Consiglio di Stato Sez. VI n. 4243 del 6 settembre 2017
Urbanistica.Legittimità dell’ordinanza di demolizione a notevole lasso di tempo dall’abuso edilizio
L’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all’accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire. Peraltro, nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell’abuso e l’adozione del provvedimento repressivo refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione, atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso in costanza di una situazione di fatto abusiva che non può ritenersi per ciò solo legittimata.
Pubblicato il 06/09/2017
N. 04243/2017REG.PROV.COLL.
N. 09107/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9107 del 2015, proposto da:
Marina Fanini e Mauro Fanini, rappresentati e difesi dall’avvocato Filippo De Giovanni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza delle Iris, 18/5;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Umberto Garofoli, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione I quater n. 8350/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 28 aprile 2016 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati De Giovanni e Garofoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Deducono gli appellanti che: “Nell’anno 1966 Fanini Tobruk, nato a Bolognano il 09 febb. 1912 e deceduto l’8 agosto 1981, padre dei ricorrenti e proprietario dell’immobile sito in Roma, via Achille Benedetti, n. 12, realizzava una veranda sul proprio terrazzo pertinenziale dell’appartamento int. 7, veranda che si integrò con l’appartamento stesso.
In data 16 ottobre 1982 la detta veranda veniva ritualmente accatastata [V. accatastamento eseguito dal Geom. Claudio Cocilova].
Con atto per Notaio Giorgio Intersimone dell’8/11/1993 rep. 139951, trascritto alla Conservatoria dei RR.II di Roma in data 30/11/1993 al nr. 77961 Reg. Gen. e42679 Reg. Part. i coeredi del defunto Fanini TobruK procedettero alla divisione dell’asse ereditario: l’appartamento int. 7 venne assegnato alla Sig.ra Fanini Maria.
Su segnalazione dei vicini Poli Paola ed Alessandra, con i quali i ricorrenti avevano un contenzioso innanzi al Tribunale Civile di Roma, per avere gli stessi eseguito, poco prima, nella loro proprietà opere edilizie in violazione delle norme sulle distanze, intervenivano in loco i VV.UU., che accertavano la presenza della detta veranda.
La ig.ra Fanini Marina depositava il 24 aprile 2009, presso il Corpo della P.M.– U.O. V° Gruppo -Ufficio Edilizia Sede - la dichiarazione protocollata al n. 21922, del seguente tenore:
“Con la presente io sottoscritta Marina Fanini, nata a Roma il 9 marzo 1944 ed ivi residente in via Achille Benedetti 12, in qualità di proprietario dell’appartamento int. 7 dell’immobile in oggetto indicato, dichiaro che l’abuso edilizio effettuato sulla veranda dell’appartamento in questione, ereditato dai miei genitori, contestatomi dagli Agenti di codesto Comando di P.M. in data 20 aprile 2009, è stato realizzato con copertura a vetri nell’anno 1966 da mio padre Fanini TobruK Mario, nato a Bolognano il 9 febbraio 1912 e deceduto a Roma in data 8 agosto 1981.
Detti lavori sono stati accatastati in data 16 ottobre 1982, come da regolare Mod. B compilato dal geom. Cocilova Claudio, che si allega in copia.
Richiedo che la presente dichiarazione venga acquisita ed inoltrata all’Autorità competente per le successive valutazioni in merito”.
Gli attuali appellanti ritenevano che tutto fosse stato chiarito, quando invece si vedevano notificare nr.2 determinazioni dirigenziali dal Comune di Roma [nn. 2161 e 2162 del 19/11/2009] in data 13 e 14 gennaio 2010, con le quali venivano invitati “alla sospensione dei lavori”, determinazioni che venivano ritualmente impugnate, atteso che non c’era alcun lavoro in corso, essendo stata eseguita la veranda nel 1966.
Il Comune di Roma, preso atto dell’inesistenza di lavori in corso, con determinazione dirigenziale nr.165 del 05/02/2010 n. CE/7681, [per un refuso indicato nel ricorso e in sentenza con il nr. 65] notificata a Fanini Mauro il 31/03/2010 ed a Fanini Marina il 14/04/2010, ingiungeva agli stessi “la rimozione e demolizione, entro 30 giorni dalla notifica della presente, di tutte le opere abusivamente realizzate così come specificata in narrativa e delle ulteriori eventuali opere abusive nel frattempo eseguite sul manufatto preesistente sito in Roma in Via Achille Benedetti 12 piano 3° int. 7”.
Con ricorso notificato in data 26 maggio 2010 Fanini Maria e Mauro impugnavano la detta determinazione dirigenziale affidando il ricorso ai seguenti motivi:
I) Carenza di legittimazione passiva del Sig. Fanini Mauro.
La determinazione dirigenziale nr.165 del 05 febbraio 2010 del Comune di Roma è stata illegittimamente emessa nei confronti di Fanini Mauro ed illegittimamente allo stesso notificata.
Lo stesso è stato, invero, erroneamente qualificato “proprietario dell’abuso”, quando risulta documentalmente [atto di divisione per Notaio Intersimone] che l’appartamento int. 7, di cui si discute, è di esclusiva proprietà della ricorrente Fanini Marina per ricevutane assegnazione in sede di divisione.
Ne consegue che deve essere dichiarata la nullità della menzionata determinazione dirigenziale nei confronti di Fanini Mauro.
II) Nullità dell’ingiunzione di demolizione.
Il Comune di Roma con la determinazione dirigenziale impugnata ha ingiunto alla sig.ra Fanini Marina di demolire la veranda accorpata all’appartamento int. 7 nell’erronea affermazione che la stessa fosse la “responsabile dell’abuso” e senza tener presente [cosa risultante dalla documentazione prodotta] che la veranda era stata realizzata dal di lei defunto genitore Fanini Tobruk [deceduto l’8 agosto 1981] nel lontano 1966.
Ed invero nel fascicolo del Comune trovasi la dichiarazione rilasciata dalla sig.ra Fanini Marina in data 24 aprile 2009 dalla quale risultava che la veranda era stata appunto realizzata nel 1966 dal de cuius Fanini Tobruk , per cui la Fanini Marina non poteva essere considerata certamente “responsabile dell’abuso”.
Il Comune si sarebbe dovuto arrestare al verbale di contestazione redatto dagli operanti, una volta preso atto che i lavori erano stati realizzati prima del 02 settembre 1967.
Detto manufatto non rientrava infatti - come non rientra - nella disciplina del condono ai fini del rilascio di una concessione in sanatoria appunto perché realizzato prima del 02 settembre 1967 [addirittura nel 1966].
Per le opere realizzate prima del 02 settembre 1967 [la L. 28/02/1985 n. 47 parla addirittura di “opere iniziate” prima del 02 settembre 1967] non era prevista, infatti, come noto, alcuna richiesta di concessione in sanatoria, prevedendo la normativa [art. 40] soltanto una dichiarazione degli interessati che “le costruzioni erano state fatte prima del 2 settembre 1967”.
Tale dichiarazione è stata fatta dalla ricorrente Fanini Marina il 24 aprile 2009 e ciò era ben noto al Comune di Roma, che l’aveva protocollata lo stesso giorno ed inserita nel fascicolo d’Ufficio.
L’avvenuta realizzazione della veranda nell’anno 1966 è confermata dai sigg. Lacovara Paolo, residente a Roma in p.zza Zamorani, n. 5; Olivucci Ida, res.te in Roma, via Ottoboni, n. 66 e Marzi Pietro, res.te in Roma, via Filippo Meda n. 11, nelle dichiarazioni sostitutive di notorietà degli stessi rilasciate presso il Comune di Roma in data 4 e 13 maggio 2010.
III) Prescrizione della sanzione amministrativa di demolizione del manufatto.
In via subordinata viene eccepita formalmente l’intervenuta prescrizione del diritto del Comune di Roma di applicare la sanzione della demolizione del manufatto.
Dalla realizzazione dell’opera sono decorsi, invero, ben 44 anni e, comunque, ove venga fatto riferimento alla data di accatastamento del manufatto [16 ottobre 1982], oltre 27 anni, un termine addirittura superiore a quello prescrizionale dei venti anni.
Non sembra, infatti, ragionevole né conforme ai principi dell’ordinamento vigente la pretesa perpetuità delle sanzioni edilizie.
È stato, per la verità ritenuto, come noto, dalla giurisprudenza amministrativa che l’inerzia del Sindaco durata un lasso di tempo rilevante [come nella fattispecie] determina l’illegittimità dell’applicazione della sanzione edilizia, per cui si consolida la posizione del privato [in tal senso Cons. di Stato Adunanza Plenaria 19/06/1983, n. 12; Cons. di Stato, sez. V, 24/10/1983, n. 492].
IV) La demolizione dell’opera, ove venisse eseguita, comporterebbe un danno grave ed irreparabile per il figlio della Fanini Marina, che abita l’appartamento con la propria famiglia, in quanto sconvolgerebbe, in maniera irreversibile, l’assetto attuale della casa ed inciderebbe pesantemente sulle abitudini di vita dell’intero nucleo famigliare.
2. La sentenza impugnata, per quel che qui rileva, ha osservato:
“Nemmeno può essere apprezzata la censura nella parte in cui si rappresenta che il Comune non avrebbe considerato la risalenza del manufatto abusivo ad un periodo anteriore al 1967 (c.d. legge ponte). I ricorrenti non contestano che il manufatto in contestazione sia stato realizzato in assenza di alcun titolo abilitativo, ma ritengono che lo stesso usufruirebbe di una sorta di “immunità”, non trovando alla fattispecie applicazione la norma di cui all’art. 40, legge n. 47/1985, che disciplina il condono in sanatoria.
Ritiene il Collegio che è inconferente, con riferimento alla questione che ne occupa, quanto prevede la norma richiamata dai ricorrenti che non considerano, invece, quanto prevede l’art. 31, comma 5, della stessa legge n. 47 del 1985 a proposito delle opere ultimate anteriormente al 1° settembre 1967 per le quali era richiesto, ai sensi dell’art. 31, primo comma, della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di costruzione; in tali ipotesi, infatti, i proprietari conseguono la concessione in sanatoria previo pagamento di una somma a titolo di oblazione.
Pertanto, tenuto conto che il regolamento edilizio del Comune di Roma vigente all’epoca della realizzazione dell’opera in questione prevedeva il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione di un’opera comportante aumento di volumetria, è evidente che, in assenza di previo rilascio del suddetto titolo, avrebbe dovuto quantomeno essere richiesta la concessione in sanatoria con le modalità sopra indicate.
Nemmeno convince la asserita prescrizione del potere di ordinanza del Comune d Roma, in ragione del lungo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva.
Per costante giurisprudenza, anche della Sezione, l’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all’accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire.
Peraltro, nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell’abuso e l’adozione del provvedimento repressivo refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione, atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso in costanza di una situazione di fatto abusiva che non può ritenersi per ciò solo legittimata.
Pertanto, l’ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, non è assoggettata ad alcun termine decadenziale e, quindi, è adottabile anche a notevole intervallo temporale dall’abuso edilizio, costituendo atto dovuto e vincolato alla ricognizione dei suoi presupposti”.
3. Propongono ricorso in appello gli interessati deducendo, per quel che qui rileva:
a) Erronea, illegittima, irragionevole disapplicazione dell’art. 40, comma 2°, L. 28/02/1985 n. 47.
b) Insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia.
4. Il ricorso, per quanto è prodotto anche dal signor Fanini Mauro, è inammissibile.
Il ricorso collettivo è ammissibile quando gli interessi fatti valere con l’impugnativa non siano in conflitto tra loro. Il ricorso, se fosse accolta la censura dedotta dal predetto ricorrente, accollerebbe la responsabilità dell’abuso alla sola sorella, facendo venir meno quel vincolo di solidarietà creato dai provvedimenti impugnati.
5. Il motivo sub a) è inammissibile.
La sentenza impugnata ha rigettato il pertinente motivo dedotto in primo grado richiamando l’a rt. 31, comma 5, della legge n. 47 del 1985 che disciplinava il rilascio del condono per le opere realizzate prima del 1° settembre 1967 in aree per le quali occorreva, come nel caso di specie, la licenza di costruzione.
Nulla oppone l’appellante, con il motivo in esame, alle considerazioni svolte dal giudice di primo grado: di qui la sua inammissibilità.
6. È infondato il motivo sub b).
“L’attività sanzionatoria della p.a. sull’attività edilizia abusiva è connotata dal carattere vincolato e non discrezionale. Infatti, il giudizio di difformità dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo rilasciato, che costituisce il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni, non è connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto e, pertanto, l’ordine di demolizione di opere abusive non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può mai legittimare” (Cons. Stato, V, 11 giugno 2013, n. 3235).
7. “Ove una determinazione (amministrativa o giurisdizionale) di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento” (Consiglio di Stato, sez. V, 31/03/2016, n. 1274).
8. Alla luce del principio richiamato al § 7, il ricorso in appello, nel suo complesso non può trovare accoglimento essendo sufficienti a confermare la sentenza impugnata le ragioni in essa evidenziate e trascritte al § 2.
9. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Andrea Pannone Sergio Santoro