TAR Lombardia (MI) Sez. II n.180 del 22 gennaio 2018
Urbanistica.Distanze legali e muri di sostegno di terrapieni
In tema di distanze legali, mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perchè costruzioni, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente. Sulle espressioni di "terrapieno naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico va precisato che a prima consiste in un ossimoro, poichè ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo. Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni.
Pubblicato il 22/01/2018
N. 00180/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02104/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2104 del 2014, proposto da:
Annamaria Percassi, rappresentata e difesa dagli avvocati Gian Piero Maccapani, Daniele Lucchetti, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria del T.A.R.
contro
Comune di Lavena Ponte Tresa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Cristina Colombo, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Durini, 24
nei confronti di
Giuseppina Creta, Silvana Rizza, rappresentate e difese dall'avvocato Rita Bernasconi, con domicilio eletto in Milano, Via Savare, 1
per l'annullamento
del provvedimento emesso in data 7.3.2014 dal responsabile del servizio gestione tecnico territoriale del Comune di Lavena Ponte Tresa, con cui è stata determinata, “ai sensi dell'art. 37, del D.P.R. n. 380/2001, la sanzione pecuniaria relativa agli abusi edilizi posti in essere sull'immobile sito in Lavena Ponte Tresa, catastalmente identificato al foglio n, 2 mappale n, 4328 di proprietà della Signora Giuseppina Creta, nella misura di Euro 14.616,00”, nonché per il risarcimento dei danni derivanti dall’impugnato provvedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lavena Ponte Tresa e delle signore Giuseppina Creta e di Silvana Rizza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2017 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto la signora Annamaria Percassi ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento emesso in data 7.3.2014 dal responsabile del servizio gestione tecnico territoriale del Comune di Lavena Ponte Tresa, con cui è stata determinata, “ai sensi dell'art. 37, del D.P.R. n. 380/2001, la sanzione pecuniaria relativa agli abusi edilizi posti in essere sull'immobile sito in Lavena Ponte Tresa, catastalmente identificato al foglio n, 2 mappale n, 4328 di proprietà della Signora Giuseppina Creta, nella misura di Euro 14.616,00”.
È stata, altresì, proposta domanda di risarcimento dei danni derivanti dall’impugnato provvedimento.
La ricorrente ha premesso di essere “proprietaria di edificio residenziale, ove risiede, confinante con la proprietà della Sig.ra Creta Giuseppina e della Sig.ra Silvana Rizza. Le proprietà confinanti hanno promosso una attività di ampliamento illegittimo dell'edificio rispetto ai titoli abilitativi originari che è venuta ad interessare (rectius la mancata ottemperanza delle distanze) i confini della ricorrente” (cfr. pag. 2).
Segnatamente, a seguito di un esposto della ricorrente è stato effettuato da parte dei tecnici comunali un sopralluogo in data 7.11.2006 presso le predette proprietà, site in zona classificata “C2 – residenziale di espansione semiestensiva”, soggetta a vincolo paesaggistico, in esito al quale è risultata la realizzazione, in assenza di titolo autorizzatorio, di un “locale in muratura intonacata con tetto piano, realizzato in adiacenza ad edificio esistente”.
Tale abuso è stato posto in essere dalla signora Giuseppina Creta, la quale ha depositato, in data 5.2.2007, una domanda di permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di una “cantina in luogo di terrapieno esistente (…) annessa tramite disimpegno all'appartamento”. L’Amministrazione, una volta avviato il procedimento, ha chiesto alcuni chiarimenti e integrazioni documentali per condurre l’istruttoria (riguardante la volumetria per la parte realizzata oltre la quota naturale del terreno; il rapporto di copertura; le distanze dai confini o la presentazione di scrittura privata registrata sottoscritta dai proprietari confinanti che autorizzi la costruzione a meno di m. 5,00; la distanza dai fabbricati circostanti (D.M. 1444/1968); il verde alberato e rapporto superficie filtrante; la necessità di produrre un elaborato grafico (planimetria) con indicate le distanze dai confini e dai fabbricati circostanti, nonché la richiesta di compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 181 D.lgs. n. 42/2004).
La signora Creta ha presentato, in data 18.7.2007, alcuni documenti integrativi, ma non l’autorizzazione alla deroga delle distanze dal confine, cioè una scrittura privata registrata con i proprietari confinanti, espressamente prevista dall’art. 4 delle NTA del PGT: sicché con nota del 27.7.2007 il Comune ha sollecitato tale adempimento.
Essendo, tuttavia, rimasta – per alcuni anni – inevasa la richiesta comunale, e ciò nonostante reiterati solleciti ed anche la concessione di una proroga, con ordinanza n. 68 dell’8.11.2012 è stata ingiunta la demolizione del manufatto (“locale in muratura intonacato con aperture e tetto piano, con destinazione cantina. Il manufatto è stato costruito in adiacenza a fabbricato esistente di dimensioni pari a circa ml. 3,55 x 5,55 con altezza interna pari a ml. 2,66”).
Sono, poi, seguite, in rapida successione, la presentazione, in data 9.11.2012, di un’istanza di autorizzazione paesaggistica; una nota dell’Amministrazione, in data 13.11.2012, con cui è stata ribadita la mancata allegazione dell’assenso dei confinanti alla deroga delle distanze dai confini; la presentazione, in data 13.12.2012, di un’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.
L’Amministrazione si è, però, avveduta che “all'atto dell’emanazione dell'Ordinanza n. 68/2012 la pratica edilizia n. 3/2007, riguardante la richiesta di sanatoria delle opere edilizie abusivamente realizzate dalla signora Creta non era ancora stata definita”, ragione per cui l’ordinanza in questione è stata annullata in autotutela, nel contempo disponendosi, però, che il provvedimento di secondo grado valesse quale preavviso di diniego all’accoglimento della domanda di sanatoria, in quanto “l’area ove è stato commesso l'abuso risultava essere azzonata in Zone omogenee C2 "Residenziali di espansione semintensiva" comparto 29, fra i cui indici urbanistici è prevista la distanza dai confini di proprietà pari o maggiore di ml. 5,00, pertanto, non essendo la stessa verificata, non è possibile rilasciare permesso di costruire in sanatoria in quanto l'opera non è conforme alle previsioni urbanistiche come previsto dall'art. 36 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.”.
La signora Creta, per mezzo del proprio legale, ha fatto pervenire le proprie osservazioni in data 14.2.2013, da un lato sostenendo che l’accordo derogatorio delle distanze fosse stato integrato dall’autorizzazione resa da altri proprietari, diversi dalla ricorrente, dall’altro affermando che “nel caso di specie la modesta cantina è manufatto pertinenziale avente volume inferiore al 20% del volume dell'edificio principale: perciò manufatto che non necessitava del previa ottenimento di permesso di costruire bensì di previa presentazione di Denuncia di inizio attività ex art 22 c. 1 TU Edilizia”, connotato, inoltre, da “autonomia strutturale” e dalla “assenza di autonomia funzionale”, con la conseguenza che “trattandosi dunque di manufatto che non è riconducibile alle opere assoggettate a permesso di costruire, la sua abusiva realizzazione non è sanzionabile con la demolizione bensì solo con la sanzione pecuniaria, risultando perciò illegittima l'ordinanza di demolizione adottata in relazione ad esso”.
Rispetto a tali deduzioni difensive, il responsabile dell’ufficio tecnico:
a) con provvedimento del 24.8.2013 ha respinto l’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica (proposta il 13.12.2012);
b) con l’impugnato provvedimento del 7.3.2014 ha irrogato la sanzione pecuniaria di €. 14.616,00 per l’abuso in questione.
A fondamento del ricorso sono stati proposti i seguenti motivi:
1°) violazione degli artt. 22 e 37 del DPR 380/2001; eccesso di potere per sviamento, difetto d’istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità manifesta, violazione del principio del giusto procedimento.
Ad avviso della ricorrente la valutata consistenza (e la connessa qualificazione) del manufatto abusivo non sarebbe “legittima, né corretta ed in ogni caso basata su atti incompleti ed erronei, contraddittori rispetto ai dati conosciuti e conoscibili alla stessa Amministrazione Comunale. Non pare sussistere dubbio alcuno circa la rilevanza edilizia ed urbanistica del manufatto, né la sua riconducibilità ad una edificazione superfetativa suscettibile di demolizione senza alcuna pregiudizio trattandosi di corpo aggiunto all’edificio” (cfr. pag. 14).
A ciò ha soggiunto criticamente che sarebbe stata “la stessa Amministrazione che ha qualificato, salvo ripensamento, rilevante l'allargamento dell'edificio principale con realizzazione dell'ampliamento della balconata quale soggetto al regime delle distanze previsto dal proprio regolamento edilizio. Il caso in esame parrebbe integrare la fattispecie più classica, trattandosi di edificazione sita a meno di 5 metri dal confine in spregio alle N.T.A. e sicuramente non riconducibile ai casi di cui all'art. 22 del D.P.R. 380/2001” (cfr. pag. 15).
2°) Eccesso di potere per insussistenza dei presupposti per la sanatoria.
In stretta inerenza al primo motivo, la ricorrente ha, inoltre, evidenziato che “il manufatto realizzato viene a modificare, quale volume aggiuntivo, la sagoma ed il volume del corpo principale. Non appare allegata alcuna relazione asseverata da parte di un professionista ma – semplicemente – una banale comunicazione nella quale si precisa che un abuso non può essere demolito se non producendo lesioni ad un altro abuso (balcone/volume sottostante)”, nonché l’ulteriore profilo connesso al mancato “ottenimento del consenso del confinante alla realizzazione di un manufatto ad una distanza inferiore alla previsione delle N.T.A” (cfr. pag. 21 – 22).
3°) Violazione degli artt. 2 e 21 nonies della legge 241/1990, dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica Amministrazione; eccesso di potere per sviamento, manifesta irragionevolezza ed illogicità.
Con tale censura si è, infine, sostanzialmente dedotta l’illegittimità dell’azione amministrativa in ragione della mancanza dei presupposti per invertire l’ordine delle valutazioni che avevano, in precedenza, condotto l’Ente a ingiungere la demolizione del manufatto.
La domanda risarcitoria è stata motivata sull’assunto della responsabilità del Comune per la qualificazione dell’abuso e dei conseguenti provvedimenti.
Si sono costituiti in giudizio la signora Silvana Rizzi (31.7.2014), la signora Giuseppina Creta (31.7.2014) e il Comune di Lavena Ponte Tresa (10.10.2014).
In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 18 dicembre 2017, l’Amministrazione comunale ha depositato una memoria (16.11.2017), nella quale ha opposto: che “il manufatto abusivamente realizzato dalla signora Creta è una cantina realizzata in adiacenza all'abitazione principale avente superficie lorda commerciale totale, prima dell'intervento, di 81,76 mq. A seguito della realizzazione della predetta cantina, la superficie commerciale totale dell'immobile è divenuta pari a 85,82 mq, con un incremento di 4,06 mq” (cfr. pag. 7); che si tratterebbe, dunque, di una pertinenza soggetta a DIA; che “il Comune non ha in alcun modo rilasciato una sanatoria dell'intervento abusivamente realizzato dalla signora Creta. Anzi, è documentalmente provato che l'istanza di accertamento di conformità presentata da quest'ultima è stata rigettata (…). Come più volte sottolineato, con il provvedimento sanzionatorio l'Amministrazione ha – per l’appunto – sanzionato l'abuso posto in essere dalla signora Creta facendo applicazione dell'unica disposizione sanzionatoria applicabile al caso di specie: l'art. 37, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001” (cfr. pag. 10); che il terzo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per genericità e, se anche si riferisse all’annullamento in autotutela dell’ordinanza n. 68/2012, tale provvedimento sarebbe legittimo perché congruamente motivato; si è, infine, opposta alla domanda risarcitoria.
Nella replica del 27.11.2017 la ricorrente ha, infine, ribadito che risulta “pacifico (…) che l’autorizzazione registrata da parte dei vicini alla costruzione a distanza inferiore di quella prevista dall’art.4 delle N.T.A., non è mai stata rilasciata (D.M. 1444/68)” (cfr. pag. 2), per il resto richiamando diverse pronunce giurisprudenziali a supporto delle proprie tesi.
All’udienza del 18 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Con i primi due motivi, strettamente connessi sul piano tematico e quindi esaminabili in modo congiunto, la ricorrente ha sostanzialmente dedotto che “il manufatto è stato – erroneamente – ricondotto alla previsione dell’art 37, I° comma del D.P.R. n.380/2001 ed al regime delle pertinenze al solo fine di evitare il pristino in sede amministrativa” (cfr. pag. 4 della memoria di replica) ed è stata, inoltre, palesemente disattesa la disciplina della distanze legali delineata dall’art. 9 del DM 1444/1968.
Nella specie, si tratterebbe di un manufatto “che incrementa il volume, realizzato in spregio alle distanze legali”, non rientrante nel novero degli interventi sanzionabili ai sensi dell’art. 37, comma 1, vale a dire quelli “di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 22, ossia quelli non riconducibili all’articolo 10 (soggetti al permesso di costruire) - comma 1 - o che non provochino un carico urbanistico – comma 2 - e che siano conformi agli strumenti urbanistici pur non avendo il titolo”. Di converso, “l’opera, così ricostruita, è quindi riconducibile alla disciplina per gli interventi edilizi classificabili in modo diverso da quello del primo comma, di manutenzione straordinaria e, comunque, che non comportino un carico urbanistico; sono infatti interventi che sono soggetti a DIA o a permesso di costruire, a seconda di quanto decida la normativa locale e, per questo motivo, sono oggetto di una sanzione che non può essere solo quella pecuniaria” (cfr. pag. 7 della replica).
Al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire in sanatoria (5.2.2007) l’art. 22 del DPR 380/2001 allora vigente (“interventi subordinati a denuncia di inizio attività”) prevedeva che “1. Sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente. 2. Sono, altresì, realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali denunce di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.
3. In alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività:
a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c);
b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; qualora i piani attuativi risultino approvati anteriormente all'entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il relativo atto di ricognizione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall'atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l'esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate;
c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche”.
La disciplina legislativa ora citata, pertanto, aveva già espressamente previsto – quale condizione di legittimità dell’attività edilizia – la conformità “alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente” ed il rispetto dei parametri edilizi.
Tali presupposti sono stati negativamente verificati dall’Amministrazione, come dimostra la motivazione del diniego di accertamento di conformità edilizia, emesso nei confronti della signora Giuseppina Creta in data 24.8.2013, che – sulla base di quanto può desumersi dalla memoria del Comune – risulta valido ed efficace, nel quale si è espressamente rilevato:
1) che “l’area ove è stato commesso l'abuso risultava essere azzonata in Zone omogenee C2: "Residenziali di espansione semintensiva" comparto 29, fra i cui indici urbanistici è prevista la distanza dai confini di proprietà pari o maggiore di ML 5,00, pertanto, non essendo la stessa verificata, non è possibile rilasciare permesso di costruire in sanatoria in quanto l'opera non è conforme alle previsioni urbanistiche come previsto dall'art. 36 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.”;
2) che in merito alle osservazioni presentate dal legale della signora Creta in data 14.2.2013 nell’ambito del contraddittorio procedimentale istituito dal provvedimento emesso il 5.2.2013 (non per la parte relativa all’annullamento in autotutela, ma per la parte in cui sono stati comunicati, ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/1990, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di sanatoria), il Comune ha dato atto – sempre nel sopra citato diniego – “come non sia possibile produrre la documentazione prescritta dalle NTA con riguardo alla deroga dalle distanze dal confine, con conseguente impossibilità di rendere l'intervento conforme alla disciplina urbanistica comunale e di superare le contestazioni contenute nel preavviso di rigetto del 5 febbraio 2013”: dunque, una sostanziale confessione della controinteressata a non poter derogare al regime delle distanze legali, non avendo mai prodotto l’atto di assenso prescritto dall’art. 4 delle NTA del PGT (circostanza pacifica tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 4 del codice del processo amministrativo).
Quanto all’abuso in questione, nell’istanza di permesso di costruire in sanatoria si è prefigurata la realizzazione di una “cantina in luogo di terrapieno esistente (…) annessa tramite disimpegno all'appartamento”, consistente – come rilevato nel sopralluogo dei tecnici comunali del 7.11.2006 – in un “locale in muratura intonacata con tetto piano, realizzato in adiacenza ad edificio esistente”.
Orbene, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è del tutto costante “nel ritenere che ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle diposizioni regolamentari integrative del codice civile, per "costruzione" deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 5753/14, 23189/12, 15972/11, 22127/09, 25837/08, S.U. 7067/92 e 3199/02), indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente, dall'impiego di malta cementizia (Cass. n. 4196/87). Ed è altrettanto costantemente affermato, in tema di distanze legali, che mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione”, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, “perchè costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. nn. 1217/10, 145/06, 8144/01,4511/97, 7594/95 e 1467/94). A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione di carattere terminologico sulle espressioni di "terrapieno naturale" e di "terrapieno artificiale" o antropico. La prima, infatti, consiste in un ossimoro, poichè ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo. Dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni” (cfr. Corte di Cassazione, 16 marzo 2015, n. 5163).
Nella specie, la stessa perizia redatta dal tecnico di fiducia della signora Creta ha evidenziato che “si tratta di un u.i. ubicata in Lavena Ponte Tresa via Libertà n°2, facente parte di un fabbricato di maggiore consistenza comprendente quattro u.i residenziali e relative aree esclusive. L'abitazione, sita al pian terreno era originariamente costituita da ingresso, soggiorno/pranzo, camera e bagno per una superficie totale di mq 65,60 lordi abitativi, oltre a mq 7,86 di pertinenze esterne coperte, cantina di mq 3,18 e giardino di 82 mq circa. Il manufatto accessorio è stato realizzato occupando parte del giardino antistante all'appartamento e comprendendo l'area coperta davanti alla cantina esistente per la realizzazione di accessori all'abitazione (cantina e disimpegno) come indicato nelle tavole allegate alla richiesta di sanatoria, ne consegue la trasformazione di mq 20,26 di giardino e mq 3,10 di pertinenze esterne in locali accessori”: non si controverte, perciò, di un’opera interrata – sottratta all’inderogabilità della disciplina sulle distanze, nei termini meglio esplicitati dalla Suprema Corte – ma di un intervento edilizio che si è prefisso di ampliare (e migliorare la funzionalità del) l’unità abitativa esistente.
È, però, noto che ad avviso del Giudice delle Leggi “il punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella regionale in materia di «governo del territorio», come identificato dalla Corte costituzionale, trova una sintesi normativa nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto dotato di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011; sentenza n. 232 del 2005). Quest’ultima disposizione consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». Le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque, consentite nei limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” (cfr. Corte Costituzionale, 23 gennaio 2013, n. 6).
La puntuale disciplina di cui all’art. 4 delle NTA dello strumento urbanistico, unica opzione per una legittima deroga al regime delle distanze, risulta, quindi, patentemente violata.
Tale violazione, in uno alla mancanza di “conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”, nei termini sopra illustrati, ostano alla possibilità di applicare, nella specie, l’art. 37, comma 1 del DPR 380/2001.
Il terzo motivo va invece respinto, considerato che – in modo, comunque, non perspicuo – sembrerebbe riferirsi all’annullamento in autotutela dell’ordinanza n. 68/2012, vicenda ormai definita e ininfluente ai fini del decidere.
L’accoglimento del ricorso comporta l’annullamento dell’impugnato provvedimento; l’Amministrazione comunale dovrà, pertanto, nuovamente avviare un procedimento sanzionatorio nei confronti della signora Giuseppina Creta, tenendo conto delle statuizioni contenute nella presente sentenza, che integra, per la ricorrente, un risarcimento in forma specifica, pienamente satisfattivo e alternativo a quello chiesto per equivalente monetario.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono quantificate, ai sensi del DM 55/2014, in €. 3.000,00, oltre accessori, che il Comune resistente dovrà corrispondere alla ricorrente; restano compensate le spese nei confronti delle controinteressate.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Lavena Ponte Tresa al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 3.000,00, oltre accessori, in favore della ricorrente; compensa le spese tra la ricorrente e le controinteressate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Mario Mosconi, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Consigliere
Angelo Fanizza, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Angelo Fanizza Mario Mosconi