Anche con l’emanazione del D.Lvo 152/99 si ripropone, per le attività agricole o di trasformazione dei prodotti agricoli, l’antico dilemma dell’assimilazione. Oggi non si tratta più di insediamenti produttivi assimilabili a civili, ma di acque industriali assimilate a domestiche.
Prima di entrare nel merito dell’uso al participio presente del verbo "assimilare", sarà bene ricordare le origini di questo antico dilemma.
LE ORIGINI
Nella prima versione la L.319/76, c.d. Merli dal nome del suo relatore, ripartendo gli scarichi come provenienti da insediamenti produttivi o civili e affidando alla potestà delle regioni la disciplina di questi ultimi non recapitanti in pubblica fognatura non aveva tuttavia fornito un criterio per distinguere le due tipologie. Su sollecitazione delle istanze di categoria venne poi introdotto l’art.1 quater (con L.690/76) il quale, d’amblais, andava ad inquadrare tutte le imprese agricole come definite all’art.2135 C.C. tra gli insediamenti civili.
La richiesta delle categorie era motivata dal differente sistema sanzionatorio previsto nei due casi: le violazioni in materia di scarichi produttivi erano trattate come reati penali, le violazioni attribuibili a scarichi civili potevano semmai essere oggetto di sanzioni amministrative, sempre che le regioni avessero nel frattempo deciso di regolamentare il settore a loro delegato. Riguardo a questo aspetto si può già trarre una conclusione: nonostante gli anni trascorsi molte regioni non hanno emanato nulla in proposito. Peraltro anche laddove le regioni hanno legiferato raramente sono state introdotte misure sanzionatorie di natura amministrativa (1).
Naturalmente questo trattamento di favore nei confronti di determinate categorie produttive metteva sullo stesso piano quello che poteva essere il danno prodotto da un rigagnolo di una concimaia con quello susseguente allo scarico di un insediamento zootecnico intensivo, di un macello, di una cantina. A questa comparazione inaccettabile si cercò di dare rimedio, a seguito soprattutto delle iniziative di opposizione di alcune regioni (Emilia-Romagna in testa), con l‘approvazione della L.650/79, la quale preannunciava una Delibera del Comitato Interministeriale destinata a fa chiarezza sul punto.
LA DELIBERA 8 MAGGIO 1980
La Delibera Interministeriale del maggio 1980 dettava così le sue linee interpretative sul tema, utilizzando quanto già detto da una Delibera precedente dello stesso Comitato, tutt’oggi vigente, in data 4 febbraio 1977, emanata come norma tecnica ai sensi dell’art.2 , lettere b), d) ed e) della L.319/76.
In particolare era l’allegato 5 della Delibera del 1977, "Norme tecniche generali per la regolamentazione dello smaltimento di liquami nel suolo e nel sottosuolo", a fornire lo spunto per differenziare insediamenti civili da insediamenti produttivi, anche se tali disposizioni non avevano in nessun caso voluto distinguere le diverse ipotesi sulla base dei criteri elencati. Anzi, proprio le prime righe dell’allegato stavano a precisare che la regolamentazione si doveva applicare sia agli scarichi degli uni che degli altri. Si trattava cioè di una norma tecnica volta a identificare le corrette modalità di spandimento sul suolo dei reflui prodotti dagli insediamenti tenuto conto dell’utilizzo del suolo stesso.
Il principio da seguire alla base del regolamento dettato all’allegato 5 della Delibera 4 febbraio 1977 era così sintetizzato:"Lo smaltimento dei liquami sul suolo è ammesso non come semplice mezzo di scarico di acque usate, ma come mezzo di trattamento che assicuri, nel caso di suolo ad uso agricolo un utile alla produzione ed in ogni caso una idonea dispersione ed innocuizzazione degli scarichi liquidi stessi, in modo che le acque sotterranee, le acque superficiali, il suolo, la vegetazione non subiscano degradazione o danno.
Per garantire questo principio, e cioè un corretto utilizzo di liquame ai fini agronomici, la Delibera del 4 febbraio1977 enunciava questo criterio:
"2.3.2. Scarichi da allevamenti zootecnici. -
Nel caso di smaltimento di liquami zootecnici sui suoli adibiti ad uso agricolo si deve tener conto della normale pratica agronomica che utilizza il suolo agricolo quale recapito ottimale anche per la utilizzazione di tali liquami. In relazione a ciò la quantità di liquami ammissibile per l'utilizzazione agronomica è quella corrispondente ad un carico non superiore a 40 q/Ha di peso vivo di bestiame da allevamento."
Tre anni dopo lo stesso Comitato Interministeriale mutua il medesimo criterio per la qualificazione dell’impresa agricola, in specie quella di allevamento, tra gli insediamenti civili. Cioè a dire, se l’allevamento possiede un numero di animali che, per peso vivo complessivo e per terreno disponibile, rientra in quel rapporto di 40 q/ha, allora il relativo scarico terminale è definito civile.
Nella trascrizione tuttavia si perdeva un connotato importante, quello della destinazione finale. Per una leggerezza dell’estensore il testo della delibera del maggio 1980 non restringe il campo di applicazione allo smaltimento sul terreno, anzi, proprio nel preambolo afferma che la qualifica di insediamento civile spetta alle imprese agricole "che diano luogo a scarico terminale" lasciando intendere quindi non solo sul suolo, ma anche in acque superficiali e in fognatura.
Da questo enunciato che, troppo semplicisticamente, ridimensiona il fatto-reato di uno scarico zootecnico in acque superficiali ( per es. il cosiddetto "ruscellamento") sulla scorta di una disponibilità di terreno, che, in quanto a prova di sostenibilità ambientale, non dimostra pressochè nulla, si è originata una giurisprudenza sterminata oscillante tra la volontà cocciuta di perseguire comunque il reato e la difesa pilatesca del criterio di assimilazione.
L’utilizzo di questo criterio ha finito infatti per giustificare tutti quei comportamenti assolutamente contrari allo spirito della legge solo sulla base di un riscontro di carattere formale che niente poteva a che vedere con l’adozione di misure strutturali e organizzative idonee ad una gestione ambientalmente corretta del refluo zootecnico.
Di fronte ad episodi di smaltimento tout court di liquami di origine animale nei corpi idrici, con le pesanti conseguenze che si possono immaginare, cosa dunque accadeva. L’agente accertatore, l’organo di controllo, identificava la fonte dell’inquinamento e comunicava l’esito dell’indagine al magistrato. Questo apriva il fascicolo processuale e dava mandato alla polizia giudiziaria di raccogliere gli elementi per la qualificazione dell’insediamento. Questa accertava che la proprietà dell’allevamento aveva in disponibilità terreni in estensione più che sufficiente per garantire il rapporto in q/ha sopra citato e il magistrato concludeva per una archiviazione del fatto in quanto "non costituiva reato".
Se anche questa conclusione non perveniva nelle prime fasi dell’istruttoria era comunque nel corso del dibattimento che la difesa poteva agevolmente sostenere la tesi della assimilazione, avendo potuto sfruttare tutto il tempo utile per raccogliere quei titoli di disponibilità che servivano a confutare il rispetto del criterio (si sottolinea "titolo di "disponibilità" che è cosa ben diversa dalla proprietà).
E anche il requisito della "connessione" del terreno con l’attività dell’allevamento viene facilmente abbordato, nell’interpretazione riduttiva che ne viene data: il terreno, come luogo di recapito dei liquami, coltivato per la produzione di mangimi destinati all’alimentazione del bestiame stesso (che sia 1/3 o 2/3 la materia prima proveniente dal fondo poco importa, dal momento che la polizia giudiziaria non è certamente in grado di dimostrare il contrario).
IL TESTO UNICO SULLE ACQUE
Venendo ai giorni nostri il mandato della legge delega 24 aprile 1998 n.128 è stato quello di "apportare le modificazioni e le integrazioni necessarie al coordinamento e riordino della normativa vigente in materia di tutela delle acque dall’inquinamento" recependo nel contempo due direttive: la 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane e la direttiva 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonte agricole.
In particolare il recepimento della prima, la 91/271/CEE, faceva ben sperare, se non per l’eliminazione, almeno per una revisione radicale del criterio dell’assimilabilità basato sul rapporto peso vivo/terreno. Questo grazie alle nuove definizioni di acque domestiche e acque industriali scritte con tale trasparenza terminologica da non fornire alcun pretesto per il rinnovo dell’antico dilemma.
Così invece non è stato. La questione si è ripresentata pressochè uguale all’art.28, comma 7, del nuovo testo, D.lvo 11 maggio 1999 n.152, senza subire sostanziali modifiche anche con la ripresa del articolato ad opera del successivo D.lvo 18 agosto 200 n.258.
Per mettere subito in evidenza analogie e differenze abbiamo preparato la seguente tabella:
Delibera Interministeriale 8 maggio 1980 |
Art.28, co.7, D.lvo 11 maggio 1999 n.152 |
Ai sensi e per gli effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, sono considerati insediamenti civili le imprese agricole che diano luogo a scarico terminale e abbiano le seguenti caratteristiche:
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Salvo quanto previsto dall’articolo 38, ai fini della disciplina degli scarichi, delle comunicazioni e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche quelle che presentano caratteristiche qualitative equivalenti, nonchè le acque reflue:
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Come si vede la novità maggiore è l’utilizzo del participio presente di assimilare. Evidentemente si vuole eliminare alla radice ogni discussione dottrinale: i reflui prodotti da quelle categorie di imprese sono a tutti gli effetti acque domestiche….salvo il contrario.
Siamo punto da capo. Nella condizione di dover accertare un reato di inquinamento originato da uno scarico zootecnico l’ufficiale di pg non potrà sottrarsi dall’interrogativo se l’impresa "disponga di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento prodotti in un anno da computare secondo le modalità stabilite nell’allegato 7."
L’aggiunta dell’avverbio non fa poi che rafforzare l’impressione. Si è voluto cioè rammentare la giurisprudenza della Suprema Corte la quale continua a ribadire quanto segue:
"Nella vigenza della legge 10 maggio 1976, n. 319 - tenuto conto che, in seguito dell`entrata in vigore del D.L. 17 marzo 1995, n. 79, convertito nella legge 17 maggio 1995, n. 172, l`apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo o nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non costituiva più reato e che, in forza di quanto stabilito dall`ultimo comma dell`art. 1 quater del D.L. 10 agosto 1976, n. 544, convertito con modificazioni nella legge 8 ottobre 1976, n. 690, le imprese agricole di cui all`art. 2135 c.c. erano considerate insediamenti civili - la giurisprudenza di questa Corte Suprema risulta costantemente orientata nel senso che l`allevamento di bestiame non costituisce espressione dell`impresa agricola (legislativamente considerata insediamento civile) ma rientra nella nozione di insediamento produttivo quando nel rapporto terra-animali, con riferimento alla previsione dell`art. 2135, secondo comma, c.c., non sia la prima ad avere ruolo e funzione preponderanti. Affinché si abbia impresa agricola (e conseguentemente insediamento civile) è stata ritenuta essenziale, dunque, la "connessione funzionale dell`allevamento con la coltivazione della terra" e, tra i criteri di individuazione di tale connessione si è fatto riferimento a quelli (del rapporto tra spazio disponibile e numero dei capi di bestiame; della proporzione tra il terreno coltivato ed il peso vivo degli animali allevati; della destinazione all`allevamento dei due terzi del prodotto strettamente agricolo del fondo) indicati dalla delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale di cui all`art. 3 della medesima legge n. 319/1976. E' stato altresì affermato che tali criteri costituiscono, comunque, parametri non esclusivi di riferimento, rimanendo fondamentale - per determinare la natura agricola dell`allevamento di bestiame - la prevalenza dell`attività di coltivazione della terra e la complementarietà ad essa funzionale dell`allevamento (che non deve rappresentare, in sostanza, l`attività principale)." Cass. pen., Sez. III, 11 ottobre 1999, n. 11542 |
Se poi si legge l'ultima parte della lettera f) nuovo testo: "Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si applica a partire dal 13 giugno 2002", la considerazione che se ne trae è che questo criterio continua a giocare un ruolo attivo, che l'assimilazione non è cosa fatta, ma si rimette in discussione come e più di prima.
Dopo di che, nell’incertezza di dover determinare l’appartenenza all’una o l’altra delle qualifiche e quindi a quale sistema sanzionatorio fare capo, l’ufficiale di pg sceglierà il male minore, quello cioè di inviare notizia di reato al magistrato di turno, ritenendolo ben più ferrato nello sciogliere il viluppo incomprensibile che si trova a dover gestire.
Alla fine del ragionamento si potrebbe concludere per un nulla di fatto. Sebbene si sia cercato di radicalizzare l'indirizzo di favore chiesto dalle associazioni di categoria, questo esercizio di stile non pare aver sortito l'effetto voluto. Ma occorre soffermarsi ancora un momento sulla questione.
IL NUOVO SISTEMA SANZIONATORIO
Come si diceva all'inizio il desiderio di ricadere sotto la definizione di insediamento civile era motivato dalla mancata previsione di sanzioni tra i disposti della L.319/76, o meglio, da un'interpretazione di maggioranza che riteneva non perseguibili gli scarichi terminali di tali insediamenti.
Rispetto ad allora quali modifiche ha subito il sistema sanzionatorio introdotto con D.lvo 11 maggio 1999 n.152? Una c'è ed è importante: anche per le acque domestiche possono scattare le sanzioni per scarico non autorizzato e superamento dei limiti.
Sono sanzioni amministrative, è vero, ma per questo non meno rilevanti rispetto a quelle penali. Si osserva peraltro che la sanzione per il superamento dei limiti è la stessa per le une e per le altre acque, sono situazioni parificate a tutti gli effetti (2). A questo punto il discorso della convenienza verrebbe a cadere. E allora, a che pro tutto questo?
Ma non basta. Tra le novità introdotte nel decreto c'è la nuova ipotesi di "applicazione al terreno" così descritta alla lettera n) dell'art.2: l'apporto di materiale al terreno mediante spandimento sulla superficie, iniezione, interramento, mescolatura con gli strati superficiali del terreno.
Alla lettera successiva c’è l"utilizzazione agronomica", la new entry tra le definizioni dell'art.2, così modificato dal D.lvo 258/2000, cioè la gestione di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione…. nonché delle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all’art.28, co.7, lettere a), b), c) ………… finalizzata all'utilizzo delle sostanze nutritive ed ammendanti nei medesimi contenute ovvero al loro utilizzo irriguo e fertirriguo.
Ciò che già era evidente nella prima versione del decreto, adesso diventa indiscutibile: lo spandimento degli effluenti di allevamento esce dalla categoria degli scarichi sul suolo per entrare nella nuova disciplina delle applicazioni al terreno, riimpostando il discorso come originariamente era, cioè, nelle intenzioni del Comitato Interministeriale del 1977, sulla finalità agronomica del suo riutilizzo, come mezzo di trattamento che assicuri, … un utile alla produzione.
La nuova condizione è soggetta a procedimento alternativo, descritto all’art.38: non più autorizzazione espressa ma comunicazione da presentarsi secondo modalità e termini che verranno stabiliti da un decreto concertato tra Ministri e Conferenza permanente Stato-Regioni. Nel decreto verranno disciplinate le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzo agronomico, tenendo evidentemente presente due obiettivi: la finalità prima che si diceva, cioè assicurare un utile alla produzione, ma anche la salvaguardia dei corpi idrici.
Viene quindi prevista l’applicazione di sanzioni amministrative ma, sorpresa, "fermo quanto disposto dall’art.59, comma 11-ter", articolo inserito con il D.lvo 258/2000, prima modifica al D.lvo 11 maggio 1999. Secondo l’art.11-ter "chiunque effettui l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento …..al di fuori dei casi e delle procedure previste …… è punito con l’ammenda da L.2 milioni a L.15 milioni o con l’arresto fino a 1 anno."
Non solo: "la stessa pena si applica a chiunque effettua l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente."
Riassumendo. Gli effluenti di allevamento e le altre acque reflue prodotte dalle imprese agricole di cui all’art.28, co.7, lettere a), b) e c) si applicano al terreno. L’utilizzazione agronomica esce dalle procedure autorizzative delineate dall’art.45 del D.lvo 152/99, anche se solo all’indomani dell’emanazione di una direttiva concertata tra Ministri, stato e Regioni, la quale stabilisce modi e termini per effettuare correttamente lo spandimento come mezzo utile alla produzione e senza che ciò sia causa di inquinamento. Sono previste sanzioni pecuniarie per le violazioni più lievi, le violazioni più gravi ritornano sotto il cappello del codice penale.
E’ lecito pensare che l’ammenda o l’arresto siano le sanzioni applicabili al reato più grave di inquinamento delle acque provocato a seguito di spandimento non corretto o per altre operazioni effettuate come preparative all’utilizzazione agronomica? In caso contrario come si spiega quel "al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente"?.
Sembra cioè di poter concludere che, avendo imboccato un disciplinare del tutto speciale rispetto al normale iter delineato dall’art.45 del decreto, l’applicazione al terreno vive di una sua vita propria, secondo le proprie leggi e consuetudini. Se il titolare dell’allevamento sceglierà cioè di trattare il refluo zootecnico in qualità di ammendante sul terreno dovrà attenersi alle nuove regole che verranno dettate. L’adozione di comportamenti non corretti, le omissioni, saranno sanzionate secondo la gravità, a prescindere dal rapporto tra peso vivo ed estensione del terreno disponibile e degli altri criteri di assimilazione sopra descritti.
Aspettiamo quindi con viva curiosità l’emanazione del decreto previsto all’art.38, nuovo decreto. Sarà forse presumibilmente allora, che potremo scrivere la parola "fine" sul tormentone delle imprese agricole assimilate nello scarico alle acque domestiche.
(1) In effetti, nei primi quindici anni di applicazione della legge Merli, una delle questioni più dibattute è stata proprio il regime sanzionatorio degli scarichi civili nuovi con recapito diverso dalla pubblica fognatura. Solo nel 1991 (sentenza Valiante, Corte di Cassazione a sezioni unite, 31 maggio 1991) il contrasto è stato risolto. Vi è poi stata una seconda sentenza , la n.1 del 12 febbraio 1993, delle sezioni unite penali, che ha chiuso il cerchio affermando esplicitamente l’applicabilità anche agli scarichi civili del reato di superamento dei limiti, art.21 comma terzo, della L.319/76. Poiché in questo modo si toccava anche il mai sopito problema delle pubbliche fognature si è potuto assistere all’intervento "urgente" del Governo che tra il novembre 1993 e il marzo 1995 ha, di fatto, neutralizzato la portata delle due pronunce, riportando gli scarichi civili nell’ambito di un sistema sanzionatorio di tipo amministrativo. La L. 17 maggio 1995 n.172, risultato finale di questa operazione correttiva, è poi stata abrogata con l’avvento del nuovo D.lvo 11 maggio 1999 n.152.
(2) L’unica differenza esiste per quei casi in cui nello scarico sono rintracciabili alcune delle sostanze pericolose elencate in tabella 3A dell'allegato 5 al decreto e allora si ritorna in penale.