SOMMARIO
1.Introduzione.
2.Significato della Direttiva 96/61/CE. 3. Contenuto della Direttiva. 4. (segue)
Obblighi fondamentali del gestore. 5. (segue) Condizioni di autorizzazione degli
impianti. 6. (segue) Domanda di autorizzazione. 7. (segue) Contenuto della
autorizzazione. 8. (segue) Obblighi di verifica e di informazione. 9.
Valutazioni critiche.
1.
INTRODUZIONE
La direttiva 96/61/CE emanata dal Consiglio Europeo il 24 Settembre 1996 concernente la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento si inseriva perfettamente nel più ampio disegno di protezione dell’ambiente previsto dal Quinto programma d’azione in materia d’ambiente che copriva un arco temporale di otto anni: dal 1992 al 2000[1].
Caratteristica
principale di quest’ultimo è l’abbandono dell’approccio verticale e
settoriale dei problemi ecologici[2]
per intraprendere un’azione orizzontale che tiene conto di tutti i fattori di
inquinamento in tutti i settori ambientali, perché è stato notato che
“approcci distinti nel controllo delle emissioni nell’aria, acqua o nel
terreno possono incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento tra i vari
settori ambientali anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso”[3].
La
Direttiva 96/61/CE, infatti, si prefigge come obiettivo la riduzione
integrata dell’inquinamento in tutti i settori ambientali (aria, acqua, terra)
provocato dalle emissioni delle industrie ad elevato potenziale inquinante,
attraverso un sistema di autorizzazioni e controlli dei nuovi impianti.
2.
SIGNIFICATO DELLA DIRETTIVA 96/61/CE
La direttiva è composta da un testo piuttosto lungo e articolato, nel quale si alternano, con riferimento ai principi fondamentali internazionali nel campo ambientale, obblighi per il gestore e compiti dei singoli stati membri.
Prima di proseguire nella disamina dettagliata delle singole disposizioni è necessario soffermarsi su alcuni concetti-chiave, indispensabili per la comprensione della normativa, ossia la riduzione integrata dell’inquinamento, il sistema di autorizzazioni e la rilevanza delle particolari condizioni geografiche ambientali.
a) Con l’espressione lotta integrata dell’inquinamento il legislatore europeo indica il debellamento delle contaminazioni ambientali che tenga conto di ciascun fattore ecologico contemporaneamente. L’approccio verticale facilita il trasferimento dell’inquinamento da un settore all’altro, senza eliminarlo completamente (c.d. catena causale)[4].
Per questo motivo viene ribadito più volte nella direttiva la necessità di non considerare ciascun settore isolatamente, ma come collegato indissolubilmente agli altri.
Il
concetto di riduzione integrata dell’inquinamento può essere inteso secondo
due accezioni, una più ampia ed una più ristretta. La prima prospettiva
comporta un’integrazione tra interventi ambientali, pianificazione urbanistica
e tutela del paesaggio e delle risorse naturali; valutazione di impatto
ambientale delle politiche e dei programmi di settore; nuovi modelli
organizzativi e operativi, sia a livello istituzionale che imprenditoriale e
nuove forme di cooperazione internazionale; l’adozione di strumenti economici
di orientamento del mercato, nonché di incentivi per la diffusione di
tecnologie più pulite; stimoli alla ricerca e agli studi sui cicli di vita
delle sostanze e dei prodotti, anche mediante l’introduzione di sistemi di
registrazione e di monitoraggio[5].
Secondo una visione più ristretta tale concetto assume una portata limitata al
piano amministrativo, che si traduce in un modello autorizzatorio unitario per
le emissioni degli impianti industriali[6].
La direttiva in esame, infatti, rifacendosi a quest’ultima versione, introduce
un sistema unitario di autorizzazioni solo per le industrie ad elevato
potenziale inquinante affinché siano prevenute, o ove non possibile ridotte, le
emissioni in tutti i fattori ambientali. Si ha dunque una lotta integrata contro
l’inquinamento rispetto ad una sola fonte: quella industriale.
b)
Il nodo centrale della direttiva è l’introduzione di un
sistema preventivo di autorizzazioni[7].
L’idea che sta alla base di questo sistema è che nessun nuovo impianto possa
funzionare senza autorizzazione[8].
Tutti gli impianti nuovi ed esistenti sono sottoposti a procedure di
autorizzazione e controllo, secondo modalità e tempi diversi; permessi
particolari sono previsti inoltre per le modifiche sostanziali agli impianti.
c)
Per quanto concerne la rilevanza delle
particolari condizioni geografiche ambientali, essa deve essere
considerata nel momento in cui le autorità nazionali competenti fissano
i valori limiti delle emissioni. Vi è la possibilità, infatti, di stabilire
limiti meno rigidi in quelle regioni ove, a causa della peculiare morfologia del
terreno o della situazione climatica, la produzione industriale sia inferiore ai
livelli medi europei.
Tale
norma, definita Escape-clause, è
stata oggetto di numerose critiche, soprattutto da parte di coloro che vedono in
essa una minaccia al principio della libera concorrenza nel mercato unico,
temendo che ogni Paese cerchi di fissare limiti più bassi possibili al fine di
agevolare le proprie attività[9].
3.
CONTENUTO DELLA DIRETTIVA
La
direttiva IPPC prevede un regime unico autorizzatorio al fine di prevenire e
ridurre l’inquinamento derivante dai grandi impianti industriali (art. 1, c.
1)[10].
La presente direttiva intende dunque riformare la regolamentazione settoriale
nel campo delle acque e dell’aria, per fornire una normativa globale di
protezione ecologica, che tenga conto anche delle emissioni nel terreno, settore
fino ad ora ignorato[11].
Si tratta, dunque, di applicare un’unica procedura per molteplici normative
settoriali.
Per
raggiungere tale scopo, la direttiva elenca una serie di obblighi gravanti sui
gestori, tra i quali può essere richiamato quello di adottare tutte le misure
possibili per eliminare le emissioni dannose, e ove questo non sia possibile, di
utilizzare i processi di riciclaggio e di riutilizzazione delle sostanze.
Per
poter comprendere la portata delle disposizioni normative presenti nel testo, la
direttiva fornisce una serie di definizioni utili (art. 2).
Dopo
aver delimitato il termine “sostanze” al punto numero 2, il legislatore
specifica cosa si intenda per “inquinamento”, ossia “ l’introduzione
diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni
calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel terreno, che potrebbero nuocere
alla salute umana o alla qualità dell’ambiente”[12].
La
normativa dà molto spazio alla ricerca e lo sviluppo di nuove tecniche per la
riduzione dell’inquinamento, prevede, infatti, procedure semplificate per
l’ottenimento di una autorizzazione per i gestori che stanno provando nuove
tecniche.
Dopo
aver passato in rapida sequenza le disposizioni generali
contenuta nella norma in esame, è possibile addentrarsi nel merito di
essa.
Per
una migliore comprensione verranno analizzati i seguenti punti: obblighi del
gestore; condizioni di autorizzazione degli impianti; procedura di rilascio
dell’autorizzazione e contenuto della stessa.
4.
(segue) OBBLIGHI FONDAMENTALI DEL GESTORE
Il legislatore europeo impone alcuni oneri a carico dei gestori, affinché ogni impianto non danneggi, o per lo meno incida in maniera moderata sull’ambiente.
Gli obblighi elencati nell’art. 3 della direttiva sono sei, ai quali se ne aggiungono altri collocati in diverse parti del testo[13].
Prima di passare all’analisi dei singoli obblighi è meglio precisare che essi sono fissati dalle autorità competenti, in collaborazione con gli Stati membri, seguendo le indicazioni presenti nella normativa[14].
Il
primo obbligo previsto è quello di prendere “le opportune misure di
prevenzione dell’inquinamento, applicando segnatamente le migliori tecniche
disponibili” (BAT)[15].
Una
disposizione che lascia ampi spazi a interpretazioni differenti per la generalità
dei termini utilizzati, ma soprattutto in riferimento al significato di migliori
tecniche disponibili.
La
direttiva definisce le BAT come “la più efficiente e avanzata fase di
sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità
pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, a ridurre in
modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso”
(art. 2, punto 11). Per poter comprendere appieno il significato di tale
concetto è necessario analizzare la definizione del termine “disponibili”,
che qualifica le tecniche sviluppate, su una scala che ne consenta
l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide
nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i
costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o
prodotte nello Stato membro di cui si tratta, purché il gestore possa avervi
accesso a condizioni ragionevoli (art. 2, punto 11, secondo trattino). La
nozione di “disponibili” avvicina il significato delle BAT a quello usato in
direttive precedenti delle BATNEEC (Best Available Tecnologies Not Entailing
Excessive Costs)[16],
dal momento che fa rientrare la valutazione dei costi che era stata eliminata
dalla definizione principale.
I
due concetti, tuttavia, differiscono;
innanzitutto la IPPC non prevede una comparazione tra costi e vantaggi ma una
valutazione dei costi e dei vantaggi basata non solo sull’interesse
industriale ma anche sui costi imposti alla società per il ripristino
dell’ambiente[17].
In seconda istanza la direttiva 84/360/CEE parla di “tecnologie” e non di
“tecniche”, che ovviamente ha
un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello previsto dalla
direttiva in esame. Infatti con il termine “tecniche” si ricomprendono, tra
le altre cose, anche la formazione del personale e l’impostazione della
produzione industriale.
Il
secondo obbligo posto a carico del gestore impone una gestione responsabile
degli impianti affinché non si verifichino “fenomeni di inquinamento
significativi” (art. 3, lett. b). Alcune perplessità sono sorte con
riferimento all’aggettivo “significativo”, non essendo chiaro quando
l’inquinamento raggiunga livelli tali da poter essere definito tale. In
dottrina è stata avanzata l’idea di emanare, a livello comunitario, un
catalogo indicante le qualità che l’ambiente deve assumere e i valori che non
possono essere superati[18].
Il
terzo obbligo del gestore riguarda la produzione e lo smaltimento dei rifiuti:
viene fatto, innanzitutto, un rinvio alla Direttiva 75/442/CEE relativa ai
rifiuti, la quale elenca i rifiuti che bisogna evitare di produrre[19].
Secondo la direttiva n. 96/61/CE la non produzione dei rifiuti è una priorità
assoluta. Ove ciò non sia possibile occorre ridurne la produzione ed infine
diminuirne l’impatto sull’ambiente.
Secondo quanto previsto dalla lettera d dell’art. 3 il gestore è tenuto ad utilizzare in modo efficiente l’energia, fatto che implica anche una riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
La
direttiva dispone, poi, che siano prese le misure necessarie per prevenire gli
incidenti e limitarne le conseguenze (art. 3, lett. e). Gli incidenti
industriali sono spesso la causa di ingenti disastri ecologici che rischiano di
interessare più regioni o più nazioni. Per questo motivo la direttiva pone
particolare enfasi alla loro prevenzione e soprattutto alla disposizione di
sistemi e piani di emergenza per ridurne gli effetti negativi, una volta
verificatisi.
Il
gestore è da ultimo obbligato, al momento della cessazione definitiva delle
attività, a ripristinare il sito in modo soddisfacente, affinché sia evitato
qualsiasi rischio di inquinamento (art. 3, lett. f)[20].
5.
(segue) CONDIZIONI DI AUTORIZZAZIONE DEGLI
IMPIANTI
La direttiva in esame distingue gli impianti nuovi da quelli già esistenti, applicando a tali categorie condizioni diverse per l’ottenimento dell’autorizzazione.
Per
quanto riguarda i nuovi impianti, dei quali non viene fornita una definizione,
l’art. 4 stabilisce che nessun nuovo impianto possa funzionare senza aver
previamente ottenuto un’autorizzazione[21].
Per quanto concerne, invece, gli impianti esistenti la direttiva fissa due
termini entro i quali il gestore deve essere in grado di soddisfare i requisiti
richiesti per gli impianti nuovi. Una prima scadenza, che decorre dalla data di
entrata in vigore della direttiva (30 ottobre 1999), riguarda alcuni obblighi di
informazioni fondamentali[22].
Una seconda scadenza (di otto anni a partire dalla data di entrata in vigore della direttiva- 30 ottobre 2007) è prevista per adeguare l’impianto ai requisiti fondamentali per ottenere l’autorizzazione per i nuovi impianti, quali gli obblighi del gestore, il rispetto delle norme sulla qualità ambientale, il controllo e il rinnovamento periodico.
La
direttiva prospetta agli Stati membri due modalità per il rilascio delle
autorizzazioni per gli impianti esistenti, sia l’istituzione di una procedura
per il rilascio del permesso, sia una verifica effettuata direttamente dalle
autorità competenti.
L’art.
12 prevede l’obbligo di ottenere un’autorizzazione per poter apportare
modifiche agli impianti.
Si
prospetta quindi il problema di stabilire quali siano le modifiche che
necessitano di essere comunicate alle autorità. L’articolo 2 Nr.10 lettera a)
le definisce come “ una
modifica delle sue [dell’impianto] caratteristiche e del suo funzionamento
ovvero un suo potenziamento che possa produrre conseguenze sull’ambiente”.
Le conseguenze sull’ambiente sono poi alla lettera successiva dello stesso
articolo definite come “effetti negativi e significativi per gli esseri umani
o l’ambiente”.
Il
problema posto da questa definizione è dato dal termine “significativo” che
è soggetto a varie interpretazioni, tra le quali una teoria più restrittiva
che tiene conto soltanto degli
effetti che possano essere significanti per l’applicazione della direttiva, ed
una più ampia che considera gli effetti gravemente nocivi per l’ambiente nel
suo insieme
I
gestori che intendono apporre modifiche all’impianto esistente devono darne
comunicazione alle autorità competenti, consegnando anche il progetto di
modifica. Le autorità competenti hanno l’obbligo di studiare il progetto e
verificare se questo possa avere effetti significanti sull’ambiente
Una
volta che le autorità hanno stabilito se la modifica necessiti o meno di
autorizzazione, spetta al gestore inoltrare le pratiche necessarie. Si comprende
ora quale ruolo ricopra la disputa
sopraccennata.
6.
(segue) DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE
La
direttiva specifica dettagliatamente le indicazioni che i gestori devono fornire
alle autorità competenti, nel compilare il formulario per il rilascio di una
autorizzazione (art. 6).
Le
suddette informazioni sono di due tipi.
a)
In un primo gruppo si trovano le notizie che riguardano le caratteristiche
ambientali dell’impianto, quali la
sua struttura, l’ubicazione e la sua grandezza e quelle relative all’impatto
ambientale dell’impianto, ovvero il tipo e l’entità delle prevedibili
emissioni dell’impianto in ogni settore ambientale nonché
un’identificazione degli effetti significativi delle emissioni
sull’ambiente.
Il
gestore deve, inoltre dare una descrizione delle materie prime e secondarie,
delle sostanze e dell’energia usate o prodotte dall’impianto.
b)
Le disposizioni prese dal gestore per ottemperare agli obblighi imposti dalla
direttiva all’articolo 3 sono le informazioni che appartengono al secondo
gruppo.
A
tale scopo il gestore deve indicare “la tecnologia prevista e le altre
tecniche per prevenire le emissioni dall’impianto oppure, qualora ciò non sia
possibile, per ridurle”, fra queste nozioni devono essere inserite anche le
notizie riguardanti le migliori tecniche disponibili, il loro utilizzo, i
benefici e i costi (art. 6, secondo trattino)[23].
Come è stato notato il contenuto dell’art. 6 della direttiva solleva alcuni problemi in relazione alle disposizione di altre direttive o regolamenti comunitari[24]. Si tratta, cioè, di coordinare le disposizioni della direttiva IPPC, da una lato, con quelle delle direttive n. 97/11/CE e n. 96/82/CE (c.d. “Seveso II”), dall’altro, con quelle della direttiva n. 76/464/CEE[25].
La
domanda che è allora lecito porsi è se per gli impianti che rientrano nel
regime di più di una delle normative citate, sia sufficiente ottenere un
autorizzazione secondo la procedura e i requisiti di una sola direttiva o se,
per contro, bisogna richiedere permessi diversi.
Le
difficoltà a propendere per la prima soluzione sono date dal fatto che i
presupposti per ottenere le autorizzazioni sono per la maggior parte dei casi
simili, ma non identici, il che porta alla necessità di istituire procedure
differenti per ciascuna direttiva.
Contro
questa soluzione, d’altro canto militano ragioni di praticità ed economicità;
infatti la seconda soluzione prospettata porta a rendere più complesse e
lunghe le trafile burocratiche e ad ostacolare la produzione industriale[26].
Accanto ai problemi di coordinamento del sistema autorizzatorio si trova la questione del rilascio di un’autorizzazione da parte di più Stati membri. Qualora uno Stato membro costati che il funzionamento di un impianto possa avere effetti negativi e significativi sulle condizioni ambientali di un altro Stato membro, il primo deve comunicare al secondo i dati forniti dal gestore ai sensi dell’art. 6, nel momento stesso in cui li mette a disposizione dei propri cittadini (art. 17, par. 1)[27]. Nonostante la soluzione prospettata dalla Comunità risulti organizzativamente più semplice per le amministrazioni nazionali, essa rappresenta un aggravio degli oneri a carico dei gestori.
7.
(segue) CONTENUTO DELL’AUTORIZZAZIONE
“Gli
Stati membri si accertano che l’autorizzazione includa tutte le misure
necessarie per soddisfare le relative condizioni di cui agli articoli 3 e 10 al
fine di conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo
complesso attraverso una protezione degli elementi ambientali aria, acqua e
terreno”(art. 8).
L’articolo
9 specifica gli elementi costitutivi di ogni singola autorizzazione, la quale
deve includere i valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti,
in particolare quelle elencate nell’allegato III, che possono essere emesse
dall’impianto interessato in quantità significativa.
Sulla
scelta di rimettere alle autorità locali la determinazione di valori limite di
emissione specifici per ogni singolo impianto, sulla base della migliore tecnica
disponibile, delle peculiarità geografiche ed economiche locali, si sono aperti
accessi dibattiti[28].
Il timore è che le autorità locali possano essere oggetto di pressioni da
parte dell’operatore[29].
La direttiva prevede, comunque, un intervento sussidiario della Comunità e
degli Stati membri nei confronti dell’operato delle autorità locali. Quando
in base al principio di sussidiarietà la Comunità ritenga necessaria
un’azione comunitaria, essa ha, infatti, la possibilità di fissare valori
limite di emissione comunitari (art. 18, par. 1)[30].
Si è inoltre discusso sull’opportunità di emanare delle “direttive-figlie” al fine di fissare valori limite per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. Dal momento che la direttiva in esame si presenta come direttiva-quadro, non sembrano sussistere ostacoli di sorta in tal senso, e parte della dottrina ha auspicato l’intervento comunitario più volte, sia in nome della certezza giuridica, sia per risolvere le eventuali distorsioni della concorrenza.
8.
(segue) OBBLIGHI DI VERIFICA E DI INFORMAZIONE
La direttiva prevede uno scambio di informazioni tra imprese, le autorità competenti, la Commissione e il pubblico.
Le
informazioni avvengono a livelli
differenti a seconda degli scopi che perseguono.
a)
In un primo gruppo rientrano le notizie che il gestore, conformemente a quello
previsto dall’articolo 14 deve comunicare alle autorità competenti
riguardanti “i risultati della sorveglianza dei rifiuti del proprio impianto e
tempestivamente in caso di inconvenienti o incidenti che incidano in modo
significante sull’ambiente”.
Innanzitutto
questa norma obbliga ogni singolo gestore ad un controllo di verifica sui propri
impianti, al fine di essere sempre conforme ai presupposti richiesti per
ottenere l’autorizzazione.
Il
continuo controllo della propria attività garantisce al gestore di essere
sempre aggiornato sulla situazione effettiva dell’impianto, stimolandolo alla
ricerca di nuove tecniche per la riduzione dell’inquinamento.
Quanto
previsto da tale articolo svolge un ruolo molto importante per la realizzazione
degli obbiettivi della direttiva, perché tende a responsabilizzare il gestore
nei confronti dell’ambiente. Egli è, infatti, in grado di comprendere
l’impatto negativo che il proprio impianto ha sull’ambiente circostante.
Questo
scambio di informazioni contribuisce alla formazione di un sistema di
informazioni utili per il gestore. La soluzione ideale sarebbe la creazione di
una rete di scambio fra i gestori sulle migliori tecniche disponibili da
utilizzare per adempiere nel modo migliore possibile alle disposizioni della
direttiva, per giungere così più rapidamente ed uniformemente alla protezione
integrata dell’ambiente.
b)
Un secondo gruppo di informazioni previste dall’articolo 16 coinvolge gli
Stati membri e la Commissione.
Gli
Stati membri devono comunicare ogni tre anni alla Commissione i “dati
rappresentativi sui valori limiti disponibili secondo le categorie di attività
elencate nell’allegato I e, se del caso, le migliori tecniche disponibili
dalle quali essi sono stati ricavati” (art. 16, punto 1).
Gli
Stati membri devono comunicare i dati che hanno ottenuto tramite i controlli di
verifica che compiono regolarmente sul funzionamento degli impianti e le
informazioni pervenutegli dai gestori ex articolo 14.
La
Commissione ha poi, il compito di gestire questi dati in modo da poter redigere
un inventario delle principali emissioni e delle loro fonti.
All’articolo
19 viene spiegata la procedura da seguire per la pubblicazione del suddetto
inventario e delle proposte inerenti le misure da adottare per assicurare
l’intercompatibilità e la complementarietà dei dati relativi alle emissioni
contemplate nell’inventario con quelli di altri registri e fonti di dati sulle
emissioni[31].
La
Commissione ha inoltre il compito di organizzare lo scambio di informazioni tra
gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili,
sulle relative prescrizioni in materia di controllo e i relativi sviluppi. Lo
scopo è quello di creare un sistema di collaborazione ove siano coinvolti tutti
i soggetti ai quali si indirizza questa direttiva.
Per
realizzare in modo più efficiente il suddetto scambio, la Commissione ha
previsto l’istituzione di una procedura unica per tutti gli stati membri per
la raccolta dei dati, affinché siano redatti questionari uguali nella forma in
tutto il territorio comunitario, le cosiddette “BAT-Notes”.
Per
il coordinamento e l’amministrazione di questi dati è prevista l’apertura
presso l’Istituto per la ricerca di nuove tecnologie di Siviglia,
dell’Ufficio Europeo per la prevenzione e riduzione integrate
dell’inquinamento ( EIPPCB).
L’ultimo
compito della Commissione in questo ambito è la presentazione delle relazioni
sull’applicazione della direttiva. Nello svolgere questa funzione essa deve
attenersi alle disposizioni dettate in materia dagli articoli 5 e 6 della
Direttiva 91/692/CEE per la standardizzazione e la razionalizzazione delle
relazioni relative all’attuazione di talune direttive concernenti l’ambiente[32].
c)
Il terzo gruppo di informazioni è rappresentato dalle notizie messe a
disposizione del pubblico, in attuazione del principio di trasparenza, inserito
nel trattato a seguito della conferenza intergovernativa del 1996[33].
L’articolo
15 obbliga gli Stati membri a garantire che le domande di autorizzazione di
nuovi impianti e di modifiche sostanziali siano rese accessibili per un adeguato
periodo di tempo al pubblico affinché possa esprimere le proprie osservazioni,
prima della decisione dell’autorità competente. Allo stesso modo devono
essere messe a disposizione le decisioni di rilascio delle autorizzazioni e i
risultati delle verifiche degli impianti.
L’obbligo
previsto dall’articolo 15 è stato oggetto di molte critiche poiché la
partecipazione del pubblico può essere limitata in vari modi[34].
Innanzitutto
l’utilizzo di termini tecnici e scientifici rende di difficile comprensione le
domande di autorizzazione da parte dei non esperti, con il conseguente rischio
che i questionari vengono ignorati dal pubblico.
In
secondo luogo la partecipazione del pubblico è prevista soltanto ad uno stadio
già avanzato dell’intera procedura (ad esempio quando è già stato stabilito
quale deve essere il contenuto del questionario di applicazione).
Ma
il maggior limite è dato dal rinvio alla direttiva 90/313/CEE, concernente la
libertà di accesso all’informazione in materia ambientale, che prevede delle
eccezioni al diritto al libero accesso, quali la riservatezza delle
deliberazioni delle autorità pubbliche, la difesa nazionale, la riservatezza
dei dati e schedari personali e la riservatezza commerciale ed industriale.
Quest’ultima sarà la giustificazione maggiormente invocata per negare
l’accesso al pubblico da parte delle industrie interessate (art. 3, par. 2)[35].
Un
segno positivo in questo settore può essere visto nella sottoscrizione della
Convenzione di Aahrus da parte della Comunità Europea il 25 giugno 1998, con
l’intenzione di ratificarla in breve tempo[36].
Dal momento che prima di poter procedere in tal senso, secondo la prassi
abituale, la legislazione comunitaria deve essere allineata alle disposizioni
della convenzione, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che
prevede la partecipazione dei cittadini alla stesura di determinati piani e
programmi in materia ambientale e modifica le direttive 85/337/CEE e 96/61/CE
del Consiglio[37].
Essa
introduce modifiche sostanziali per il perseguimento dell'obbiettivo
dell’agevolazione della partecipazione del pubblico e dell'accesso alla
giustizia.
Si
prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che al
pubblico interessato vengano offerte, in maniera tempestiva, efficaci
opportunità di partecipazione alla procedura di autorizzazione (art. 15, par. 1
e All. V) e che il pubblico sia informato su elementi determinati per il
rilascio della stessa[38].
La
proposta prevede inoltre, l'aggiunta del paragrafo 5 all'art. 15, con il quale
viene disciplinato il diritto d'informazione riguardante le decisioni. Non
appena una decisione viene adottata l'autorità competente deve informare il
pubblico e rendere disponibile il testo della decisione e i motivi e le
considerazioni su cui é basata tale decisione.
La
Convenzione di Aahrus regola, inoltre, l’accesso alla giustizia, stabilendo
che le parti debbano provvedere affinché i cittadini interessati possano
valersi di procedure giuridiche per contestare la legittimità di qualsiasi atto
od omissione soggetti alle disposizioni in materia di partecipazione del
pubblico (art. 9, par. 2,3 )[39].
La
proposta della Commissione prevede quindi di aggiungere un nuovo articolo alla
direttiva in esame (art. 15 bis), che rispecchi precisamente le disposizioni
della convenzione, affinché sia anche in esse regolato l'accesso alla giustizia
da parte del pubblico interessato, attualmente non disciplinato[40].
9.
VALUTAZIONI CRITICHE
Il termine per l’applicazione da parte degli Stati membri della direttiva 96/61/CE è scaduto il 30 ottobre 1999, tre anni dopo l’entrata in vigore della stessa (art. 21). Al momento in cui si scrive solo nove Stati membri (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda e Svezia) hanno comunicato alla Commissione di aver trasporto le disposizioni della direttiva nel proprio diritto interno[41].
Nonostante
sia passato quasi un anno dal termine di recepimento fissato dalla direttiva è
ancora troppo presto per poter procedere a una valutazione esaustiva
dell’efficacia delle disposizioni in essa contenute.
La
dottrina ha già avuto modo di esprimersi sui
difetti e sui pregi della direttiva, interrogandosi innanzitutto
sull’efficacia sostanziale dell’obiettivo prioritario
della diminuzione delle emissioni nell’ecosistema[42].
Le precedenti esperienze d’attuazione delle direttive n. 76/464/CEE e n. 84/360/CEE hanno dimostrato come la diminuzione di emissioni nell’ambiente dipenda dall’effettiva esecuzione della direttiva: tutto ruota intorno alla questione se e come gli apparati amministrativi faranno uso delle opportunità offerte dalla norma. Le autorità locali godono, in effetti, di una notevole discrezionalità in relazione all’esecuzione della direttiva, che soltanto un intervento risolutivo della Commissione può limitare.
Parecchie
critiche sono state sollevate in merito alla formulazione dell’espressione
“migliori tecniche disponibili” e sul rapporto tra BAT, valori limite di
emissione e norme di qualità ambientale. Innanzitutto è stato rilevato che
l’impiego delle migliori tecniche disponibili dovrebbe essere formulato come
un obbligo per il gestore e non semplicemente come un dovere dell’autorità
locale di prenderle in considerazione nella formulazione dei valori limite di
emissione[43].
La direttiva non presenta alcuna disposizione in grado di imporre al titolare di
un brevetto su una tecnologia, considerata la migliore per la protezione
dell’ambiente, di rendere questa tecnica accessibile, riducendo così il
numero delle tecniche disponibili[44].
Per
quanto concerne, invece, il rapporto tra BAT, valori limite d’emissione e
norme di qualità ambientale, parte della dottrina ritiene indispensabile
chiarire a quale livello debbano essere fissati tali standard. In particolare,
si può notare come il testo nulla dica a proposito di come dovrebbero essere
elaborate le norme di qualità ambientale. Alcuni ne hanno dedotto un rinvio
esplicito alle azioni settoriali, dando, però, vita ad un paradosso:
l’integrazione dell’aspetto ambientale nelle industrie europee sarebbe
dovuto, in tal modo, maggiormente alle azioni settoriali che all’approccio
integrato[45].
Nonostante ciò la direttiva in esame può essere considerata una tappa importante verso un approccio sempre più integrato della prevenzione e del controllo dell’inquinamento. In particolare, dal punto di vista economico, l’approccio integrato è esente da critiche dal momento che esso rappresenta un’ottima garanzia di internalizzazione delle esternalità causate dall’inquinamento.
In relazione al più ampio concetto di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, tuttavia, numerose sono ancora le azioni che devono essere intraprese[46].
In
conclusione, parafrasando le parole di Emmott e Haigh, si può affermare che la
direttiva concernente la prevenzione e la riduzione integrate
dell’inquinamento rappresenta un grande passo avanti verso la concezione
integrata della protezione dell’ambiente, anche se essa deve essere vista come
l’inizio di un viaggio, piuttosto che il suo completamento[47].
(**) Dottoressa in legge con la tesi “La direttiva 96/61/CE concernente la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento nel quadro dell’azione comunitaria in materia di tutela ambientale”, relatore: Chiar.ma Prof.ssa Stefania Bariatti, correlatore: Dott.ssa Delfina Boni, consultabile presso l’Istituto Per l’Ambiente di Milano.
[1] Direttiva n. 96/61/CE, del Consiglio del 24 settembre 1996, concernente la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, in GUCE L 257 del 10 ottobre 1996, p. 26.
[2] Seguendo questo indirizzo vengono trovate soluzioni ai problemi ambientali soltanto in rapporto all’impatto che un determinato evento provoca su un fattore ambientale, come ad esempio nella direttiva n. 74/464/CEE concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico delle Comunità (in GUCE. L 129 del 18 maggio 1976, p.23) e nella direttiva n. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (in GUCE. L 206 del 22 luglio 1992, p.7).
[3] Introduzione, punto 7 dir.96/61/CE, cit.
[4] Settimo considerando, dir. 96/61/CE, cit. Come esempio di “catena causale”, si pensi al problema delle “piogge acide”: le sostanze tossiche di un’industria chimica vengono emesse nell’aria, tramite le precipitazioni atmosferiche giungono nel terreno e nelle acque, inquinando anche questi fattori e contaminando infine l’uomo, che si nutre dei prodotti provenienti dalla terra e dell’acqua.
[5]
Si veda OECD, Integrated Pollution
Prevention and Control, in Environment
Monograph n. 37, OECD, Paris 1991.
[6] In tal senso F. BECCHIS (a cura di), La direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento: un’analisi preliminare, Milano, 1997, p. 1.
[7]La direttiva, infatti, si avvale del sistema classico di intervento pubblico in materia ambientale di carattere preventivo molto utilizzato settorialmente. Si vedano ad esempio le direttive nn. 76/464/CEE, cit. e 84/360/CEE concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali.
[8]
Art. 4, dir. 96/61/CE, cit.
[9]
L. KRÄMER, The impact of EC
Environmental Law in the U.K, London, 1997, p. 130 ss.
[10] Ciò implica altresì un divieto per gli Stati membri di emanare disposizioni sulle emissioni industriali che possano arrecare danno ad uno qualsiasi dei fattori ambientali.
[11] La direttiva mira a sostituire la normativa settoriale esistente, in particolare le direttive nn. 76/464/CEE e 84/360/CEE, cit. Per un’analisi dettagliata della direttiva si veda D. F. DE GOTTO SANCHEZ, El regimen jurídico del Control Integrado de la Contaminación, in Rev. Der. Amb., 1999, pp. 22-35; F. FUENTES BODELÓN, Comentarios a la directiva sobre prevención y control integrados de la contaminación, in Rev. Der. Amb., 1997, pp. 43-63; L. KRÄMER, Focus on European Environmental Law, London, 1997, p. 219 ss; M. PALLEMERTS, The proposed Integrated Pollution Prevention and Control Directive: Re-regulation or DE-regulation?, in EELR, vol. 5, n. 6, 1996, p. 175; R. STEINBERG, I. KOEPFER, IVU-Richtlinie und immissionsschutzrechtliche Genehmigung, in DVB1, 1997, pp. 973-982.
[12] Questa definizione era già presente in altre disposizioni europee, quali ad esempio la Direttiva 84/360/CEE concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali, cit. Seguono, poi, le definizioni di “impianto”, di “emissione”, di “valore limite di emissione”, di “norma di qualità ambiente”, di autorità competente”, di “autorizzazione”, di “modifica dell’impianto”, di “migliori tecniche disponibili” e di “gestore”.
[13] Tali doveri del gestore sono determinati dalle autorità locali secondo le modalità stabilite dai singoli Stati membri.