TAR Campania (NA), Sez. IV, n. 3533, del 2 luglio 2015
Urbanistica.Possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria.
Mentre l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell’abuso commesso, il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (art. 33 co. 2 d.p.r. 380/01) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (indirizzato ai competenti uffici dell’Amministrazione) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempre se vi sia stata la richiesta dell'interessato in tal senso. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 03533/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01364/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1364 del 2009, proposto da Rosella Zannini, rappresentata e difesa dall'avv. Luisa Acampora, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale Gramsci N.16,
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Municipale, domiciliata in Napoli, piazza Municipio,
per l'annullamento
della d.d. del Comune di Napoli n. 1036 del 4.12.2008 notificata il 17.12.2008, e degli atti presupposti a questa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2015 il Primo Referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con ricorso notificato il 13 febbraio 2009, la signora Zannini Rosella ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe che ordinava la demolizione delle opere asseritamente abusive realizzate presso l’immobile di via Aniello Falcone n. 394 (veranda di 1 metro per 6 in alluminio e vetro, a copertura di un balcone, che, nella prospettazione della ricorrente, oltre a prendere il posto di una veranda vecchia già esistente, doveva servire a eliminare sbalzi termici e a proteggere la casa della intemperie) e comunque insistenti su edificio sito in zona vincolata ai sensi del DM 15 giugno 1955.
Il gravame è stato affidato ai seguenti motivi:
I) violazione art. 27 del d.P.R. 380/01, eccesso di potere, in quanto l’immobile non ricadrebbe in zona assoggettata al DM in questione.
II) Mancata valutazione della possibilità di demolire la veranda per evitare pregiudizio all’immobile.
III) violazione art. 7 l. 241/90: mancata comunicazione di avvio del procedimento.
IV) violazione artt. 3, 22 e 27 del d.P.R. 380/01, in quanto opere assentibili con DIA.
2. Costituitasi l’Amministrazione comunale, che ha depositato memoria chiedendo il rigetto del ricorso, all’udienza pubblica del 15 aprile 2015 il collegio ha trattenuto la causa in decisione.
3. Il ricorso è infondato.
La ricorrente ha depositato una perizia tecnica giurata che nulla dice in ordine al fatto che l’immobile in questione non ricada nella zona vincolata dal D.M. del 1955, come invece affermato dagli uffici comunali (cfr. verbale di sopralluogo, in atti).
Ne discende che sotto questo profilo la creazione, mediante una veranda chiusa, di un volume aggiuntivo, sul balcone, quale quello oggetto dell’ordine di demolizione, era sicuramente non autorizzabile.
Sul punto vedasi Tar Campania, sez. VII, 19 marzo 2015 n. 1645; id., 16 aprile 2014 n. 2150, che ribadiscono che occorre distinguere il concetto di volume rilevante ai fini edilizi dal concetto di volume rilevante ai fini paesaggistici, sicchè mentre ai fini edilizi un volume per le sue caratteristiche può anche non essere considerato rilevante e non essere oggetto di computo fra le volumetrie assentibili (ad esempio perché ritenuto volume tecnico), viceversa ai fini paesaggistici un volume può assumere comunque una sua rilevanza e determinare una possibile alterazione dello stato dei luoghi che le norme di tutela vogliono impedire.
Pertanto, ove gli interventi ricadano in zona assoggettata a vicolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore (cfr. art. 149 del d.l.vo n. 42 del 2004) gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che “quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 380/2001 è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica” (cfr., ex multis, Tar Campania, sezione VI, sentenza n. 4676 del 23 ottobre 2013).
In ogni caso, se un manufatto, di più ampie dimensioni rispetto al preesistente, realizzato senza assenso edilizio su un terrazzo di un appartamento, produce l’effetto di incremento di volumetria e di modifica della sagoma dell’edificio, senza potersi considerare volume tecnico a protezione della caldaia (circostanza che qui è esclusa sia dalle dimensioni che dalla parte, che parla di protezione dell’immobile dalle intemperie), esso comporta modifica del volume, della sagoma e del prospetto dell’edificio, sicchè l’intervento sanzionato rientra nella nozione della ristrutturazione edilizia come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, oppure della nuova costruzione, per la cui realizzazione è necessario il previo permesso di costruire da parte del Comune, a prescindere da qualunque considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto realizzato.
Ciò consente di respingere il primo e il quarto motivo di ricorso.
4. In ordine alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, la giurisprudenza di primo e secondo grado è conformemente schierata nel ritenere che essa non sia necessaria in caso di ordine di demolizione di manufatti abusivi, perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime; e, seppure si aderisse all’orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005), nella parte in cui dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento … qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Infatti, posto che l’ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, nel caso in esame risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stata data ai ricorrenti comunicazione dell’avvio del procedimento (ex plurimis, Tar Napoli, sez. IV, 3 febbraio 2015 n. 705).
5. Infine, quanto al secondo motivo, nel quale si sostiene che il Comune avrebbe dovuto valutare la portata della demolizione comminata in relazione al pregiudizio arrecabile all’edificio, va ribadito in primo luogo che la ricorrente non ha supportato la dedotta prospettazione con alcun elemento tecnico atto a dimostrare la sussistenza del pregiudizio di cui l’amministrazione si sarebbe dovuta far carico: il che preclude l’ingresso all’accoglimento di tale profilo di denuncia alla stregua del condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui la sanzione pecuniaria va disposta, in via alternativa, “soltanto” nel caso in cui sia “oggettivamente impossibile” procedere alla demolizione e, quindi, “soltanto” nel caso in cui risulti “in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso senza che, pertanto, possano venire in rilievo aspetti relativi all’eccessiva onerosità dell’intervento” (cfr., di recente, questa sezione, 2 aprile 2015, n. 1927, ed ivi per richiami di altri precedenti).
In ogni caso le opere in questione rappresentano ampliamenti volumetrici privi di titolo abilitativo e, come tali, giustamente assoggettati all’ordine di demolizione. Va inoltre ricordato che la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria attiene comunque alla successiva fase dell'esecuzione dell'ordine di ripristino, e presuppone, da parte del destinatario, la prova dell’impossibilità di demolire senza nocumento per la restante parte (legittima) dell’immobile.
Sul punto la giurisprudenza, anche di questo Tar, ha stabilito che mentre l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell’abuso commesso, il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (art. 33 co. 2 d.p.r. 380/01) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (indirizzato ai competenti uffici dell’Amministrazione) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempre se vi sia stata la richiesta dell'interessato in tal senso (ex multis, Tar Napoli, sez. VII, 14 giugno 2010 n. 14156).
6. Il ricorso va quindi respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna Rosella Zannini al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Napoli, che liquida in euro 1500,00 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)