Cass. Sez. III n. 6840 del 15 febbraio 2024 (UP 21 dic. 2023)
Pres. Galterio Est. Reynaud Ric. Di Ciocco
Caccia e animali.Nozione di esercizio venatorio
Nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza del 3 ottobre 2022, il Tribunale di Isernia ha pronunciato sentenza di assoluzione per particolare tenuità del fatto nei confronti di Di Ciocco Gino in relazione al reato di cui agli artt. 13, comma 1, e 30, comma 1, lett. h) l. n. 157/1992, per avere praticato la caccia con mezzo vietato costituito da un fucile a canna liscia contenente all’interno del serbatoio sette munizioni in eccesso rispetto al limite di due munizioni. Il Tribunale disponeva inoltre la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
2. Avverso la sentenza, a mezzo di difensore fiduciario iscritto nell’albo dei cassazionisti, l’imputato ha presentato appello, lamentando il travisamento del fatto storico e l’inconfigurabilità del contestato reato per manifesta assenza dell’elemento oggettivo. Si lamenta, in particolare, che, al momento dell’accertamento del fatto, l’imputato non stava esercitando la caccia, ma era seduto al lato guida della sua autovettura in attesa dell’arrivo dei suoi compagni di squadra per recarsi con loro a pranzo in occasione della fine della campagna venatoria. Egli aveva portato con sé il fucile rivenuto in suo possesso non per utilizzarlo per la caccia, ma solo per mostrarlo agli altri membri della squadra. La valutazione operata dal giudice di prime cure sarebbe dunque contraria alla giurisprudenza di legittimità, che richiede indici oggettivi per dedurre univocamente l’esercizio dell’attività venatoria. L’appellante concludeva, pertanto, chiedendo l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto e il dissequestro del fucile e delle munizioni.
3. La Corte di appello di Campobasso, avendo correttamente riconosciuto l’inappellabilità della sentenza da parte dell’imputato ai sensi dell’art. 593, commi 1, cod. proc. pen. – non trattandosi di sentenza di condanna – ha trasmesso gli atti a questa Corte a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen. L’esame dell’impugnazione e dei motivi dedotti quali più sopra riassuntivamente riportati, tuttavia, non consente di ritenere che l’appello possa essere convertito in ricorso per cassazione e, in ogni caso, che la stessa sia come tale ammissibile.
Il rilievo vale, evidentemente, anche in relazione al punto della decisione concernente la disposta confisca, rispetto al quale – come pure lo stesso imputato riconosce nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza – l’art. 579 cod. proc. pen. consente l’impugnazione con lo stesso mezzo previsto per i capi penali.
3.1. Ed invero, in tema di conversione dell'impugnazione, l'appello erroneamente proposto avverso sentenza non impugnabile in sede di merito non si converte automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo - al di là dell'apparente "nomen juris" - alle reali intenzioni dell'impugnante ed all'effettivo contenuto dell'atto di gravame, con la conseguenza che, ove dall'esame di tale atto si tragga la conclusione che l'impugnante abbia effettivamente voluto il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l'appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 5, n. 55830 del 08/10/2018, Eliseo, Rv. 274624; Sez. 2, n. 41510 del 26/06/2018, Colorisi, Rv. 274246; Sez. 3, n. 21640 del 18/12/2017, dep. 2018, Lomagistro e aa., Rv. 273149). In particolare – reputa il Collegio – in casi come quello in esame deve ritenersi che l’impugnante abbia effettivamente voluto proporre l’appello quando le censure si limitino a contestazioni sul merito della decisione, chiedendone la riforma, e non siano specificamente riconducibili ai motivi deducibili invece con il ricorso per cassazione.
3.2. Nel caso di specie ricorre la descritta situazione e, comunque, l’impugnazione non soddisfa i requisiti di specificità richiesti dall’art. 581, comma 1, cod. proc. pen. in relazione ai motivi deducibili nel giudizio di legittimità ex art. 606, comma 1, cod. proc. pen.
Ed invero, in diritto va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nella nozione di esercizio venatorio non rientrano esclusivamente la cattura e l'uccisione della selvaggina, ma anche l'attività preliminare e la predisposizione dei mezzi ed ogni altro atto diretto alla cattura e all'abbattimento in tal senso qualificabile dal complesso delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso viene posto in essere (Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello, Rv. 265401). Questa valutazione, tuttavia, spetta soltanto al giudice di merito poiché alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
L’impugnante non articola in modo specifico alcun vizio di violazione di legge o di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ma l’imputato si limita a proporre censure (in larga misura anche generiche) concernenti il merito della decisione sui punti più sopra indicati chiedendone al giudice d'appello la riforma previo accertamento che, al momento del controllo, l'imputato non fosse intento all'esercizio dell'attività venatoria. Una doglianza, dunque, estranea al perimetro del sindacato di legittimità.
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte l’abbia proposta senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21 dicembre 2023.