GLI
SCARICHI DI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI
Il
decreto legislativo n. 152 del 1999, come modificato dal nuovissimo
decreto 258/2000, ha ad oggetto la tutela delle
acque dall’inquinamento, ed è imperniato, com’è noto, sulla nozione
di “scarico” (1), che non ha subìto
modificazioni ad opera del nuovo dlgs e sulla
tripartizione delle acque reflue (di
cui all’art. 2, lettere g), h) ed i) ) in "domestiche",
industriali e
"urbane
La nozione di acque reflue
domestiche è rimasta inalterata ("
acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e
derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”),
mentre invece sono state modificate in maniera certo non irrilevante le nozioni
delle altre due tipologie di acque .
Nel nuovo testo sono
«acque
reflue industriali»:
qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o
installazioni in cui si svolgono attività commerciali o
di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque
meteoriche di dilavamento (2); e sono «acque
reflue urbane»: le acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue
domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento convogliate
in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” (3);
La modifica più rilevante è
sicuramente quella che riguarda le «acque reflue industriali» in quanto
risulta assai significativa la sostituzione della locuzione
“ attività industriali”
con quella di
“ attività
di produzione di beni”.
La prima ipotesi interpretativa che
ci sentiamo di sostenere è che il legislatore abbia voluto rendere evidente, e
quindi risolvere una delle maggiori “querelle” su cui si era affannata la
giurisprudenza di merito e di legittimità nel vigore della legge “Merli”,
sancendo inequivocabilmente la
ricomprensione all’interno della tipologia delle «acque reflue industriali»
degli scarichi che derivano dalle attività artigianali oltrechè di quelle
industriali che, per definizione, sono dirette alla produzione di beni, anche se
per conseguire tale finalità ha adottato una locuzione, quella delle “
attività di produzione di beni”
che è sicuramente idonea a determinare un restringimento della nozione di «acque
reflue industriali».
Una conferma dell’ipotesi
interpretativa da noi avanzata (vedi B. Albertazzi, in questa stessa rivista, n.
del ....) in relazione
all’insussistenza del nesso tra gli scarichi di «acque reflue industriali» e
lo “stabilimento industriale o
semplicemente stabilimento”, si può rinvenire nella mancata modificazione
di tale ultima definizione ad opera del nuovo decreto, così da rendere evidente
che le «acque reflue industriali» possono essere scaricate da qualunque “edificio
o installazione” anche diverso da
uno “stabilimento industriale.
Anche l’aggiunta delle “
installazioni “ come fonte di provenienza delle «acque
reflue industriali» è utile a chiarire all’interprete l’estensione
della nozione cit. , risultando
assai ambiguo nel testo previgente il riferimento ai soli
“edifici”.
(1)
“qualsiasi immissione diretta tramite
condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle
acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria,
indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo
trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art.40;”,
ai sensi della lett. bb) dell’art. 2
)
(2) Si confronti la nuova
definizione con la precedente che le definiva come : "
qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività
commerciali o industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque
meteoriche di dilavamento”
La
nuova nozione di «acque reflue urbane» aggiunge alcuni requisiti a quella
previgente, in particolare richiede che le acque
meteoriche di dilavamento, che si mescolano con le acque reflue domestiche, o
con le acque reflue industriali, siano convogliate
in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” (3).
Le modifiche apportate alle definizioni sopra richiamate da parte del Dlgs
258/2000 hanno avuto sicuramente l’effetto di rendere la disciplina del Dlgs
152/99 sempre più simile alla legge “Merli”, a cui quasi tutte le
correzioni apportate sembrano fare riferimento. Non sembra fare eccezione la
disciplina delle acque reflue industriali, dopo che è stato posto l’accento
sulla loro provenienza da
“
attività commerciali o di produzione di beni”
, il che potrebbe servire all’interprete
a recuperare e considerare tuttora valida buona parte delle
giurisprudenza formatasi appunto nel vigore della legge “Merli”, in materia
di scarichi produttivi e di scarichi assimilati ai domestici.
(3)
Si confronti la nuova definizione con la precedente che le definiva come :
" acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di
acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento”.
Le metodologie di campionamento
Novità assai rilevanti sono state introdotte, sulle metodologie del
campionamento delle acque reflue industriali, da parte del Dlgs 258/2000 che ha
modificato il disposto del punto 1.2 dell’Allegato 5, che oggi dispone:
“1.2 Acque reflue industriali.
..........Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.)..”.
Com’è noto il testo previgente disponeva che:
“I
limiti indicati in tabella 3, per le acque reflue industriali, sono riferiti ad
un campione medio prelevato nell'arco di tre ore. L'autorità preposta al
controllo, al fine di verificare le fasi più significative del ciclo
produttivo, può effettuare il campionamento su tempi più lunghi.”.
Una parte , minoritaria, della dottrina ed una parte altrettanto minoritaria
della dottrina avevano dedotto dal testo previgente del punto 1.2
dell’Allegato 5 l’illegittimità di utilizzare la metodologia del
campionamento istantaneo dopo l’entrata in vigore del Dlgs 152/99, fatta
eccezione per gli scarichi esistenti nel periodo transitorio di tre anni
previsto dalla legge. In tal senso si veda
SEZ. 3 SENT. 14245 DEL 16/12/1999 (UD.08/11/1999) RV. 214985 PRES. La Cava P
REL. Postiglione A COD.PAR.351, IMP. Putignano : “Il prelievo istantaneo
eseguito in base alla legge 319 del 1976 e' da ritenersi valido per i
procedimenti attivati prima dell'entrata in vigore del
D.Lgs.152 del 1999, in quanto all'epoca dei fatti era consentito sia il
campionamento medio che quello istantaneo, e gli scarichi giuridicamente
esistenti, perche' autorizzati, sono tenuti ad adeguarsi alla nuova disciplina
entro tre anni dalla entrata in vigore della legge 152, con la conseguenza che
restano in vigore le norme regolamentari e tecniche preesistenti”.
La giurisprudenza maggioritaria della Cassazione penale si era indirizzata,
invece, anche prima delle modifiche al Dlgs 152/99, nel senso di continuare a
ritenere legittimo il campionamento istantaneo sulle acque reflue industriali.
In tal senso si vedano:
SEZ. 3 SENT. 01773 DEL 16/02/2000
(UD.17/12/1999) RV. 215605
PRES. Papadia U REL. Novarese F IMP. Calvo
“Il principio che nella scelta del metodo di campionamento dei reflui
sussista una discrezionalita' tecnica, cosi' che la indicazione di effettuare
l'analisi su un campione medio ha carattere direttivo e non precettivo, in
quanto il tipo di campionamento e' correlato non solo alle caratteristiche del
ciclo produttivo, ma anche ai tempi, ai modi, alla portata ed alla durata dello
scarico, non deve essere modificato alla luce della nuova normativa. Infatti
l'impianto complessivo appare immutato, nonostante il decreto legislativo 17
maggio 1999 n. 152 dedichi una piu' puntuale disciplina delle metodiche di
campionamento.
La medesima sentenza aveva inoltre affermato che:
“In tema di analisi di reflui la omessa adozione del campionamento medio
non determina la nullita' delle analisi; infatti diversamente non si
comprenderebbe come sarebbe possibile individuare il superamento dei valori
limite in una immissione occasionale che, in ipotesi, potrebbe durare meno del
tempo previsto per il c.d. campionamento medio.”
Nello stesso senso vedi Cass. sez. III pen. 29.2.200 (ud. 20.1.00) n. 2495, ric. Marone:
“L’attività di campionamento
degli scarichi è normalmente estranea all’ambito del diritto penale e
costituisce attività amministrativa, cosicchè trova applicazione la norma di
cui all’art.223 disp. att. cod. proc. pen., che stabilisce che le analisi dei
campioni hanno piena rilevanza probatoria in sede penale purchè vi sia stato il
preavviso all’interessato, onde consentirgli di presenziare alle analisi
stesse. Quando però l’attività di campionamento venga eseguita su
disposizione del giudice o quando esiste già un soggetto determinato sottoposto
ad indagini l’attività stessa ha natura penale e trovano applicazione le
garanzie difensive previste dall’art.220 disp. att. cod. proc. pen.”.
Ancora
in senso conforme si veda Cass. sez. III pen. 3.9.99 (ud. 30.6.99) n. 10506:
“L’attività di campionamento
dei reflui ha natura esclusivamente amministrativa e non è finalizzata
esclusivamente all’accertamento di reati, ma rientra nei compiti di controllo
dello stato di inquinamento dei corpi ricettori. A tale attività non si
applicano, pertanto, le garanzie di difesa prescritte per le analisi, le quali,
pur essendo anch’esse atti tipicamente amministrativi, hanno però piena
rilevanza probatoria nel processo penale, purché vi sia stato il preavviso
all’interessato.
Ogni deduzione circa eventuali
irregolarità delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi deve essere
proposta al momento dello svolgimento delle analisi, qualora l’interessato sia
stato ritualmente avvisato, e non può, in difetto di deduzione in tale sede,
essere formulata in sede processuale, trattandosi di questioni che attengono ad
attività amministrativa.”
GLI SCARICHI DELLE SOSTANZE PERICOLOSE
L’articolo 34 del decreto
legislativo n. 152 del 1999 è stato interamente sostituito dal nuovo decreto
legislativo n. 258 del 2000 (4).
Il primo comma, totalmente nuovo,
introduce una novità assai importante essendo finalizzato a delimitare il campo
di applicazione dell’articolo sugli scarichi di sostanze pericolose, mentre
nel testo previgente non esisteva una omologa disposizione. Ciò aveva
determinato una pluralità di letture in dottrina in merito all’individuazione
di tale campo di applicazione. Dunque assai utile risulta oggi questo primo
comma dell’art. 34 che detta:
1. Le disposizioni relative agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5 e nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o degli aggiornamenti messi a punto ai sensi del punto 4 dell’allegato 5.
Dunque l’art. 34 è applicabile, qualora
sussistano contestualmente le seguenti condizioni, agli stabilimenti:
a)
nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la
trasformazione o l'utilizzazione delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5
dell’allegato 5 e
b)
nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità
o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di
rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o degli
aggiornamenti messi a punto ai sensi del punto 4 dell’allegato 5.
Sussistono quindi ora , contrariamente al
testo previgente, dei nessi evidenti tra le nozioni di “stabilimento”,
“sostanze pericolose” e le tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5.
É’ stato introdotto dal Dlgs 258/2000 anche il riferimento alla rilevabilità delle sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’allegato 5 mediante le metodiche di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o degli aggiornamenti successivi.
Il disposto del secondo comma dell’art. 34 riproduce il primo comma del
testo previgente.
(4) Lo si confronti col testo previgente che disponeva:
Art.
34 - Scarichi di sostanze pericolose.
1.
Tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della
sostanza considerata nell'ambiente in cui è effettuato lo scarico, l'autorità
competente in sede di rilascio dell'autorizzazione può fissare, in particolari
situazioni di accertato pericolo per l'ambiente anche per la conpresenza di
altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più
restrittivi di quelli fissati ai sensi dell'articolo 28, commi 1 e 2.
2.
Per le sostanze indicate ai numeri 2, 4, 5, 12, 15 e 16 della tabella 5
dell'allegato 5, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima
della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico
dell'attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto, in
conformità con quanto indicato nella stessa tabella.
3. Per le acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/A e 5 dell'allegato 5, il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l'uscita dallo stabilimento o dall'impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L'autorità competente può richiedere che tali scarichi parziali siano tenuti separati dallo scarico generale e trattati come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22, e successive modifiche e integrazioni.
4.
L'autorità che rilascia l'autorizzazione per le sostanze della tabella 3/A
dell'allegato 5, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli
scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla
Commissione europea.
Per un
commento al testo previgente di tale articolo vedi B. Albertazzi, in questa
stessa rivista, n...... del.......
Il terzo comma dispone che :
“3.
Per le sostanze di cui alla tabella 3/A dell’allegato 5, derivanti dai
cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono
altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità
di elemento caratteristico dell’attività inquinante e cioè per materia prima
o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa
tabella.”
Esso dunque chiarisce che le autorizzazioni
che devono obbligatoriamente stabilire altresì la quantità massima della
sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico
dell’attività inquinante e cioè per materia prima o per unità di prodotto,
sono solo quelle aventi ad oggetto:
a)
le
sostanze di cui alla tabella 3/A
dell’allegato 5,e
b) derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella.,
mentre il testo previgente disponeva che tale specifica modalità autorizzatoria fosse riservata alle
“sostanze indicate ai numeri 2, 4, 5,
12, 15 e 16 della tabella 5 dell'allegato 5”.Risulta
quindi evidente che c’è stato un ampliamento del campo di applicazione della
norma rispetto al testo previgente.
Il quarto comma dell’art. 34 dispone oggi
che:
“4.
Per le acque reflue industriali
contenenti le sostanze della tabella 5 dell’allegato 5, il punto di
misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l’uscita dallo
stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento
medesimo. L’autorità competente
può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5
dell’allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati
come rifiuti, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e
successive modifiche e integrazioni. Qualora, nel caso di cui all'articolo 45,
comma 2, secondo periodo, l’impianto di trattamento di acque reflue
industriali che tratta le sostanze pericolose di cui alla tabella 5
dell'allegato 5, riceva scarichi provenienti da altri stabilimenti o scarichi di
acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad una modifica o
riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l'autorità
competente dovrà ridurre opportunamente i valori limite di emissione indicati
nella tabella 3 dell'allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose
indicate in tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione
dei diversi scarichi.”
Il nuovo testo del quarto comma fa
riferimento al punto di misurazione dello scarico delle
acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella 5 dell’allegato
5,
mentre il testo previgente disponeva in
merito alle “acque di processo contenenti le sostanze delle tabelle 3/A e 5
dell'allegato 5”.
Scompare
quindi il riferimento alla tabella 3/A ed alle “acque
di processo”. Ciò serve senza dubbio a sgomberare il campo da molte
terminologie inutili, dannose o residuate dalle norme previgenti, che avevano
costretto la dottrina e la giurisprudenza ad affannarsi nel tentativo di
formulare una costruzione sistematica delle disciplina degli scarichi delle
sostanze pericolose che nella mente del legislatore del 1999 non aveva trovato
posto.
Il riferimento alle sostanze
della tabella 5 dell’allegato 5 serve anche a qualificare gli scarichi
parziali (5) per i quali l’autorità competente può richiedere che
siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti
(mentre il testo previgente richiedeva che fossero “trattati” come rifiuti)
, ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive
modifiche e integrazioni. Ciò significa che tali scarichi non potranno essere
immessi in alcun corpo ricettore ma dovranno essere raccolti ed avviati ad
impianti di smaltimento, quali la discarica o l’inceneritore, o di recupero,
ai sensi e con le modalità previste dal Dlgs 22/97 e S.M. e dei relativi
decreti applicativi..
E’ stato inserito un corposo periodo nel nuovo quarto comma con la funzione
di stabilire che:
a) gli impianti consortili di depurazione di acque reflue industriali di cui all’art. 45, comma 2
b)
che trattano le sostanze pericolose di cui alla tabella 5 dell'allegato
5,
c) qualora ricevano per il trattamento anche scarichi provenienti da altri stabilimenti o scarichi di acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad una modifica o riduzione delle sostanze pericolose,
d) sono destinatari di provvedimenti dell’autorità competente diretti alla riduzione dei valori limite di emissione indicati nella tabella 3 dell'allegato 5 per ciascuna delle sostanze pericolose indicate in tabella 5, in considerazione della diluizione operata dalla miscelazione dei diversi scarichi.
(5) Dal dato testuale del
previgente terzo comma si deduceva la coincidenza tra le acque di
processo e gli scarichi parziali, che si distinguevano dallo scarico generale.
Nell’ambito
del sistema normativo previgente sono stati considerati scarichi parziali quelli
provenienti dalle singole lavorazioni, da un determinato ciclo tecnologico, o
comunque da un determinato impiego di acqua.
Veniva invece definito scarico
totale lo scarico rappresentato dalla miscela di diversi effluenti parziali , su
cui vedi L. Butti, “Le nuove norme sull’inquinamento idrico”, Pirola,
1997, pag. 35 .
La
giurisprudenza ha più volte utilizzato la nozione di acque di processo,
nell’ambito della disciplina normativa previgente,
al fine di operare una distinzione, necessaria per l’esatta
individuazione del divieto di diluizione di cui all’art. 9 della legge
“Merli”, tra tali acque , che sono inerenti direttamente al processo di
produzione, e le
acque di raffreddamento o di lavaggio, e le altre acque che non sono
inerenti direttamente al processo di produzione, bensì accessorie alla
meccanica produttiva, consentendo il funzionamento dei macchinari utilizzati ed
altri interventi per la produzione .
Si
affermava quindi, nelle giurisprudenza richiamata, che “non possono
considerarsi acque di processo (oltre, ovviamente, alle acque prelevate
esclusivamente allo scopo di diluizione) le acque di raffreddamento, di lavaggio
(a meno che non siano direttamente inerenti al processo produttivo), quelle
utilizzate per l’impianto antincendio, per i consumi civili, per la
manutenzione delle areee verdi, ecc.” .
Gli
scarichi menzionati contenevano sostanze inquinanti considerate particolarmente
pericolose. La giurisprudenza della Cassazione ha, in proposito, affermato che
era
“
prevista la possibilità di «ispezioni»
all'interno degli insediamenti, con controlli e misurazioni anche degli «scarichi
parziali» contenenti alcune sostanze pericolose, al fine di imporre a monte «trattamenti
particolari» prima della loro confluenza nello scarico generale”
Ai sensi del medesimo quinto comma
dell’art. 34 l’autorità che rilascia l’autorizzazione per le sostanze di
cui alla tabella 3/A dell’allegato 5 derivanti dai cicli produttivi indicati
nella stessa tabella, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli
scarichi e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla
Commissione europea.”
SANZIONI
Diverse novità sono state introdotte nel corpo del Dlgs 152/99 da parte del
Dlgs 258/2000 in materia di sanzioni, sia amministrative che penali.
In relazione alle sanzioni conseguenti all’inosservanza delle
disposizioni in materia di scarichi industriali osserviamo che nell’ambito
dell’ articolo 59 (Sanzioni penali), il previgente comma quarto
che disponeva:
“
4. Chiunque effettua uno scarico di acque reflue industriali contenenti le
sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate
nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5 senza osservare le prescrizioni
dell'autorizzazione, ovvero le altre prescrizioni richieste dall'autorità
competente a norma dell'articolo 34, comma 3, è punito con l'arresto sino a due
anni.”
è stato integralmente
sostituito ed oggi dispone:
“4. Chiunque, al di
fuori delle ipotesi di cui al comma 5 (cioè quelle relative all’effettuazione
di uno scarico di acque reflue industriali con superamento dei
valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo,
nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero dei limiti più restrittivi fissati dalle
Regioni o dalle Province autonome o dall'autorità competente a norma
dell'articolo 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5
dell'allegato 5 ), effettua
uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose
comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A
dell'allegato 5, senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, ovvero le
altre prescrizioni dell'autorità competente a norma degli artt. 33, comma 1 e
34, comma 3 è punito con l'arresto fino a due anni.”
Dunque nel
nuovo testo dell’art. 59 comma 4 la sanzione
penale che viene comminata a chi
non ottempera alle prescrizioni contenute nell'autorizzazione allo scarico, non
si applica se l'inottemperanza consiste nel superamento dei limiti di emissioni
stabiliti dalle tabelle di cui all’Allegato 5. In tale ipotesi
trovano invece applicazione le norme che disciplinano
il superamento dei limiti di accettabilità dello scarico .
Anche il previgente
comma quinto è stato sostituito per armonizzarlo conle modifiche introdotte al
già esaminato comma quarto. Il comma quinto dispone oggi:
“5. Chiunque,
nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori
limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4
dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle
Province autonome o dall'autorità competente a norma dell'articolo 33, comma 1,
in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, è punito
con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da lire 5 milioni a lire 50
milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze
contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a
tre anni e l'ammenda da lire 10 milioni a lire 200 milioni.”
Sono stati inoltre introdotti i commi 4 bis e 6 ter . Il primo
dispone:
“4-bis. Chiunque
viola le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in
automatico o l'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui
all'articolo 52 è punito con la pena di cui al precedente comma 4.” , cioè
con l’arresto fino a due anni (com’è
noto l'autorità di controllo, ai sensi del disposto dell’art. 52, ha la
facoltà di ordinare, per gli scarichi di sostanze pericolose, l'installazione
di strumenti di controllo aventi la
finalità di consentire una efficace verifica avente ad oggetto le modalità di
gestione degli impianti stessi),
mentre il, secondo
dispone:
“6-ter.
Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte
del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all'articolo 28, commi 3 e
4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la pena
dell'arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei
soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'articolo 13 della legge n.
689 del 1981 e degli artt. 55 e 354 del codice di procedura penale.”
(com’è noto gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento
da parte degli organi di controllo che sono autorizzati, in ogni momento, ad
effettuare qualunque ispezioni risulti essere necessaria ai fini
dell'accertamento delle condizioni dello scarico.). L’inciso
“salvo che il fatto non costituisca più grave reato” del comma in esame
va riferito ai reati di resistenza o di violenza a pubblico ufficiale.
Si tratta della
trasformazione in illeciti
penali di alcuni comportamenti che prima costituivano mere trasgressioni
amministrative, e dunque siamo in presenza di un processo di
“ripenalizzazione” in materia di tutela delle acque dall’inquinamento,
relativo:.
1)
alla violazione delle prescrizioni concernenti l'installazione e la
gestione dei controlli in automatico nonché alla violazione dell'obbligo di
conservazione dei risultati stessi ;
2)
all'impedimento dell'accesso da parte del soggetto incaricato