Cass. Sez. III n. 16623 del 21 aprile 2015 (Ud 8 apr 2015)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. PM in proc. D'Aniello
Acque.Scarichi e rifiuti liquidi

La disciplina sugli scarichi trova applicazione soltanto se il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato mediante un sistema stabile di collettamento. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 30/1/2015 ha accolto la richiesta riesame formulata avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 22/12/2014 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto un azienda zootecnica, ipotizzandosi, nei confronti di D.V., il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1, lett. a) e comma 2 e art. 635 c.p., per aver versato i reflui zootecnici, relativi a 750 capi di bestiame, che, mediante ruscellamento, raggiungevano un terreno incolto retrostante, per poi immettersi nel canale sottostante, confluente nel torrente (OMISSIS), da considerare acqua pubblica e, dunque, così danneggiando un bene appartenente al demanio (in (OMISSIS)).

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, premettendo che il sequestro, operato di iniziativa dalla polizia giudiziaria e riguardante soltanto un terreno aziendale di circa due ettari, era stato convalidato dal G.I.P. come sequestro dell'intera azienda, avendo il giudice erroneamente individuato l'oggetto dell'originario sequestro. Ciò nonostante, osserva il Pubblico Ministero ricorrente, la convalida ha comunque riguardato l'area aziendale, ricompresa nell'azienda.

Aggiunge il ricorrente che l'area in questione era interessata dallo sversamento di reflui zootecnici, precedentemente raccolti in vasche ormai ricolme e invase da vegetazione spontanea, nonchè dall'abbandono di un grosso quantitativo di reflui palabili e non palabili, come dimostrato dalla documentazione fotografica predisposta dal personale di polizia che aveva effettuato le indagini.

Date tali premesse, il Pubblico Ministero rileva che la condotta oggetto di provvisoria incolpazione era comunque correttamente descritta e che il Tribunale, omettendo di dare al fatto una diversa qualificazione, si sarebbe astenuto da ogni considerazione sul fumus, ritenendo che la condotta non fosse penalmente rilevante in ragione della equiparazione delle acque reflue provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame alle acque reflue domestiche, effettuata mediante il D.Lgs. n. 4 del 2008.

Rileva, inoltre, che nella fattispecie non sarebbe applicabile la disciplina degli scarichi ma quella dei rifiuti, tali essendo quelli versati sull'area in sequestro, risultando documentato in atti che i reflui riempivano le vasche, per poi tracimare e raggiungere, mediante ruscellamento, il terreno incolto, ove ristagnavano per poi immettersi nel corso d'acqua.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

In data 1/4/2015 la difesa dell'indagato ha presentato memoria con la quale chiede il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

Il Tribunale, dopo aver dato atto della condotta contestata e dell'esito del sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria, osservando che i reflui zootecnici venivano immessi "in due vasche con formazione di un canale naturale e versamento in un terreno retrostante incolto di proprietà dell'istante con ruscellamento nel torrente", ha richiamato il contenuto del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7 e l'assimilazione delle acque reflue provenienti da imprese dedite all'allevamento di bestiame a quelle domestiche e, esclusa la loro successiva utilizzazione agronomica, ha posto in evidenza la depenalizzazione conseguente a tale assimilazione e la rilevanza solo amministrativa della condotta, che indica come l'unica contestata, osservando anche che nulla emergerebbe in merito al danneggiamento delle acque, pure oggetto di contestazione.

2. Ciò posto, va in primo luogo rilevato che, nella sintetica motivazione, il Tribunale non indica in alcun modo le disposizioni la cui violazione ha dato luogo all'applicazione della misura cautelare reale, essendosi limitato alla mera descrizione del fatto così come riportato nell'incolpazione provvisoria, sebbene, sulla base del richiamo al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, può desumersi che essa abbia riguardato la disciplina degli scarichi.

Una conferma si ricava dal ricorso del Pubblico Ministero, che riporta testualmente la contestazione, ove si legge, prima della descrizione del fatto, "del reato di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59 (rectius: D.Lgs. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2) e art. 635 c.p. (...)".

Come è noto, questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento diversi dal provvedimento impugnato e dal ricorso, cosicchè se quella riportata dal Pubblico Ministero ricorrente è la contestazione completa, essa avrebbe correttamente menzionato il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 al quale, come si dirà in seguito, è astrattamente riconducibile la condotta descritta nell'incolpazione.

Va peraltro rilevato come il riferimento al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, per un fatto che si assume accertato nel dicembre 2014, sia del tutto erroneo, trattandosi di disposizione il cui vigore è cessato dal 29 aprile del 2006, in quanto l'intero D.Lgs. n. 152 del 1999 è stato abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 175, comma 1, lett. bb).

Se, invece, la contestazione riportava esclusivamente il richiamo al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59 e la frase tra partentesi ed in neretto ("rectius: D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2") altro non è se non una precisazione fatta dal Pubblico Ministero all'atto della presentazione del ricorso, deve ritenersi che il Tribunale abbia considerato come contestata la sola disciplina degli scarichi e su tale contestazione abbia tratto le sue conclusioni, seppure senza rilevare in alcun modo che la disposizione menzionata non era più vigente da anni.

3. La laconicità dell'ordinanza impugnata non consente di delineare ulteriormente i termini della vicenda, anche se, indipendentemente dalla indicazione delle norme che si assumono violate, risulta comunque chiara la descrizione della condotta e su quella va focalizzata l'attenzione, rilevando, in primo luogo, che il Tribunale non si è posto in alcun modo la questione di una diversa qualificazione giuridica del fatto, limitandosi ad osservare che "il decreto è emesso esclusivamente per questa fattispecie incriminatrice", evidentemente riferendosi alla disciplina degli scarichi richiamata in precedenza menzionando il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, che indica come "codice dell'ambiente" ed il D.Lgs. n. 4 del 2008.

4. Detto questo, deve osservarsi che il fatto storico posto alla base del sequestro preventivo risulta puntualmente delineato ed il Tribunale, anche nel caso in cui fosse stato erroneamente indicato il solo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, non era in alcun modo vincolato da tale indicazione, ben potendo attribuire al fatto medesimo una diversa qualificazione giuridica, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero ricorrente e più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha specificato come il tribunale debba considerare il fatto per il quale si rappresenta l'esistenza di un fumus di reato, ma ben può confermare il provvedimento cautelare anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica (Sez. 6, n. 18767 del 18/2/2014, Giacchetto, Rv. 259679; Sez. 1, n. 41948 del 14/10/2009, Weijun, Rv. 245069; Sez. 6, n. 24126 del 8/5/2008, Fratello, Rv. 240370; Sez. 5, n. 49376 del 18/11/2004, Manieri, Rv. 230428).

5. Come emerge chiaramente dalla descrizione della condotta, questa non poteva essere correttamente inquadrata quale scarico di acque reflue, trattandosi, come emerge chiaramente anche da quanto evidenziato nell'ordinanza impugnata, di un abbandono di rifiuti.

Il Tribunale ha infatti dato atto, nel provvedimento, che dal sopralluogo del Corpo Forestale era emerso che i reflui zootecnici venivano fatti confluire in due vasche "con formazione di un canale naturale e versamento in un terreno retrostante incolto di proprietà dell'istante con ruscellamento nel torrente". Tale descrizione, che il Pubblico Ministero ricorrente integra, osservando che gli effluenti non defluivano direttamente in condotte di scarico e raggiungevano un terreno incolto, sul quale ristagnavano per poi immettersi nel torrente sottostante, indica chiaramente l'insussistenza dei presupposti per qualificare la condotta come scarico.

6. I rapporti tra la normativa sulla tutela delle acque e quella in tema di rifiuti sono stati più volte presi in considerazione dalla giurisprudenza di questa Corte, anche sotto la vigenza di disposizioni ormai abrogate (ivi compresa quella erroneamente menzionata nella contestazione) giungendo, per quel che concerne le disposizioni attualmente in vigore, a conclusioni univoche.

Con il D.Lgs. n. 4 del 2008 è stato infatti delimitato in modo ancor più netto il confine tra scarichi e rifiuti, ripristinando, in sostanza, la situazione antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006.

L'attuale disciplina esclude invero, nell'art. 185, comma 2, lett. a), l'applicabilità della normativa sui rifiuti per "le acque di scarico", a condizione che siano disciplinate da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento.

Per la nozione di scarico, l'art. 183, lettera hh) rinvia all'art. 74, comma 1, lett. ff), il quale definisce, appunto, lo scarico come "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art. 114".

7. Ne consegue che la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., tra le più recenti, Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, Pananti, Rv. 251335; Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010, Chianura, Rv. 247627; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone, Rv. 244783).

Ad identiche conclusioni si è pervenuti anche con riferimento alla raccolta di liquami zootecnici in vasche, come correttamente ricordato in ricorso (Sez. 3, n. 15652 del 16/3/2011, Nassivera, Rv. 250005; Sez. 3, n. 27071 del 20/5/2008, Cornalba e altro, Rv. 240264).

8. Dunque, se la condotta accertata corrisponde a quella descritta nell'ordinanza, la raccolta nelle vasche interrompeva la necessaria continuità tra il luogo in cui i reflui venivano prodotti (le stalle o gli altri ambienti dell'allevamento) ed il recapito finale (il torrente) ed, in ogni caso, il percorso seguito dai reflui mancherebbe comunque di continuità, considerando che, all'iniziale collocazione nelle vasche di raccolta, seguiva, per quanto è dato comprendere, la tracimazione, il ristagno su un terreno incolto ed il successivo ruscellamento fino al torrente.

Si tratta, invero, di una situazione che non è possibile qualificare come "scarico", in quanto, sebbene tale nozione non richieda la presenza di una "condotta" nel senso proprio del termine, costituita da tubazioni o altre specifiche attrezzature, vi è comunque la necessità di un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore (cfr. Sez. 3, n. 35888 del 3/10/2006, De Marco, non massimata).

E' inoltre evidente che il concetto giuridico di scarico presuppone comunque che il collegamento tra insediamento e recapito finale sia stabile e predisposto proprio allo scopo di condurre i reflui dal luogo in cui vengono prodotti fino alla loro destinazione finale, senza interruzioni, ancorchè determinate da casuali evenienze quali, ad esempio, la tracimazione da vasche di raccolta, che abbiano consentito ai reflui un ulteriore percorso.

9. Deve conseguentemente ribadirsi che la disciplina sugli scarichi trova applicazione soltanto se il collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato mediante un sistema stabile di collettamento. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.

10. A tali principi dovrà pertanto conformarsi il Tribunale cui gli atti vanno rinviati previo annullamento dell'impugnata ordinanza.

Resta da aggiungere che, in sede di rinvio, potrà eventualmente considerarsi il diverso e più limitato oggetto del sequestro che il G.I.P. avrebbe erroneamente esteso all'intera azienda in sede di convalida, come segnalato in ricorso.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2015.