IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DEL PROPRIETARIO IMMOBILIARE PER OPERE EDILIZIE ABUSIVE REALIZZATE DA ALTRI
di Pierluigi CIPOLLA
Pubblicato in Giur. merito 11\2011 si ringrazia l'Editore
Sommario:1. Premessa. — 2. Il soggetto attivo dei reati urbanistico-edilizi. — 3. Il proprietario e il comproprietario concorrente «attivo». — 4. Il proprietario (esclusivo o comproprietario) «inerte». — 4.1. Nostra opinione. Cenni sulla proprietà quale fonte di obblighi di facere.— 4.2. (segue). La situazione soggettiva del proprietario quale «posizione di garanzia» ex art. 40 comma 2 c.p. — 4.3. (segue). La posizione di garanzia del comproprietario. — 4.4. (segue). Il problema del nesso di causalità. — 5. Il problema dell'elemento soggettivo (cenni). — 6. Conclusioni.
1. PREMESSA
La quaestio juris sottesa alla vicenda in esame riguarda la posizione del proprietario dell'immobile nei reati urbanistico-edilizi.
In particolare ci si chiede se il proprietario dell' area debba rispondere penalmente a causa della sua situazione soggettiva per non aver impedito la condotta altrui, oppure occorra qualcos'altro. L'estensore della sentenza ha mostrato di aderire a quello che egli stesso definisce l'assunto maggiormente restrittivo della giurisprudenza di legittimità secondo cui «il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera».
La pronuncia fornisce dunque il destro per ricostruire il diritto vivente in materia ed esporre le argomentazioni pro et contra la tesi ivi accolta.
2. IL SOGGETTO ATTIVO DEI REATI URBANISTICO-EDILIZI
L'art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001 (d'ora in poi Testo unico edilizia T.U.E.), peraltro sostanzialmente conforme al previgente art. 6 l. n. 47 del 1985 così recita: «1. Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso.
2. Il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d'opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente. In caso contrario il dirigente segnala al consiglio dell'ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall'albo professionale da tre mesi a due anni.
3. Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'art. 23 comma 1 l'amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari» (1).
Dunque il proprietario «in quanto tale» non è incluso tra i possibili soggetti attivi dei reati urbanistico edilizi. Egli comunque può essere chiamato a rispondere penalmente in quanto titolare del permesso a costruire, in quanto committente ovvero in quanto costruttore. Il problema riguarda il caso in cui l'unico proprietario a conoscenza dell'attività edilizia illecita non impedisca la condotta altrui; ovvero il caso, analogo a quello esaminato nella pronuncia in commento, in cui il comproprietario tenga comunque un atteggiamento inerte.
È opportuno dunque esaminare partitamente le varie ipotesi.
3. IL PROPRIETARIO E IL COMPROPRIETARIO CONCORRENTE «ATTIVO»
Nessun dubbio che il proprietario non titolare del permesso a costruire, non committente né costruttore in proprio, possa rispondere penalmente delle violazioni urbanistiche poste in essere dai soggetti menzionati nel citato art. 6 T.U.E., e ciò sia nel caso in cui si verta in reati «propri» (come ritenuto per lungo tempo dalla Suprema Corte) (2)sia nel caso in cui si tratti di «reati comuni a soggettività particolare» (come ritenuto da larga parte della dottrina e da ultimo anche dalla Cassazione) (3). Anche aderendo alla prima tesi, che appare maggiormente conforme al dettato normativo, non si può non evidenziare come lo stesso codice penale ammetta la possibilità del concorso dell'extraneus nel reato proprio, sia pure introducendo una speciale disciplina nell'ipotesi in cui il fatto sia variamente qualificato (art 117 c.p.). E così, se è vero che il T.U.E. menziona esclusivamente quali soggetti attivi dei reati edilizi il titolare del permesso a costruire, il committente, e il costruttore, nulla esclude che possano rispondere, in quanto concorrenti, i prestatori d'opera (4), il venditore (5), il terzo acquirente in corso d'opera (6), il dirigente comunale (7), il notaio (8)e, quindi, anche il proprietario che si sia inserito con la sua condotta nella consumazione del reato ponendo essere uno o più atti idonei a contribuire alla realizzazione del reato stesso. Occorre ovviamente che il concreto contributo causale sia sorretto da atteggiamento psichico doloso (ossia dalla consapevolezza della natura abusiva dell'attività edilizia) (9)ovvero colposo (in quanto è ammesso il concorso colposo nel reato doloso specialmente di natura contravvenzionale).
Siffatto concorso «attivo» potrebbe consistere, ad es., nello svolgimento dell'attività di materiale vigilanza sull' esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativi in corso d'opera, nella presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria (10), nel compimento di atti di induzione o rafforzamento dell'intento, perfino nella consapevole tolleranza sempre che il titolo dominicale sia accompagnato dalla disponibilità materiale dell'area (11).
Ancora diverso, poi, è il problema della prova del concorso materiale o morale; la giurisprudenza ritiene sufficiente allo scopo la prova indiziaria (12), quale desumibile, di volta in volta, dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (13), dalla presenza in loco(14)dal regime patrimoniale dei coniugi o dai rapporti di parentela o affinità con l'autore materiale (15), nonché dal compimento di condotte successive (attive o omissive) quali l'acquiescenza rispetto a notifiche di provvedimenti di sequestro o sospensione lavori, la presentazione denunce di opere di manutenzione ordina- ria ovvero il deposito di domanda in sanatoria (16). Nella vicenda esaminata nella sentenza in commento la prova del contributo causale dei mariti delle proprietarie custodi del manufatto illecitamente edificato è stata desunta dall' essersi i lavori abusivi svolti presso la abitazione coniugale in difetto di manifestazioni di dissenso da parte dei predetti, nonché dalla disponibilità di fatto e di diritto, dal regime di comunione legale dei beni, dal comune interesse economico alla realizzazione dell'opera edilizia abusiva.
4. IL PROPRIETARIO (ESCLUSIVO O COMPROPRIETARIO) «INERTE»
Quid juris nel caso in cui il titolare del diritto reale sull'area interessata dai lavori edili, non committente, eppur consapevole degli abusi, nulla abbia fatto né per impedire né per rafforzare l'attività criminosa altrui, astenendosi deliberatamente da ogni intervento?
Se è vero che da ultimo Cass., sez. IV, 3 febbraio 2009, Assante Di Ponzillo (17)ha attestato l'esistenza di un obbligo giuridico del proprietario di non consentire la perpetrazione del reato da parte di altri, e su di esso ha fondato la responsabilità in caso di inerzia colpevole, un più consistente indirizzo giurisprudenziale (18)esclude che il proprietario dell'area sia gravato da un obbligo di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per impedimento della costruzione abusiva, a causa della mancanza di una fonte formale dell'obbligo; pertanto manda esente da pene il proprietario ut talis. In questo senso, recentemente, Cass. sez. III, 22 novembre 2007, n. 47083, Tartaglia (19), secondo cui la tesi più garantistica sarebbe confortata anche dalla previsione dell'art. 192 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152 che impone al proprietario del sito, oggetto di abbandono di rifiuti, azioni ripristinatorie soltanto nel caso in cui la violazione gli sia ascrivibile a titolo di dolo o di colpa.
Dunque la Cassazione propende (ma non in modo irremovibile) per l'insussistenza in capo al proprietario (non committente) di un obbligo di impedire il reato edilizio altrui, rilevante ex art. 40 comma 2 c.p. quale fondamento per la responsabilità penale. La dottrina, dal canto suo, aggiunge che siffatto obbligo non può desumersi né dall' art. 42 Cost. posto che secondo il tenore letterale della disposizione è la legge a dover fissare eventuali limiti alla proprietà privata onde assicurarne la funzione sociale; né dalla legge urbanistica, che non individua il proprietario tra i soggetti responsabili della conformità delle opere «alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo» (art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001); né dal codice civile né dal codice penale, benché l'art. 677 c.p. sanzioni il proprietario inerte di edifici che minacciano rovina (20). Altra dottrina, più pragmaticamente, evidenzia l'impossibilità, per il proprietario, di scongiurare la commissione del reato, dato che non gli resterebbe altro strumento se non la proposizione di una domanda al giudice civile, dall'esito quasi certamente intempestivo (21).
4.1. Nostra opinione. Cenni sulla proprietà quale fonte di obblighi difacere
Una reinterpretazione della proprietà in termini solidaristici potrebbe condurre a conclusioni diverse.
Nelle sentenze che riconoscono l'esistenza di un obbligo del proprietario di impedire reati edilizi, spesso si richiama l'art. 42 comma 2 cost., nella parte in cui attribuisce alla legge la determinazione in modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà allo scopo di assicurarne la «funzione sociale». Di qui la domanda: la funzione sociale inerisce in modo indissolubile alla proprietà oppure in mancanza di una determinazione legislativa è tamquam non esset?
Il problema sta nella esatta interpretazione del concetto. Secondo un indirizzo ermeneutico — per così dire, estremo — il riferimento alla funzione sociale avrebbe trasformato il diritto di proprietà in un potere-dovere da esercitarsi nell'interesse della società (22). Per altra impostazione, del tutto opposta, «funzione» sarebbe da intendersi come «strumento di mantenimento, o di conservazione, della società», talché la norma costituzionale non avrebbe altro scopo se non quello di riconoscere e garantire quel pilastro della conservazione sociale che è la proprietà privata. Per una lettura analoga, anche se meno radicale, il (persistente) diritto soggettivo dominicale si sarebbe arricchito di obblighi nei confronti della collettività, incontrando i vincoli che gravano sul proprietario per il fatto di appartenere alla generale comunità (23); per l'orientamento prevalente la citata disposizione costituzionale dovrebbe essere intesa (soltanto) nel senso di giustificare l'intervento del legislatore finalizzato a porre limiti e definire i poteri dei proprietari di alcune peculiari categorie di beni, in vista di una attenta ponderazione tra interessi individuali e interessi collettivi (24).
In questo marasma, non si può contestare un dato: nel dettato costituzionale è entrato il sintagma «funzione sociale» che invece non si ritrova letteralmente nel codice civile (25); la proprietà, agli occhi del legislatore costituzionale, ha cessato di costituire un diritto soggettivo erga omnes caratterizzato dall'assolutezza e dalla esclusività del potere su una res.
Dal confronto tra il passato e lo statuto costituzionale della proprietà si può dedurre altresì che la «funzione sociale» ha modificato la struttura tradizionalmente riconosciuta alla proprietà e opera indipendentemente dall'esistenza attuale di un dato normativo in cui si concreti (26).
D'altra parte la proprietà privata, in quanto destinata a soddisfare l'interesse dei privati, viene conformata dalla Costituzione in modo diverso in relazione alla diversa importanza sociale dei beni: la proprietà collegata all'impresa, la proprietà terriera, la proprietà dei beni inerenti alla persona. Dunque la funzione sociale non inerisce alla proprietà privata in sé, bensì ai beni che, in varia guisa, sono d'importanza sociale, perché rispondono a un interesse diffuso della collettività dei cittadini (27).
Altro non si può evincere dal testo costituzionale, a meno di voler confondere l'euristica con la personale ideologia dell'interprete.
Dato che la Costituzione va interpretata nel senso attribuito dalla Corte costituzionale, e il giudice delle leggi, in modo chiarissimo, in una celebre sentenza del 1983 ha statuito che l'art. 42 comma 2 Cost. non ha affatto trasformato la proprietà privata in una funzione pubblica, bensì si è limitato a imporre un indirizzo generale alla futura legislazione (28), non si può affermare che il richiamo alla funzione sociale, di per sé, fondi sia i doveri del proprietario di sopportare limitazioni alla propria sfera giuridica, sia i doveri di agire, al fine di commisurare il diritto ai bisogni generali della collettività.
A ben vedere nell'ambito della proprietà edilizia la legge ordinaria, nel sottoporre ad un regime concessorio/autorizzatorio il diritto di proprietario di edificare, ha introdotto proprio uno di quei limiti mediante i quali ha inteso realizzare la funzione sociale della proprietà, in vista della tutela della incolumità personale altrui, dell'ambiente e del paesaggio. In altri termini, se non la proprietà in generale, almeno la proprietà edilizia deve essere concepita come una proprietà «limitata», in cui la facoltà di edificare è subordinata a una fase di controllo pubblico, proiettata alla tutela di beni interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli individuali del proprietario.
Appare agevole la conclusione: la legge ordinaria e la Costituzione si pongono alla base del divieto del proprietario-committente di compiere attività edilizie sui beni immobili senza autorizzazione del potere pubblico, in modo da arrecare un risultato dannoso per i consociati. Ma il passo da ciò all'obbligo del proprietario di impedire i reati commessi sull'area ovvero per mezzo dell'area oggetto del diritto dominicale sembra un salto logico giuridico troppo ardito.
Nelle sentenze che riconoscono l'esistenza di un obbligo del proprietario di impedire reati edilizi, si richiama ancor più spesso l'art. 41 Cost., che inibisce l'esercizio dell'iniziativa economica privata in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Si afferma da parte di autorevolissima dottrina che l'utilità sociale non costituisce la ragion d'essere della iniziativa privata bensì un limite, dato che l'iniziativa economica privata è descritta come «libera» quindi fa parte delle libertà fondamentali, e un limite del genere, in quanto attinente a una delle libertà del cittadino, non può essere posto che dalla legge. Dunque la norma dell'art. 41 comma 2 Cost. avrebbe per destinatari gli organi legislativi dello Stato autorizzandoli a porre limiti, in nome «dell'utilità sociale», alla libertà di iniziativa economica privata (29).
Eppure la libertà di iniziativa economica privata, riconosciuta dal comma 1 dell'art. 41, non riceve quel carattere di «diritto inviolabile» che è, invece, attribuito alle libertà civili (art. 13 ss.) né è menzionata nei «principi fondamentali» né rientra fra quelle libertà che, a norma della Costituzione, è compito della Repubblica difendere.
Dunque l'iniziativa economica privata, da identificarsi in senso lato con l'attività di chi utilizza la ricchezza per produrre nuova ricchezza, costituisce il contenuto di una libertà, ma non rappresenta una libertà inviolabile. E soprattutto il tenore letterale del secondo comma dell'art. 41 Cost è chiarissimo: l'iniziativa economica privata, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Senza aggiunte. Se poi si considera che l'art. 2 Cost. richiede a tutti l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale la conclusione è presto detta: il proprietario di beni immobili, nella misura in cui utilizza la ricchezza per produrre nuova ricchezza, e quindi svolge su quei beni una attività imprenditoriale, non può impiegare la cosa propria né consentire che altri la impieghino in modo che da ledere determinati valori sociali o umani («l'utilità sociale», la «sicurezza», la «dignità umana», di cui al comma 2 dell'art. 41). Id est, il proprietario di beni immobili ha il dovere di non consentire che attraverso l'attività (imprenditoriale) edilizia sia arrecato un danno a interessi altrui, tanto più se collettivi.
In questo senso trova piena giustificazione quell'orientamento giurisprudenziale minoritario, ma di tanto in tanto riemergente, anche da ultimo, che ragionando in termini solidaristici ha ritenuto che il dominus non possa tollerare che altri utilizzi il proprio immobile in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.
Se dunque l'ordinamento contempla un obbligo formale del proprietario di immobile di impedire reati edilizi commessi da altri, occorre verificare se ciò basti a fondare — sotto il profilo dell'elemento oggettivo — la responsabilità penale sub art. 40 comma 2 c.p.
4.2. (segue). La situazione soggettiva del proprietario quale «posizione di garanzia»exart. 40 comma 2 c.p.
Nella esegesi dell'art. 40 comma 2 c.p., ormai superata la (pur autorevole) tesi che pretendeva un obbligo extrapenale di fonte formale (30), anche a causa degli effetti paradossali in caso di invalidità del titolo ed apparendo minoritaria la posizione cd sostanzialistico funzionalistica che equipara gli obblighi ex lege ed ex contracto a quelli derivanti da mere situazioni fattuali (31), appare particolarmente condivisibile quella dottrina che arricchisce l'obbligo di agire (pur ancorato a una fonte formale) di un simmetrico complesso di poteri impeditivi, di vigilanza e di intervento sulla situazione di pericolo per il bene tutelato, preventivamente assegnati al garante per consentirgli di adempiere all'obbligo. Si afferma, infatti, sulla base del principio generale ad impossibilia nemo tenetur, e del principio costituzionale della responsabilità personale, che l'ordinamento può pretendere il compimento dell'azione doverosa, in quanto l'obbligato sia dotato di un effettivo potere di signoria sulla situazione fonte del pericolo (32)e che il potere sia preesistente alla situazione di pericolo (33). Si aggiunge che la differenza tra il garante e il soccorritore occasionale sta proprio la natura giuridica del potere impeditivo (34), ciò che, tra l'altro, consente anche di soddisfare il principio costituzionale di legalità (35). Si sostiene, in conclusione, che la posizione di garanzia-fondamento della responsabilità omissiva consti di doveri e poteri impeditivi, giuridicamente fondati e strettamente connessi tra loro.
Stando così le cose, occorre nettamente distinguere tra il proprietario immobiliare non committente che conserva il potere di fatto sulla res dal titolare della signoria dominicale privo del possesso: nel secondo caso occorre verificare se sussista quella simbiosi di doveri e poteri impeditivi sanciti da norme giuridiche che integra la «posizione di garanzia» di cui all'art. 40 comma 2 c.p.
Il proprietario che abbia conferito il bene in usufrutto ad altri, ossia il cd nudo proprietario, può fare costruzioni ma solo con il consenso dell'usufruttuario (arg. ex art. 983 comma 2 c.c.); deve effettuare le sole riparazioni straordinarie (arg. ex art. 1005 c.c.). Solo in tali casi ha il diritto di accedere nell'immobile; diversamente, non ha altro potere di controllo e verifica sulla res. Comunque, la legge non contempla alcun potere di intervento per impedire azioni antigiuridiche. Quanto detto vale anche nell'ipotesi di concessione in uso e di conferimento del diritto di abitazione (art. 1026 c.c.)
Analogamente il proprietario che abbia locato il bene è tenuto a mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto e garantirne il pacifico godimento (artt. 1575, 1585 c.c.), deve inoltre effettuare tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (art. 1576 c.c.). Benché in tali casi possa accedere nell'immobile, non gli è riconosciuto un potere «diretto» di intervento per impedire condotte antigiuridiche.
Di converso, il proprietario che abbia concesso la cosa in affitto ha il potere di accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l'affittuario osserva gli obblighi che gli competono (art. 1619 c.c.) ed è tenuto ad effettuare le riparazioni straordinarie (art. 1621 c.c.). Si può dubitare tuttavia che il potere di accesso implichi anche il potere di intervento per impedire condotte antigiuridiche afferenti la disciplina urbanistica: infatti gli obblighi espressi dell'affittuario riguardano infatti la conformità alla destinazione economica della cosa (art. 1615 c.c.) e non è detto che la edificazione abusiva di per sé pregiudichi tale finalità.
Dunque, salve specifiche pattuizioni contrarie, il proprietario non può accedere nell'immobile concesso in altrui godimento al fine di accertare, controllare, impedire.
Detto questo, residuano tuttavia poteri «indiretti» di impedimento della condotta antigiuridica altrui sul proprio fondo. Si fa riferimento, in particolare, alla denuncia di nuova opera (art. 1171 c.c.), strumento cautelare di antichissima origine, attribuito al proprietario, al titolare di altro diritto reale di godimento e al possessore per prevenire il pericolo di danno o di far cessare il danno in itinere derivante dall'avvio di una nuova opera realizzata sul fondo del denunciante o di un terzo. Laddove il legittimato passivo all'azione è colui che ha intrapreso l'iniziativa della costruzione, qualunque sia il titolo in virtù del quale intende compierla: proprietà, possesso, diritto reale.
A norma dell'art. 1171 c.c., che fa riferimento a nuova opera «da altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo», sembra indiscutibile che l'azione cautelare in parola possa riguardare anche la costruzione erigenda sul fondo del denunciante. La giurisprudenza civile di merito che ha giustificato la soluzione ha richiamato plurimi argomenti dell'interpretazione logica, storica, sistematica, ivi compresa l'assenza di rimedi diversi, una volta che il proprietario non disponga del potere di impedire l' accesso, mezzo più diretto e a carattere preventivo, per avere colui che ha intrapreso la costruzione diritto ad accedere al fondo, come l'affittuario, il locatario, il colono ecc. (36).
Né vale eccepire l'improponibilità della novi operis nunciatio a tutela della disciplina urbanistica posta a salvaguardia dell'interesse generale, dato che lo strumento cautelare, nel caso in esame, non è finalizzato a soddisfare un interesse legittimo, non tutelabile per il divieto di cui all' art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (37), bensì investe la posizione di diritto soggettivo del proprietario sul cui fondo la fabbricazione è in itinere.
Né rileva l'inevitabile contrasto tra l'immediatezza della edificazione e i tempi (comunque lunghi) della tutela giudiziaria, benché cautelare: ciò che interessa, qui, è sapere se il proprietario possa o non possa impedire l'altrui condotta penalmente rilevante.
In conclusione, il proprietario non possessore è gravato da un obbligo sorretto da adeguati poteri impeditivi giuridicamente fondati. Egli è quindi titolare di una posizione di garanzia nel senso tecnico del termine; di qui consegue la responsabilità per reati edilizi perpetrati dal terzo possessore. A maggior ragione alla medesima soluzione si deve pervenire qualora il proprietario conservi la disponibilità materiale e giuridica dell'immobile, laddove la legittimazione alla novi operis nunciatio si somma alla potestà diretta e di carattere preventivo di impedire l'accesso al fondo. E così non potrebbe escludersi la posizione di garanzia in capo al proprietario, rispetto a bene goduto da familiari (ad es. figli, generi ecc.) o compossessori precari.
4.3. (segue). La posizione di garanzia del comproprietario
Una volta ammessa l'esistenza di un obbligo impeditivo di reati in capo al proprietario, con riguardo a condotte abusive di terzi possessori, occorre accertare se il dominus non esclusivo disponga di idonei poteri nei confronti del terzo contitolare, autore di analoghi comportamenti sull'area in comunione.
La legge civile fornisce sufficienti indicazioni per pervenire ad una risposta affermativa. In base all'art. 1102 c.c., infatti, «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. ... Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso». Nei rapporti tra comproprietari, dunque, le innovazioni che danno alla cosa comune una diversa destinazione la distolgono dall'uso precedente e menomano il diritto soggettivo degli altri condomini; anche in tal caso il comproprietario che non volesse impedire «di fatto» l'accesso dell'omologo, autore della intrapresa costruzione, per evitare le possibili conseguenze di una opposizione diretta e anche violenta, potrebbe legittimamente rivolgersi al giudice con la denuncia di nuova opera per ottenere la sospensione dei lavori e la reductio in pristinum(38). Analogamente potrebbe agire l'amministratore di condominio, contro il singolo condomino che con la sua iniziativa avesse arrecato danno alle parti comuni o comunque avesse violato le pre scrizioni del regolamento condominiale, senza necessità di attendere l'autorizzazione dell'assemblea (39), in forza del potere conferitogli dall'art. 1130, n. 4, c.c.
In tal modo il potere si «abbina» al dovere e concorre a costituire quella «posizione di garanzia» fonte di responsabilità ex art. 40 comma 2 c.p.
Quanto detto vale, ovviamente, sia quando il comproprietario autore dell'illecito sia compossessore dell'area in comunione, sia quando costui sia possessore esclusivo, salvi i necessari distinguo in tema di elemento soggettivo e di prova.
4.4. (segue). Il problema del nesso di causalità
Ciò detto, perché il proprietario-possessore possa essere chiamato a rispondere del reato edilizio perpetrato da altri occorra accertare un ulteriore requisito della fattispecie omissiva: la efficienza condizionante rispetto alla concreta realizzazione del fatto criminoso altrui, da accertarsi secondo giudizio ex post, alla stregua dei comuni canoni di «certezza processuale» (40).
Se, come è stato affermato, il semplice consenso e la sola approvazione del proprietario ad un incarico conferito da altro proprietario o da altro detentore, non sono stati ritenuti idonei ad addurre un contributo causale alla realizzazione del fatto illecito (41), tanto più si dovrà giudicare inefficace dal punto di vista ideologico la «tolleranza» del proprietario rispetto alla ferma volontà dell'autore dell'illecito di proseguire il suo intento.
Alla opposta sicurezza espressa da sez. III, sentenza n. 7314 del 10 febbraio 2000, Isaia (42), secondo cui la semplice tolleranza, da parte di chi ha la disponibilità giuridica e di fatto del fondo, di un intervento dal quale deriva la trasformazione edilizia del fondo stesso pone in essere un contributo essenziale alla realizzazione dell'illecito, la dottrina e la giurisprudenza più garantistica eccepiscono che 1) il nesso di causalità deve essere accertato con rigore, e deve ritenersi sussistente quando con alta credibilità razionale l'azione omessa avrebbe impedito l'evento; 2) quando la condotta altrui sia idonea al più a rafforzare un proposito criminoso già formato il nesso di causalità è escluso dato che l'apporto è eziologicamente irrilevante; 3) la connivenza deve distinguersi in modo netto dal concorso penalmente rilevante e la prima sussiste propriamente nell'inerzia in cui si risolve la condotta del proprietario.
Dunque il problema dell'apporto causale della condotta omissiva antidoverosa del proprietario è lungi dall'essere risolto con formule di stile.
Nel contesto della teoria del concorso di persone, se è vero che «il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà» (43)e «anche la semplice presenza sul luogo dell'esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara ade sione alla condotta dell'autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all'azione e un maggiore senso di sicurezza» (44), ben difficilmente potrebbe sostenersi che l'inerzia del proprietario stimoli o anche semplicemente rafforzi la volontà criminosa di colui che già ha concepito, maturato e in parte concretizzato l'idea dell'abuso edilizio. Nella generalità dei casi, il reo saldo nel suo intento non può dirsi influenzato dal comportamento passivo altrui. Inoltre l'inerzia del proprietario non può rafforzare la volontà dell'autore materiale nei casi in cui questi non abbia neppure notizia della conoscenza della sua condotta da parte di quegli. Bene si afferma, dunque, che «la semplice condotta omissiva e connivente non è sufficiente a fondare un'affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato, occorrendo, a tal fine, che sussista un contributo materiale o psicologico che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente» (45). A rigori, leggendo le massime della Suprema Corte in tema di distinzione tra connivenza e concorso, sembrerebbe impossibile anche solo concepire un concorso omissivo nel reato commissivo altrui, perfino nel caso della presenza fisica sul luogo del delitto, che consiste pur sempre in un comportamento esteriore.
Le cose cambiano, tuttavia, se si fuoriesce dalla tematica del concorso di persone —sulla quale la giurisprudenza sembra indulgere, forse per la persistente difficoltà di concepire l'omissione come causa autonoma in termini strettamente normativi, anche in difetto della consapevolezza tra i correi del reciproco contributo causale (46)— e si concentra l'esame sull'omissione in quanto tale.
È opinione comune che la mancata opposizione di agenti di polizia alle azioni delittuose altrui in atto e la successiva omessa denuncia di fatti penalmente perseguibili, sia giuridicamente apprezzabile sotto il profilo concausale della produzione degli eventi, e, come tale, equivalga a concorso morale nel cagionarli, stante l'imperatività dell'obbligo giuridico inadempiuto (art. 40 comma 2 c.p.) (47).
Del pari, l'educatore (genitore, tutore, insegnante) che non impedisce il reato commesso dal figlio, dal pupillo, dall'allievo risponde, a titolo di omissione, del reato commissivo altrui.
Così ragionando, la condotta antidoverosa del proprietario che, pur potendolo, non impedisce l'abuso edilizio altrui, sul proprio fondo, deve essere valutata alla stregua di concausa dell'evento, così come, d'altra parte, si desume dalla lettera dell'art. 40 comma 2 c.p. (48).
In tal modo non interessa sapere se e quanto il comportamento passivo del dominus abbia inciso sull'intento criminoso altrui. Occorre valutare se tale condotta abbia avuto una efficacia (con)causale rispetto all'evento criminoso complessivamente considerato e in tale valutazione è necessario accertare se, ipotizzandosi l'effettuazione dell'azione doverosa ed omessa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento non avrebbe avuto luogo, secondo un giudizio di elevato grado di credibilità razionale.
L'indagine a questo punto si sposta sul concreto. E così, assume un peso decisivo il momento in cui il dominus è stato informato della condotta criminosa altrui e quindi è stato messo in condizione di attivare i poteri impeditivi. Appare verosimile che il comportamento passivo non presenti alcuna efficacia condizionante allorché il presupposto fattuale di attivazione dell'obbligo sorga in una fase avanzata dei lavori edili, così che non sussistano tempi e modi per fermare il processo causale sfociato nell'evento criminoso. Ex converso, l'inerzia protrattasi fin dall'inizio dei lavori può assumere un ruolo condizionante, allorché, coeteris paribus, si ritenga che la contraria azione doverosa possa ostacolarne efficacemente il prosieguo, all' uopo essendo sufficiente un alto grado di possibilità (49).
5. IL PROBLEMA DELL'ELEMENTO SOGGETTIVO (CENNI)
Residua poi la problematica relativa ai profili soggettivi della condotta del proprietario che tolleri sull'area di sua spettanza condotte criminose offensive del corretto assetto del territorio.
A questo proposito appare arduo ravvisare, in capo al proprietario che ignori (quanto meno) l'incipit della edificazione abusiva, una responsabilità a titolo omissivo colposo, in primis per il difetto di un fondamento positivo della colpa. Non potrebbe individuarsi infatti il profilo colposo nel fatto stesso dell'inadempimento del dovere di vigilare/impedire, posto che la norma in ottemperata è la base, come si è detto, della responsabilità omissiva (50). Occorre considerare poi che in tanto l'omissione può dirsi causalmente condizionante in quanto il proprietario sia informato della condotta altrui: come si è visto, infatti, l'azione reattiva potrebbe impedire l'evento solo se posta in essere con tempestività.
Si deve concludere, quindi, che in tanto il proprietario può rispondere a titolo di omissione della trasformazione edilizia posta in essere da altri sul proprio fondo, in quanto ne sia informato e quindi, ne abbia consapevolezza e volontà (quanto meno a titolo di dolo eventuale). Con ciò che ne consegue in punto di prova soprattutto della volontà, non potendosi desumere automaticamente quest'ultima dalla mera componente cognitiva. A rigori, infatti, la conoscenza della trasformazione edilizia in fieri prova la coscienza e volontà dell'omissione, ma non anche dell'evento della stessa, tranne nel caso in cui sussista una concreta posizione di interesse rispetto al manufatto finale. In tal senso, sarebbe difficile escludere la volontà del coniuge inerte, al cospetto dell'attività edilizia abusiva dell'altro coniuge, nel caso in cui operi il regime di comunione dei beni. Del pari, l'acquiescenza dovrebbe giudicarsi pienamente volontaria qualora sia il risultato, maturato prima dell'inizio dell'abuso o durante la sua realizzazione, di un accordo con il committente o con l'esecutore materiale; in tal caso, anzi, neppure potrebbe parlarsi di responsabilità omissiva, dovendosi applicare la disciplina del concorso attivo di persone.
6. CONCLUSIONI
La disamina della dottrina e della giurisprudenza, finora tratteggiata. dimostra come gli interpreti si siano soffermati prevalentemente sul problema dell'esistenza di un obbligo giuridico del proprietario di impedire i reati edilizi riferibili materialmente a soggetti terzi. È evidente che la soluzione negativa al quesito renderebbe superflue ulteriori disquisizioni. Sembra tuttavia che la Suprema Corte da ultimo sia propensa a superare la tradizionale posizione di chiusura, rifacendosi alla funzione sociale della proprietà, al generale principio del neminem laedere, all'esegesi dell'art. 40 cpv. c.p. in termini solidaristici, alla luce delle norme di cui agli artt. 2, 32 e 41 Cost. Se la nouvelle vague rappresentata da Cass., sez. IV, 3 febbraio 2009, Assante Di Ponzillo (cit.) dovesse trovare conferma, occorrerebbe tuttavia fornire risposta a quelle ulteriori questioni che la tesi contraria (e per ora prevalente) rende superflue: in che modo il proprietario può concretamente impedire un reato che il possessore del fondo è fermamente intenzionato a perpetrare ? in quali condizioni sussiste il dolo del proprietario inerte ? può parlarsi di concorso omissivo (del proprietario) nel reato commissivo (dell'autore dell'abuso edilizio)? Si tratta di quesiti, afferenti al nesso di causalità tra a condotta omissiva del proprietario e l'evento realizzato materialmente da altri e alla componente soggettiva dell'apporto del dominus che non risulta, per il momento, adeguatamente analizzati.
Ciò che è certo, è che i principali elementi sintomatici del concorso di persone, enucleati dalla giurisprudenza, riguardano casi di vera e propria contribuzione materiale (ad es. la vigilanza nella esecuzione dei lavori, la presenza in loco ai fini di sorveglianza) che nulla hanno a che fare con il caso che qui ci interessa in linea teorica, ossia l'inerzia del proprietario consapevole. Oppure condotte ex post (la richiesta di provvedimenti di sanatoria, l'acquiescenza rispetto a notifiche di provvedimenti di sequestro o di sospensione lavori, l'avvenuta presentazione di denuncia di opere di manutenzione ordinaria, il silenzio rispetto alla notifica del verbale di sequestro delle opere), che poco o punto dicono sul ruolo del dominus allorché il reato era in fieri (se non altro perché è lo stesso Testo Unico sull'Edilizia a prevedere espressamente che la procedura di sanatoria sia attivata «dal responsabile dell'abuso o dall'attuale proprietario dell'immobile» — art. 36 comma 1 T.U.E. —, con ciò dando per scontato che il proprietario possa non essere l'autore dell'abuso, ma possa nondimeno avere interesse alla sanatoria). Con la conseguenza che il massimo sforzo interpretativo della giurisprudenza, per il fatto di ricercare indici del concorso commissivo non può aiutare a risolvere i problemi conseguenti alla soluzione del quesito relativo all'esistenza di una responsabilità omissiva del proprietario. Trattasi, a ben vedere, di un terreno pressoché inesplorato, sul quale la scienza giuridica dovrà impegnarsi negli anni a venire.
Note
(1) Si riporta il testo dell'art. 6 l. 28 febbraio 1985, n. 47: «1. il titolare della concessione, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché a quelle della concessione ad edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per la esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso. 2 il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d'opera di cui all' art. 15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al sindaco. in caso contrario il sindaco segnala al consiglio dell'ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall'albo professionale da tre mesi a due anni. ]
(2) Ex pluribusCass., sez. III, 26 agosto 2004, n. 35084 inwww.lexambiente.it e Ced Cass., n. 229651 e Cass., sez. II, 24 novembre 1998, Stigliano, inCed Cass., n. 212022.
(3) Cass., sez. III. 28 febbraio 2007, Roberto, inCed Cass., n. 236183.
(4) Cass., sez. III, 13 maggio 1997, Petroni, inCed Cass., n. 208298; Cass., sez. III, 12 marzo 1999, n. 201 inCed Cass., n. 213170; Cass., sez. III, 14 giugno 1999, n. 7626 in Ced Cass., n. 213998; Cass., sez. III, 26 agosto 2004 n. 35084, inGiur. it., 2005, 6, 1268; Cass., sez. III, 28 febbraio 2007, Roberto, cit.,
(5) Cass., sez. III, 17 marzo 1981, n. 2377, inRiv. pen., 1981, 580; Cass., sez. III, 17 novembre 1988, n. 11106, inRiv. pen., 1989, 1093.
(6) Rezzonico,I reati edilizi. Il regime penale degli illeciti urbanistico-edilizi e ambientali, Milano, 1992, 56;Fiale,Diritto urbanistico, Napoli, 1988, 533.
(7) Cass. 8 gennaio 1980, inGiur. pen., 1980, II, 484; Cass., sez. III 28 aprile 2004, D'Ascanio, inCed Cass., n. 228888.
(8) Rezzonico,I reati edilizi, cit., 116.
(9) Cass., sez III, 12 gennaio 2007, Forletti, inCed Cass., n. 236081.
(10) Cass., sez. III, 5 luglio 2006, Laforè, inCed Cass., n. 235124.
(11) Cass., sez. III, 27 gennaio 2000, inRiv. giur. ed., 2001, 256.
(12) Cass., sez III 11, luglio 2007, n. 35631, inCed Cass., n. 237391.
(13) Cass., sez. III, 3 ottobre 2002, Caravello, inCed Cass., n. 222658; Trib. Torre Annunziata, sez. dist. Torre del Greco, 18 maggio 2005, n. 158 inGuida dir., 2005, f. 35, 105.
(14) Cass., sez. III, 20 gennaio 2004, n. 9536, Mancuso, inCass. pen., 2006, 1903; Cass., sez III, 27 ottobre 2008, n 40014, inwww.lexambiente.it
(15) Cass., sez. III, 12 aprile 2005, Rosato, inCed Cass., n. 231954.
(16) Cass., Sez. III 5 luglio 2006,Laforè, cit.
(17) InCed Cass., n. 243961 eUrb. e app., 2009, 1390 con nota (contraria) diScarcella,Obbligo giuridico di impedire l'evento e responsabilità del proprietario ex art. 41 Cost.; conforme Cass., sez. III, 29 gennaio 1988, inRiv. pen., 1989, 239, Cass., sez. III, 24 agosto 1988, Camasta, inCed Cass., n. 179106; Cass., sez. III, 12 luglio 1999, Cuccì inCed Cass., n. 215078 eCass. pen., 2000, 2751; Cass., sez. III, 14 ottobre 1999, Di Salvo, inCass. pen., 2001, 3518 con nota diTanda,Il proprietario del fondo concorre nel reato edilizio commesso da altri?; Cass., sez. III, 10 febbraio 2000, Isaia inCass. pen., 2002, 341 eCed Cass., n. 216970; Cass., sez. III, 12 novembre 2002, Bombaci, inCed Cass., n. 222969 eCass. pen., 2003, 3159. Conforme anche Cass., sez. III, 8 febbraio 1991, inForo it., 1991, II, 720 in tema di responsabilità del proprietario di area che tolleri lo sversamento di rifiuti. Vi è da rilevare, in ottica ancor più rigoristica, i giudici di legittimità, pur condividendo l'assunto relativo alla titolarità in capo al proprietario di un obbligo di impedire l'evento-reato, hanno inquadrato il fattosubart. 40 comma 1 c.p., ritenendo che il consentire ad un terzo l'esercizio dellojus aedificandicostituisca atto di diretta disposizione dellares;in tal senso Cass., sez. III, 26 ottobre 1999, n. 2770, Pepe, e Cass., sez. III, 14 luglio - 3 novembre 1999, Mureddu, inUrb. e app., 2000, 452ss. con nota di Canaia e inRiv. pen., 2000, 28.
(18) Cass., sez. III, 24 novembre 1988, Monechi, inCed Cass., n. 179777; Cass., sez. III, 20 maggio 1994, Castellaneta, inRiv. pen. ec., 1996, 120; Csss., sez., III, 13 luglio 1995, Valente, inCed Cass., n. 203542; Cass., sez. III, 27 ottobre 1995, Abbate, inCass. pen., 1997, 193; Cass., sez. III, 20 marzo 1996, Aprile, inCass. pen., 1574; Cass., sez. III, 20 giugno 1996, Carli, inCass. pen., 1997, 3197 eCed Cass., n. 206413; Cass., sez. III, 4 aprile 1997, Celi, inGiust. pen., 1998, II, 363 eCass. pen., 1998, 1479 eCed Cass., n. 208046; Cass., sez. III, 1 giugno 1998, Capraro, inCass. pen., 1999, 1585 e inUrbanistica e appalti, 1998, 1372; Cass., sez. III, 17 novembre 1998, Baccani, inGiust. pen., 1999, II, 506; Cass., sez. III, 30 novembre 1998, inRiv. pen., 1999, 46; Cass., sez. V, 11 novembre 1999, Giovannella, inGiust. pen., 2000, II, 287 eCed Cass., n. 214609; Cass., sez. III, 27 settembre 2000, n. 1085, Cutaia, inCed Cass., n. 216945 eCass. pen., 2001, 2178; Cass., sez. III, 21 luglio 2000, Molinaro inRiv. pen., 2000, 890; Cass., sez. III, 3 maggio 2001 n. 17752, Zorzi, inCed Cass., n. 219387 e Cass. sez. III, 10 agosto 2001, Gagliardi, inUrb. e app., 2001, 357 ss. con nota di Cingari; Cass., sez. III, 18 aprile 2003, n. 18756 inRiv. pen., 2004, 98; Cass., sez. III, 24 novembre 2003, n. 45061, inRiv. giur. ed., 2004, I, 761 eD&G, 2003, f. 45, 16 con nota di Natalini; Cass., sez. III, 17 maggio 2005, inRiv. giur. ed., 2006, 258; Cass., sez. III, 15 luglio 2005, inRiv. giur. ed., 2006, 463. Per un'ampia disamina,ex pluribus,Scarcella,Obbligo giuridico, cit., 1395 specialm. nt. 15.
(19) In Ced Cass., n. 238471.
(20) Ruga Riva,L'obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Rassegna giurisprudenziale sulla posizione di garanzia del proprietario e del pubblico ufficiale rispetto ai reati ambientali commessi da terzi, inwww.periti-industriali.firenze.it.
(21) Bresciano - Padalino Morichini,I reati urbanistici, Milano, 2000, 53;De Chiara,In tema di responsabilità dell' evento diritto sul terreno edificato che non abbia concorso nella costruzione, in questa Rivista, 1985, 467.
(22) Rodotà,Il terribile diritto, Bologna, 1990, 420.
(23) In questo sensoRescigno,Proprietà,dir. Priv, inEnc. dir., XXXVII, 1988, 277.
(24) Ex pluribus,Militerni,Proprietà privata, inIl diritto enciclopedia giuridica Il Sole 24 Ore, XII, 2008, 337.
(25) Tarello,La disciplina costituzionale della proprietà privata, Genova, 1973, 26 ss.
(26) Costantino,Contributo alla teoria della proprietà, Napoli, 1967, 25-29.
(27) Santoro-Passarelli,Presentazione, inAa. Vv.,Proprietà privata e funzione sociale, Padova, 1976, III s.
(28) C. cost. 21 aprile 1983, n. 127, inGiur. it., 1984, I, 889.
(29) Galgano,L'imprenditore, Bologna, 1980, 108-115.
(30) Ex pluribus,Spasari,L'omissione nella teoria della fattispecie penale, Milano, 1957, 178 ss;Vannini,Manuale di diritto penale, parte generale, Firenze, 1948, 137;Nuvolone,Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, 183;Caraccioli,Manuale di diritto penale, parte generale, Padova, 1998, 266 ss;Antolisei - Conti,Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2000, 255 ss.
(31) Pagliaro,Causalità e diritto penale, inCass. pen., 2005, 1037;Bettiol - Pettoello Mantovani,Diritto penale parte gen., Padova, 1986, 323;Fiandaca,Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, 162 ss.;Sgubbi,Responsabilità penale per omesso impedimento dell'evento, Padova, 1975, 118 ss.
(32) Leoncini,Reato omissivo, inIl diritto enciclopedia giuridica Il Sole 24 Ore, XIII, 39.
(33) Mantovani,Diritto penale parte gen., Padova, 2007, 157.
(34) Fiorella,IL trasferimento di funzioni nel diritto penale dell'impresa, Firenze, 1985, 203;Leoncini,Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, 74 s.
(35) Leoncini,Obbligo di attivarsi, cit., 70 ss.;Palazzo,Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2005, 240.
(36) Pret. Sulmona 17 luglio 1963, inRiv. giur. ed., 1963, I, 955. Conforme Pret. Veroli 3 luglio 1958, inMonit. trib., 1959, 559, in tema di costruzione iniziata dal colono sul fondo colonico contro il volere del concedente; Pret. Serra San Bruno 9 luglio 1952, inGiust. civ., 1952, I, 705, e Pret. Roma 31 dicembre 1957, inTemi romana, 1958, 295 in tema di costruzione intrapresa dal conduttore contro il volere del proprietario-locatore.
(37) Cass. civ., sez. un., 4 agosto 1992, n. 9235, inCed Cass., n. 478427, in tema di violazione del d.m. 1 aprile 1968 relativo ala distanza minima tra costruzione e ciglio stradale; Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 532, inCed Cass., n. 389837, in tema di opera lesiva di norme edilizie non integrative del codice civile; Pret. Roma 18 gennaio 1954, inGiust. civ., 1954, I, 250 in tema di violazione di regolamento comunale non integrativo delle disposizioni del codice civile; Pret. Borgo Val di Taro 8 ottobre 1979, ined. in tema di violazione del piano comunale di fabbricazione; Pret. Roma 24 agosto 1965, inRiv. giur. ed., 1966, I, 825 in tema di costruzione intrapresa in violazione del vincolo di in edificabilità previsto dal piano regolatore.
(38) In tal senso Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1962, n. 879 e Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1968, n. 1413, cit., inTedesco,Denuncia di nuova opera e di danno temuto, Milano, 2005, 73 s.
(39) Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1974, n. 1154 e Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1978, n. 4767, cit., inTedesco,Denuncia di nuova opera, cit., 74.
(40) In questi termini, da ultimo, Cass., sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, inCed Cass., n. 231671.
(41) Cass., sez. III, 26 settembre 2002, Licari, inCed Cass., n. 222511.
(42) Cit.
(43) Cass., sez. IV, 22 maggio 2007, Di Chiara, inCed Cass., n. 236853.
(44) Cass., sez. I, 11 marzo 1997, Perfetto, inCed Cass., n. 207582. Conforme Cass., sez. II, 5 maggio 1971, Fantasia, inCed Cass., n. 119993.
(45) Cass., sez. VI, 26 novembre 2002, Delle Grottaglie, inCed Cass., n. 222976.
(46) Ex pluribus, Cass. sez. IV, 22 novembre 1994, n. 2310, inCed Cass., n. 201244: «Perché una persona possa essere ritenuta concorrente nel reato non occorre un suo preventivo accordo criminoso con gli altri soggetti in quanto è sufficiente che la stessa abbia dato quanto meno un contributo agevolatore che abbia reso più facile la consumazione del reato».
(47) Cass., sez. II, 6 dicembre 1991, Viani, inCed Cass., n. 189762. Si esprime invece in termini di concorso di persone, la più remota sentenza Cass., sez. III, 18 giugno 1965, Deiana, inCed Cass., n. 099812 per cui «diverso dalla omessa denuncia di reato (art 361 c.p.) e il concorso nel reato per non averlo impedito, pur avendone l'Obbligo (art 40 c.p.). nel primo caso il pubblico ufficiale omette o ritarda di denunciare un reato di cui sia venuto a conoscenza; nel secondo caso, invece, egli non omette la semplice notizia, ma omette il doveroso comportamento positivo (impedimento del reato) che poteva materialmente attuare e che invece non ha attuato, concorrendo cosi al compimento del reato stesso, onde sussiste concorso nel delitto di furto nel caso dell'agente di polizia giudiziaria che — sia di concerto col ladro, sia senza tale concerto — sorprendendo il ladro medesimo, quando sta compiendo l'Azione criminosa, permetta che questa sia compiuta».
(48) In questi termini, Cass., sez. III, 12 luglio 1999, Cuccì A, cit.: «Il proprietario consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al comma 1 dell'art.40 c.p.».
(49) Cass., sez. IV, 6 dicembre 1990, Bonetti, inCed Cass., n. 191791: «Il giudice, avvalendosi del modello di sussunzione sotto leggi statistiche, ove non disponga di leggi universali, dirà che è "probabile" che la condotta dell'agente costituisca,caeteris paribus, una condizione necessaria dell'evento; probabilità che altro non significa se non "probabilità logica o credibilità razionale", la quale deve essere di alto grado, nel senso che il giudice dovrà accertare che, senza il comportamento dell'agente, l'evento non si sarebbe verificato, appunto, con alto grado di possibilità».
(50) Cass., sez. III, 12 maggio 1995, Pulvirenti, inCed Cass., n. 202948: «...Ai fini penali spetta al titolare dell'azione penale dimostrare — senza ricorrere a inversioni dell'onere probatorio — che il concorrente nel reato proprio abbia concretamente portato il suo contributo causale, o doloso o colposo. Nei casi in cui venga in rilievo la colpa, questa deve essere dimostrata anche giuridicamente: nel senso che, se si ipotizza una negligenza dell'extraneus, deve essere anche indicato il dovere specifico di diligenza che si assume violato; e quandol'extraneusnel reato proprio dell'illecito urbanistico-edilizio è il proprietario (o il comproprietario) non esiste un suo specifico dovere di vigilanza o di diligenza normativamente fondato».
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Tribunale Napoli 13 ottobre 2010