Cass. Sez. III n. 40784 del 6 novembre 2024 (UP 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Gai Ric. Testa
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e consumazione del reato

La contravvenzione di lottizzazione abusiva è reato a forma libera e progressivo nell'evento, che sussiste anche quando l'attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o all'esecuzione delle opere, posto che tali iniziali attività non esauriscono l'"iter" criminoso, che si protrae attraverso gli ulteriori interventi che incidono sull'assetto urbanistico, con ulteriore compromissione delle scelte di destinazione ed uso del territorio riservate all'autorità amministrativa competente. Il momento consumativo del reato deve essere individuato nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l'utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica e ai fini della prescrizione del reato di lottizzazione non conta, pertanto, il momento nel quale è stata tenuta la specifica condotta di partecipazione, bensì quella di consumazione del reato stesso che può perfezionarsi anche ad anni di distanza.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20 marzo 2023, la Corte d’appello di Napoli in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, ha dichiarato non doversi procedere perché i reati sono estinti per prescrizione, rispettivamente nei confronti di tutti gli imputati in relazione al reato di cui al capo B) e nei confronti del solo Testa Alfonso, in relazione al capo G), ed ha confermato nel resto l’impugnata sentenza del Tribunale di Napoli che, per quanto qui di rilievo, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per il reato di lottizzazione abusiva di cui al capo A), per intervenuta prescrizione ed aveva disposto la confisca del terreno e delle opere che su di esso insistono ai sensi dell’art. 44 comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 e condannato gli imputati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Comune di Napoli e Azienda Ospedaliera Santobono Pausillipon.
In breve: il Tribunale di Napoli, con sentenza in data 24/03/2016, ha assolto gli imputati (oggi ricorrenti) dal reato di cui al capo C) – art. 633 e 639 cod.pen. – perché il fatto non sussiste; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per i reati di cui ai capi A) – artt. 30 e 44, del d.P.R. n. 380 del 2001 – per avere realizzato una lottizzazione abusiva materiale dell’area di Napoli alla via Petrarca 85, mediante opere edilizie comportanti una trasformazione dei terreni in assenza di autorizzazione e di un piano di lottizzazione, e dei reati di cui ai capi D) – art. 349 cod.pen.-, ed E) ed F)  – art. 483 cod.pen. , e ha condannato gli stessi in relazione al reato di cui al capo B) – 181 comma 1 bis del d.lvo n. 42 del 2004 e il solo Testa Alfonso del reato di cui al capo G) – art. 479 cod.pen.
Con la medesima sentenza il Tribunale ha disposto la confisca dei terreni e delle opere che su di essi insistono identificate al NCT del Comune di Napoli al foglio 220, p.lle n. 435,436,437,438,439, 440, 441 e 442, ha ordinato il rispristino dello stato dei luoghi, ex art. 181 del d.lvo n. 42 del 2004, ed ha condannato gli imputati al risarcimento del danno in favore del Comune di Napoli e dell’Azienda Ospedaliera Santobono in relazione al reato contestato a Testa Alfonso di cui al capo G). 
La Corte d’appello, investita dell’impugnazione di tutti gli imputati, ha rilevato la prescrizione dei reati di cui al capo B) e di cui al capo G), maturata nelle more del giudizio di appello, ed ha confermato la disposta confisca dei terreni abusivamente lottizzati.
2. Avverso la sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione gli imputati, a mezzo dei difensori di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo motivi di ricorso comuni tra di loro e di identico contenuto, che possono essere così riepilogati.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. e) cod.proc.pen., per il travisamento probatorio costituito dall'omissione valutativa, distorsione del contenuto delle deposizioni testimoniali, della documentazione allegata alla consulenza tecnica di parte in relazione alla corretta cronologia delle opere inerenti alla lottizzazione materiale e all'estraneità dei ricorrenti alla condotta lottizzatoria. In sintesi, la Corte territoriale avrebbe confermato in modo acritico e pedissequo le conclusioni a cui era giunto il giudice di primo grado, astenendosi completamente dal valutare e confutare tutti gli elementi probatori presenti in atti che nella loro oggettiva dimensione avrebbero imposto un diverso inquadramento sia in riferimento alla perimetrazione cronologica dell'attività edilizia, che della loro imputabilità agli eredi Testa oggi ricorrenti. In altre parole, la Corte si sarebbe meramente sovrapposta alla motivazione della sentenza di primo grado compiendo dunque quel travisamento probatorio delle dichiarazioni testimoniali e dei documenti che invece avrebbero restituito una diversa cornice temporale ed escluso categoricamente qualsiasi forma di partecipazione attiva da parte dei ricorrenti. Il percorso argomentativo sarebbe dunque incoerente manifestamente illogico in quanto tutte le operazioni integranti la lottizzazione abusiva materiali sarebbero state realizzate autonomamente dai de cuius Testa Raffaele e Piacente Anna, nessuno dei ricorrenti avrebbe contribuito alla lottizzazione materiale, non vi sarebbero state opere in corso d'opera sull'area in comunione di tutti gli eredi al momento del sequestro del 26 giugno 2010, la particella 436 era già attribuita a Testa Giuseppina con variazione del classamento, sicché prima dell'intervento e del sequestro la particella era stata già oggetto di scioglimento della comunione ereditaria e dunque lo scavo di 50 mc,  ritenuto elemento integrante un evento progressivo rilevante ai fini della consumazione del reato di lottizzazione materiale, sarebbe in realtà un'autonoma iniziativa della sola testa Giuseppina, e dunque non sarebbero state compiute opere dal 2004 al 2010, con rilevanti riflessi in punto consumazione del reato e di mantenimento della confisca disposta. Infine, non sarebbe congrua la argomentazione secondo cui i ricorrenti avrebbero partecipato al reato in quanto beneficiari delle opere abusive.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod.proc.pen., art. 30, 44 d.P.R. n. 380 del 2001, erronea applicazione della legge penale non essendo configurabile il reato in presenza di pregressa urbanizzazione dell’area.
La corte territoriale avrebbe ritenuto integrato il reato di lottizzazione abusiva materiale “a prescindere dalla pregressa urbanizzazione dell’area”. La Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di erronea applicazione della legge penale allorché non avrebbe tenuto conto che le opere realizzate fino al 2003 dai de cuius e la minima opera dello scavo posto in essere dalla sola testa Giuseppina nel giugno del 2010, erano inserite in un tessuto già adeguatamente urbanizzato e che tali opere non imponevano di rendere più strutturalmente adeguata la rete delle infrastrutture urbanistiche preesistenti imponendone anche l'irrobustimento. Nel caso in esame, sarebbe anche provato documentalmente che l'area de qua era già pienamente urbanizzata, circostanza per altro neppure negata dalla Corte, per cui gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio di cui all'art. 10 d.P.R 380 del 2001 avrebbero potuto al più richiedere il permesso di costruire, ma non avrebbero avuto bisogno di un piano di lottizzazione autorizzato o di altro strumento di pianificazione urbanistica. In particolare, allorchè, nel caso in esame, la trasformazione di una pregressa costruzione non presuppone opere di urbanizzazione primaria secondaria, in quanto già preesistenti, e non implica una pianificazione urbanistica, essa esulerebbe dal paradigma della lottizzazione abusiva e richiederebbe unicamente il previo permesso a costruire.  
In conclusione, la pregressa urbanizzazione della via Petrarca non consentirebbe di ravvisare il reato di lottizzazione abusiva e sul punto la Corte territoriale sarebbe in corso in un'erronea applicazione della legge degli artt. 30 e 44 d.P.R. n. 380 del 2001, laddove non avrebbe tenuto conto della differenza tra l'abuso edilizio ex se che necessariamente comporta la violazione della destinazione del fondo e non perciò solo determina l'ipotesi lottizzatoria e la lottizzazione materiale che non è compatibile con la preesistenza di opere di urbanizzazione primaria o secondaria e che, quindi, in quanto tale non implica una pianificazione urbanistica nelle aree tutte.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen., art. 30, 44 d.P.R. n. 380 del 2001, artt. 6 e 7 Cedu, erronea applicazione della legge penale in relazione alla disposta confisca in caso di prescrizione del reato. Argomentano, i ricorrenti, l’erronea decisione della corte territoriale di mantenere la disposta confisca nel caso in cui la prescrizione del reato risulti maturata prima della chiusura dell’istruttoria dibattimentale. Nel caso in esame, la corte territoriale, disattendendo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato maturata all’udienza del 22 ottobre 2015 e ciò in forza del principio dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità come stabilito dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 11295 del 2022, principio applicabile al caso in esame in quanto la prescrizione del reato è maturata al 22/10/2015 e l’istruttoria dibattimentale si è conclusa in data 24 marzo 2016. 
2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod.proc.pen., in relazione al rispetto del principio di proporzionalità da osservarsi nel disporre la confisca. La sentenza impugnata in violazione del rispetto del principio di proporzionalità della confisca ribadito costantemente dalla Corte di Cassazione e dalla Cedu non avrebbe svolto alcuna analisi e riflessione sulla proporzionalità della misura ablativa considerandola un effetto automatico dell'accertamento dell'illecito prescritto estendendo la confisca non solo al fabbricato e di esclusiva proprietà di Testa Giuseppina, ma anche all'appezzamento di terreno usucapito dai genitori di questa. Pertanto, nella denegata ipotesi di confisca si dovrà effettuare un calcolo preciso e scorporare la porzione dell'immobile da tutte le altre particelle di esclusiva proprietà della Testa Giuseppina, e ritenere estranei al provvedimento sanzionatorio accessorio tutte le altre particelle restituite all'Ospedale Pausillipon.
2.5. Con il quinto motivo (erroneamente indicato VI) si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. c) cod.proc.pen.. Nullità della sentenza perché priva di un apparato motivazionale ovvero di motivi cioè meramente apparente mediante richiamo alla motivazione per relazione alla sentenza di primo grado. Nel caso di specie, la difesa aveva evidenziato, nei motivi d'appello, come il giudice di primo grado non avesse preso in debita considerazione i documenti prodotti attestanti la realizzazione di tutte le opere in epoca risalente, nella peggiore delle ipotesi, al 2004 ed evidenziando come l'ultima condotta oggetto di accertamento, del 26 giugno 2010, fosse stata posta in essere in autonomia da testa Giuseppina. Ora, a fronte di queste censure i giudici territoriali si sarebbero limitati a riprodurre la decisione di primo grado dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi senza dar conto agli specifici motivi di impugnazione.
2.6. Con il sesto motivo si deduce la violazione di cui all’art. 606, comma 1 lett. b) cod.proc.pen., in relazione all’art. 185 cod. pen. nullità assoluta della sentenza con riguardo alle statuizioni in favore della parte civile Azienda Ospedaliera Santobono Pausillipon, soggetto non legittimato a costituirsi parte civile. Richiesta di revoca delle statuizioni civili.
La difesa ha depositato memoria scritta e motivi nuovi con cui, richiamando le argomentazioni svolte nei motivi principali, ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili sulla base delle seguenti ragioni.
2. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile non solo perché meramente ripetitivo delle stesse censure svolte nel giudizio di appello e da questi giudici disattese con motivazione pertinente e corretta sul piano del diritto, ma anche perché orientato a richiedere una rivalutazione e/o alternativa lettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità, avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti probatori del giudice del merito.
2.1. Il fatto, oggetto di doppio conforme accertamento, nelle due sentenze di merito, è così descritto nel provvedimento impugnato: su un terreno agricolo, coltivato negli anni passati dal padre dei ricorrenti Testa Raffaele, sulla collina di Posillipo, nel cuore di una delle zone di maggior pregio della città di Napoli e sottoposta a vincoli paesaggistici, su una parte di terreno usucapito da Testa Raffaele e in parte su terrene di terzi (Azienda Ospedaliera Santobono Pausillipon), nel corso degli anni in corrispondenza con le crescenti esigenze dei suoi sei figli con i matrimoni degli stessi e la formazione di nuovi autonomi nuclei familiari, Testa Raffaele prima e poi i figli, ora imputati, avevano avviato una profonda trasformazione del suolo e delle strutture realizzando e ampliando le diverse unità immobiliari via via completate nell'interesse e a beneficio degli odierni sei ricorrenti, cosicché da un terreno agricolo, nel quale vi era un'unica casa colonica, per effetto delle trasformazioni avvenute negli anni, risultava oggi un complesso immobiliare composto di sette edifici, con accesso esclusivo dalla via Petrarca, chiuso da cancello con impianto citofonico alla strada, con rampa carrabile che a sua volta conduce ad un parcheggi e strade di collegamento dei sette edifici, definito dai giudici del merito “Parco privato”.
Sulla base delle deposizioni testimoniali delle prove documentali, i giudici del merito, accertavano l'esistenza di un complesso residenziale privato composto da diverse palazzine, abitate da complessivamente sette nuclei famigliari, avente accessi chiusi e controllate aree comuni di sosta e di svago e una piccola viabilità interna, il tutto interamente ad uso e nella disponibilità esclusiva della famiglia Testa. 
2.2. Così descritti i fatti, i giudici del merito ritenevano avvenuta una trasformazione del territorio, in assenza di qualsiasi provvedimento amministrativo, con mutamento dell’assetto e stravolgimento del territorio che, originariamente a vocazione agricola con un'unica casa colonica, si era trasformato in un complesso edilizio residenziale con sette edifici e altri locali asserviti, costituenti cespiti separati, dotati di opere di urbanizzazione, integrante il reato di lottizzazione materiale. 
2.3. Quanto alle censure, oggi riproposte, sulla perimetrazione cronologica dell'attività edilizia e sulla imputabilità agli eredi Testa, ricorrenti, il giudice dell’impugnazione ha risposto in modo puntuale esaminando tutti i profili di doglianza, che ha disatteso con motivazione congrua e corretta in diritto, sicchè per il solo fatto della mera riproposizione delle censure, il motivo è inammissibile per genericità, essendo ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. 
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (Sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, Rv. 221693).
Nel caso specifico, la corte territoriale, a pag. 9, ha disatteso, siccome infondata la tesi difensiva, ora nuovamente proposta, dell’estraneità degli imputati al disegno lottizzatorio realizzato dal padre Testa Raffaele, e ciò in quanto gli odierni imputati, figli del Testa, erano i beneficiari degli abusi realizzati (si rammenta che sono state realizzati ben sei edifici ex novo e ampliato l’edificio ex casa colonica), senza alcun titolo e in parte anche sul terreno dell’Azienza Ospedaliera Santobono, e che la modifica del territorio era proseguita anche dopo la morte del Testa padre e della di lui moglie. Del resto, scrivono i giudici del merito, gli imputati avevano sempre vissuto in quel luogo e dopo il matrimonio aveva abitato le costruzioni realizzate nel tempo oggetto di trasformazione del territorio. 
Sotto il profilo cronologico, i giudici del merito, hanno argomentato che l’attività lottizzatoria, iniziata dal padre testa Raffaele, si era protratta nel tempo fino al momento del sequestro il 26 giugno 2010, allorchè era stato rilevato un movimento terra interessante un suolo di mq. 2000, un manufatto in muratura di circa mq. 10, tampognato su due lati, adibito a magazzino di materiali di floricoltura attinente all’attività di testa Alfonso e Salvatore, altro manufatto di mq. 80, adibito a deposito attrezzi e frigoriferi industriali, l'installazione di inferriata per metri 30 sul muro prospicente la via Petrarca, l'ampliamento del villino adibito ad abitazione di Testa Giuseppina, già oggetto di sequestro del 14 agosto 1995 e 9 marzo 1998, un manufatto di 50 mq. totalmente al grezzo, opere che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, rendevano evidente la mancanza di soluzioni di continuità rispetto ai precedenti interventi edificatori, sicchè era disattesa, in quanto suggestiva, la tesi difensiva, nuovamente propugnata, secondo cui le opere edilizie abusive realizzate nel 2010 dalla Testa Giuseppina fossero frutto di iniziativa individuale, essendo, invece, l’ultimo tassello di una condotta ventennale attraverso cui gli imputati avevano trasformato un’area agricola in residenziale e funzionale a soddisfare le esigenze della loro famiglia, condotta attribuito a tutti gli imputati in ragione della circostanza che, nel 2010, erano rilevati diversi lavori edilizi sul terreno ancora in comunione ereditaria e che l’originario fabbricato in legno attribuito a Testa Giuseppina, sulla part. 437 nel 2009, era stato oggetto di lavori di rinforzo e poi di ampliamento attraverso uno scavo funzionale alla realizzazione di una tavernetta, oggetto di sequestro nel 2010, unitamente alle altre opere sopra descritte (altri manufatti destinati all’uso degli altri fratelli Testa che svolgevano l’attività di floricultura, ringhiera). Il reato di lottizzazione abusiva si era dunque consumato al momento del sequestro in data 26/06/2010.
In tale ambito va rilevato che lo scioglimento della comunione ereditaria nel 2009 con attribuzione della part. 437 alla Testa Giuseppina, lungi dal dimostrare, in tesi difensiva, la soluzione di continuità, costituiscono al contrario un ulteriore segmento della lottizzazione indicativo della volontà di proseguire nell’evento lottizzatorio.  
2.3. La contravvenzione di lottizzazione abusiva è reato a forma libera e progressivo nell'evento, che sussiste anche quando l'attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o all'esecuzione delle opere, posto che tali iniziali attività non esauriscono l'"iter" criminoso, che si protrae attraverso gli ulteriori interventi che incidono sull'assetto urbanistico, con ulteriore compromissione delle scelte di destinazione ed uso del territorio riservate all'autorità amministrativa competente (Sez. 3, n. 14053 del 20/02/2018, Ammaturo, Rv. 272697 - 01; Sez. 3, n. 12772 del 28/02/2012, Tallarini, Rv. 252236 - 01; Sez. 3, n. 36940 dell'11/05/2005, Stufi, Rv. 232190 - 01; cfr., altresì, in motivazione, Sez. U. n. 4708 del 24/04/1992, Fogliani).  
Il momento consumativo del reato deve essere individuato nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l'utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 12459 del 13/01/2021, Merico, Rv. 281576 - 01) e ai fini della prescrizione del reato di lottizzazione non conta, pertanto, il momento nel quale è stata tenuta la specifica condotta di partecipazione, bensì quella di consumazione del reato stesso che può perfezionarsi anche ad anni di distanza.
2.4. Nel caso, come quello in esame, di lottizzazione abusiva materiale, consistita nella trasformazione del territorio in assenza di piano di lottizzazione e qualsiasi autorizzazione, mediante la realizzazione di nuove abitazione, la trasformazione di quella esistente, la realizzazione di tutte le opere di asservimento per rendere fruibili le abitazioni (allaccio fognatura, rete idrica, elettrica, realizzazione viabilità interna e di parcheggi) che si sono susseguite e si sono protratte fino al sequestro del giugno 2010, il momento consumativo è stato correttamente individuato in tale momento, nel quale era stata rilevata la realizzazione di una pluralità di opere, momento consumativo che vale per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato. 
Ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, per il concorrente non è rilevante il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che - come detto - può intervenire anche a notevole distanza di tempo (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone, Rv. 271330 - 01; Sez. 3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani, Rv. 248483 - 01; Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021, n.m.; Sez. 3, n. 12459 del 13/01/2021, cit.).
2.5. Nel caso di specie, il fatto è contestato come unico, commesso in concorso da tutti gli imputati e la data di accertamento del fatto è stata indicata e ritenuta in sentenza in quella del 26 giugno 2010, in concomitanza con il sequestro dei manufatti non ancora ultimati. 
Tale data, come si avrà modo di dire, ha rilievo per il calcolo della prescrizione e per la verifica della legittimità della disposta confisca ad opera del Tribunale di Napoli, oggetto di motivo di ricorso.

3. Proseguendo nella disamina dei motivi secondo l’ordine di questi, è manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso.
E’ pacifico che, come già evidenziato, la realizzazione di un complesso residenziale privato della famiglia Testa (tale era definito dai giudici del merito con l’espressione “Parco privato”) veniva eseguita su area avente destinazione urbanistica incompatibile, in quanto destinazione a verde agricolo mai mutata dal Comune di Napoli, e che aveva comportato una trasformazione urbanistica del territorio in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati, o di quelle stabilite dalle leggi statali o regionali e priva della prescritta autorizzazione. 
E’ stato anche accertato che, per quanto concerne il servizio fognario le sette abitazioni erano autonomamente collegate nel collettore fognario di via Petrarca attraverso il collegamento che in origine asserviva solo la casa colonica iniziale, altrettante moltiplicazioni riguardavano le altre necessarie forniture di acqua ed energia elettrica, sicché era avvenuta una trasformazione urbanistica del territorio di consistenza tale da incidere sull'assetto della zona comportando una innovazione del tessuto urbanistico e l'innovazione di quella porzione di territorio rendendo necessaria l'esecuzione di nuove opere di urbanizzazione e il potenziamento di quelle esistenti.
Già da risalenti pronunce, la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che, in materia edilizia, mentre il reato di lottizzazione abusiva deve escludersi con riferimento a zone completamente urbanizzate, lo stesso è configurabile sia con riferimento a zone assolutamente inedificate, sia con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere d'urbanizzazione (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi, Rv. 241097 – 01).
Si è chiarito, con riguardo alle zone solo parzialmente urbanizzate, che il reato di lottizzazione abusiva è configurabile in tale zona relativamente alla quale sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione, quando l'attività edificatoria è eseguita in assenza di un piano attuativo dello strumento urbanistico generale (Sez. 3, n. 36616 del 07/06/2019, Moretti, Rv. 277614-02; Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, p.m. in c. Giannatasio, Rv. 258932; Sez. 3, n. 2469 del 09/05/2024, Vituzzi, non mass.)
Ribadito che il reato sussiste non solo in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione, ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi, e considerato che nel caso in esame ricorre tale ultima situazione essendo avvenuta  una trasformazione di area agricola, la parziale urbanizzazione della zona (collina di Posillipo) non esclude, contrariamente a quanto ritenuto dalle difese, la ricorrenza del reato in presenza di esigenze di raccordo e di potenziamento di opere di urbanizzazione, come è stato accertato nel caso concreto. 
Ancora di recente, con riguardo alle zone parzialmente urbanizzate si è precisato che gli interventi edilizi finalizzati alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata, la valutazione di tali interventi deve essere compiuta tenuto conto dell’aggravio del relativo carico insediativo (Cons. di Stato, Sez. 2, n. 6759/2020 e Cons. di Stato, Sez. 6, n. 6634/2024) e soprattutto del pregiudizio per la potestà programmatica attribuita all’amministrazione pubblica. 
La conclusione del giudice è anche, sul punto, giuridicamente corretta.

4. Alla stessa sorte non si sottrae il terzo motivo di ricorso che contesta la correttezza della confisca disposta dei terreni lottizzati e delle opere abusive realizzate. 
Occorre, anzitutto, rilevare che il Tribunale di Napoli, per quanto qui di rilievo, con la sentenza emessa in data 24/03/2016, rilevata l’intervenuta prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, ha pronunciato sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati e, richiamati i principi della giurisprudenza sia nazionale che sovranazionale, ritenuto l’accertamento del reato, sia dell’elemento materiale e soggettivo, ha disposto la confisca dei terreni e delle opere abusivamente realizzate (nei termini di cui al dispositivo).
Investita, dell’impugnazione degli imputati, che chiedevano la revoca della disposta confisca, la Corte d’appello di Napoli, con l’impugnata sentenza, ha confermato la disposta confisca urbanistica ritenendo la sua legittimità su base costituzionale e convenzionale. 
Con il ricorso per cassazione deducono, i ricorrenti, che la pronuncia della corte territoriale, che ha confermato la confisca urbanistica, non sarebbe in linea con i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità e segnatamente con la pronuncia delle Sezioni Unite Perroni, secondo cui, ove la prescrizione del reato maturi nel corso del giudizio di primo grado, il disposto dell’art. 129 comma 1, cod.proc.pen., non consente la prosecuzione del giudizio ai fini di disporre la confisca. 
Ciò sarebbe avvenuto nel caso in esame, con conseguente violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 44 comma 2, del d.p.r. n. 380 del 2001. 
La questione di diritto che pongono i ricorrenti va risolta alla luce dei principi affermati dalle citate Sezioni Unite Perroni (n. 13539/2020) e alla luce delle successive pronunce di Questa Terza Sezione che si sono susseguite e che costituiscono un indirizzo interpretativo stabilizzato e consolidato. 
È ormai consolidato il principio secondo cui anche in presenza di dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva, il giudice possa disporre la confisca urbanistica; la confisca di cui all’art. 44 cit, prescinde dalla necessità di una sentenza di condanna formale, potendosi fondare, la legittimità del provvedimento ablatorio, su un accertamento del fatto nei suoi componenti oggettivi e soggettivi, nel contraddittorio delle parti e dunque anche con le forme di una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione. 
Secondo i più recenti arresti del Giudice delle leggi (Corte cost. n. 49 del 2015), del giudice di legittimità (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870) e della Corte Edu (Corte E.D.U. del 28 giugno 2018, G.I.E.M. c. Italia, Corte E.D.U. del 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) è legittima la confisca dei beni oggetto di lottizzazione abusiva anche quando non sia intervenuta sentenza di condanna, purchè vi sia stato un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa (così la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 e n. 187 del 2015). 
La questione che pongono i ricorrenti attiene alla legittimità della disposta confisca in presenza di prescrizione del reato maturata nel giudizio di primo grado e dichiarata da quel giudice, non trovando applicazione la disciplina generale di cui all’art. 578 bis cod.proc.pen. che attiene alla valutazione che il giudice di appello e di legittimità devono compiere nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato. Più in generale la questione coinvolge il rapporto tra l’art. 129 cod.proc.pen. e l’obbligo di accertamento di cui all’art. 44 cit. e, più precisamente, se una volta intervenuta la prescrizione il giudizio possa comunque proseguire ai soli fini di accertamento del fatto per l’applicazione della confisca.
La risposta – articolata – al quesito di diritto è stata data dalla pronuncia delle Sezioni Unite Perroni. Con tale pronuncia, le Sezioni Unite hanno riaffermato la valenza, rispondente a principi di ordine costituzionale, dell'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato posto dall'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., unicamente derogabile, in melius, dal comma 2 della stessa norma, laddove già risulti con evidenza la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito e, in peius, nel senso, cioè, di consentire ugualmente la prosecuzione del processo ai fini dell'adozione di provvedimenti lato sensu sanzionatori, solo in presenza di norme che espressamente statuiscano in tal senso.
Hanno chiarito, che dal tenore letterale dell'art. 44 cit. non può trarsi alcuna indicazione nel senso di un "obbligo" di compiere l'accertamento nonostante la prescrizione già maturata e che in tale direzione non possono condurre, come anche osservato dall'ordinanza di rimessione, né la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, né la già ricordata pronuncia della Corte EDU GIEM s.r.l. c. Italia. Nessuna lettura della norma costituzionalmente o convenzionalmente orienta nel senso della prosecuzione del processo, a prescrizione maturata, quando non sia stato ancora accertato il fatto appare, dunque, sostenibile.
Le citate Sezioni Unite hanno, poi, ribadito che l’art. 129 cod.proc.pen. è stato da sempre interpretato dalla Corte di legittimità come espressivo di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia «lo stato e il grado del processo». Sicché, secondo le citate Sezioni unite «l'art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico». 
Alla conclusione nel senso qui adottato, proseguono le Sezioni Unite, deve condurre anche la natura della confisca lottizzatoria, costantemente qualificata da questa Corte come sanzione amministrativa, sia pure irrogata dal giudice penale, alla stessa stregua dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001.
È proprio tale natura, infatti, a far escludere che l'impossibilità di operare in sede penale la confisca, perché non sia stato possibile accertare il fatto, impedisce all'amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall'art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001, come infatti già affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 5857 del 06/10/2010, dep. 2011, Grova, Rv. 249517).
Concludono le Sezioni Unite citate, che il «principio di adozione in via immediata del proscioglimento (in esso compreso quello dovuto ad estinzione del reato) va dunque riaffermato, sicché il giudice di primo grado potrà disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive». In quanto, sempre secondo la pronuncia citata, l'unico limite a che il processo penale possa progredire relativamente ad un'azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca urbanistica sarebbe rappresentato dall'estinzione maturata prima dell'esercizio dell'azione penale (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534) poiché, in tal caso, sarebbe impedito al giudice di compiere, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l'accertamento del reato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi.
Dunque, la confisca di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento.
4.1. La successiva giurisprudenza, nel solco dei principi affermati dalla Corte di cassazione nella sua massima espressione, ha puntualizzato che ciò che rileva per ritenere legittima la disposta confisca nel giudizio di primo grado, non è tanto il momento della conclusione dell’istruttoria dibattimentale, ma l’accertamento degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione abusiva in forza di prove acquisite nel contraddittorio prima della maturazione del termine di prescrizione del reato (Sez. 3, n. 9456 del 19/01/2024, Marchetti, Rv. 286025 – 01; Sez. 3, n. 42235 del 14/09/2023, Gargano, Rv. 285165 – 01; Sez. 3, n. 5816 del 18/01/2022, Esposti, Rv. 282833 – 01; Sez. 3, n. 11389 del 14/12/2023, Oddo, Rv. 286049 – 01; Sez. 3, n. 15310 del 25/02/2021, Nobis, Rv. 281728 – 01).
4.2. La sentenza impugnata mostra di aderire all’orientamento maggioritario, sopra richiamato, ed è pervenuta alla conferma della confisca disposta dal Tribunale di Napoli con accertamento degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione abusiva, sulla scorta delle prove acquisite nel contraddittorio prima della maturazione del termine di prescrizione.
In termini più chiari, scrivono i giudici del merito, l’istruttoria risulta completata prima del verificarsi della causa di estinzione del reato (cfr. pag. 12), circostanza non specificatamente criticata dai ricorrenti che contestano, invece, la conferma della disposta confisca sulla scorta di un indirizzo interpretativo espresso da una isolata sentenza (Sez. 3, n. 11295 del 24/11/2021, Rv. 282928 – 01) che i ricorrenti richiamano nei ricorsi, che non è stato condiviso dalla successiva giurisprudenza come sopra indicato.
 4.3. Secondo l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, l’attività istruttoria era stata svolta dal 10 ottobre 2013 al 22 ottobre 2015, ultima udienza deputata all’assunzione delle prove a discarico, avendo la difesa rinunciato agli altri testi all’udienza del 10 marzo 2016, e, tenuto conto della data di consumazione del reato al 26 giugno 2010, e dei termini di prescrizione del reato di cui agli artt. 157-161 cod.proc.pen. e dell’ulteriore periodo di sospensione del corso della prescrizione di mesi sei e giorni dieci, la prescrizione era maturata il 05/01/2016, in epoca successiva all’assunzione delle prove nel contraddittorio, al (22/10/2015) in un contesto di processo cumulativo nel quale i ricorrenti non avevano richiesto l’immediata applicazione dell’art. 129 cod.proc.pen. 
In conclusione, era stato completato il contraddittorio sulle prove e il giudice aveva già tutti gli elementi per compiere l'accertamento necessario circa la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, per cui la confisca risulta validamente e legittimamente disposta, all'esito della valutazione nel merito dell'intero compendio probatorio. 

5. Su proporzionalità questa Corte di legittimità ha affermato il principio che in tema di lottizzazione abusiva, è conforme al principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, la confisca di tutta l'area oggetto della lottizzazione, compresi gli edifici sulla stessa realizzati, laddove la complessiva operazione edilizia realizzata abbia determinato il completo stravolgimento della destinazione urbanistica dei terreni (in tal senso Sez.3, n. 7756/20 del 03/10/2019, Chifari, Rv. 278167 - 01: nella fattispecie esaminata la zona, destinata all'allevamento e all'agricoltura, era stata destinata a finalità residenziali).
Nel caso di specie i giudici di secondo grado hanno confermato la confisca ritenendola proporzionata (cfr. pag. 15) rispetto all’entità della violazione contestata sia sotto il profilo dell’aggravio del carico urbanistico – si rammenta che gli imputati avevano realizzato ben sette manufatti completi rifiniti e tutti abitati in un'area che invece andava destinata a scopi agricoli – sia per la pervicacia dimostrata dagli stessi che avevano proseguito per circa venti anni del progetto lottizzatorio, nonché alla gravità del fatto considerato che insisteva in una zona paesaggisticamente vincolata (collina di Posillipo) ed anche in parte realizzato su terreno di terzi (Azienda Ospedaliera). La decisione è sorretta da motivazione congrua e corretta in diritto. Il quarto motivo risulta dunque inammissibile perché manifestamente infondato.

6. Il quinto motivo è inammissibile perché generico là dove lamenta la carenza di motivazione per avere il giudice fatto richiamo per relationem alla sentenza di primo grado e, comunque, manifestamente infondato.  
Contrariamente all’assunto difensivo la sentenza della Corte d’appello contiene una diffusa e puntuale motivazione che prende in esame i rilievi difensivi e li disattende con motivazione appropriata e tutt’altro che meramente ripetitiva di quella del giudice di primo grado (cfr. par. 2 del considerato in diritto).
7. L’ultimo motivo di ricorso risulta inammissibile. 
Non è prospettabile alcuna nullità della sentenza con riguardo alle statuizioni in favore della parte civile Azienda Ospedaliera Santobono Pausillipon, soggetto ritenuto non legittimato a costituirsi parte civile, per violazione dell’art. 185 cod.pen., non essendo prevista dalla legge e non ricorrendo un’ipotesi riconducibile all’art. 178 cod.proc.pen. 
Né a fondamento giuridico la richiesta di revoca delle statuizioni civili.
Va premesso che la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile Azienda Ospedaliera Santobono Pausillipon è stata pronunciata nei confronti del solo Testa Alfonso in relazione al reato di falso di cui al capo G), artt. 48, 479 cod.pen. perché quale proprietario che presentava la voltura all’Agenzia del Territorio- Ufficio del catasto, induceva in errore il funzionario di detta agenzia circa la titolarità della proprietà, allegando un atto di trasferimento relativo ad altro bene immobile e non già la particella di via Petrarca, che formava un atto di voltura falso, reato dichiarato prescritto dal giudice dell’impugnazione che ha confermato la statuizione civile, ritenendo dimostrata la falsità dell’atto di voltura come descritto nel capo di imputazione (cfr. pag. 15), sicchè il motivo proposto da tutti gli altri ricorrenti risulta inammissibile. 
Ma è inammissibile anche il motivo proposto da Testa Alfonso. Va rilevato che la sentenza del Tribunale civile era risalente al 2019 e, dunque, prima della pronuncia in grado di appello, sicchè la questione doveva essere posta al giudice dell’impugnazione. In secondo luogo non contiene, ad oggi, un accertamento definitivo sulla proprietà dei beni (non è passata in giudicato) da cui sorgerebbe la questione della legittimazione dell’Azienda ospedaliera a costituirsi parte civile, Azienda ospedaliera che, allo stato, è soggetto danneggiato per effetto della condotta di falso per induzione, come sopra descritta e in conseguenza della quale risultava non più titolare del terreno di cui trattasi e che aveva determinato la necessità di agire in giudizio. 

8. Per tutte queste ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

9. I ricorrenti devono altresì essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi € 3.686,00, oltre accessori di legge, in favore dell'Azienda Ospedaliera Santobono Pausilipon ed in complessivi € 2500,00, come da nota spese, oltre accessori di legge, in favore del Comune di Napoli.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi € 3.686,00, oltre accessori di legge, in favore dell'Azienda Ospedaliera Santobono Pausilipon ed in complessivi € 2500,00, oltre accessori di legge, in favore del Comune di Napoli.
Così deciso, il 03/10/2024