Cass. Sez. III n. 12969 del 26 marzo 2015 (Ud 5 mar 2015)
Pres. Teresi Est. Ramacci Ric. D'Aloisio
Acque. Autorizzazione e disposizioni di legge
In tema di inquinamento idrico, è di tutta evidenza che il contenuto dell'autorizzazione non può ritenersi esaustivo, né, tanto meno, può superare o ignorare il dato normativo specifico, quale, ad esempio, è quello che impone il divieto di scarico sul suolo del cadmio. È poi onere specifico di colui che richiede l'autorizzazione allo scarico di indicarne le caratteristiche quantitative e qualitative e fornire ulteriori informazioni, individuate dall'art. 125 d.lgs. 152\06, che presuppongono una piena e completa conoscenza del ciclo produttivo e degli scarichi che ne derivano, così da escludere che il titolo abilitativo venga conseguito a seguito di una mera istanza del titolare dello scarico e non, come invece avviene, all'esito di un più complesso procedimento amministrativo.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 17/1/2014 ha confermato la decisione con la quale, in data 25/2/2013, a seguito di opposizione a decreto penale, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania aveva riconosciuto D.L. responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 5 perchè, quale legale rappresentante e titolare degli scarichi della "PALISSANDRO MARMI s.r.l.", effettuava uno scarico sul suolo di cadmio (pari a 0,00026 mg/l), sostanza vietata, indicata al punto 2 della Tabella 5 dell'Allegato 5 alla Parte Terza del medesimo decreto legislativo (in (OMISSIS)).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato le risultanze dell'istruzione dibattimentale e, segnatamente, le produzioni documentali.
Rileva, altresì, che avendo l'amministrazione provinciale debitamente autorizzato lo scarico con la sola prescrizione del rispetto dei limiti indicati nella Tabella 4 dell'Allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. n. 152 del 2006, egli aveva fatto affidamento sul contenuto dell'atto, proveniente da soggetto qualificato, cadendo in un incolpevole errore che escluderebbe la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta, con riferimento alla richiamata produzione documentale, che i giudici del gravame non avrebbero considerato che essa forniva la prova del fatto che, nelle lavorazioni effettuate, non veniva utilizzato materiale contenente cadmio, la cui presenza nei reflui ben poteva essere causata da altri fattori, esterni alle attività dell'azienda.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale ha dato atto della ricostruzione della vicenda effettuata nel corso del giudizio di primo grado, rilevando come l'accertamento della violazione contestata, effettuato tramite campionamento ed analisi dei reflui ad opera dell'ARPA, non sia stato oggetto di contestazioni da parte della difesa.
Tale accertamento, come riportato nel capo di imputazione, ha consentito di rilevare la presenza, nei reflui, di cadmio nella misura pure indicata in rubrica.
2. Ciò posto, pare opportuno ricordare, preliminarmente, che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 5 originariamente sanzionava l'effettuazione dello scarico di acque reflue industriali con superamento dei valori limite fissati dalla Tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, dalla Tabella 4 dell'Allegato 5, ovvero dei limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente a norma dell'art. 107, comma 1, con riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5.
Per il superamento anche dei valori limite fissati per le sostanze indicate nella tabella 3/A dell'Allegato 5 la sanzione era di maggiore entità.
Anche a seguito dei contrasti sulla corretta interpretazione della norma, sorti immediatamente dopo l'entrata in vigore dell'ormai abrogato D.Lgs. n. 152 del 1999, che pure sanzionava analoghe condotte, il legislatore effettuava, mediante la L. 25 febbraio 2010, n. 36, un intervento modificativo che ridimensionava in modo significativo l'applicazione delle sanzioni penali, con la conseguenza che il superamento dei limiti tabellari integra ora il reato solo nel caso in cui riguardi le sostanze indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5 alla Parte Terza, diversamente integrandosi un mero illecito amministrativo. Di tale modifica ha conseguentemente preso atto la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 11884 del 21/2/2014, Palaia, Rv. 258704; Sez. 3, n. 19753 del 19/4/2011, Bergamini, Rv. 250338).
A seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137 dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 46, il fatto è ora punito salvo che costituisca più grave reato.
Tra le sostanze menzionate dalla tabella sopra ricordata figura anche il cadmio, rispetto al quale, così come per le altre 17 sostanze elencate nella tabella 5 dell'Allegato 5, non è consentita l'indicazione limiti meno restrittivi di quelli specificati, per ciò che concerne gli scarichi con recapito sul suolo, che qui interessano, dalla Tabella 4.
Il punto 2.1 del medesimo Allegato 5, inoltre, come pure ricordato nella sentenza impugnata, stabilisce che restano fermi i divieti di scarico sul suolo e nel sottosuolo di varie sostanze, tra le quali figurano anche il cadmio ed i suoi composti.
3. Correttamente i giudici dell'appello hanno dunque ritenuto del tutto ininfluente, ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del reato, il mero richiamo, nell'atto autorizzatorio, al generale rispetto dei limiti indicati nella Tabella 4 dell'Allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. n. 152 del 2006.
E' di tutta evidenza che il contenuto dell'autorizzazione non può ritenersi esaustivo, nè, tanto meno, può superare o ignorare il dato normativo specifico, quale è quello che impone il divieto di scarico sul suolo del cadmio.
E' poi onere specifico di colui che richiede l'autorizzazione allo scarico di indicarne le caratteristiche quantitative e qualitative e fornire ulteriori informazioni, individuate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 125 che presuppongono una piena e completa conoscenza del ciclo produttivo e degli scarichi che ne derivano, così da escludere, come invece sembra sostenere il ricorrente, che il titolo abilitativo venga conseguito a seguito di una mera istanza del titolare dello scarico e non, come invece avviene, all'esito di un più complesso procedimento amministrativo.
4. A fronte di ciò, correttamente i giudici del gravame hanno richiamato in sentenza l'onere specifico di informazione che gravava comunque sull'imputato, escludendo in radice la possibilità di un errore incolpevole e ricordando come questa Corte abbia avuto modo di precisare che l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale non si configura quando l'agente svolge una attività in uno specifico settore, rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/2/2008, Ciccone, Rv. 240440; Sez. 3, n. 1797 del 16/1/1996, Lombardi, Rv. 205384).
Nel caso di specie, oltre all'onere di informazione, che la Corte del merito ha accertato non essere stato assolto, la specificità della lavorazione effettuata ed ricordati requisiti della domanda di autorizzazione allo scarico presupponevano particolari competenze ed adeguata conoscenza dell'attività svolta e delle disposizioni che la disciplinano, cosicchè l'ignoranza sui valori limite degli scarichi effettuati non può ritenersi in alcun modo giustificata.
5. Per ciò che concerne, invece, il secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che lo stesso risulta articolato unicamente in fatto ed è caratterizzato dalla sostanziale proposizione, inammissibile in questa sede, di una lettura alternativa delle emergenze probatorie già valutate dai giudici del merito.
Al fine di escludere l'utilizzazione del cadmio nel ciclo produttivo, infatti, la difesa dell'imputato ha prodotto alla Corte territoriale alcuni documenti (fatture di acquisto), finalizzati a dimostrare che tale elemento non poteva derivare dall'attività svolta. In particolare, detta documentazione avrebbe dovuto dimostrare che il filo diamantato utilizzato per il taglio meccanico dei blocchi di marmo non conteneva cadmio neppure in quantità minime.
I giudici del gravame hanno tuttavia escluso la rilevanza di tale produzione documentale con argomentazioni del tutto coerenti e prive di cedimenti logici, rilevando, in primo luogo, che la questione non era stata prospettata nel giudizio di primo grado e, in secondo luogo, che la documentazione non era certamente decisiva, considerate le date di emissione delle fatture, non coincidenti con quella di accertamento del reato e la circostanza che non risultava comunque dimostrato che il materiale indicato nei documenti fosse l'unico utilizzato nell'azienda.
La decisione impugnata si presenta pertanto, anche sul punto, del tutto immune da censure.
6 Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2015.