Consiglio di Stato Sez. VII n. 7420 del 4 settembre 2024
Rifiuti.Obblighi di bonifica e principio chi inquina paga

Il principio "chi inquina paga" trova applicazione anche quando non si possa escludere l’apporto causale di ulteriori e differenti fattori poiché, ai fini dell’applicazione di cui agli articoli 239 e ss., in materia di obblighi di bonifica, è sufficiente che vi sia stata una "contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento"; il fatto che non si possa escludere la responsabilità anche di altre imprese ivi operanti non rende illegittimo per ciò solo un ordine di bonifica; del resto, la necessità di tutelare l’ambiente e la salute umana esigono, in applicazione del principio di precauzione, che l’inizio delle operazioni finalizzate alla bonifica di un sito non possono essere bloccate in attesa di individuare tutti i possibili responsabili, le singole responsabilità e le singole azioni di bonifica, ove frazionabili: la bonifica deve essere sollecitamente eseguita; peraltro, ove siano individuati ulteriori responsabili dell'inquinamento, il soggetto giuridico che ha posto in essere gli interventi di bonifica ha titolo per agire in rivalsa, ai sensi dell'art. 253, comma 4, seconda parte, del d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del corresponsabile o dei corresponsabili nella misura a loro imputabile

Pubblicato il 04/09/2024

N. 07420/2024REG.PROV.COLL.

N. 05958/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5958 del 2020, proposto da
Partecipazioni Italiane s.p.a. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Filippo Brunetti, con domicilio eletto presso il di lui studio in Roma, via XXIV Maggio n. 43;

contro

Provincia di Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Cristina Colombo e Giovanni Crisostomo Sciacca, con domicilio presso lo studio dell’avvocato Giovanni Crisostomo Sciacca in Roma, via di Porta Pinciana n. 6;

nei confronti

Necchi s.p.a., Necchi Compressori s.p.a. in Liquidazione, Sviluppi Immobiliari Commerciali s.r.l., Comune di Pavia, Alpian Italia s.r.l., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) n. 02562/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Pavia;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 5 giugno 2024 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Filippo Brunetti; Avv. Roberto Ragozzino su delega dell'avv. Maria Cristina Colombo, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams";

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Provincia di Pavia, all’esito di una complessa indagine ambientale, ha emesso l’ordinanza n. 50 del 15 maggio 2017 con la quale ha individuato i responsabili del potenziale inquinamento delle acque sotterranee situate al di sotto di una vasta area, avente una superficie complessiva di 9 km quadrati, ubicata nella zona nord del territorio del Comune di Pavia e comprendente siti industriali dismessi tra i quali i siti denominati “ex Neca”, “ex Necchi”, “ex Marelli” ed “area ex scalo

merci”.

2. Le indagini svolte nel corso del procedimento hanno individuato un agente contaminane (“plume 1”) che sarebbe tipicamente generato da tetracloroetilene e tricoloroetilene la cui sorgente è stata localizzata nel sito “ex Necchi”, attualmente di proprietà della società Sviluppi Immobiliari Commerciali s.r.l. in liquidazione, ma sino ad un recente passato utilizzato da diverse società per lo svolgimento di attività industriale finalizzata alla produzione di macchine per cucire e compressori,

oltre che per lo svolgimento di attività di fonderia di ghisa.

3. L’ordinanza n. 50/2017 della Provincia di Pavia, dato atto che gli utilizzatori storici dell’area “ex Necchi” sono riconducibili alle società Necchi s.p.a., ora Partecipazioni Italiane s.p.a., attuale appellante, Necchi Compressori s.p.a., Necchi macchine per cucire s.r.l., fusa per incorporazione in Necchi s.p.a., e Fonderia Necchi Pesaro s.r.l., quest’ultima cancellata dal registro delle imprese, ha ritenuto responsabili del potenziale inquinamento Necchi s.p.a., ora Partecipazioni Italiane s.p.a., e Necchi Compressori s.p.a., alle quali ha ordinato di provvedere agli adempimenti previsti dalla Parte IV, Titolo V, del d.lgs. n. 152 del 2006.

3. Più in dettaglio l’ordinanza citata

4. L’ordinanza è stata impugnata dalla società Partecipazioni Italiane s.p.a., che ha notificato il ricorso anche a Necchi s.p.a., Necchi Compressori s.p.a. in concordato preventivo e a Sviluppi Immobiliari Commerciali s.r.l., in liquidazione, nessuna delle quali si è costituita in giudizio.

5. Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha respinto il ricorso. Le ragioni della decisione si possono sintetizzare come di seguito:

- la responsabilità per inquinamento ambientale può essere dimostrata attraverso una prova presuntiva, fondata su un attendibile ragionamento; essa può essere superata da una prova contraria che deve essere prodotta dal soggetto ritenuto responsabile; nel caso di specie l’indagine condotta dalla Provincia di Pavia è stata approfondita e fondata su elementi indiziari attendibili, e la relativa efficacia dimostrativa non è stata contrastata efficacemente dall’appellante;

- la responsabilità della ricorrente non discende dall’avvenuta incorporazione della società Necchi Macchine per Cucire s.r.l. (che ha svolto un'attività produttiva del tutto marginale sull’area ex Necchi), ma soprattutto dal fatto di aver direttamente esercitato, con la denominazione “Necchi s.p.a.”, attività industriale inquinante sulla predetta area; le condotte inquinanti poste in essere prima dell’entrata in vigore del D. L.vo n. 22/1997 sono comunque perseguibili ai sensi dell’art. 2043 c.c. e della L. n. 349/1986; Partecipazioni Italiane s.p.a. deve rispondere a detto titolo sia dell’attività inquinante prodotta da Necchi s.p.a., sia, in qualità di successore a titolo universale, dell’attività inquinante prodotta da Necchi Macchine per Cucire s.r.l., prima di essere fusa per incorporazione nella società ricorrente;

- l’ordinanza della Provincia di Pavia n. 50/2017 non può ritenersi illegittima per non aver distinto le singole responsabilità e per non aver preso in considerazione la possibile responsabilità di terzi, in qualità di inquinatori o di attuali proprietari, trattandosi di questioni che possono e debbono essere definite in un successivo momento e, comunque, richiedono un adeguato corredo probatorio, che la ricorrente non ha offerto; Partecipazioni Italiane s.p.a., in particolare, anche al fine di circoscrivere la propria responsabilità, avrebbe dunque dovuto dare dimostrazione dell’apporto causale degli altri soggetti - prova che nel concreto è del tutto mancata: a tale proposito l’appellante nel proprio ricorso la parte riconosce che le società Fonderia Necchi Pesaro s.r.l. e Rimoldi s.r.l, hanno operato per pochissimo tempo sull’area ex Necchi, con la conseguenza che queste hanno presumibilmente dato un apporto trascurabile nel processo di causazione dell’inquinamento; né ha rilievo il fatto che l’area sia attualmente di proprietà di terzi giacché altrimenti ragionando al responsabile non proprietario mai potrebbe essere ordinato di porre rimedio all’inquinamento da lui provocato, e ciò in palese violazione del principio “chi inquina paga”

6. La Provincia di Pavia si è costituita in giudizio per resistere al gravame.

7. La causa è stata chiamata all’udienza straordinaria del 5 giugno 2024, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo motivo d’appello è contestato il capo della sentenza che ha esaminato e respinti i primi due motivi di ricorso originari.

8.1. L’appellante ribadisce che dall’attenta lettura del provvedimento gravato in primo grado e dello stralcio del modello concettuale si ricaverebbe che le indagini effettuate sulla falda sarebbero del tutto insufficienti per permettere l’individuazione della possibile sorgente di contaminazione e del soggetto responsabile in un’area così complessa dal punto di vista delle attività industriali ed artigianali che vi hanno avuto luogo: nel corso delle indagini, infatti, sono stati collocati un certo numero di pieziometri, dei quali solo due hanno dato un esito significativo, ed ambedue sono esterni all’area.

Il numero di piezometri realizzati sarebbe comunque insufficiente e violerebbe le indicazioni di cui al D.M. 471/1999, che a torto il TAR ha ritenuto non applicabile alle indagini preliminari, ma solo ai piani di caratterizzazione: secondo l’appellante le due tipologie di indagini sarebbero del tutto sovrapponibili dal punto di vista tecnico, ambientale e funzionale, ed anzi l’indagine funzionale a determinare la sorgente dell’inquinamento dovrebbe essere più approfondita di un piano di caratterizzazione. Nel corso dell’indagine di che trattasi sono stati installati 26 piezometri in un’area di circa 9 kmq, mentre il D.M. n. 471/1999 prevede che sia installato un numero minimo di un piezometro ogni 25.000 mq, per aree di superficie superiore a 250.000 mq, imponendo che i campionamenti siano eseguiti nel corso di tutto l’anno: seguendo tali indicazioni la Provincia avrebbe dovuto far collocare almeno 360 piezometri. L’utilizzo di soli due piezometri si paleserebbe quindi come misura del tutto insufficiente a garantire rilevazioni attendibili, ragione per cui non si comprende quale best available technique abbia consentito di procedere in tal modo, e sul punto l’ordinanza impugnata, come l’appellata sentenza, non recano una idonea motivazione.

L’appellante critica anche la sentenza per aver ritenuto attendibile l’indagine della Provincia, e la metodologia da essa seguita, senza disporre una consulenza tecnica d’ufficio. Sottolinea al riguardo che lo stesso modello concettuale utilizzato dalla Provincia conclude affermando che “solo l’esecuzione di ulteriori attività di indagine consentirebbero di pervenire ad una maggiore definizione del presente Modello Concettuale”, evidenziando in tal modo in suoi limiti intrinseci. Sulla base di tali considerazioni l’appellante ribadisce che l’individuazione di un nesso causale tra i superamenti riscontrati e l’attività svolta dall’originaria “ex Necchi” sull’area in questione è frutto di mere supposizioni, prive di alcun attendibile e concreto riscontro anche solo di tipo probabilistico.

In ogni caso, secondo l’appellante proprio il modello concettuale evidenzia una circostanza che toglie attendibilità alle conclusioni cui è pervenuta la Provincia, ovvero il fatto - confermato anche dalla letteratura scientifica - che in prossimità della sorgente inquinante la contaminazione dovrebbe essere rilevata sia nelle acque di falda più profonde che in quelle superficiali, ciò che non si constata in corrispondenza dei piezometri MW2 e MW18, le cui risultanze sono state ritenute conclusive dalla Provincia. L’appellante richiama, in particolare, la Figura 2.3.3. riportata nel modello concettuale, a conferma dell’affermazione secondo cui la permanenza di contaminante si dovrebbe riscontrare anche nello strato acquifero superficiale, rilevando che la contaminazione a livello delle due falde è stata rilevata anche in corrispondenza dei piezometri MW13, MW14, MW3, MW11 collocati sull’area dove insisteva l’ex scalo merci di RFI.

Di contro, rileva l’appellante, la contaminazione rilevata all’interno del piezometro MW18 potrebbe essere stata deviata dall’azione dei pompaggi storicamente attivi nell’area dello stabilimento “ex Necchi”, che potrebbero aver richiamato la contaminazione dall’area immediatamente a valle dell’area ex Necchi (ove insisteva l’area ex scalo merci); e in generale potrebbe essere stata determinata da altri fattori, come ben evidenziato nel “Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati” adottato nel 2006 (e ancora attuale) dall’APAT (oggi ISPRA), che non paiono essere stati presi in considerazione dalla Provincia.

Nella sentenza gravata sembra essere stata quindi del tutto ignorata la circostanza che sull’area - prossima al piezometro MW 18 - denominata “ex scalo merci” (ora di proprietà di RFI) e compresa nella più ampia area che include anche l’area “ex Necchi”, è stata esercitata attività potenzialmente inquinante dai vari soggetti che nel tempo hanno gestito lo scalo in questione: i contaminanti rilevati - ovvero PCE, TCE e TCM – sono infatti largamente utilizzati in svariate attività industriali, del resto tali contaminanti sono stati rilevati anche nell’area “ex Neca”, ove pure in passato era insediato uno scalo ferroviario. In generale l’appellante lamenta di aver indicato vari elementi di indagine indicativi di una possibile responsabilità dei soggetti che nel tempo hanno svolto attività di scalo merci nella zona, e tuttavia la Provincia inspiegabilmente non li ha ritenuti responsabili. Inoltre l’amministrazione resistente avrebbe omesso di indagare sulla natura delle attività svolte sull’area in epoca successiva alla chiusura dello stabilimento di Necchi s.p.a., oltre che sulla ricorrenza di eventuali sversamenti incidentali di liquido contaminante: l’esistenza di uno di tali episodi è, in effetti, emersa recentemente nel corso delle attività di caratterizzazione, e sarebbero riconducibile alle manovre di smantellamento dei macchinari attuate nel 2005 ad opera di Necchi Compressori.

Le indagini effettuate sarebbero viziate da deficit istruttorio anche perché non hanno tenuto conto dei dati di sottosuolo pubblicati dal Comune di Pavia e peraltro inclusi nello studio geologico del piano di governo del territorio riguardanti l’area della zona industriale di viale della Repubblica.

In diritto l’appellante osserva che anche in presenza di inquinamento storico l’indagine finalizzata ad individuare il responsabile non può ritenersi alleggerita.

In conclusione la appellata sentenza, ignorando anche le indicazioni emergenti da un manuale adottato da maggiore ente pubblico nazionale di riferimento in materia ambientale, cioè l’ISPRA, ha ritenuto attendibile una indagine fortemente deficitaria; per giunta, rimproverando alla ricorrente la mancata produzione di una perizia di parte, ha finito per invertire l’onere probatorio ex art. 2697 c.c.: la ricorrente aveva fornito un quadro probatorio esaustivo e spettava al TAR attivare poteri istruttori officiosi. L’appellante sostiene, quindi, che era dovere del primo giudice disporre una consulenza tecnica d’ufficio per dimostrare il nesso di causalità tra l’attività dello stabilimento della ex Necchi s.p.a. e l’inquinamento rilevato.

In particolare, anche a voler seguire il filone della giurisprudenza secondo cui il nesso causale va dimostrato secondo la regola del “più probabile che non” – che peraltro non è l’unico criterio utilizzato dalla giurisprudenza - né la Provincia né l’appellata sentenza hanno fornito una motivazione circa le ragioni per cui si dovrebbe ritenere che l’inquinamento rilevato sia ascrivibile all’attività della ex Necchi s.p.a. con una probabilità superiore al 50%; di contro, in considerazione della circostanza che sull’area “ex Necchi” hanno operato diversi utilizzatori, sarebbe stata doverosa una ricostruzione storica completa oltre che un’adeguata valutazione dei risultati dei campionamenti dei piezometri MW13, MW14, MW3, MW11 collocati all’interno dell’area “ex scalo merci”, ugualmente interessata dalla contaminazione e confinante con l’area “ex Necchi”; in punto causalità l’appellante rileva anche che “È mancata del resto anche la prova che non si tratti di inquinamento diffuso, pur emergendo plurimi elementi che invece depongono in questo senso.”, inquinamento diffuso che onererebbe l’amministrazione dell’onere di eseguire la bonifica.

8.2. La trattazione della censura richiede una premessa di carattere generale al fine di richiamare i principi applicabili in materia, da ultimo ribaditi nelle recenti pronunce di questo Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6596 del 22 luglio 2024, dai quali il Collegio non vede ragione di decampare:

a) nelle materie tecnico scientifiche - quale è indubbiamente quella in esame, relativa in generale alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento - si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori (per tutte, con riferimento alla più ampia materia delle valutazioni ambientali, Cons. Stato, sez. II, 7 settembre 2020 n. 5379; sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36). Non è invece consentito chiedere al giudice di sostituirsi alle valutazioni riservate alle amministrazioni giungendo ad esiti diversi fondati, ad esempio, su una c.t.u. o una verificazione sollecitate dalla parte (sul punto specifico, Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2009 n. 3500), ovvero sulle perizie tecniche di parte o con il richiamo a studi predisposti da propri esperti (sul principio, per tutte Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2021 n. 2524, e per il caso particolare del parere di un esperto di parte, sez. IV, 7 giugno 2021 n. 4331); studi che, secondo logica, potrebbero essere valutabili solo se ritualmente introdotti all’interno del procedimento amministrativo e condivisi espressamente dall’autorità competente;

b) in materia ambientale l'accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti - accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati - si basa sul criterio del "più probabile che non", ovvero richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, Ad. plen.. n. 10 del 2019; successivamente, sez. IV, 7 gennaio 2021 n. 172);

c) la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nell’interpretare il principio "chi inquina paga" (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento; per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità "l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all'art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un'ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione" (Corte giust. UE, 4 marzo 2015, in causa C-534/13; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzo 2010, in causa C-378/08); la prova può quindi essere data "in via diretta o indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c." (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885);

d) il soggetto individuato come responsabile, inoltre, "non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi" ma deve "provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell'inquinamento" (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017, sopra citata); la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha infatti precisato (sentenza 4 marzo 2015 in causa C-534/13) che “occorre ricordare che, conformemente all'articolo 8, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/35, in combinato disposto con il considerando 20 della stessa, l'operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione adottate in applicazione di tale direttiva quando è in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l'esistenza di idonee misure di sicurezza, o sono conseguenza di un ordine o di un'istruzione impartiti da un'autorità pubblica (v., in tal senso, sentenza ERG e a., EU:C:2010:126, punto 67 e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza Buzzi Unicem e a., EU:C:2010:129, punto 46)".

e) il principio "chi inquina paga" trova pertanto applicazione anche quando non si possa escludere l’apporto causale di ulteriori e differenti fattori poiché, ai fini dell’applicazione di cui agli articoli 239 e ss., in materia di obblighi di bonifica, è sufficiente che vi sia stata una "contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento"; il fatto che non si possa escludere la responsabilità anche di altre imprese ivi operanti non rende illegittimo per ciò solo un ordine di bonifica; del resto, la necessità di tutelare l’ambiente e la salute umana esigono, in applicazione del principio di precauzione, che l’inizio delle operazioni finalizzate alla bonifica di un sito non possono essere bloccate in attesa di individuare tutti i possibili responsabili, le singole responsabilità e le singole azioni di bonifica, ove frazionabili: la bonifica deve essere sollecitamente eseguita; peraltro, ove siano individuati ulteriori responsabili dell'inquinamento, il soggetto giuridico che ha posto in essere gli interventi di bonifica ha titolo per agire in rivalsa, ai sensi dell'art. 253, comma 4, seconda parte, del d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti del corresponsabile o dei corresponsabili nella misura a loro imputabile (Cons. Stato, Sez. IV, n. 172 del 7 gennaio 2021);

f) nei giudizi di impugnazione (come quello in esame) la legittimità dell'atto impugnato va valutata con riguardo esclusivo alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui esso fu emanato, restando irrilevanti le eventuali sopravvenienze, secondo il principio tempus regit actum, sostenuto dalla costante giurisprudenza (per tutte, Corte cost., ordinanza 13 aprile 2018 n. 76 e sentenza 22 maggio 2013 n. 90; Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021 n. 4246; sez. III, 15 maggio 2012 n. 2801);

g) l’articolo 242, comma 1, del codice dell'ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle "contaminazioni storiche", ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (rectius: conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di "aggravamento della situazione" sia ancora attuale; del resto, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni "storiche" non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali necessarie attività, a tutela della salute e dell'ambiente, debbano essere poste a carico della collettività e non del soggetto che le ha poste in essere e ne ha beneficiato; ne consegue che "è del tutto ragionevole porre l'obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell'omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l'immissione nell'ambiente di sostanze inquinanti)" (Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2020, n. 2301);

h) la responsabilità dell'impresa per l'inquinamento va intesa in termini sostanziali, considerando che i fenomeni societari relativi ai gruppi, alle forme di successione e al trasferimento d'azienda danno luogo ad una successione universale inter vivos che, secondo i principi espressi dalla recente pronuncia dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2019 (avente ad oggetto la bonifica di siti inquinati ex art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, per un inquinamento di origine industriale risalente e nei confronti di una società non responsabile dell'inquinamento, ma da questa avente causa per effetto di successive operazioni di fusione di società per incorporazione), generano la responsabilità dell’acquirente;

i) l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento, affermata a partire dalla nota sentenza della Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell'Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25), si giustifica, secondo la successiva giurisprudenza nazionale, per la natura sanzionatoria di questa misura. Ne consegue che diverso discorso deve essere fatto per le misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno questa natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell’azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 81; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; 14 aprile 2016, n. 1509); tale regola, peraltro, non consente eccezioni nei casi di presunta "contaminazione storica" - quand’anche in via di ipotesi la si ritenesse sussistere nel caso di specie - che anzi la normativa ricomprende in modo espresso all'art. 242, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, e ciò è conforme a logica, trattandosi comunque di fronteggiare un pericolo attuale, indipendentemente dall'epoca in cui se ne sono poste le premesse (così per tutte la citata sez. IV n. 1658/2021 nonché nello stesso senso sez. IV, 8 ottobre 2018 n. 5761);

l) ad ogni modo, fermo il principio secondo cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto, ai sensi dell’art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale, ad esso fa tuttavia eccezione l’ipotesi in cui il proprietario, ancorché non responsabile né obbligato, abbia attivato volontariamente questi ultimi interventi, presumibilmente motivato dalla necessità di evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull’area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare ovvero, più in generale, di tutelarsi contro una situazione di incertezza giuridica, prevenendo eventuali responsabilità penali o risarcitorie (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2021, n. 5542; id., 15 settembre 2020, n. 5447).

8.3. Ciò premesso, il Collegio osserva che l’articolata censura, di cui si è dinanzi esposta una sintesi, ruota essenzialmente in torno a tre concetti, ovvero: (i) violazione del D.M. n. 471/1999 in relazione all’esiguo numero di piezometri collocati; (ii) mancata dimostrazione del nesso di causalità tra l’attività svolta dalla ex Necchi s.p.a. e l’inquinamento rilevato in sito: da una parte gli elementi indicati nella indagine della Provincia sarebbero insufficienti allo scopo, d’altra parte non sono stati valutati elementi indicativi di una sorgente inquinante diversa dall’attività a suo tempo esercitata dalla ex Necchi s.p.a., e correlativa insufficienza istruttoria; (iii) mancata attivazione, da parte del primo giudice, di poteri istruttori officiosi

8.4. Con riferimento al primo aspetto il Collegio rileva che il D.M. n. 471/1999 è stato impropriamente invocato dall’appellante, avendo esso ad oggetto il “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'art. 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni e integrazioni”. Si tratta di un corpo normativo che presuppone l’accertamento dell’inquinamento e il responsabile di esso, e detta criteri e modalità a) per predisporre i piani di caratterizzazione e b) per effettuare interventi di messa in sicurezza in emergenza e la bonifica definitiva di siti inquinati. Non si tratta, quindi, di procedure finalizzate a stabilire se e chi abbia prodotto un fenomeno di inquinamento; correlativamente, presupponendo il decreto in esame il già avvenuto accertamento dell’inquinamento e l’individuazione del responsabile, le procedure in esso previste sono particolarmente capillari in funzione del fatto che tendono al ripristino ambientale, per quanto possibile con totale bonifica del sito inquinato, mediante rimozione degli agenti inquinanti o riduzione di essi in un limite di accettabilità - obiettivo questo che evidentemente richiede una indagine sulla matrice ambientale particolarmente diffusa e, appunto, capillare.

Tenendo conto della particolare funzione delle norme contenute nel D.M. n. 471/1999, il Collegio non ritiene che il relativo contenuto possa automaticamente applicarsi alle procedure di accertamento dell’inquinamento e delle relative responsabilità, e in questo senso non lo si può ritenere vincolante nel corso delle procedure da ultimo menzionate.

Non si può quindi ritenere viziata l’indagine svolta dalla Provincia di Pavia solo per il fatto che sono stati collocati 26 piezometri, in luogo dei 360 che sarebbero stati necessari secondo l’appellante.

8.5. Con riferimento alla prova del nesso di causalità tra l’attività della ex Necchi s.p.a., che ha poi mutato il nome in Partecipazioni Italiane s.p.a., il Collegio rileva, preliminarmente, che la responsabilità della Partecipazioni Italiane/ex Necchi è stata stabilita in ragione del fatto che il piezometro MW18, posto a vale del sito ex Necchi, ha rilevato la presenza di TCE, al contrario del piezometro MW2, posto a monte del sito, ragione per cui sarebbe ipotizzabile che il TCE si sia infiltrato nel sottosuolo all’interno dell’area ex Necchi. L’appellante ritiene tale ipotesi non verosimile sul presupposto che il TCE sarebbe stato rinvenuto anche nella falda superficiale, sottostante l’area ex Necchi, qualora lo sversamento iniziale si fosse verificato all’interno di tale area.

8.5.1. A prescindere dalla considerazione che parte appellante non ha prodotto documentazione scientifica a supporto di tale affermazione, è utile riportare per intero i seguenti passaggi che si leggono nel modello concettuale:

- caratteristica dei composti clorurati è quella di essere poco miscibili con l’acqua, per cui “vanno pertanto a depositarsi nelle porzioni più basse dell’acquifero come fluidi a sé (NAPL – o fase separata). Un inquinante più denso dell’acqua, oltre a spostarsi lateralmente, tende infatti a sprofondare verso la base dell’acquifero, andando a riempire le depressioni eventualmente presenti o, comunque, defluendo nel senso del gradiente morfologico del fondo e non nella direzione del flusso idrico. Tali composti rientrano infatti in quel gruppo di elementi definiti dalla letteratura DNAPLs (Dense Non Aqueous Phase Liquids)” (pag. 10);

- “il trasporto del contaminante attraverso il suolo fino alle falde è un processo complesso e fortemente dipendente dalle caratteristiche idrogeologiche del sito interessato” (pag. 13);

- “Essendo i DNAPL altamente idrofobici si creano delle tensioni all’interfaccia con l’acqua; pertanto, quando tali sostanze raggiungono la superficie libera dell’acquifero, si possono creare delle resistenze al superamento della frangia capillare, con conseguente progressivo accumulo. Ne consegue che la massa di contaminante tenderà a stagnare formando una colonna che si estende in verticale. Se la sorgente non si esaurisce, la colonna tenderà ad aumentare di dimensioni fino a raggiungere un’altezza tale da rendere gli effetti legati alla gravità sufficienti a vincere la resistenza esercitata dalla pressione capillare, consentendo al DNAPL di raggiungere l’acqua. L’eterogeneità della matrice suolo influenzano la geometria della colonna. Pertanto, la possibilità che questi composti possano raggiungere la falda è legata ai seguenti fattori: • volume di contaminante immesso nel suolo………..” (pag. 14);

- “Quando gli idrocarburi clorurati raggiungono la superficie della falda, si verifica un flusso lento

verso il basso poiché devono riuscire a spiazzare l’acqua presente nei pori del mezzo saturo. La componente laterale del moto non influisce sulla discesa ed il fluido tende ad approfondirsi nella zona satura, fino a raggiungere un livello a bassa permeabilità che può essere costituito dal substrato impermeabile della falda o da letti di materiali poco trasmissivi. Si annotano due comportamenti caratteristici: ai fini pratici, la forma assunta degli idrocarburi clorurati al contatto con il substrato è di difficile perimetrazione. Può inoltre capitare che l’accumulo di contaminante si raccolga in depressioni del substrato che sono parzialmente al di fuori del flusso idrico sotterraneo; la pressione, dovuta al peso della colonna di idrocarburi clorurati, spinge la massa di inquinante al di sopra del substrato, inducendo una migrazione anche in senso contrario alla direzione di flusso della falda fino a quando la pressione del fluido ed il carico idraulico si equilibrano” (pagg. 15/16)

- “La FFS trae la propria alimentazione dall’infiltrazione delle acque di precipitazione e/o dalle pratiche irrigue; sul territorio di Pavia, detta falda è localmente influenzata dal Navigliaccio. La FFB sottostante costituisce un serbatoio a livello regionale, ma presenta un grado elevato di Vulnerabilità per l’assenza di copertura a bassa conducibilità idraulica, quindi facilmente accessibile alle sostanze inquinanti. In corrispondenza dell’area di indagine, le sue direttrici di deflusso sono influenzate dal Fiume Ticino, con un effetto principalmente drenante [bibliografia, rif. II e cfr. Tavola 2] e dal Navigliaccio con un effetto principalmente alimentante.” (pag. 24);

- “Sull’area, ad eccezione delle zone prossime al F. Ticino (vedi p.to precedente) e come noto da bibliografia, insiste un livello coesivo di separazione (aquitard – argille limose e limi argillosi, più o meno sabbiosi) tra l’acquifero FFS e FFB, verosimilmente continuo in quanto sempre intercettato nei carotaggi realizzati, di spessore variabile e dell’ordine di 1 m circa. I piezometri MW hanno prevalentemente intercettato ed indagato l’acquifero dove risiede la falda molto produttiva FFB……La falda FFB appare confinata alla base (almeno localmente) da un livello coesivo compatto costituito da argilla limosa con presenza di torba e di spessore raramente superiore al metro. In corrispondenza del livello coesivo compatto di cui sopra è stata impostata gran parte della rete piezometrica MW, ad eccezione di MW7b, quest’ultimo volutamente realizzato per by-passare l’orizzonte coesivo sopracitato e per monitorare la qualità delle acque di falda FFB profonda. Per ottimizzazione degli stanziamenti disponibili e per le finalità dell’indagine, alcuni piezometri sono stati approfonditi nell’acquifero FFB senza intercettare l’orizzonte coesivo di cui sopra.”;

- “Dal punto di vista idrografico, l’elemento di maggior interesse per l’area oggetto di studio è rappresentato dal canale Navigliaccio, già introdotto nei paragrafi precedenti e a cui si rimanda per dettagli, che scorre da N a S e lungo il confine Ovest dell’area ex-Neca. Il Navigliaccio opera un’azione drenante sulla FFS. Variazioni del regime idraulico correlate alle stagionalità e/o ad eventi meteorici significativi potrebbero modificare i rapporti tra il corso d’acqua e la falda sospesa. Diversamente, per la FFB il Navigliaccio opera con un’azione alimentante.” (pag. 29);

- “per gli scopi del programma di indagine è stata indagata principalmente la FFB, sebbene non sia stata trascurata la FFS con la messa in opera di piezometri MW dedicati..” (pag. 29);

- “L’assunzione principale del modello concettuale è che la contaminazione si sia originata a partire dalla superficie (sversamenti, perdite, ecc.) o poco al di sotto di essa, e comunque entro i primi 5 mda p.c. (perdite da serbatoi interrati, vasche, tubazioni interrate, scarichi fognari, pozzi perdenti, ecc.), per poi approfondirsi verso il basso secondo le modalità già ampiamente illustrate nel Capitolo 2. I risultati analitici dimostrano, almeno a livello teorico, che il contaminante in fase separata (mai riscontrato durante le attività relative al Programma Plume) si sia approfondito fino ad interessare almeno tutto il tratto di sottosuolo saturo della porzione superficiale dell’acquifero FFB, interessando con ogni probabilità tutta la colonna di terreno che va dal p.c. fino al livello coesivo che separa la parte superficiale della falda FFB da quella profonda, in cui sono stati installati gran parte dei piezometri della rete di monitoraggio MW. Quanto appena affermato trova giustificazione nel fatto che la contaminazione nelle acque da CHC è ben distribuita su tutta la colonna d’acqua che si rinviene nei piezometri e non si evidenzia un significativo gradiente verticale in funzione della profondità di campionamento; si rimanda alla fig. 2.3b e al par. 2.3 per i dettagli dell’assetto stratigrafico locale. Dalle sorgenti non ancora puntualmente individuate, la contaminazione in fase disciolta si è diffusa in falda seguendo la direzione di flusso della FFB. L’estensione ed il volume di sottosuolo insaturo e saturo interessato dalla contaminazione da CHC, e quale sorgente secondaria di contaminazione, può essere molto variabile per i concetti già esposti nei par. 2.3.1, 2.3.2 e 2.3.3. È chiaro che assumendo che la contaminazione abbia avuto origine dalla superficie (o poco al di sotto di essa), nell’approfondirsi ha intercettato inizialmente la prima falda FFS e poco dopo il sottile livello coesivo che separa la FFS dalla FFB. Tale livello, come già esposto nei par. precedenti, oltre ad avere un limitato spessore, non è completamente impermeabile o almeno localmente supposto discontinuo; pertanto in breve tempo il contaminante si sarebbe approfondito andando ad interessare il sottosuolo saturo che costituisce la sede dell’acquifero FFB. È ragionevole supporre che il “viaggio” del contaminante in fase separata si sia interrotto (almeno in senso verticale) una volta incontrato il livello coesivo costituito da argilla compatta, individuato con continuità nei sondaggi eseguiti attorno ai 30 metri di profondità rispetto al p.c. e descritto nel dettaglio nei par. precedenti. Questa asserzione ci pare avvalorata dal fatto che le acque del piezometro profondo (MW7b), acque che si trovano al di sotto del livello coesivo poco sopra descritto, sono conformi alle CSC. Contestualmente al trasporto della fase separata, una volta che la stessa ha raggiunto la falda, si è generata la formazione di un plume per il passaggio in soluzione della parte solubile dei contaminanti; plume che come più volte ribadito tende a disporsi parallelamente alla direzione principale di flusso della falda. Infine si fa presente che il plume di CHC potrebbe non necessariamente iniziare in modo inequivocabile dalla zona sorgente ma è possibile rinvenirlo anche nel primo backward della sorgente stessa (vedi fig. 2.5c), dove avviene il trasporto del contaminante anche in senso opposto alla direzione di flusso di falda; la dimensione di tale effetto è di difficile quantificazione in quanto è legata a molteplici fattori quali: gradiente idraulico, litologia, granulometria, dimensione della sorgente contaminante, presenza di lenti a minor permeabilità ecc. (solo l’esecuzione di ulteriori attività di indagine potrebbero meglio definire l’entità del fenomeno).” (pag. 54).

8.5.2. L’insieme delle informazioni contenute negli stralci sopra riportati, tratti dal modello concettuale, consente di affermare, da una parte, che verosimilmente i piezometri collocati nell’area contenevano solo una sonda, la quale dunque intercettava solo i valori presenti a livello di FFS, oppure di FFB o ancora più in profondità, ma non i valori di più livelli contemporaneamente: il che già spiegherebbe perché i piezometri MW2 e MW18 hanno restituito valori di superamento delle CSC solo per il livello della FFB, essendo stati collocati, rispettivamente a 50 metri e 18 metri di profondità (cfr. tabella a pag. 33). D’altra parte si comprende che l’inquinante rivenuto nella FFB, cioè il TCE, sarebbe sprofondato dalla FFS verso la FFB non solo in ragione della particolare caratteristica dei composti clorurati ma anche a causa dell’azione svolta dal canale Navigliaccio, drenante nei confronti della FFS e alimentante nei confronti della FFB, senza trascurare che lo sprofondamento verso la falda profonda è influenzato anche direttamente dalla quantità di materiale inquinante sversato. Infine è interessate il passaggio di pag. 54, ove si evidenzia che per l’inquinante CHC il plume potrebbe essere rinvenuto addirittura a monte, dove IL contaminante può essere trasportato anche in senso opposto alla direzione di flusso di falda.

8.5.3. A tutto quanto sopra si aggiunga che nel piano di caratterizzazione di giugno 2020, predisposto da PV01.RE s.r.l. si riferisce - a pag. 69 - che gli esami eseguiti su campioni prelevati dai piezometri presenti all’interno dell’area ex Necchi, ancora funzionanti, hanno rilevato la presenza di TCE, in misura che supera i limiti normativi, nella FFS e su tutta l’area, ovvero sia nella zona di ingresso, corrispondente al piezometro MW 2, sia al centro (MW 4 e MW 5), sia in uscita (MW7): la presenza del contaminante in entrata, tuttavia, può spiegarsi con il fenomeno ricordato al paragrafo che precede.

8.5.4. Nel citato piano di caratterizzazione, inoltre, è stata data evidenza dei potenziali “centri di pericolo” – cioè delle zone nelle quali potrebbe essersi generata una contaminazione delle matrici ambientali – all’interno dell’area ex Necchi, che sono numerosi, e sono tutti descritti a partire da pag. 80. E’ noto, peraltro, che sostanze come il Tricloroetilene (TCE) e il Tetracloroetilene (PCE) sono state largamente utilizzate nelle attività industriali e artigianali, in quanto utilizzate come sgrassanti di parti meccaniche ed elettroniche, per la pulizia di metalli e di vestiti, attività che in effetti venivano svolte in alcuni dei “centri di pericolo” individuati nel piano di caratterizzazione (ex: lavanderia e galvanica), o dovevano essere necessarie per la produzione dei prodotti (ex: macchine per cucire e compressori).

8.6. All’esito della analisi che precede le obiezioni dell’appellante non appaiono per nulla idonee a inficiare la significatività del ritrovamento del TCE nella falda profonda in corrispondenza dei piezometri MW 2 e MW18, e quindi a dequotare il valore indicativo/presuntivo di tale prova, che è corroborato dalla considerazione che sull’area ex Necchi sono state svolte, nel corso dei decenni varie attività che verosimilmente hanno comportato l’utilizzo di TCE e PCE.

8.6. Risultano quindi sussistenti, nel corredo probatorio raccolto, tutti gli elementi che secondo la Corte di Giustizia sono necessari e sufficienti per affermare la responsabilità da inquinamento della ex Necchi s.p.a., quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività.

8.7. Quanto al fatto che anche all’esterno dell’area ex Necchi si svolgessero attività che potevano richiedere l’uso di TCE o di PCE, si tratta di questione inidonea a determinare l’illegittimità della ordinanza impugnata, alla luce di quanto osservato al precedente par. 8.2., in particolare alle lettere d) ed e).

8.8. Si può quindi affermare che la responsabilità della ex Necchi s.p.a., ora Partecipazioni Italiane s.p.a., è stata legittimamente affermata, nell’ordinanza n. 50/2017 della Provincia di Pavia nonché nella appellata sentenza, in applicazione di una prova il cui valore indicativo/presuntivo non è sconfessato dai rilievi di parte appellante e che consente di affermare che la responsabilità dell’appellante è “più prababile che non” probabile. Se emergeranno prove certe di una responsabilità esclusiva e concorrente di terzi soggetti tale circostanza potrà essere fatta valere dall’appellante nei rapporti interni.

8.9. La censura è destituita di fondamento anche laddove prefigura un inquinamento di tipo “storico”: si richiama al proposito la giurisprudenza riportata al paragrafo 8.2., lett. g).

8.10. Il primo motivo d’appello va, pertanto, respinto.

9. Con il secondo motivo d’appello è impugnato il capo della sentenza che ha respinto l’originario terzo motivo di ricorso, ritenendo sussistere la legittimazione passiva di Partecipazioni Italiane s.p.a. a provvedere ai sensi e nei termini di cui alla Parte IV, Titolo V, d.lgs. 152/2006: in particolare è censurata l’affermazione secondo cui la responsabilità della odierna appellante non discenderebbe dall’avvenuta incorporazione della società Necchi Macchine per Cucire s.r.l. (che ha svolto un’attività del tutto marginale sull’area “ex Necchi”), ma dal fatto di aver direttamente esercitato, con la denominazione “Necchi S.p.a.”, attività industriale inquinante sulla predetta area salvo, dopo alcuni paragrafi, affermare che, “per completezza”, anche gli eventuali obblighi che gravavano su Necchi Macchine per Cucire s.r.l. sono stati trasmessi alla odierna appellante per effetto dell’avvenuta incorporazione.

9.1. L’appellante sottolinea, in primo luogo, l’intrinseca contraddittorietà di tale passaggio della sentenza. In secondo luogo sostiene che la responsabilità conseguente ad una successione societaria attuata per fusione con incorporazione presuppone l’accertamento della responsabilità in capo al soggetto incorporato, che nel caso specifico sarebbe Necchi Macchine per Cucire, la cui responsabilità è stata esclusa proprio dalla sentenza: in questa prospettiva, alcuna responsabilità giuridica ambientale di NMC sarebbe entrata a fare parte del complessivo patrimonio giuridico lato sensu inteso della società Necchi s.p.a.

In terzo luogo l’appellante rileva che la fusione per incorporazione è stata attuata prima della riforma del diritto societario di cui al D.L.vo n. 6/2004 e quindi avrebbe determinato l’estinzione di NMC, ragione per cui non si può predicare alcuna continuità tra NMC e la ex Necchi s.p.a.

Pertanto l’appellante insiste sul fatto che la ex Necchi s.p.a. non può aver “ereditato” alcuna responsabilità per condotte di inquinamento ascrivibili all’attività di NMC, in primo luogo perché la stessa non ha mai esercitato attività produttiva sul sito ex Necchi s.p.a., in secondo luogo perché tale responsabilità si sarebbe, in pratica, estinta con la fusione per incorporazione di NCM ex Necchi s.p.a.

9.2. Per quanto riguarda il secondo aspetto il Collegio ritiene la censura manifestamente infondata. Infatti, proprio la pronuncia della Corte di Cassazione richiamata dall’appellante afferma che nell’ordinamento previgente alla riforma attuata con il D. L.vo n. 6/2003, la fusione per incorporazione determinava, è vero, l’estinzione del soggetto incorporato, ma contemporaneamente anche la successione a titolo universale del soggetto incorporante nei diritti ed obblighi facenti capo al soggetto incorporato: come questo principio possa giovare alla tesi dell’appellante è incomprensibile, perché se è evidente che il soggetto giuridico incorporato non “continua” in quello incorporante, è parimenti evidente che quest’ultimo succede al primo in tutti i rapporti, esattamente come avviene nel caso di successione mortis causa a titolo universale.

9.3. Quanto alla pretesa estraneità della Necchi Macchine per Cucire all’attività produttiva, il Collegio osserva che la documentazione rassegnata in giudizio dall’appellante non consente di affermare che la Necchi Macchine per Cucire non abbia mai svolto attività produttiva nel sito di Pavia.

9.3.1. Dal bilancio al 31 dicembre 1990 (doc. 8 di parte appellante) risulta che la Necchi Macchine per Cucire s.r.l. è stata costituita nel dicembre 1990 come società controllata da Necchi s.p.a., con trasferimento ad essa della divisione macchine per cucire, allo scopo di dotare tale divisione “di una struttura agile e incisiva che sia in grado di meglio affrontare e risolvere, in piena autonomia e completa responsabilità, tutti i problemi gestionali così da consentire il rilancio della Divisione ed il conseguimento di migliori risultati”: non si intende, da questo documento, che la nuova società dovesse svolgere solo attività commerciale.

9.3.2. Dal bilancio al 31 dicembre 1993 risulta che nel corso di quell’anno “si è provveduto a concentrare nell’unità produttiva di Olcella le produzioni prima realizzate nello stabilimento di Pavia. La chiusura di questa unità produttiva è stata realizzata senza problemi rilevanti per il personale, soprattutto grazie alla possibilità di trasferire gran parte dei dipendenti alla consociata Necchi Compressori s.r.l…..” (doc. 10), e correlativamente “Nel mese di dicembre 1993 Necchi Macchine per Cucire s.r.l., società già interamente controllata dalla Necchi s.p.a., è stata trasferita alla Rimoldi Necchi s.r.l. allo scopo di accentrare in quest’ultima società tutta l’attività produttiva e commerciale attinente al settore della macchine per cucire” (doc. 11). Tale documento conferma che la NMC svolgeva anche attività produttiva, e che tale attività ha svolto a Pavia fino al trasferimento alla Rimoldi Necchi s.p.a., la quale ultima, pure, risulta aver svolto attività produttiva a Pavia, seppure per un breve periodo. L’esclusiva attività commerciale di NMC emergerebbe dal bilancio al 31 dicembre 1996 (doc. 13), ma un mutamento dell’oggetto sociale di NMC potrebbe essere stato deliberato dopo il 31 dicembre 1993. Del resto non si comprende per quale ragione l’appellante non abbia prodotto l’atto costitutivo del 1990 per dimostrare che la Necchi Macchine per Cucire s.r.l. svolgeva, dall’inizio, solo attività commerciale.

9.3.3. In queste condizioni non sussistono i presupposti per dichiarare l’estraneità della Necchi Macchine per Cucire s.r.l. nell’inquinamento, sussistendo indizi di una sua attività anche produttiva quantomeno negli anni 1991-1993; tale responsabilità si è trasferita alla Necchi s.p.a. per effetto della fusione per incorporazione del 1997.

10. Al terzo motivo d’appello si impugna il capo della sentenza che, respingendo il quarto e quinto dei motivi di ricorso originari, ha statuito che “è sufficiente rilevare che il provvedimento impugnato ha la funzione di individuare i responsabili dell’inquinamento, e che le azioni concrete che i responsabili così individuati dovranno attuare per rimediare alla situazione di inquinamento creatasi verranno definite in un successivo momento. Per quanto riguarda i rapporti con i terzi, va richiamato quanto osservato in precedenza circa l’onere di prova che grava sul presunto responsabile. La ricorrente, anche al fine di circoscrivere la propria responsabilità, avrebbe dunque dovuto dare dimostrazione dell’apporto causale degli altri soggetti, prova che nel concreto è del tutto mancata (anzi nel proprio ricorso la parte riconosce che le società Fonderia Necchi Pesaro s.r.l. e Rimoldi s.r.l, hanno operato per pochissimo tempo sull’area ex Necchi, con la conseguenza che queste hanno presumibilmente dato un apporto trascurabile nel processo di causazione dell’inquinamento). Si deve pertanto ribadire che le conclusioni cui è giunta l’Amministrazione non possono essere smentite in questa sede; e che, conseguentemente, la stessa Amministrazione ha correttamente addossato ai soggetti indicati nel provvedimento impugnato l’obbligo di effettuare tutti gli interventi necessari per bonificare o mettere in sicurezza l’area di cui si discute”.

10.1. L’appellante lamenta che la sentenza sarebbe incorsa in inversione dell’onere probatorio e in travisamento di fatto, poiché dalla documentazione rassegnata in giudizio emergerebbe che di tutta l’area oggetto di indagine la ex Necchi s.p.a. ne utilizzava una minima parte, rispetto a Necchi Compressori e Fonderia Necchi Peraro s.r.l., e i maggiori “centri di pericolo” individuati nel piano di caratterizzazione predisposto da PV01.RE sono proprio situati nelle aree già utilizzati dalle società da ultimo citate, il cui apporto causale nell’inquinamento era stato già fatto presente dall’appellante. Pertanto la Provincia e la sentenza non avrebbero dovuto avvalorare il mero criterio della solidarietà passiva per imputare la responsabilità della contaminazione, dovendo invece calcolare percentualmente i contributi di ogni singolo operatore individuato nella ordinanza gravata in primo grado.

Nell’ambito di tale censura l’appellante lamenta anche la genericità del provvedimento impugnato, nella misura in cui non ha individuato in maniera specifica l’area oggetto di bonifica.

10.2. La censura deve essere respinta, relativamente all’affermazione secondo cui la responsabilità da inquinamento non dà luogo a obbligazione solidale, alla luce dei principi richiamati al precedente par. 8.2., segnatamente alle lettere d) e e); senza dimenticare che la responsabilità da inquinamento si ascrive al più ampio genere della responsabilità aquiliana, per la quale vale il principio secondo cui “La responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale (artt. 1292 e 2055, primo comma, cod. civ.), sussiste anche se l'evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, ciascuno dei quali abbia concorso a determinarlo con efficacia di concausa, restando irrilevante, nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, la diseguale efficienza causale delle singole condotte, poichè il danneggiato può pretendere l'intera prestazione anche da uno solo degli obbligati. Pertanto il debitore condannato, ove non abbia proposto domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale, non ha alcun interesse ad impugnare la sentenza nella parte in cui si esclude la responsabilità di uno o più condebitori, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero, né pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa.” (ex multis: cass. Civ. Sez. III, n. 15431 del 22 luglio 2005). La responsabilità solidale è dunque esclusa solo in relazione al danno determinato da una causa che abbia avuto, da sola, efficacia sufficiente a causare l’evento: ma su questo specifico punto l’appellante non ha fornito una dimostrazione specifica, essendosi in sostanza limitata a prospettare il possibile coinvolgimento delle altre società del gruppo, ma non la relativa efficacia causale esclusiva.

10.3. Quanto alla asserita indeterminatezza dell’ordine di bonifica, il Collegio rileva che il piano di caratterizzazione è lo strumento che consente di determinare esattamente l’area da bonificare e le relative modalità, sicché deve ritenersi corretta l’ordinanza impugnata, che si è limitata a disporre, nei confronti delle società individuate come responsabili, di procedere “ai sensi e nei termini di cui alla Parte IV, Titolo V del D. Lgs. 152 del 2006 e s.m.i.,”.

11. In conclusione, l’appello è infondato.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore della Provincia di Pavia, delle spese relative al presente grado di giudizio, che si liquidano in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre accessori, se per legge dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2024, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Raffaello Sestini, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore