Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1791, del 9 aprile 2015
Beni Ambientali.Vincolo paesistico per i territori costieri

Non sembra inutile sottolineare come il vincolo paesistico per i territori costieri, compresi nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, sia stato introdotto col decreto ministeriale del 21 settembre 1984, seguito dalle norme primarie contenute nel decreto legge n. 312 del 1985, convertito in legge n. 431 del 1985, poi assorbito dal d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, con più recente, puntuale disciplina contenuta negli articoli 142 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004, che detta anche i principi, a cui debbono attenersi i piani paesistici territoriali, tanto da potersi concludere che l’inedificabilità della fascia costiera corrisponda ad un principio fondamentale della legislazione statale, ribadito dall’art. 33, comma 1, lettera b) della legge n. 47 del 1985. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01791/2015REG.PROV.COLL.

N. 03849/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3849 del 2014, proposto dal Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

contro

Cosima Zezza; 

nei confronti di

Comune di Otranto; 

per la riforma della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 02169/2013, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio in sanatoria e demolizione di opere abusive - vincolo paesaggistico;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Cons. Gabriella De Michele e udito per le parti appellanti l’avvocato dello Stato Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, n. 9326/06 del 23 ottobre 2013 è stato accolto il ricorso proposto dalla signora Cosima Zezza, avverso i provvedimenti nn. prot. 4682 del 12 maggio 2006 e 49/06 del 5 giugno 2006 recanti, rispettivamente, diniego di condono edilizio e ordine di demolizione per un immobile costruito nel 1998, costituito da due locali in muratura non comunicanti, adibiti a deposito di attrezzature per la pesca. Il predetto condono era stato richiesto con due distinte domande il 31 marzo 2004, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, con successiva richiesta, il 31 maggio 2005, per l’accertamento di compatibilità paesaggistica. Nella citata sentenza si rilevava il difetto di motivazione del presupposto parere della Soprintendenza (nota n. 12548/B del 26 gennaio 2006, parimenti impugnata), in quanto detta motivazione (riferita alla collocazione dei manufatti abusivi “nella fascia di 200 metri dal confine del Demanio marittimo”) non avrebbe esplicitato “il vincolo che esclude il condono”, senza rendere conto, pertanto, delle ragioni del diniego, poi emesso dal Comune con riferimento a diversi vincoli (vincolo paesaggistico, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, vincolo idrogeologico, area SIC – ovvero Sito di Importanza Comunitaria – e disciplina del PUTT), ancora una volta, senza indicazione delle ragioni preclusive del condono. Non sarebbero stati specificati, inoltre, i motivi per cui avrebbe dovuto ritenersi ostativo un vincolo assoluto, ma temporaneo, previsto dalla legislazione regionale, “sostituito dalla disciplina del PUTT/paesaggio all’epoca dell’atto impugnato” e, quindi, non sussistente all’epoca della valutazione, oltre che comunque privato del carattere assoluto dall’art. 39, comma 20 della legge n. 724 del 1994. Sarebbe stato illogico e incompatibile con l’art. 3 della Costituzione, infine, che la temporaneità dei vincoli assoluti avesse portata differente in funzione della relativa provenienza (Stato o Regione).

Avverso detta sentenza il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha proposto l’atto di appello in esame (n. 3849/14, notificata il 23 aprile 2014), sulla base delle seguenti argomentazioni difensive:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, emergendo con assoluta chiarezza, dalle cartografie allegate all’istanza, la collocazione dei due manufatti abusivi (di mq. 107,06 ciascuno) nella fascia dei 200 metri dal confine del demanio marittimo, con conseguente applicabilità dell’art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980, che individuava in tale situazione un vincolo di inedificabilità assoluta, alla data di realizzazione dell’abuso. Detto vincolo, a carattere temporaneo, restava in effetti in vigore fino all’entrata in vigore del Piano Territoriale Tematico Paesaggio (PUTT/P). Detto Piano risulta nella fattispecie approvato con delibera di G.R. n. 1748 del 15 dicembre 2000, in adempimento di quanto disposto dalla legge n. 431 del 1985 e dalla stessa legge regionale n. 56 del 1980. Anche il PUTT/P, in ogni caso, manteneva fermo il vincolo di inedificabilità assoluta in questione, fatti salvi soltanto i manufatti “legittimamente esistenti” (fra i quali non potevano certamente inserirsi quelli di cui si discute, realizzati in vigenza del vincolo, posto dalla citata legge regionale). La pur succinta motivazione della Soprintendenza, pertanto, avrebbe reso agevolmente comprensibili – “per relationem” – le ragioni del diniego;

2) Violazione del decreto ministeriale del 20 settembre 1975, che riconosceva il notevole interesse pubblico dell’area in questione, in quanto caratterizzata da “innumerevoli rilevamenti preistorici” e da una “flora tipica erbacea ed arborea….sì da costituire un quadro naturale di eccezionale bellezza, nonché una vera e propria oasi di verde per le bellissime pinete costiere, che si snodano tra i laghi e il mare, il tutto cosparso di punti di vista e belvedere, dai quali si gode la vista di stupendi panorami”, con conseguente assoggettamento alle modalità di tutela, di cui alla parte III del d.lgs n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio).

Le parti appellate non si sono costituite in giudizio.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello sia fondato e debba essere accolto.

Il diniego di condono impugnato ed il consequenziale ordine di demolizione hanno infatti come presupposto il parere negativo n. 12548/B del 26 gennaio 2006, espresso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Lecce, nell’ambito di una procedura di condono edilizio, avviata ai sensi del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in legge n. 326 del 24 novembre 2003, in base alla procedura prescritta dall’art. 1, comma 39 della legge n. 308 del 15 dicembre 2004 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione). Il citato parere risulta riferito – in modo sintetico, ma inequivocabile – all’avvenuta costruzione dei manufatti abusivi “nella fascia di 200 metri dal confine del Demanio marittimo”; tale motivazione è riportata nel diniego, con l’aggiuntiva precisazione dell’inedificabilità, riferita dalle NTA del PUTT/P alle “aree pinetate”.

Quand’anche le motivazioni riportate apparissero, in qualche misura, generiche e non univoche, tali caratteri non possono essere ritenuti vizianti considerato che la ragione sostanziale del diniego (costruzione realizzata entro la fascia di 200 metri dal confine del demanio marittimo) corrisponde ad un vincolo di inedificabilità, che escludeva qualsiasi possibilità di parere favorevole all’intervento, con conseguente applicabilità dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 (che, come è noto, esclude l’annullamento per vizi di forma di un atto, il cui contenuto non potrebbe essere diverso).

Nella fattispecie, un vincolo di inedificabilità assoluta non può che considerarsi sussistente.

Come riportato nella relazione tecnica, prodotta dalla stessa parte appellata, infatti, i manufatti di cui trattasi risultano realizzati alla fine degli anni ’90 (“presumibilmente nel 1998”), in vigenza della legge regionale n. 56 del 31 maggio 1980 (Tutela ed uso del territorio), che all’art. 1, comma 1, lettera f) vietava “qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato sul mare”. Detto vincolo era destinato ad operare, in effetti, “fino all’entrata in vigore dei piani territoriali” e nella situazione in esame, come già in precedenza ricordato, il PUTT/P era stato approvato il 15 dicembre 2000, con conseguente vigenza del medesimo alla data di formulazione del parere (26 gennaio 2006). Anche le note tecniche allegate (NTA) al citato piano territoriale, in ogni caso – nel disciplinare l’edificazione sulle coste ed aree litoranee (art. 3.07) – imponevano un regime di inedificabilità per la zona litoranea e per quella alla medesima annessa (contenuta nei “200 metri dal perimetro verso l’entroterra della zona litoranea”), fatti salvi eventuali interventi minori o di ristrutturazione di edifici, già legittimamente esistenti. Risultava applicabile pertanto – in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, sia al momento di realizzazione delle opere, sia in quello della valutazione dell’istanza di sanatoria – l’art. 33 della legge n. 47 del 1985 (cfr. anche, in tal senso, Cons. St., sez. V, 15 novembre 1999, n. 1914).

Nella sentenza appellata, in effetti, si richiama l’art. 39, comma 20, della legge n. 724 del 1994, che escludeva dal regime del predetto art. 33 “il divieto transitorio di edificare, previsto dall’art. 1 quinquies del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312”, convertito in legge 8 agosto 1985, 431, che vietava – fino all’adozione dei piani regionali – ogni modifica delle aree e dei beni, individuati dall’art. 2 del decreto ministeriale del 21 settembre 1984 (recante dichiarazione di notevole interesse pubblico, per quanto qui interessa, dei “territori costieri”). Tale disposizione – che poteva ritenersi implicante la valutazione degli interventi di cui trattasi, in base non all’art. 33, ma all’art. 32 della citata legge n. 47 del 1985 – non appare però riferibile alla procedura di condono, di cui all’art. 32, comma 25 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), che nel successivo comma 27 escludeva “comunque” la sanabilità delle opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali, a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici….qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere”. Tale disposizione – applicabile nel caso di specie e da considerare, evidentemente, quale “lex specialis”, per una procedura di condono più restrittiva, di quella disciplinata da analoghe normative antecedenti (c.d. “piccolo condono” cfr. Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1090) – escludeva in radice le considerazioni, al riguardo svolte nella sentenza appellata. Non sembra inutile sottolineare, in ogni caso, come il vincolo paesistico, per i territori costieri compresi nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, sia stato introdotto col ricordato decreto ministeriale del 21 settembre 1984, seguito dalle norme primarie contenute nel decreto legge n. 312 del 1985, convertito in legge n. 431 del 1985, poi assorbito dal d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999, con più recente, puntuale disciplina contenuta negli articoli 142 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004, che detta anche i principi, a cui debbono attenersi i piani paesistici territoriali, tanto da potersi concludere che l’inedificabilità della fascia costiera corrisponda ad un principio fondamentale della legislazione statale, ribadito dall’art. 33, comma 1, lettera b) della legge n. 47 del 1985 (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, n. 2409 del 6 maggio 2013).

Tanto basta, in ogni caso, per ritenere fondato l’appello, che viene quindi accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; le spese giudiziali – da porre a carico della parte soccombente – vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00) per i due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Condanna la parte appellata al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00) a favore dell’Amministrazione appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)