformità, quando l’esito analitico non si spiega se non sulla base di una ricostruzione esatta delle linee interrate e di quello che hanno condottato nel periodo di campionamento.
D’altronde l’azione dell’accertamento non può esaurirsi nel raccogliere un’aliquota del refluo scaricato. Anzi l’ispezione sullo stato dei luoghi dovrebbe essere sempre intesa come propedeutica alla decisione di raccogliere anche un campione. Se la distanza tra le carte e quello che si osserva nel corso del sopralluogo è grande, non si dovrebbero avere remore nel rimandare l’atto del campionamento ad un momento successivo, a quando la corrispondenza è migliore.
L’elemento più importante rimane comunque il punto in cui è stato installato il pozzetto di ispezione e campionamento. La scelta dovrà essere guidata da diversi obiettivi, che fanno capo a necessità diverse:
Assicurate quindi le pre-condizioni per dare coerenza e metodo alla fase del campionamento si passerà a raccogliere l’aliquota considerata. Vediamo ora in sintesi come si procede nella tripartizione dettata dal D.lvo 152/99: acque domestiche, acque industriali, acque reflue urbane.
Acque domestiche
Sul testo del decreto non si trovano indicazioni circa le modalità di campionamento relative alle acque domestiche. Si tratterrà di considerare le metodiche IRSA, come rimando generale. Tipicamente le acque domestiche sono riconducibili alla categoria degli scarichi discontinui periodici, il periodo più indicato sarà quello relativo a uno dei tre pasti giornalieri.
Diverso è il caso di uno scarico domestico, proveniente da servizi igienici e cucine di insediamenti produttivi. In questo caso si dovrà considerare il periodo lavorativo, se sulle otto ore o su tre turni. Consigliabile un campionamento sulle 24 ore.
Acque industriali
Con il D.lvo 258 si rimette mano all’articolato e il nuovo testo è così riscritto:
"Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo può effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico tenendo conto: delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, delle caratteristiche del ciclo tecnologico, del tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), del tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.)."
A scanso di equivoci il legislatore si è dunque espresso per restituire libertà di scelta al soggetto che effettua i controlli sulla conformità degli scarichi alla nuova disciplina.
Con sentenza da ultimo 16 febbraio 2000 n.1734 la Corte di Cassazione ha continuato peraltro a garantire questa opzione basando le proprie argomentazioni su una giurisprudenza consolidata e maggioritaria la quale pone l’accento sulla natura amministrativa dell’accertamento e di conseguenza sulla discrezionalità che caratterizza la scelta del metodo di prelievo istantaneo piuttosto che del medio-composito.
Per le corrette modalità di campionamento si continuerà quindi a fare riferimento alle diverse ipotesi suggerite dall’IRSA.
Acque reflue urbane
Le modifiche più importanti rispetto alle disposizioni antecedenti si ritrovano in questo ambito. Per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 dell’allegato 5 al decreto e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell'arco di 24 ore.
La prima domanda da porsi è a quale data devono essere applicate le nuove modalità di campionamento e in che termini. Per gli scarichi esistenti si tratterà di considerare la scadenza dei termini di adeguamento dei vari impianti, secondo le relative potenzialità e recapiti, ai limiti indicati in tabella 1 e 2 dell’allegato 5 al decreto. Per quelli nuovi la data di messa in esercizio.
La prima scadenza, quella del 31 dicembre 2000, ha fatto scattare i controlli secondo le nuove modalità per gli impianti di depurazione a servizio di agglomerati, che recapitano in arre non sensibili, con più di 15.000 A.E. Per gli scarichi esistenti con più di 10.000 A.E. che hanno recapito in aree sensibili la conformità alle tabelle è scattata dalla data di entrata in vigore del D.lvo 152/99.
Il piano dei campionamenti sugli impianti esistenti a servizio degli agglomerati con popolazione in AE inferiore ai valori suddetti potrà partire dalla data del 31dicembre 2005.
Per potenzialità in AE degli impianti di trattamento deve intendersi di norma la "potenzialità di progetto" desunta dai parametri utilizzati nella redazione del progetto esecutivo ossia la potenzialità massima riferita alla situazione impiantistica attuale.
Il "punto di prelievo del campione" deve essere sempre il medesimo e posto immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore. Non deve esistere alcuna possibilità di intercettazione e/o di introduzione di acque di altra natura fra i due punti, anche se ubicati a discreta distanza.
Per la determinazione del numero di campioni rientranti nel piano e riguardanti la verifica dei valori-limite previsti nelle tabelle 1 e 2 dell’allegato 5 si dovrà fare riferimento alla tabella seguente:
potenzialità impianto |
numero campioni |
da 2000 a 9999 A.E: |
12 campioni il primo anno e 4 negli anni successivi, purché lo scarico sia conforme; se uno dei 4 campioni non è conforme, nell'anno successivo devono essere prelevati 12 campioni |
da 10000 a 49999 A.E.: |
12 campioni |
oltre 50000 A.E: |
24 campioni |
A questi vanno aggiunti campionamenti per la verifica del rispetto limiti indicati nella tabella 3, stesso allegato, con le frequenze indicate appresso:
potenzialità impianto |
numero campioni |
da 2000 a 9999 |
1 volta l'anno |
da 10000 a 49.999 A.E |
3 volte l 'anno |
oltre 49.999 A.E |
6 volte l'anno |
Ma chi deve effettuare questi controlli?
Il numero minimo annuo va effettuato dall'autorità competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all'autorità di controllo, ritenuto idoneo da quest'ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell'anno.
Sulla divisione dei compiti l’utilizzo della congiunzione "ovvero" genera, come al solito, problemi di interpretazione..Se la congiunzione è intesa come tale, entrambi i soggetti sono tenuti a garantire il numero minimo di campioni indicati nella tabella. Il gestore dell’impianto di depurazione deve in più disporre di un sistema di rilevamento e di trasmissione dati siano che siano stati valutati positivamente dall’autorità competente
Assumere l'onere di mettere in esecuzione un tale numero di campioni non è certo decisione di poco conto. Si tratta di mettere in programma un’attività di controllo rappresentata da grandi numeri, per la cui messa a regime sono indispensabili nuove risorse, sia di mezzi che di personale.
Sulla necessità inderogabile di dotare le strutture di controllo (ma anche lo stesso gestore) di campionatori automatici si è già detto, la prescrizione della durata di campionamento non permette di scendere al di sotto delle 24 ore. Se teniamo conto dei costi sul mercato di questi strumenti, da un minimo di sei milioni (campionatori non refrigerati) ad un massimo di dodici (refrigerati) ci si può facilmente fare un’idea di cosa significa attrezzare adeguatamente una unità operativa dedicata.
Considerato che sono le Regioni a dover assicurare l’effettuazione dei piani di controllo secondo le frequenze assegnate dalle tabelle, le Province a doverli mettere a regime direttamente o per tramite delle strutture locali costituite sul territorio dalle ARPA (Agenzie Regionali di Protezione Ambientale), va da sé che le somme da stanziare diventano ingenti.
Vi è inoltre, per paradosso, un incremento proporzionale delle spese da sostenersi a seconda del livello depurativo raggiunto sul territorio da controllare. Più sono gli impianti di depurazione e maggiore è il numero dei campioni da raccogliere.
Per ipotesi proviamo a quantificare il numero minimo dei prelievi in una realtà provinciale il cui livello di depurazione è rappresentata dagli impianti seguenti, a partire da una potenzialità di progetto pari a 15.000 AE.:
denominazione |
potenzialità progetto |
numero campioni tabelle 1 e 2 |
numero campioni tabella 3 |
Impianto 1 |
280000 |
24 |
6 |
Impianto 2 |
45000 |
12 |
3 |
Impianto 3 |
150000 |
24 |
6 |
Impianto 4 |
20000 |
12 |
3 |
|
tot. n.72 |
tot.n.18 |
|
tot n. 90 |
Se a questi aggiungiamo il numero di campioni che l’autorità di controllo, o l’ARPA di cui si avvale, dovrà assicurare sugli altri impianti, con potenzialità inferiore ai 15.000 AE, a partire dal 31 dicembre 2005, i quali, di norma, considerate le caratteristiche geomorfologiche del territorio da servire, sono in numero decisamente superiore a quelli di maggiore dimensione indicati nell’esempio, è facile prevedere che il totale di campioni per provincia ( ben servita sotto il profilo depurativo) possa comportare numeri che variano dai due ai trecento/anno.
Il legislatore, italiano ed europeo, non aveva evidentemente ponderato bene le ricadute in termini di personale, per i prelievi e le analisi, che devono essere dedicate a questo settore, senza tener conto che, nell’ambito della tutela delle acque, è necessario anche considerare gli scarichi di acque industriali e il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee, e il tutto è da far coincidere con le medesime necessità in materia di controlli ambientali tout court, cioè a dire rifiuti, emissioni, rumori, rischi rilevanti, ecc. ecc.
Come si diceva prima a proposito dell’entità dei fondi che vengono stanziati a livello centrale o regionale per la messa in esercizio dei controlli ambientali, si prospettano numerose le procedure d’infrazione rispetto all’applicazione della direttiva 91/271/CEE nel nostro paese.
La scelta che doveva essere compiuta a livello di redazione dell’allegato 5, da parte del legislatore italiano, era invece di prefigurare il numero minimo di campioni come obbligo a carico del gestore e di prevedere un numero di controlli da parte dell’autorità competente pesato sulla valutazione dell’efficienza dell’impianto nel tempo.
Che significato ha infatti ripetere pedissequamente ogni anno lo stesso numero di prelievi quando i risultati dei controlli continuano a perorare per il corretto funzionamento dell’impianto? Non è forse meglio dedicare le (poche) risorse disponibili ad ambiti maggiormente meritevoli di controllo in relazione a situazioni di rischio conclamato?
Un aspetto legato a filo doppio con il problema di dover assicurare un elevatissimo numero di controlli, ragionevolmente distribuiti nel corso dell'anno, è la valutazione di conformità rispetto ai parametri analizzati. Una piccola rivoluzione introdotta dalla direttiva consiste infatti nell’ammettere un certo numero di difformità come fisiologiche del sistema considerato. La sanzione, per essere espliciti, non va più comminata per la singola violazione, ma solo in caso di superamento della media giornaliera dei limiti tabellari in rapporto al numero di campioni ammessi come non conformi sul totale degli effettuati.
Anche in questo caso la decisione sul chi fa cosa non è scevra da conseguenze. E’ logico propendere per l’applicazione della sanzione sulla scorta di un controllo pubblico, diversamente non si riesce ad immaginare come sia possibile che il gestore autodenunci la propria incapacità a svolgere i compiti per cui è stato incaricato (anche se sono sempre possibili lodevoli eccezioni).
Dunque è necessario eseguire almeno il numero minimo dei prelievi previsti per poter concludere con un giudizio di conformità o meno sull’efficacia depurativa del determinato impianto. Ergo non è possibile comminare sanzioni se non si è in grado di effettuare il numero di prelievi/anno considerato minimo per l’impianto appartenente ad una delle tre classi di potenzialità.
campioni prelevati durante l'anno |
numero massimo consentito di campioni non conformi |
4 - 7 |
1 |
8 - 16 |
2 |
17 - 28 |
3 |
Da considerare che nel computo non sono stati presi in considerazione i campioni all’ingresso dell’impianto, attraverso i quali effettuare una verifica della percentuale di riduzione dell’inquinante trattato, così come non si è voluto approfondire il concetto di "campioni medi ponderati", o la necessità di analizzare anche il parametro "saggio di tossicità acuta", argomenti bastevoli da soli a costringere alla resa qualsiasi volontà applicativa.
Eccezione alla regola del rapporto conformi/non conformi è il caso del superamento in percentuale di alcuni dei parametri indicati in tabella 1. In questo è sufficiente un parametro fuori limite per la contestazione della violazione.
parametro
|
concentrazione limite |
BOD5 |
50 mg/l |
COD |
250 mg/l |
Solidi sospesi |
87,5 mg/l |
Misura di salvaguardia finale è il riferimento a situazioni eccezionali in termini di eventi piovosi per escludere la validità del campione raccolto nel corso di tali condizioni meteoriche. A questo proposito sarà indispensabile, prima di eventuali interpretazioni interessate, definire esattamente cosa si intende per eventi eccezionali (sempre meno eccezionali a causa dei cambiamenti climatici facilmente osservabili).
Conclusioni
L’applicazione integrale della nuova disciplina in materia di tutela delle acque richiede sforzi notevoli sia sotto il profilo della capacità professionale che dell’acquisizione di conoscenze tecniche e tecnologiche in genere da parte degli operatori chiamati ad effettuare i controlli degli scarichi, sia per quanto riguarda l’assunzione di oneri di adeguamento strumentale da parte degli enti di controllo che per l’incremento delle dotazione organiche, a parità di impegno sul resto delle tematiche ambientali, necessarie a dare applicazione ai piani di campionamento annuali.
Vedremo quali e quanti saranno i comportamenti a livello nazionale da citare come esempio di concreta volontà attuativa dei disposti di legge o, al contrario, quali e quante saranno le modifiche della disciplina vigente che verranno proposte per superare le "difficoltà" emerse nel corso del primo anno di applicazione.