Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 466, del 2 febbraio 2015
Urbanistica.Differenze tra accertamento di conformità e condono edilizio
Dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché i presupposti dei due procedimenti di sanatoria, quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica, sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale). Per tali osservazioni alla fattispecie dell’accertamento di conformità non può applicarsi la sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003, perché a seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47 (attuale art. 36 del d.P. R. n. 380 del 2001), non perde efficacia l'ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 00466/2015REG.PROV.COLL.
N. 03789/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3789 del 2014, proposto da Antonietta Federico, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuliano Agliata, con domicilio eletto presso Francesco Mangazzo in Roma, Via Alessandro III, 6;
contro
Comune di San Giuseppe Vesuviano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Marciano e Vincenzo Andreoli, con domicilio eletto presso Nicola Bultrini in Roma, Via Germanico, 107;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n. 1211/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giuseppe Vesuviano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2015 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Adinolfi, per delega dell’avvocato Agliata, e l’avvocato Asciano per delega dell’avvocato Marciano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora Antonietta Federico (in seguito “ricorrente”), con il ricorso n. 2574 del 2012, proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, chiedeva, previa sospensione dell’efficacia, l’annullamento dell'ordinanza n. 23 del 28/02/2012, notificata il 19/03/2012, emessa dal Responsabile del servizio urbanistica - ufficio abusivismo edilizio del Comune di San Giuseppe Vesuviano, recante l’ordine di demolizione delle opere edili realizzate e di ripristino dello stato dei luoghi, nonché l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale, comunque lesivo dei diritti della ricorrente; l’ordinanza aveva per oggetto un complesso immobiliare costituito da due corpi di fabbrica, il primo dei quali composto da quattro appartamenti al piano rialzato e da altre due unità immobiliari a piano terra ad uso deposito, mentre il secondo corpo di fabbrica, situato a 5 mt. di distanza dal primo, consiste in un unico appartamento di 90 mq, il tutto realizzato senza alcun titolo edilizio.
L’istanza cautelare era respinta dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione terza, con l’ordinanza n. 904 del 2012.
2. La Polizia Municipale del Comune di San Giuseppe Vesuviano redigeva il verbale, prot. n. 344/PMG del 12/09/2012, notificato il 12/10/2012, di accertamento dell’inadempienza alla suddetta ordinanza di demolizione, che la ricorrente impugnava con motivi aggiunti con istanza cautelare di sospensione dell’efficacia.
L’istanza era respinta dal Tribunale con l’ordinanza n. 63 del 2013 impugnata dalla ricorrente con appello cautelare che era accolto con l’ordinanza n. 622 del 2013 della VI sezione del Consiglio di Stato.
3. Nel merito il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione terza, con la sentenza n. 1211 del 2014, ha poi: respinto il ricorso principale; dichiarato i motivi aggiunti in parte irricevibili e in parte li ha respinti nel merito; ordinato la cancellazione ex art. 89, comma 2, c.p.c., a cura della Segreteria, della seguente frase di cui a pag. 7 della memoria della ricorrente prodotta il 17.5.2013: “Francamente non si comprende a quale parametro normativo il relatore di I grado abbia ancorato la dedotta tardività, se l’art. 43 c.p.a. faculta il ricorrente alla introduzione con motivi aggiunti di “nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte”. Ha mandato alla Segreteria “di segnalare al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, per i provvedimenti di competenza, l’Avv. Giuliano Agliata, per la suindicata affermazione nei confronti dell’Estensore, allegando copia della presente Sentenza”. Ha condannato la ricorrente a pagare al Comune di S. Giuseppe Vesuviano le spese di lite, liquidate in € 2.000,00 oltre accessori di legge.
L’ordine di cancellazione della frase sopra riportata di cui alle difese della ricorrente è impartito, rilevata “la gratuità, oltre che l’infondatezza, delle lamentele svolte dal nuovo procuratore della ricorrente”, richiamando che il provvedimento cui è riferita è in responsabilità del collegio decidente e non solo relatore e che la frase “si profila sconveniente e quanto meno irriguardosa nel confronti del Relatore”.
4. Con l’appello in epigrafe è stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
La domanda è stata accolta con l’ordinanza n. 2730 del 2014.
5. All’udienza del 13 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nella sentenza di primo grado, asserita una “discrasia” emergente dall’ordinanza cautelare n. 622 del 2013 del Consiglio di Stato, sono respinti i motivi di illegittimità dell’ordinanza di demolizione dedotti con il ricorso introduttivo, relativi:
- all’intervenuta presentazione nel frattempo dell’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché, afferma il primo giudice, l’ordinanza di demolizione non è invalidata dalla presentazione dell’istanza ai sensi del citato art. 36, essendo soltanto sospesa nell’efficacia in pendenza dell’istanza e restando priva di effetti se la sanatoria è concessa ovvero riacquistando piena efficacia se, anche per via di silenzio-rigetto, è negata, decorrendo in questo caso il termine per l’esecuzione dal momento della conoscenza del diniego;
- alla contraddittorietà e illogicità dell’ordinanza ritenuta dalla ricorrente per la sua ineseguibilità stante il sequestro giudiziario dell’opera, ben potendo la ricorrente chiedere il dissequestro dell’opera se intenda demolirla;
- all’omessa specificazione delle opere abusive, che, invece, sono indicate nell’impugnata ordinanza, compiutamente motivata con il richiamo del relativo verbale di accertamento e della connessa relazione tecnica;
- alla violazione del giusto procedimento con l’omessa comunicazione dell’avvio, poiché per giurisprudenza consolidata non vi è l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’emanazione dell’ordinanza di demolizione essendo questo un provvedimento vincolato.
Neppure è accolta la censura, dedotta con i motivi aggiunti, per cui, essendo state presentate nel 2004 dalla ricorrente quattro istanze di condono edilizio, il Comune non avrebbe potuto sanzionare l’abuso prima della loro definizione essendone inibito ex lege a prescindere dall’allegazione di parte, poiché, rileva il primo giudice, la censura, se rivolta avverso il verbale di accertamento dell’inottemperanza alla demolizione, è inammissibile, mentre, se riguardante l’ordinanza di demolizione, è irricevibile; si deve infatti considerare che, impugnata via principale l’ordinanza di demolizione con ricorso notificato il 19 marzo 2012, con cui era stata dedotta la sola presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, oggetto peraltro di silenzio-rigetto, il motivo di censura concernente l’avvenuta presentazione della domanda di condono è stato poi proposto soltanto con motivi aggiunti notificati il 5 dicembre successivo, perciò oltre il termine decadenziale di sessanta giorni, comunque da osservare anche se si sostenga che l’inibitoria suddetta operi ex lege.
Al riguardo il primo giudice precisa che, ai sensi dell’art. 43 cod.proc.amm. (secondo periodo del primo comma), la proposizione dei motivi aggiunti è sottoposta allo stesso termine decadenziale prescritto per quella del ricorso introduttivo, sia per i motivi estensivi dell’oggetto dell’impugnazione, relativi cioè a nuovi provvedimenti conosciuti in corso di causa, sia per i motivi nuovi relativi allo stesso provvedimento, possibili quando, altresì in corso di causa, siano conosciuti nuovi vizi, documenti e circostanze; essendo i motivi nuovi ricevibili, di conseguenza, solo se notificati entro sessanta giorni dalla scoperta delle nuove circostanze o atti determinanti l’insorgenza dei motivi stessi.
In questo quadro, nella specie, avendo la ricorrente di certo conosciuto l’avvenuta presentazione delle domande di condono del 17 novembre 2004 all’atto del ricorso introduttivo, non poteva dedurre tale circostanza con motivi aggiunti del dicembre 2012 avverso il verbale di accertamento dell’inottemperanza, a sostegno di una nuova censura relativa all’ordinanza di demolizione notificata nel marzo dello stesso anno.
Le istanze di condono peraltro, si soggiunge incidentalmente, considerati i vincoli di tutela paesaggistico-ambientale, di rischio sismico e di PRG gravanti sulla particella interessata, non avrebbero potuto essere accolte, stante la conseguente, assoluta inedificabilità nella stessa ai sensi degli articoli 33 della legge n. 47 del 1985 e 32, comma 27, della legge n. 326 del 2003.
Nella sentenza si conclude dichiarando l’irricevibilità per tardività delle residue censure dedotte con motivi aggiunti avverso l’ordinanza di demolizione (sulla mancata specificazione degli abusi), ovvero la loro infondatezza in quanto rivolte avverso il verbale di accertamento dell’inottemperanza ad essa, nonché ribadendo la tardività di quelle basate sulla mancata considerazione delle istanze di condono.
2. Nell’appello si deduce l’erroneità della sentenza:
- a) per avere affermato la legittimità della demolizione a seguito del rigetto dell’istanza cautelare al riguardo, trascurando l’efficacia interinale e provvisoria della relativa ordinanza, e, soprattutto, nonostante l’avvenuta presentazione delle domande di condono, al cui riguardo il primo giudice avrebbe in particolare errato, si sostiene, anche alla luce della giurisprudenza in materia, sia per il profilo sostanziale che per quello processuale, poiché non ha considerato: quanto al primo profilo, che la mancata definizione delle domande di condono preclude il procedimento sanzionatorio degli abusi ai sensi degli articoli 38 e 44 della legge n. 47 del 1985 richiamati dalla legge n. 326 del 2003, valendo a tal fine anche la concomitante presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, e, per il secondo, che il detto effetto preclusivo può essere fatto valere anche con motivi aggiunti dedotti avverso un provvedimento sanzionatorio ulteriore rispetto a quello impugnato con il ricorso introduttivo e che tali motivi sono ammissibili se sussistono elementi oggettivi di connessione tra gli atti al fine della effettiva tutela del medesimo bene della vita, avendo la ricorrente presentato i motivi stessi entro il termine decadenziale dalla comunicazione dell’accertamento dell’inottemperanza;
- b) per avere respinto il motivo di ricorso per cui l’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 avrebbe dovuto comportare la non prosecuzione del procedimento sanzionatorio, dovendo essere previamente definita l’istanza, ferma comunque l’improcedibilità dell’impugnazione dell’ordine di demolizione per sopravvenuta carenza di interesse;
-c) per aver ritenuto la non applicabilità delle garanzie partecipative, trascurando così la necessità di adattare la pur nota giurisprudenza in materia al caso di specie, in cui il privato avrebbe potuto prospettare utilmente il decisivo elemento dell’avvenuta presentazione delle domande di condono, essendo inoltre viziata la sentenza per ultrapetizione per aver giudicato sulla fondatezza di tali domande pur non essendo ciò oggetto del giudizio.
Tutto ciò rilevato nell’appello si censura anche la sentenza per avere disposto la cancellazione della frase contenuta nella memoria prodotta il 17 maggio 2013, con segnalazione al competente Ordine degli Avvocati, poiché, si deduce, la frase reca soltanto un’argomentazione critica relativa alla questione dell’irricevibilità dei motivi aggiunti proposta quale articolazione del relativo motivo, formulata nei limiti dell’esercizio delle facoltà difensive ed espressa con lessico lontano da ogni intenzione offensiva; si chiede pertanto la riforma anche del relativo capo della sentenza.
Sono poi riproposti i vizi degli atti impugnati dedotti con la suddetta memoria in primo grado, nella quale, in sintesi:
- si afferma l’interesse della ricorrente all’impugnazione del verbale di inottemperanza, in quanto atto prodromico all’acquisizione del bene e però illegittimo poiché basato sul presupposto dell’inottemperanza, insussistente invece per l’intervenuta presentazione delle domande di condono e per la mancata specificazione delle opere interessate in relazione a quelle considerate o meno nella richiesta di condono, risultando nel complesso il comportamento dell’Amministrazione viziato per difetto d’istruttoria e di motivazione dei provvedimenti adottati, con conseguente eccesso di potere anche per essere stata ignorata la rilevante normativa statale e regionale sul condono;
- si sostiene la ritualità della presentazione dei motivi aggiunti il cui fine, ai sensi dell’art. 43 cod. proc. amm., non solo è quello di arricchire la causa petendi, introducendo nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ma anche di ampliare il petitum con domande nuove, purché connesse a quelle già proposte, nel quadro della garanzia della tutela giurisdizionale, altrimenti vulnerata quando il ricorrente sia stretto tra il decorso di un termine decadenziale e l’impossibilità della conoscenza integrale dell’attività amministrativa pur da contestare;
- si chiede il risarcimento dei danni in caso di demolizione delle opere o della loro apprensione in esecuzione degli impugnati, illegittimi provvedimenti.
3. L’appello è infondato nel merito essendo da respingere i motivi, dirimenti per la decisione della controversia, relativi alla rilevanza della presentazione nel 2004 delle sopra citate quattro domande di condono (di cui sopra sub. 2.a) e dell’intervenuta presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (sopra sub. 2.b).
3.1. La presentazione delle domande di condono edilizio.
L’articolo 43, comma 1, cod. proc. amm., nel consentire ai ricorrenti, principale e incidentale, di introdurre motivi aggiunti, distingue tali motivi se “a sostegno delle domande già proposte”, ovvero per la proposizione di “domande nuove purché connesse a quelle già proposte”.
Sono così previste due ipotesi di motivi aggiunti che, pur nella ratio comune della più ampia garanzia della tutela per il cittadino e della semplificazione e concentrazione processuale, hanno oggetto e finalità distinti, poiché la prima (motivi aggiunti detti “propri”) riguarda la possibilità di proporre “ragioni” nuove avverso il provvedimento originariamente impugnato che non sia stato possibile dedurre con il ricorso introduttivo, e perciò ad integrazione di questo, essendosi conosciuti soltanto dopo ulteriori profili di illegittimità del provvedimento, mentre la seconda (motivi aggiunti “impropri”) consente di proporre “domande” nuove, poiché avverso un diverso provvedimento adottato successivamente a quello già impugnato, ma “connesse” alle domande già proposte, nel senso che deve trattarsi di un provvedimento incidente sulla medesima situazione giuridica dedotta in controversia.
Il comma 1 dell’art. 43 prevede poi che “Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini.”
L’intero comma risulta così basato sulla logica di consentire la difesa nello stesso processo avverso un’attività amministrativa che sia sostanzialmente unitaria ma, al contempo, di precludere la possibilità dell’utilizzo indifferenziato dei relativi strumenti di tutela, restando ciascuno volto al fine proprio dell’impugnazione del provvedimento di riferimento entro il previsto termine decadenziale, per evidenti, connesse esigenze di certezza dell’azione amministrativa e di ordinato svolgimento del processo.
Ne consegue che ragioni di censura del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo che si dimostrino conoscibili, ovvero conosciute, all’atto dello stesso, non possono essere dedotte con motivi aggiunti, venendo eluso altrimenti il termine decadenziale dell’impugnazione decorrente dalla conoscenza del provvedimento, che nuove ragioni di sostegno a domande già rivolte avverso il provvedimento impugnato, risultate possibili soltanto per la loro successiva conoscenza, devono essere proposte entro sessanta giorni da tale conoscenza, e che (tanto meno) possono essere proposte quali domande nuove, relative cioè a un diverso provvedimento, censure basate su fatti o atti noti all’atto della proposizione del ricorso introduttivo avverso il provvedimento originario.
Quanto sopra si applica compiutamente al caso in esame, poiché la ricorrente:
-con il ricorso introduttivo in primo grado, con cui ha impugnato l’ordinanza di demolizione delle opere abusive (n. 23 del 28 febbraio 2012 notificato il 19 marzo successivo) non ha dedotto censure basate sull’avvenuta presentazione delle domande di condono (le censure proposte nel ricorso riguardano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, la mancata considerazione dell’intervenuta istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’impossibilità dell’esecuzione dell’ordinanza, stante il sequestro in atto dell’opera, e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato);
-il motivo di censura della presentazione il 17 novembre 2004 di quattro domande di condono è stato proposto con i motivi aggiunti, notificati il 5 dicembre 2012, rivolti avverso il verbale di accertamento dell’inadempienza all’ordine di demolizione e acquisizione del bene al patrimonio comunale (n. 344/PMG del 12 settembre 2012 notificato il 12 ottobre successivo) e altresì avverso l’ordinanza di demolizione;
-risulta perciò corretta la valutazione del primo giudice sulla tardività della presentazione di tale motivo perché riguardante il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo (l’ordinanza di demolizione) ed essendo la ricorrente di certo a conoscenza, all’atto del relativo ricorso, della presentazione delle domande di condono (la ricorrente è specificamente indicata quale proprietaria nelle domande n. 195 e n. 196 del 2004 e quale richiedente il condono nelle domande n. 197 e n. 198 del 2004);
- per cui il detto motivo avrebbe dovuto essere proposto con il ricorso introduttivo e non, trascorsi più di sessanta giorni dalla data (19 marzo 2012) di conoscenza dell’impugnata ordinanza di demolizione, con motivi aggiunti notificati mesi dopo (il 5 dicembre dello stesso anno) a ragione della successiva emanazione di un diverso provvedimento, nella specie comunque consequenziale all’ordinanza di demolizione e dovuto se questa non risulti ottemperata.
Ne consegue la conferma dell’irricevibilità del motivo, ciò che altresì preclude l’esame della questione dell’inibitoria dell’azione sanzionatoria dell’Amministrazione con esso proposta.
3.2. La presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2011.
3.2.1. Per l’esame della questione è anzitutto necessario richiamare la differente natura dei due istituti, dell’istanza di sanatoria, ovvero di richiesta dell’accertamento della così detta doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, e della domanda di condono edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003, che, nella prospettazione della ricorrente, appaiono assimilate a sostegno dell’asserzione della conseguente inefficacia del procedimento in atto per la sanzione dell’opera abusiva.
Al riguardo la giurisprudenza, con valutazione che il Collegio condivide e da cui non vi è qui motivo per discostarsi, ha chiarito che “dalla presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze della domanda di condono poiché “…i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale).” (TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 124 e 22 dicembre 2010, n. 38207 e la sentenza del TAR Campania Napoli, sezione VI, 3 settembre 2010, n. 17282 in quest’ultima citata). Per tali osservazioni alla fattispecie dell’accertamento di conformità non può applicarsi la sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003.” (Tar Lazio, sezione prima quater, 2 marzo 2012, n. 2165), poiché, come anche precisato, “A seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47” (attuale art. 36 del d.P. R. n. 380 del 2001) “…non perde efficacia l'ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono edilizio; …” (Tar Lazio, sezione prima quater, 24 gennaio 2011, n. 693).
Si correla a questo quadroquanto affermato dalla Sezione,con la sentenza del 6 maggio 2014, n. 2307, sull’erroneità della ricostruzione per cui la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria formazione, anche sub specie di silenzio rigetto, di un nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, cosicché l’Amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza “si è formata in tema di condono edilizio (Cons. Stato VI, 26 marzo 2010, n. 1750), ossia di richiesta che trova il suo fondamento in una norma di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi.”, non potendo trovare applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.”, per cui “Sostenere…che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento.”.
Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per cui l’istanza di accertamento di conformità non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego.
3.2.2. In questo contesto nella vicenda in esame si rileva che:
- l’ordinanza di demolizione è stata notificata il 19 marzo 2012; l’istanza di accertamento di conformità è stata presentata il 12 aprile 2012; l’impugnazione dell’ordinanza di demolizione è stata proposta successivamente, il 10 maggio 2012; il 13 giugno 2012 si è formato il silenzio-rigetto sull’istanza di sanatoria, come riscontrato con l’ordinanza cautelare di rigetto, n. 904 del 22 giugno 2012, adottata in primo grado e non impugnata; il 12 settembre 2012 è stato emanato il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione notificato il 12 ottobre successivo;
- ne emerge perciò: a) che la ricorrente ha impugnato l’ordinanza di demolizione dopo la presentazione dell’istanza di accertamento della conformità, manifestando con ciò interesse all’annullamento dell’ordinanza nonostante la previa presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e non valendo perciò l’asserita improcedibilità dell’impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse, rilevata in giurisprudenza quando l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio precede la presentazione dell’istanza di sanatoria per conformità; b) che il silenzio-rigetto dell’istanza non è stato impugnato, non di per sé né per via dell’impugnazione dell’ordinanza cautelare di primo grado che l’ha riscontrato; c) che all’esito di tutto ciò l’ordinanza di demolizione ha riacquistato piena efficacia risultando dovuto il consequenziale accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza stessa.
3.3. Le ulteriori censure dedotte in appello non possono essere accolte, poiché:
- quanto alle garanzie partecipative non vi è motivo per discostarsi dalla concorde giurisprudenza, per la quale “nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edili abusive non trova applicazione l’obbligo di comunicare l’avvio dell’iter procedimentale in ragione della natura vincolata del potere repressivo esercitato che rende di per sé inconfigurabile quale che sia apporto partecipativo, come peraltro previsto dall’ipotesi legislativa recata dall’art.21 octies della stessa legge n.241/90, come introdotto dall’art.14 della legge 11 febbraio 2005 n. 15.” (Cons. Stato, Sez. IV, 6 febbraio 2013, n. 666; cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2011, n. 3398); ciò che nella specie è altresì avvalorato dalla considerazione che, secondo la ricorrente, la partecipazione al procedimento di cui si tratta sarebbe stata utile per prospettare la rilevanza delle intervenute domande di condono che, per quanto sopra considerato, non può essere ritenuta;
- per la stessa ragione non hanno rilievo l’asserzione del vizio di ultrapetizione della sentenza, la censura, riproposta nel presente grado, sull’interesse all’impugnazione del verbale di accertamento dell’inottemperanza e la ribadita ritualità della presentazione dei motivi aggiunti ai sensi dell’art. 43 cod. proc. amm., in quanto motivi basati sulla non accolta deduzione del vizio della mancata considerazione delle domande di condono;
- non sussiste, di conseguenza, neppure l’asserito difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti repressivi, riscontrandosi anche che l’impugnata ordinanza di demolizione è basata sugli accertamenti della Polizia municipale e sulla connessa relazione tecnica di sopralluogo, nonché recante la compiuta descrizione delle opere abusive.
4. Limitatamente al motivo di censura della statuizione della sentenza sulla cancellazione della frase contenuta nella memoria della ricorrente del 17 maggio 2013, con segnalazione all’Ordine degli Avvocati competente, l’appello è da accogliere, poiché con la detta frase è esposta un’argomentazione di merito, discutibile nella tesi, risultata definitivamente infondata, ma non sconveniente poiché pertinente, anche nella formulazione, all’articolazione della questione trattata.
5. Per le ragioni che precedono l’appello è accolto nel solo capo ora indicato mentre è infondato e perciò da rigettare per il resto, con la conferma della sentenza appellata, eccetto la statuizione richiamata nel precedente punto 4.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza nel merito e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello n. 3789 del 2014 nel solo capo di cui al punto 4 della motivazione rigettandolo per il resto, con la conferma della sentenza appellata del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione terza, n. 1211 del 2014, secondo quanto anche specificato in motivazione.
Condanna la signora Federico Antonietta, appellante, al pagamento delle spese del presente grado del giudizio a favore del Comune di San Giuseppe Vesuviano, appellato, che liquida in € 3.000,00 (tremila/00), oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2015, con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)