Corte Costituzionale sent.189 del 24 luglio 2015
Oggetto: Edilizia e urbanistica - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Misure per il rilancio delle infrastrutture - Finanziamento per il Programma "6000 Campanili" concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici - Previsione che con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) sono disciplinati i criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del Programma; Edilizia e urbanistica - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Modifiche al testo unico in materia edilizia - Definizioni degli interventi edilizi - Previsione che sono considerati interventi di nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, ... che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto" - Ricorso proposto ove la disposizione censurata fosse interpretata nel senso di determinare l'attrazione degli interventi suddetti nell'alveo della disciplina edificatoria di spettanza statale, con conseguente necessità del previo ottenimento del permesso a costruire;
Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - Previsione che una quota dei proventi derivanti dalla dismissione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali sia destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - non fondatezza - inammissibilità
SENTENZA N. 189
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 19 ottobre 2013, depositato in cancelleria il 29 ottobre 2013 ed iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Daniela Palumbo, Luigi Manzi ed Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19 ottobre 2013 e depositato nella cancelleria della Corte il 29 ottobre 2013, la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
1.1.– La Regione Veneto premette che l’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013 è impugnato nella parte in cui prevede la stipula di una convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) per la determinazione dei criteri relativi all’assegnazione di finanziamenti statali a favore di interventi realizzati dai Comuni ricompresi nel Programma denominato «6000 Campanili», disciplinando, nel contempo, i requisiti dei beneficiari e i limiti di spesa, nonché l’importo ammissibile del contributo per singolo progetto.
Tale norma, infatti, che destina «l’importo di 100 milioni di euro per l’anno 2014, da iscriversi nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti […] alla realizzazione del primo Programma “6000 Campanili” concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio» (primo periodo), statuisce espressamente che «[p]ossono accedere al finanziamento solo gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207» (secondo periodo); e che «[e]ntro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale – e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono disciplinati i criteri per l’accesso all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del Programma. I Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e i comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, per il tramite dell’ANCI, presentano entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della sopra citata convenzione, le richieste di contributo finanziario al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il contributo richiesto per il singolo progetto non può essere inferiore a 500.000 euro e maggiore di 1.000.000 di euro e il costo totale del singolo intervento può superare il contributo richiesto soltanto nel caso in cui le risorse finanziarie aggiuntive necessarie siano già immediatamente disponibili e spendibili da parte del Comune proponente. Ogni Comune può presentare un solo progetto. Il Programma degli interventi che accedono al finanziamento è approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti» (terzo, quarto, quinto e sesto periodo).
Il legislatore statale, nel disciplinare una «procedura standardizzata di coordinamento interistituzionale», che coinvolge, da un lato, i Comuni e, dall’altro, il Ministero competente, ed è orientata alla razionalizzazione delle modalità di individuazione e realizzazione degli interventi, escluderebbe radicalmente qualsiasi partecipazione dell’amministrazione regionale. Quest’ultima verrebbe invece relegata al ruolo secondario ed eventuale di soggetto istituzionale solo incidentalmente suscettibile di intervento nel singolo procedimento amministrativo, laddove invece l’ANCI sarebbe investita di fondamentali compiti istituzionali, in quanto chiamata a determinare, in posizione paritetica con il Ministero competente, i criteri di assegnazione dei finanziamenti.
Da ciò discenderebbe la violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., considerato che la norma impugnata determinerebbe l’irragionevole estromissione della Regione dai procedimenti di individuazione e realizzazione degli interventi, nonché da quelli di determinazione dei criteri ai fini dell’erogazione dei contributi. In particolare, la predetta norma impugnata, intervenendo nell’ambito del «governo del territorio», di potestà legislativa concorrente, pregiudicherebbe l’esercizio di competenze legislative e amministrative della Regione, le quali si configurerebbero, nella specie, come necessarie e aggiuntive rispetto all’attività di mera selezione amministrativa dei progetti da parte dell’organismo statale di riferimento, ledendo, conseguentemente, gli artt. 117 e 118 Cost.
La Regione ricorrente deduce, altresì, la violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., perché la menzionata estromissione delle Regioni da un procedimento amministrativo preordinato all’assegnazione delle risorse per la realizzazione di interventi che incidono sulla materia del governo del territorio, «ove è radicato l’intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione […], si configura come […] lesiva della totalità delle competenze regionali esistenti in materia, particolarmente se avviene in assenza di un’intesa istituzionale sul punto», obbligatoria anche nel caso in cui si ritenesse che la disposizione impugnata fosse espressione di un’attrazione in sussidiarietà.
La norma impugnata violerebbe, inoltre, sia il principio di sussidiarietà cosiddetta “verticale” «ai sensi degli artt. 5 e 118 della Costituzione», sia il principio di sussidiarietà cosiddetta “orizzontale”, di cui all’art. 118, quarto comma, Cost., oltre all’art. 117, terzo comma, Cost.
Infatti, ove i menzionati «fondamentali compiti istituzionali» fossero stati attribuiti all’ANCI «in posizione di “sussidiarietà verticale”», tale principio risulterebbe violato dal momento che detta associazione non rientrerebbe tra gli enti tassativamente indicati nell’art. 114 Cost. e, quindi, non potrebbe essere considerata soggetto abilitato ad esercitare funzioni amministrative a detto titolo.
Qualora, invece, i medesimi «fondamentali compiti istituzionali» fossero stati attribuiti all’ANCI in «posizione di “sussidiarietà orizzontale”», la lesione di quest’ultimo principio deriverebbe dalla circostanza che, da un lato, la stessa associazione non rientrerebbe tra le cosiddette autonomie funzionali, di natura pubblico-privata, che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimamente destinatarie di funzioni amministrative, dall’altro, non sarebbe portatrice di quell’interesse generale indispensabile ai fini dell’attribuzione delle richiamate funzioni amministrative nei procedimenti di accesso degli enti locali ai fondi pubblici, in quanto conserverebbe una dimensione privatistica che non consentirebbe di identificarla con un ente pubblico, difettando, per di più, del requisito della terzietà. E ciò con la conseguenza che la disposizione impugnata determinerebbe l’assegnazione a tale associazione di poteri confliggenti con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni dagli artt. 117, comma terzo, e 118, della Carta fondamentale.
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata è, poi, ravvisato dalla Regione ricorrente nella violazione dell’art. 97 Cost., in relazione ai princípi del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. Infatti, l’ANCI ‒ in quanto associazione di natura privata, non assistita da un’adeguata autonomia organizzativa e finanziaria assimilabile a quella degli enti territoriali – difetterebbe dei caratteri di imparzialità che dovrebbero viceversa connotare l’«intermediario» tra Stato e Comuni nell’esercizio delle funzioni relative al governo del territorio di cui si controverte nel presente giudizio.
Infine, viene denunciato il contrasto con l’art. 119 Cost. in quanto la norma impugnata inciderebbe sull’erogazione di risorse finanziarie a favore dei Comuni «con modalità disarmonica rispetto alla Carta fondamentale».
1.2.– Con un secondo ordine di motivi, la ricorrente Regione Veneto impugna l’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013, il quale, novellando l’art. 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), ricomprende tra gli interventi di nuova costruzione, soggetti al permesso di costruire, «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti». Ad avviso della Regione, infatti, ove tale norma fosse interpretata nel senso di includere tra gli interventi di nuova costruzione ‒ per i quali è richiesto il permesso di costruire ‒ anche l’installazione degli indicati manufatti, «con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti», sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Infatti, «l’attrazione al contesto proprio della legislazione statale in materia edilizia anche degli anzidetti interventi», li sottrarrebbe alla competenza legislativa regionale, di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., ledendola in specie con riguardo alla materia del turismo.
Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione ricorda che la disposizione in esame è stata successivamente modificata dall’art. 10-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80. Nel nuovo testo la norma in esame stabilisce che i predetti interventi sono «di nuova costruzione» e quindi soggetti al permesso di costruire, «e salvo che» (e non più «ancorché») «siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti», con conseguente completo sovvertimento del senso e della portata del precetto normativo. Pertanto, la Regione ricorrente chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
1.3.– La Regione Veneto censura, infine, l’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a favore del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sulla quota del 10 per cento delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile delle Regioni.
In tal modo esso violerebbe l’art. 117 Cost., in relazione alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», e l’art. 119 Cost., in quanto, travalicando la potestà di coordinamento statale – che ben consente di imporre ad un ente territoriale di destinare quote dei proventi ricavabili dalla dismissione dei «propri» beni pubblici a coprire il «proprio» debito e le «proprie» spese di investimento – imporrebbe invece la destinazione di tali proventi ad un fondo di spettanza statale in via prioritaria rispetto alle spese di investimento dell’ente medesimo, indipendentemente dalla necessità o meno delle stesse, in contrasto, in particolare, con il sesto comma dell’art. 119 Cost. Né il richiamo alla promozione di «iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale» consentirebbe di ricondurre all’art. 119, quinto comma, Cost. il titolo di competenza della norma impugnata. Il parametro costituzionale richiamato, infatti, ben potrebbe legittimare interventi del legislatore statale volti ad istituire fondi in favore degli enti territoriali per garantire «risorse aggiuntive statali» e «interventi speciali statali», ma non consentirebbe di ricondurre a detto ambito norme statali che prevedano la «soluzione inversa» circa la costituzione di fondi statali implementati da «risorse aggiuntive territoriali» e «interventi speciali degli enti territoriali».
Detto articolo si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 42 Cost. «relativo alla proprietà pubblica degli enti dello Stato», perché, estendendo «il medesimo ordine di priorità di destinazione delle risorse» derivanti dall’alienazione degli immobili «di proprietà dello Stato e successivamente trasferiti agli enti territoriali» alla destinazione delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, cioè di «beni propri delle autonomie territoriali», perciò naturalmente sottratti a detto regime di destinazione, scardinerebbe «il concetto di proprietà di cui all’articolo 42 della Costituzione».
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto sia dichiarato inammissibile o, nel merito, infondato.
2.1.– Quanto alla questione promossa in relazione all’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la norma impugnata sia riconducibile all’ambito materiale del «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente, nel quale alla Regione spetta dettare la disciplina nei limiti dei principi fondamentali posti dal legislatore statale.
Da ciò seguirebbe che la disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che «[p]ossono accedere al finanziamento solo gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207», farebbe espressamente salvi gli interventi autorizzatori previsti anche dalle leggi regionali, in conformità ai parametri costituzionali evocati dalla ricorrente.
La norma censurata, richiamando soltanto l’adeguamento, la ristrutturazione e la costruzione di nuovi edifici, includendo anche gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, sarebbe espressione di un titolo di competenza legislativa statale, e farebbe salvi comunque gli interventi autorizzatori previsti dalle singole leggi regionali.
2.2.– Quanto alla questione promossa in relazione all’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013, l’Avvocatura generale dello Stato precisa che la norma impugnata modifica l’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione alla definizione di «interventi di nuova costruzione», estendendo l’ambito operativo della disposizione novellata, in quanto qualifica come interventi di nuova costruzione anche i manufatti o le altre strutture che sono «installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma censurata si limiterebbe pertanto ad intervenire sul rilievo urbanistico dei manufatti leggeri, roulottes, campers, imbarcazioni, case mobili, sicché la circostanza che gli stessi siano generalmente collocati in strutture ricettive (quali villaggi turistici e aree attrezzate per campeggio) non potrebbe comunque legittimare un’attività edificatoria libera da ogni regola urbanistica. Da ciò seguirebbe l’infondatezza della questione.
2.3.– Quanto alla questione promossa in relazione all’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che l’ente territoriale che intenda procedere alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare versi al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato il 10 per cento dell’importo netto ricavato dall’alienazione, determinerebbe una compressione dell’autonomia finanziaria della Regione limitata al (solo) 10 per cento di quanto ricavato dalle operazioni di dismissione. La destinazione dei proventi a fini di riduzione del debito pubblico statale da essa imposta risponderebbe all’obbligo generale di solidarietà, previsto dall’art. 2 Cost., tanto più rilevante nella particolare ed eccezionale congiuntura che affligge la finanza pubblica.
3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni contenute nelle memorie scritte.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto dubita della legittimità costituzionale degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
2.– In primo luogo, la Regione ricorrente impugna l’art. 18, comma 9, nella parte in cui stabilisce che i criteri per l’accesso dei Comuni all’utilizzo delle risorse di cui al Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinate alla realizzazione del primo Programma «6000 Campanili», concernente una serie di interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, sono definiti con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Tale norma è impugnata in quanto, nella parte in cui estromette la Regione dai procedimenti di individuazione e realizzazione di interventi riconducibili all’uso del suolo, che è ascrivibile alla materia «governo del territorio» ‒ di competenza legislativa regionale concorrente – nonché da quelli di determinazione dei criteri ai fini dell’erogazione dei contributi necessari alla realizzazione dei medesimi interventi, pregiudicherebbe «l’esercizio delle competenze legislative e amministrative» regionali, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. ed inciderebbe sull’erogazione di risorse finanziarie a favore dei Comuni secondo modalità contrastanti con l’art. 119 Cost.
L’art. 18, comma 9, è, poi, impugnato per violazione del principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, ai sensi degli artt. 5 e 118 Cost., in quanto attribuirebbe il compito di determinare i criteri di assegnazione dei finanziamenti, in posizione paritetica con il competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, piuttosto che alle Regioni, all’ANCI, che non sarebbe soggetto abilitato ad esercitare funzioni amministrative, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. L’ANCI, infatti non rientrerebbe né tra gli enti tassativamente indicati nell’art. 114 Cost., né tra gli organismi privati o gli enti funzionali legittimati a svolgere attività di interesse generale ai sensi dell’art. 118, quarto comma, Cost.
Essa, inoltre, lederebbe il principio di leale collaborazione, «di cui all’art. 120 della Costituzione», per la mancata previsione di un’intesa, obbligatoria anche nel caso in cui si ritenga che la disposizione impugnata sia espressione di un’attrazione in sussidiarietà.
La predetta norma violerebbe altresì l’art. 97 Cost., in relazione ai princípi del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione, in quanto l’ANCI difetterebbe dei caratteri di imparzialità che dovrebbero viceversa connotare l’«intermediario» tra Stato e Comuni nell’esercizio delle funzioni relative al governo del territorio di cui si controverte nel presente giudizio.
2.1.– In linea preliminare, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, promossa in relazione all’art. 97 Cost., deve essere dichiarata inammissibile.
2.1.1.– Questa Corte ha più volte affermato che, nei giudizi in via principale, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato in riferimento a parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative «soltanto qualora la violazione di questi comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, sia possibile verificare la ridondanza delle asserite violazioni sul relativo riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione» (sentenza n. 36 del 2014; fra le tante, sentenze n. 237 del 2009, n. 289 del 2008).
Nel caso di specie la ricorrente non ha fornito alcuna motivazione in ordine all’incidenza della pretesa lesione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Ciò integra l’inammissibilità della questione promossa con riferimento al citato parametro costituzionale.
2.2.– Nel merito, le questioni promosse in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost. non sono fondate.
2.2.1.– La disposizione impugnata è contenuta nell’art. 18 del d.l. n. 69 del 2013, rubricato «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», il quale prevede una serie di interventi, adottati in via d’urgenza in ambiti di competenza statale esclusiva, accomunati dalla necessità di portare a compimento opere infrastrutturali di particolare rilevanza strategica, nonché finalizzati al completamento di specifici nodi delle reti viarie. Per assicurare gli obiettivi richiamati, nonché la messa in sicurezza di edifici pubblici di particolare rilevanza (art. 18, commi da 1 a 8-septies, del d.l. n. 69 del 2013), ad esempio scolastici, sono stabilite autorizzazioni di spesa su appositi fondi.
Nell’ambito dei richiamati interventi, la norma impugnata (comma 9) provvede a stanziare, solo per l’anno 2014, in via del tutto eccezionale ed in deroga alle procedure previste dal comma 2 dello stesso art. 18, l’importo di 100 milioni di euro, da iscriversi nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinato alla realizzazione del Programma «6000 Campanili», riservato soltanto ai «Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, [alle] unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e [ai] comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti».
Tale programma concerne «interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio».
Si tratta, in altri termini, di una serie di interventi, incidenti su vari ambiti, di competenza statale e regionale (fra cui la tutela dell’ambiente, il governo del territorio, la protezione civile, l’ordinamento della comunicazione, la tutela della salute), ma essenzialmente riconducibili a lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza del territorio, di cui si è inteso rendere possibile la realizzazione nei piccoli Comuni grazie all’erogazione di un contributo statale straordinario per il solo anno 2014, analogo a quelli previsti dal decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42) proprio «in conformità al quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione e in prima attuazione dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42» (art. 1).
La norma impugnata – che, peraltro, ha avuto completa attuazione a seguito dell’adozione del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 agosto 2013, n. 317 (Approvazione della Convenzione 29 agosto 2013 MIT-ANCI, disciplinante i criteri per l’accesso all’utilizzo delle risorse del primo Programma «6000 Campanili»), nonché del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 27 dicembre 2013 (Approvazione dell’elenco degli interventi ammessi al finanziamento del Primo Programma «6000 Campanili») e del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 13 febbraio 2014, n. 46 (Approvazione dell’elenco degli interventi ammessi al Primo Programma «6000 Campanili» e finanziati dalla legge di stabilità del 27 dicembre 2013, n. 147) – stabilisce, dunque, uno degli interventi speciali previsti dall’art. 119, quinto comma, Cost., in linea con la giurisprudenza costituzionale.
Questa Corte ha formulato una serie di criteri di individuazione dei suddetti interventi speciali, la cui assenza renderebbe il ricorso a finanziamenti statali ad hoc «uno strumento indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 16 del 2004; nonché, conformemente, sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del 2004). Tali interventi speciali devono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento normale delle funzioni amministrative spettanti all’ente territoriale (art. 119, quarto comma, Cost.), devono riferirsi alle finalità di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a «scopi diversi» dal normale esercizio delle funzioni, infine devono essere indirizzati non già alla generalità degli enti territoriali, bensì a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali (sentenze n. 79 del 2014, n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013, n. 176 e n. 71 del 2012).
Nella specie le richiamate condizioni sono soddisfatte.
La norma impugnata, nella parte in cui dispone lo stanziamento di 100 milioni di euro soltanto per l’anno 2014 per la realizzazione dei suddetti lavori di manutenzione straordinaria e di messa in sicurezza del territorio nei Comuni con meno di 5.000 abitanti, che abbiano specifiche caratteristiche la cui determinazione è rimessa a decreti ministeriali, delinea un intervento aggiuntivo rispetto al finanziamento delle funzioni amministrative ordinarie delle Regioni, connotato da scopi di perequazione e garanzia. Esso, infatti, dispone l’erogazione di un contributo statale straordinario in vista della necessità di assicurare la realizzazione di infrastrutture e lo svolgimento di attività indispensabili ad agevolare la circolazione e la comunicazione, la messa in sicurezza del territorio e la tutela della incolumità pubblica, in quei comuni con meno di 5.000 abitanti che, per conformazione geografica e scarsità di risorse, non sarebbero in grado di garantire in modo adeguato l’assolvimento dei predetti compiti. Si tratta, dunque, di un legittimo intervento del legislatore statale volto a destinare risorse aggiuntive in favore di determinate categorie di Comuni, al fine di correggere o attenuare particolari squilibri e garantire un livello uniforme di servizi alla persona (sentenza n. 176 del 2012).
2.3.– Del pari non fondate sono le questioni promosse con riferimento al principio di sussidiarietà orizzontale e verticale, in riferimento agli artt. 5 e 118 Cost., nei riguardi del medesimo art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui assegnerebbe all’ANCI uno specifico ruolo nel procedimento di erogazione del contributo statale, lesivo delle attribuzioni regionali.
2.3.1.– Occorre premettere che, in relazione ad un intervento statale “speciale” ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., come quello delineato dalla norma impugnata, spetta al legislatore statale la scelta dello schema procedimentale ritenuto più adeguato a assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi di volta in volta perseguiti nello stanziare i relativi fondi.
Nella specie, l’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013 stabilisce che «con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale – e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono disciplinati i criteri per l’accesso all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno parte del Programma» (secondo periodo). Esso prevede altresì che «[i] Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e i comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, per il tramite dell’ANCI, presentano entro 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della sopra citata convenzione, le richieste di contributo finanziario al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» (terzo periodo).
In tal modo, la citata norma, in vista del predetto scopo di assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi perseguiti nello stanziare i fondi, attribuisce all’ANCI, in quanto «associazione esponenziale» (sentenza n. 337 del 2001) dei Comuni, da un lato, compiti propositivi ed istruttori in ordine alla determinazione dei criteri di assegnazione dei finanziamenti, criteri che vengono poi definiti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con apposito decreto, sia pure sulla base della convenzione preventivamente stipulata con l’ANCI (secondo periodo); dall’altro, funzioni di mero supporto ed assistenza in favore dei piccoli Comuni destinatari del finanziamento, al fine di agevolarne la presentazione delle domande (terzo periodo).
Come affermato con riguardo a disposizioni che riservavano all’ANCI significative funzioni nella fase propositiva ed istruttoria di analoghi schemi procedimentali, anche in relazione alla norma oggi impugnata, occorre rilevare che essa si limita a consentire anche la partecipazione dei Comuni, fra i quali vi sono gli enti destinatari del finanziamento, alla fase istruttoria, senza sottrarre, con ciò, alle Regioni alcuna competenza. La previsione della «partecipazione nella fase istruttoria di tutte le soggettività pubbliche interessate alla successiva decisione è ben lungi dal ledere alcuna competenza regionale» (sentenza n. 337 del 2001; nello stesso senso anche sentenza n. 232 del 2009).
2.4.– Anche la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti del medesimo art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, in riferimento al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., non risulta fondata.
2.4.1.– La Regione Veneto lamenta la lesione del richiamato principio, sulla base del presupposto che la disciplina di cui alla norma oggetto del giudizio debba ricondursi alla materia «governo del territorio», rispetto alla quale «è radicato l’intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione», cosicché la scelta di escludere l’amministrazione regionale da qualsiasi attività connessa alla realizzazione degli interventi sarebbe lesiva della «totalità delle competenze regionali esistenti in materia, particolarmente se avviene in assenza di un’intesa istituzionale sul punto». In via subordinata, la pretesa lesione del principio di leale collaborazione è motivata sulla base del diverso presupposto che la disposizione impugnata sia espressione di chiamata in sussidiarietà di funzioni, in relazione alla quale egualmente si impone il raggiungimento di un’intesa.
Entrambi i presupposti sono errati, considerato che, nella specie, non si tratta né di una disciplina incidente sul «governo del territorio», né di un’ipotesi di attrazione in sussidiarietà allo Stato di una competenza amministrativa regionale, quanto piuttosto, come si è già chiarito supra al punto 2.2., di un intervento speciale dello Stato a fini di perequazione e garanzia adottato in attuazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., strutturalmente e concettualmente diverso.
Ne consegue che gli argomenti addotti dalla Regione ricorrente a sostegno della dedotta violazione del principio di leale collaborazione risultano privi di fondamento, in quanto riferiti a fattispecie diverse da quella alla quale deve ricondursi la norma impugnata.
3.– La Regione Veneto promuove, inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013. Quest’ultimo, che ha novellato l’art. 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), ove sia inteso nel senso di includere tra gli interventi di nuova costruzione ‒ per i quali è richiesto il permesso di costruire ‒ l’installazione di «manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee», «ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti», sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo e quarto comma, in quanto sottrarrebbe illegittimamente i richiamati interventi alla competenza delle Regioni in specie in materia di turismo.
3.1.– In via preliminare, occorre rilevare che la norma impugnata è stata modificata dall’art. 10-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, che ha sostituito, all’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, la parola «ancorché» con le parole «e salvo che».
Per effetto della modificazione sopravvenuta, il vigente art. 3, comma 1, lett. e.5), del richiamato d.P.R. n. 380 del 2001 ha ridefinito nei seguenti termini gli «interventi di nuova costruzione» del testo unico dell’edilizia (per i quali è richiesto il permesso di costruire): «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti».
Nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Veneto ha osservato che le modificazioni apportate alla disposizione impugnata dal richiamato art. 10-ter, del d.l. n. 47 del 2014, garantiscono il «completo sovvertimento del senso e della portata del precetto normativo» originariamente censurato, con ciò superando i rilievi di illegittimità costituzionale formulati, e ha concluso che sussistono, pertanto, i requisiti affinché la Corte possa dichiarare la cessazione della materia del contendere.
3.1.1.– Tale assunto risulta privo di fondamento.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, le modificazioni delle norme impugnate determinano la cessazione della materia del contendere alla duplice condizione della sopravvenuta abrogazione o modificazione della disciplina censurata in senso satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, nonché della mancata applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (fra le tante, sentenze n. 269 e n. 68 del 2014, n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012, n. 325 del 2011).
Nella specie, la sopravvenuta modifica normativa appare pienamente satisfattiva delle pretese della Regione ricorrente, in quanto – come riconosciuto dalla medesima Regione – l’inserimento della locuzione «e salvo che», al posto di «ancorché», sovvertendo il senso della norma impugnata, esclude che siano riconducibili agli «interventi di nuova costruzione», i richiamati manufatti leggeri, con temporaneo ancoraggio al suolo, posti all’interno di strutture ricettive all’aperto, «in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti», con ciò facendo espressamente salve le competenze regionali.
All’opposto, non si configura l’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore della norma impugnata. Infatti, l’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013 è stato inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 20 agosto 2013), entrata in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione (21 agosto 2013). L’art. 10-ter del d.l. n. 47 del 2014, è stato inserito dalla legge di conversione 25 maggio 2014, n. 80 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 maggio 2014), entrata in vigore il 28 maggio 2014, sicché la norma impugnata è rimasta in vigore per circa otto mesi, durante i quali non è stata fornita alcuna dimostrazione che non sia stata applicata.
Pertanto, il richiesto scrutinio di legittimità costituzionale della norma censurata deve essere condotto nel merito.
3.2.– Nel merito, la questione è fondata.
La norma impugnata si inserisce nell’ambito della disciplina urbanistico-edilizia, dettata dal legislatore statale all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, in tema di realizzazione di strutture mobili configurate come «interventi di nuova costruzione», in quanto tali subordinati al conseguimento di specifico titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire.
Con riferimento a tale disciplina questa Corte ha già avuto occasione di osservare che essa, la quale deve essere ricondotta alla materia del «governo del territorio» di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., «sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario» (sentenza n. 278 del 2010). Quanto a quest’ultimo si è, poi, precisato che «[i]l discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è dato dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso» (sentenza n. 278 del 2010).
Su tali premesse, è stata allora dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma statale che escludeva che le installazioni ed i rimessaggi di mezzi mobili di pernottamento (campers, roulottes, case mobili ed altro), anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro di strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, fossero attività rilevanti sul piano urbanistico ed edilizio, escludendo la necessità di conseguire apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, in considerazione del mero dato della precarietà strutturale del manufatto. Così disponendo, infatti, il legislatore statale aveva dettato una disciplina puntuale inerente a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti, senza lasciare alcuno spazio al legislatore regionale, in contrasto con quanto più volte chiarito da questa Corte e cioè che «alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi» (sentenza n. 278 del 2010; anche sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009, n. 401 del 2007).
La norma impugnata in questo giudizio presenta analoghi vizi di illegittimità costituzionale. Essa, infatti, nella parte in cui stabilisce che costituiscono «interventi di nuova costruzione» l’installazione di manufatti leggeri anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, «ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti», estende, con norma di dettaglio, l’ambito oggettivo degli «interventi di nuova costruzione», per i quali è richiesto il permesso di costruire.
Essa in specie individua, al pari della norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la citata sentenza n. 278 del 2010, specifiche tipologie di interventi edilizi, realizzati nell’ambito delle strutture turistico-ricettive all’aperto, molto peculiari, che peraltro contraddicono i criteri generali (della trasformazione permanente del territorio e della precarietà strutturale e funzionale degli interventi) forniti, dallo stesso legislatore statale, ai fini dell’identificazione della necessità o meno del titolo abilitativo. In tal modo, la norma impugnata sottrae al legislatore regionale ogni spazio di intervento, determinando la compressione della sua competenza concorrente in materia di governo del territorio, nonché la lesione della competenza residuale del medesimo in materia di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla prima.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013.
4.– La Regione Veneto censura, infine, l’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a favore del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sulla quota del 10 per cento delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile delle Regioni.
Tale norma violerebbe l’art. 117 Cost., in riferimento alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», e l’art. 119 Cost., in quanto imporrebbe la destinazione dei proventi ricavabili dalla dismissione dei beni pubblici della Regione ad un fondo di spettanza statale in via prioritaria rispetto alle spese di investimento dell’ente medesimo, indipendentemente dalla necessità o meno delle stesse. Detto articolo si porrebbe inoltre in contrasto con l’art. 42 Cost. perché, estendendo il medesimo vincolo di destinazione allo Stato delle risorse derivanti dall’alienazione degli immobili di proprietà dello Stato, successivamente trasferiti agli enti territoriali, anche alle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, cioè di «beni propri delle autonomie territoriali», scardinerebbe il concetto di proprietà di cui all’art. 42 Cost.
4.1.– La questione promossa in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. è fondata.
La disposizione censurata nell’odierno giudizio si colloca nel quadro delle recenti misure adottate dal legislatore statale volte alla riduzione del debito pubblico, al fine precipuo di fronteggiare, in termini dichiaratamente derogatori e straordinari, l’«eccezionalità della situazione economica» e, appunto, le «esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico» (art. 56-bis, comma 11, primo periodo, del d.l. n. 69 del 2013).
Proprio in considerazione della «eccezionale emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando», ed in vista dell’obiettivo di interesse generale «della riduzione dei debiti dei vari enti in funzione del risanamento della finanza pubblica attraverso la dismissione di determinati beni» (sentenza n. 63 del 2013), questa Corte ha ritenuto che la previsione statale dell’obbligo di destinazione delle risorse derivanti dalle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola dello Stato, delle Regioni e degli altri enti territoriali alla riduzione del proprio debito, sia espressiva, oltre che «del perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un quadro di necessario concorso anche delle autonomie al risanamento della finanza pubblica», di un «principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica», come tale non invasivo delle attribuzioni della Regione nella materia stessa, in quanto proporzionato al fine perseguito (sentenza n. 63 del 2013). In questa prospettiva si è anche precisato che tanto gli artt. 117, terzo comma, e 119, sesto comma, Cost., quanto le norme di contabilità pubblica ben consentono al legislatore di prevedere che soltanto la quota eccedente la copertura del debito pubblico di pertinenza dell’ente territoriale possa essere destinata a spese di investimento, onde scongiurare l’eventualità che, per effetto di un esercizio inconsapevole o distorto dell’autonomia finanziaria regionale, possano rigenerarsi condizioni di indebitamento tali da vanificare il ripianamento conseguito.
Questa Corte ha, però, anche dichiarato, nella pronuncia citata (sentenza n. 63 del 2013), l’illegittimità costituzionale di una disposizione statale che prescriveva agli enti territoriali, in assenza di debito o per la parte eventualmente eccedente, di destinare le risorse derivanti dalle operazioni di dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. E ciò sulla base del rilievo che detta previsione, «non essendo finalizzata ad assicurare l’esigenza del risanamento del debito degli enti territoriali e, quindi, non essendo correlata alla realizzazione del ricordato principio fondamentale, si risolve in una indebita ingerenza nell’autonomia della Regione».
Essa – si è precisato – «determina una indebita appropriazione da parte dello Stato di risorse appartenenti agli enti territoriali, in quanto realizzate attraverso la dismissione di beni di loro proprietà e, con ciò, sottrae ad essi il potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante di detta autonomia finanziaria, funzionale all’assolvimento dei compiti istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere […] con conseguente violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.».
I richiamati argomenti non possono che condurre a ravvisare e dichiarare l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, ora all’esame.
Anche tale norma è, infatti, volta a destinare le risorse derivanti da operazioni di dismissione di beni degli enti territoriali alla riduzione del debito pubblico di pertinenza, e, in assenza del debito o per la parte eventualmente eccedente il debito degli enti medesimi, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
Essa, inoltre, non soddisfa alcuna delle condizioni ripetutamente poste dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all’individuazione dei princípi di coordinamento della finanza pubblica. E’, infatti, ormai indirizzo costante di questa Corte ritenere che «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 237 del 2009; nello stesso senso sentenze n. 139 del 2009, n. 289 e n. 120 del 2008).
Nella specie, la norma impugnata fissa un vincolo puntuale ed esaustivo al fine di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica, imponendo agli enti territoriali di destinare una quota dei proventi derivanti dalla dismissione di loro beni alla riduzione del debito pubblico dello Stato, con ciò ledendo i parametri evocati.
Sulla base di ciò, deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013.
4.2.– Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti della medesima norma in riferimento all’art. 42 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013, promossa, in riferimento agli artt. 5, 117, 118, 119 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2014.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI