Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1697, del 16 aprile 2015
Beni Ambientali.Legittimità parere negativo del Parco per condono edilizio

E’ legittimo il parere negativo del Parco nazionale per l'istanza di condono edilizio. L’interessata non ha dimostrato né la propria qualifica di imprenditore agricolo, né la funzionalità degli interventi all’uso agricolo, né le correlate esigenze di coltivazione del fondo: l’asserita conduzione da parte dell’affittuario comporta, anzi, la mancanza della qualifica professionale di imprenditore agricolo residente in capo alla richiedente; circostanze, queste, tutte impeditive del condono. Infatti, ogni intervento edilizio eccedente quanto previsto alle lettere a, b, c, dell’art. 31 L.457/1978, fatti salvi gli interventi di ricostruzione di immobili danneggiati dai sismi di cui alla L.219/1981, sono ammessi solo in funzione degli usi agricoli, agrituristici nonché della residenza dell’imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01967/2015REG.PROV.COLL.

N. 04993/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4993 del 2013, proposto da: 
Ente Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

contro

Raffone Rosa Pia, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Romano, con domicilio eletto presso Eurispes Caliendo in Roma, via Orazio, 31; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 97/2013, resa tra le parti, concernente parere negativo del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano in merito all'istanza di condono edilizio.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Tidore e l’avvocato Scarabino per delega dell’avvocato Romano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

I) L’ente Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Campania ha accolto il ricorso proposto dalla signora Rosa Pia Raffone avverso il provvedimento del 14 agosto 2012, recante parere contrario all’istanza presentata al Comune di Montecorice ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, per il condono di opere consistenti nell’ampliamento di superfici e volumi di un fabbricato assentito nel 1992 e nel cambio di destinazione d’uso, da pertinenza ad abitazione, del primo piano del fabbricato stesso, ricadente in zona C2 delle norme di attuazione del piano del Parco.

L’ente Parco, sulla scorta del principio secondo il quale la valutazione della domanda deve essere condotta alla stregua della disciplina vigente al momento del suo esame e quindi del vincolo anche sopravvenuto alla realizzazione degli abusi, ha reso il parere oggetto del giudizio in ragione della mancanza, in capo alla richiedente, della qualifica di imprenditore agricolo professionale, dell’eccedenza dell’ampliamento rispetto a quanto previsto dalle lettere a, b ,c dell’art. 3, comma 1 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, della inesistenza di un collegamento funzionale con la coltivazione del fondo, condizioni postulate dall’art. 8.8 delle norme di attuazione del piano del Parco.

Il Tribunale amministrativo ha, invece, rilevato che l’articolo 32, comma 43 bis del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003 n. 326 (a mente del quale “le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985 n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi della predetta legge”) si oppone a considerare operanti i vincoli imposti in epoca successiva alla realizzazione degli abusi; trattandosi di vincolo sopravvenuto (l’abuso edilizio è relativo all’immobile assentito nel 1992, il Parco del Cilento è stato istituito con d.p.r. 5 giugno 1995 e il relativo Piano è stato approvato con deliberazione del Consiglio regionale della Campania del 24 dicembre 2009), perciò, il parere dell’Ente parco non sarebbe dovuto.

II) L’appello in esame è fondato.

Come questo Consiglio di Stato ha anche recentemente rilevato (sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2308),

la questione di principio attinente alla compatibilità dell'abuso eseguito con la zona protetta (nella specie, il Parco del Cilento) in relazione al vincolo sopravvenuto ed all'esatta incidenza del richiamato art. 32, comma 43 bis sulle leggi di condono anteriori, n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, va risolta nel senso che:

- nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l'Amministrazione competente ad esaminare l'istanza di condono proposta ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994 deve acquisire il parere della Autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20);

- il richiamato art. 32, comma 43 bis, si è limitato a disporre che le istanze di condono, presentate in base alle prime due leggi del 1985 e del 1994, continuano a dover essere esaminate sulla base della normativa sostanziale anteriore (più favorevole) a quella (più restrittiva) contenuta nella legge n. 326 del 2003;

- sarebbe, invece, stata palesemente incostituzionale (per contrasto con gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, Cost.) una disposizione statale che avesse inteso porre nel nulla i poteri consultivi delle Autorità preposte alla tutela del vincolo, il cui esercizio - come nel caso di specie - fosse stato a lungo impedito dall'inerzia degli enti locali;

- il medesimo comma 43 bis non ha affatto inciso sui poteri delle Autorità preposte alla tutela dei vincoli, imposti con legge o con atto amministrativo in un'area sulla quale è stato in precedenza commesso un abuso edilizio, né ha inciso sul loro dovere di valutare l'attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo (v. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 231 del 2014, n. 5274 del 2013, n. 4660 del 2013, n. 3015 del 2013, n. 2367 del 2013).

III) Le censure svolte con l’appello sono quindi fondate; i motivi riproposti dalla parte appellata devono, invece, essere respinti.

Infondata è, innanzitutto, la censura di difetto di motivazione del parere impugnato.

Le opere oggetto dell’istanza di condono ricadono, come si è detto, in zona C2 del piano del Parco, il cui art. 8, comma 8 delle norme di attuazione ammette gli interventi edilizi eccedenti la manutenzione ordinaria o straordinaria e il restauro conservativo solo se in funzione degli usi agricoli e della residenza dell’imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate.

Come ha puntualizzato l’ente Parco, nella fattispecie in esame l’interessata non ha dimostrato né la propria qualifica di imprenditore agricolo, né la funzionalità degli interventi all’uso agricolo, né le correlate esigenze di coltivazione del fondo: l’asserita conduzione da parte dell’affittuario comporta, anzi, la mancanza della qualifica professionale di imprenditore agricolo residente in capo alla richiedente; circostanze, queste, tutte impeditive del condono ai sensi del citato art. 8.8, secondo cui “ogni intervento edilizio eccedente quanto previsto alle lettere a, b, c, dell’art.31 L.457/1978, fatti salvi gli interventi di ricostruzione di immobili danneggiati dai sismi di cui alla L.219/1981, sono ammessi solo in funzione degli usi agricoli, agrituristici nonché della residenza dell’imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate..”.

Ne deriva che l’atto impugnato, che su tali circostanze si basa, risulta adeguatamente e sufficientemente motivato.

Trattandosi, poi, di interventi di ampliamento e cambio di destinazione d’uso, è palese che le opere oggetto dell’istanza di condono eccedono quelli di cui alle definizioni sopra ricordate, non essendo riconducibili alla manutenzione ordinaria o straordinaria, né al restauro o risanamento conservativo: anche per tale via la censura esaminata si manifesta infondata, poiché l’incompatibilità dell’organismo edilizio abusivamente realizzato con il parametro normativo non postula alcuna ulteriore motivazione in ordine alla comparazione degli interessi coinvolti.

IV) In conclusione, l’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso di primo grado.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata a rifondere alla parte appellante le spese del doppio grado del giudizio, nella misura di 6.000 (seimila) euro, oltre Iva e Cpa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)