Cass. Sez. III n. 17184 del 27 aprile 2016 (Ud 14 ott 2015)
Pres. Squassoni Est. Aceto Ric. Coppo ed altro
Rifiuti.Stoccaggio alla rinfusa

Lo stoccaggio alla rinfusa esclude "ex se" la regolarità del deposito e, in ogni caso, il rispetto di tutte le modalità tecniche del deposito costituisce preciso onere di chi lo effettua, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordina

 RITENUTO IN FATTO

1. I sigg.ri i Fulvio Coppo e Renato Gonella ricorrono per l'annullamento della sentenza del 03/04/2015 del Tribunale di Padova che li ha condannati alla pena di 4.000,00 Euro di ammenda ciascuno per il reato di cui all'art. 110 c.p. e D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), per avere, in concorso fra loro, nella qualità di legali responsabili della società "Asfalti Coppo S.a.s. di G.R. & C.", effettuato un deposito preliminare di rifiuti non pericolosi prodotti nell'esercizio della propria attività e più precisamente per aver stoccato ritagli di guaina bituminosa e guaina rimossa durante la fase di demolizione e costruzione, classificabili con codice CER 17 06 04 che, essendo stati raggruppati in un luogo diverso da dove sono stati prodotti, non può essere considerato un deposito temporaneo, in assenza della autorizzazione prescritta dall'art. 208, D.Lgs. n. 152 cit.. Fatto accertato in Vigonza a seguito di sopralluogo del 9-16 novembre 2010.

La condanna si fonda sui seguenti fatti e considerazioni:

a) a seguito di sopralluoghi del 9 e del 16 novembre 2010, furono rinvenuti nel piazzale dell'impresa due cassoni pieni: l'uno, di guaina bituminosa (ritagli di rotoli di materia prima e di guaina sostituita durante le fasi di demolizione e costruzione); l'altro, di imballaggi misti costituiti da barattoli che in origine avevano contenuto sostanze utilizzate per la posa in opera della guaina;

b) tali rifiuti, accatastati alla rinfusa, provenivano dai vari cantieri gestiti dall'impresa che svolgeva attività di impermeabilizzazione e coperture per l'edilizia;

c) sul registro di carico e scarico mancava ogni indicazione sui rifiuti in questione poichè erano registrati solo i movimenti di quelli (rifiuti misti da demolizione) conferiti per lo smaltimento ad altra impresa;

d) i rifiuti non erano stati prodotti nel luogo del loro rinvenimento ove erano situati esclusivamente gli uffici amministrativi della società;

e) non è stata provata la tesi difensiva per cui tali rifiuti fossero destinati alla commercializzazione.

2. Con quattro motivi eccepiscono:

2.1. l'inosservanza dell'art. 521 c.p.p. (primo motivo);

2.2. l'inosservanza del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, (secondo e terzo motivo);

2.3. l'inosservanza dell'art. 131-bis c.p. (quarto motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono infondati.

4. Il primo motivo è totalmente infondato.

4.1. La rubrica individua con chiarezza l'oggetto della condotta ascritta gli imputati, identificandolo nei ritagli di guaina bituminosa e con la guaina rimossa durante le fasi di demolizione e ricostruzione.

4.2. Il Tribunale, dal canto suo, non ha mai posto a fondamento della condanna le condotte relative allo smaltimento dei rifiuti non pericolosi provenienti da attività di demolizione diversi da quelli rinvenuti nel corso del sopralluogo del (OMISSIS) e individuati nella rubrica.

4.3. Ogni argomentazione sull'erronea codificazione di detti rifiuti da parte del PM non ha alcuna rilevanza, nè natura decisiva, considerata l'economia della motivazione del provvedimento impugnato.

4.4. Sicchè non v'è dubbio che gli imputati siano stati condannati per il fatto esattamente loro ascritto.

5. Sono infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, comuni per l'oggetto: la natura di rifiuto delle guaine e la regolarità del deposito.

5.1. Premesso che per escludere la natura di rifiuto delle guaine bituminose i ricorrenti utilizzano argomenti di natura fattuale (attingendo a tal fine a dati estrinseci al testo della sentenza), osserva il Collegio che:

a) il Tribunale dà espressamente atto che le guaine, accatastate alla rinfusa erano anch'esse destinate allo smaltimento tramite impresa specializzata (pag. 3, secondo capoverso della sentenza);

b) tale affermazione - di natura francamente dirimente - si fonda su elementi di prova indicati in sentenza di cui i ricorrenti non solo non eccepiscono il travisamento, limitandosi gli imputati ad opporre la testimonianza della C. secondo cui le guaine e le latte venivano selezionate per decidere se riutilizzarle in altri impieghi o disfarsene, ma di cui riconoscono la veridicità allorquando oppongono l'inadempimento dell'impresa in questione, a loro non imputabile;

c) in ogni caso, l'argomentazione difensiva (fondata sulla testimonianza di cui al capoverso che precede) secondo cui si trattava di materie prime secondarie (all'epoca individuate e disciplinate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 181-bis, abrogato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 39, comma 3), oltre ad essere contraddittoria con la tesi dell'affidamento del deposito a terzi, non considera che tali erano solo quelle che rispettavano i requisiti e le condizioni di cui ai decreti ministeriali indicati nell'art. 181-bis, cit., non i residui della lavorazione dei quali sia incerta la destinazione all'effettivo riutilizzo;

d) allo stesso modo, l'eccezione secondo cui il deposito era regolare perchè i rifiuti erano depositati nel "luogo di produzione" (dovendosi per tale intendere, secondo la tesi difensiva, anche la sede dell'impresa produttrice) non è decisiva perchè non considera che lo stoccaggio alla rinfusa esclude "ex se" la regolarità del deposito stesso (cfr., Sez. 3, n. 11258 del 11/02/2010, Chirizzi, Rv. 246459) e che in ogni caso il rispetto di tutte le modalità tecniche del deposito costituisce preciso onere di chi lo effettua, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Sez. 3, n. 23497 del 17/04/2014, Lobina, Rv. 261507), onere che non può essere assolto per la prima volta in sede di legittimità con l'inammissibile allegazione di dati fattuali;

e) peraltro, deve escludersi che la sede dell'impresa non funzionalmente ed immediatamente collegata al luogo di materiale produzione del rifiuto possa esser considerata anch'essa "luogo di produzione" del rifiuto (Sez. 3, n. 35622 del 11/07/2007, Pili, Rv. 237388; Sez. 3, n. 8061 del 23/01/2013, Ercolani, Rv. 254754), e ciò a prescindere dal fatto che tale collegamento, se - come nel caso in esame - non emerge "ictu oculi", deve essere provato in modo rigoroso da chi lo deduce e non viceversa.

6. L'invocata esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto contrasta con la decisione del Tribunale di sanzionare la condotta degli imputati con una pena che, ancorchè pecuniaria, non è in alcun modo prossima al minimo edittale (avendo posto a base del calcolo la pena di Euro 6.000,00 di ammenda).

Il che esclude sin d'ora, per valutazione insindacabile del Giudice di merito cui in alcun modo può sovrapporsi questa Suprema Corte, l'esiguità del pericolo di danno per l'ambiente (e, dunque, la particolare tenuità dell'offesa) che deve essere minimo, trascurabile.

La natura esigua del danno (o del pericolo) concorre a rendere non punibile un fatto che è comunque offensivo, sicchè essa non può essere confusa con le ipotesi di "speciale (o particolare) tenuità" o di "lieve entità" del fatto che attenuano il reato, senza escluderne l'offensività. Si tratta di concetti non sovrapponibili che collocano la non punibilità per particolare tenuità del fatto nella angusta area schiacciata tra la totale inoffensività della condotta e il reato attenuato dalla speciale o particolare tenuità del fatto o dalla sua lieve entità.

Non è perciò sufficiente una valutazione di lieve entità del reato, nemmeno se valorizzata dal giudice per quantificare la pena in modo da avvicinarla più ai valori minimi che a quelli massimi (come testualmente affermato in sentenza).

Ne consegue che i ricorsi devono essere respinti e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2015.