Sulle ragioni per dubitare dell’effettiva natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 5, co. b-bis), D.L. 32/2019 in ordine all’art. 9, terzo comma, D.M. 1444/1968
(Nota critica a Cass. civile, Sez. II, ord. 2327/2022)
di Massimo GRISANTI
Con l’ordinanza n° 2327/2022 la seconda sezione civile della Suprema Corte di cassazione ha annullato la sentenza n° 235/2019 della Corte d’Appello di Milano laddove, in una causa per violazione delle distanze tra fabbricati con interposte strade posti in zona B, aveva riscontrato la violazione del disposto del terzo comma, primo periodo, dell’art. 9 D.M. 1444/1968 che impone la distanza tra fabbricati non minore di quello più alto.
La Suprema Corte ha statuito che alle disposizioni dell’art. 5, comma b-bis), del D.L. 32/2019 –a mente del quale “le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9”- deve riconoscersi carattere di interpretazione autentica e pertanto applicabili solo alle zone C.
Si ritiene che la decisione si presti a più di un rilievo critico, quindi che l’art. 5, comma b-bis), D.L. 32/2019 abbia carattere innovativo, per di più di sospetta incostituzionalità: per i seguenti motivi.
E’ pacifico nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex plurimis: n° 5071/2018), della Suprema Corte (ex plurimis: n° 24076/2018) e della Corte costituzionale (ex plurimis: n° 120/1996) che le disposizioni dell’art. 9 D.M. 1444/1968 attengano non solo alla sicurezza degli stabili e alla tutela della pubblica incolumità, ma principalmente alla salubrità dell’abitato e alla sanità dei locali di abitazione (in senso lato).
Evidentemente inizia a sfuggire il fatto che le disposizioni dell’art. 9 D.M. 1444/1968 altro non sono, per quanto qui rileva, che la sostanziale ripetizione di standard costruttivi già contenuti nelle Istruzioni del 20 giugno 1896 che il Ministro dell’Interno, direzione della Sanità pubblica, aveva emanato ai sensi dell’art. 95 del Regolamento per l’esecuzione della legge sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica 22 dicembre 1888, n° 5849, approvato con R.D. 9 ottobre 1889, n° 6442. Istruzioni, quelle del 20 giugno 1896, che trovano sempre la loro forza di legge nell’art. 97 del sempre vigente R.D. 3 febbraio 1901, n° 45, approvante il regolamento che sostituisce quello approvato con R.D. n° 6442/1889, dipoi confluito nell’art. 218 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 1265/1934.
Preme evidenziare che di recente la Corte costituzionale, con sentenza n° 124/2021, ha statuito che poiché le disposizioni del decreto 5 luglio 1975 del Ministro della sanità sono “legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi fondamentali, vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalla Regione Liguria”.
Siccome le disposizioni del D.M. Sanità 1975 recano modificazioni alle istruzioni del 20 giugno 1896 avendo l’accortezza di stabilire all’art. 9 che “tutta la parte delle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 incompatibile o, comunque, in contrasto con le presenti disposizioni deve ritenersi abrogata”, ne sovviene, per la proprietà transitiva, che è come se la Corte costituzionale avesse stabilito che anche tutte le altre Istruzioni del 20 giugno 1896 non modificate dal D.M. sanità 1975 siano idonee ad esprimere principi fondamentali vincolanti per la normativa di dettaglio adottata tanto dalle regioni, quanto dai comuni.
Ebbene, l’art. 39 delle Istruzioni ministeriali 1896 che costituisce il complesso di disposizioni relative agli aggregati urbani, non inciso dalle disposizioni del D.M. Sanità 1975, stabilisce che “l’altezza delle case prospicienti vie pubbliche non potrà mai essere superiore alla larghezza delle vie stesse, eccezione fatta per le case prospicienti vie con direzioni da Nord a Sud, per le quali l'altezza potrà essere anche cinque quarti della larghezza della strada”. Il tenore perentorio della norma non consente eccezioni di sorta, a maggior ragione in dipendenza della densità abitativa che ai sensi dell’art. 2 D.M. 1444/1968 è maggiore nelle zone B rispetto a quelle classificate C.
A ciò consegue che il tessuto edilizio progettato e venuto ad esistenza dopo il 20 giugno 1896 necessariamente doveva e deve conformarsi a tale elementare regola di salubrità, la quale consegue finanche la sicurezza della circolazione stradale in ragione della maggiore insolazione oltremodo utile nei mesi invernali.
Per questi motivi si ritiene criticabile la sentenza in commento perché non solo l’art. 5, comma b-bis), D.L. 32/2019 appare non avere natura di interpretazione autentica per il fatto che alla luce dell’art. 39 Istr. Ministeriali 1896 non aveva ragion d’essere il dibattito giurisprudenziale circa l’applicabilità o meno dell’art. 9, secondo e terzo comma, D.M. 1444/1968 alle zone B e C anziché alla sola zona C –dovendosi, al contrario, applicare a tutte le zone che compongono l’aggregato urbano- ma anche perché la norma in questione (art. 5, co. b-bis, D.L. 32/2019) appare essere in manifesto contrasto con l’art. 32 Costituzione perché introducente, in violazione dell’art. 218 TULS, disposizioni che non sono frutto del potere di declinazione tecnica di precetti posti a tutela della sanità pubblica, bensì espressione dell’intento di incidere su rapporti contenziosi non esauriti nonché di introdurre per via surrettizia, non dichiarata, una nuova forma di sanatoria edilizia.
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Testo del provvedimento commentato
FATTI DI CAUSA
La Corte d'appello di Milano, nella causa per la violazione delle distanze legali fra costruzioni promossa da Tecnilens S.r.l. nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.p.A., ha confermato la sentenza di primo grado, di accoglimento della domanda.
In particolare la corte di merito ha riconosciuto che la disposizione di cui alla prima parte del D.M. n. 144 del 1968, art. 9, u.c. dovesse applicarsi anche nel caso oggetto di lite. Gli edifici delle parti in causa, sebbene ricadessero in territoriale omogenea B, erano separati da una strada pubblica, il che rendeva, appunto, applicabile la disposizione di cui sopra, essendo l'altezza dell'edificio più alto, costituito dal manufatto della convenuta, maggiore della distanza calcolata ai sensi disposizione del medesimo art. 9 per l'ipotesi, corrispondente a quella oggetto di lite, di edifici separati da strade pubbliche destinate al traffico di veicoli.
Da qui la conferma della condanna del Fallimento (OMISSIS), già emessa dal giudice di primo grado, all'arretramento del fabbricato o alla riduzione della sua altezza, fino al limite del rispetto della distanza legale.
Per la cassazione della sentenza il Fallimento (OMISSIS) S.p.A. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, l'ultimo dei quali censura la decisione nella parte in cui la Corte d'appello ha riconosciuto che l'applicabilità della disposizione del D.M. n. 44 del 1968, art. 9, comma 3 anche agli edifici compresi in zona territoriale omogenea B. Si sostiene che la norma, correttamente interpretata, si riferisce ai soli edifici compresi in zona territoriale C, ferma restando, per quelli ubicati in zona B, la distanza minima di dieci metri fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Tecnilens ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Si impone in via prioritaria, in applicazione del principio della ragione più liquida (Cass. n. 14039/2021; n. 10839/2019; n. 9671/2918), l'esame del quarto motivo, che è fondato e il cui accoglimento determina l'assorbimento delle censure di cui ai restanti motivi (del primo motivo, con il quale si denuncia la violazione degli artt. 872,873 c.c., e art. 879 c.c., comma 2: inapplicabilità delle norme del codice civile sulle distanze, quando gli edifici sono separati da strade pubbliche; del secondo motivo, con il quale di denuncia la sentenza per vizio di extra petizione, perché giudici di merito hanno pronunciato una condanna alternativa non richiesta; del terzo motivo, con il quale la ricorrente censura la decisione nella parte in cui la Corte d'appello non ha tenuto conto, per ragioni processuali e di merito, della deduzione con la quale fu sostenuto che l'edificio in contesa era la ricostruzione di edificio preesistente).
Rileva a tal fine la novella normativa di cui al D.L. 18 aprile 2019, n. 32, art. 5, comma b-his) convertito con modificazione dalla L. n. 55 del 2019; secondo tale norma, richiamata dal ricorrente con la memoria, "le disposizioni di cui al D.M. lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, commi 2 e 3, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui allo stesso art. 9, comma 1, n. 3).
Questa Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che la nuova norma integra gli estremi di una norma di interpretazione autentica, per cui la stessa è applicabile ai rapporti in corso, non già quale disciplina normativa favorevole sopravvenuta, ma perché corrispondente alla regolamentazione applicabile ab origine al rapporto, fermo restando il solo limite delle situazioni consolidate per essersi lo stesso definitivamente esaurito (Cass. n. 7027/2021).
Pertanto, avuto riguardo al fatto, univocamente accertato dalla Corte d'appello, che l'immobile della convenuta ricade nella zona omogenea identificata dalla lettera B), la sentenza impugnata deve essere cassata, perché la Corte milanese ha inteso la previsione del D.M. n. 44 del 1968 cit., art. 9 in modo diverso dal suo significato effettivo, che deve oramai desumersi cumulativamente dalla nuova norma e dalla norma interpretata (Cost. 29 luglio 1974, n. 2289).
L'eccezione di incostituzionalità della nuova disciplina, sollevata dalla controricorrente con la memoria, non può avere seguito. Non è vero che l'intervento del legislatore non avrebbe avuto altra finalità se non quella di incidere sull'esito di una causa già pendente. Basti considerare che l'individuazione della portata applicativa del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 era ampiamente dibattuta, soprattutto nella giurisprudenza amministrativa, che nel corso degli anni aveva conosciuto un contrasto in merito proprio alla possibilità di estendere la disciplina in tema di distanze tra costruzioni, posta dai commi 2 e 3, a tutte le zone individuate dal comma 1. Come chiarito da Cass. n. 7027 del 2021 cit. l'orientamento prevalente era proprio nel senso poi precisato dalla norma interpretazione autentica, e cioè che le previsioni contenute nel secondo e nel citato art. 9, comma 3 si riferiscono esclusivamente alle zone urbanistiche contrassegnate come zone C. Deve, pertanto, escludersi, in ragione del contrasto sulla portata della norma, l'esistenza di una consolidata interpretazione idonea a ingenerare un affidamento della collettività sul diverso significato recepito dalla Corte d'appello di Milano; il che esclude la violazione del limite della retroattività irragionevole.
Accolto il quarto motivo, assorbiti gli altri, la causa deve essere rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 19 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2022