Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 651, del 4 febbraio 2013
Ambiente in genere.Legittimità diniego di rilascio di certificato d’uso a frantoio oleario
E’ legittimo il diniego dell’Amministrazione comunale al rilascio del certificato d’uso a frantoio oleario di un locale, già destinato alla trasformazione di prodotti agroalimentari. Deve escludersi il carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive e lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici. La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola. Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività non sia prevalente. E’ vero che la puntualizzazione della inammissibilità di attività rumorose e moleste non vale in assoluto, poiché oltre alla tutela della funzione residenziale, devono ritenersi consentite attività confacenti o necessarie all’ordinato assetto di quartieri residenziali (come per esempio, uffici, negozi, autorimesse, parcheggi pubblici, studi professionali), ma non può ammettersi quella di un impianto produttivo del tutto avulso dal tessuto edilizio di zona di completamento e in tal senso non possono valere le relazioni tecniche di parte. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00651/2013REG.PROV.COLL.
N. 06794/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6794 del 2009, proposto da:
Biagio De Giorgi, rappresentato e difeso dall'avv. Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Roma, corso Rinascimento, 11;
contro
Comune di Corsano, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Regione Puglia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 00966/2009, resa tra le parti, concernente confezionamento prodotti agroalimentari - permesso di agibilita'.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Corsano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Gianluigi Pellegrino (su delega di Valeria Pellegrino) e Fabio Patarnello (su delega di Pietro Quinto);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tar Puglia-sezione di Lecce, l’attuale appellante De Giorgi Biagio agiva per l’annullamento del diniego 21.4.2008 n. 2 opposto dal Settore Tecnico e Gestione del territorio del Comune di Corsano al rilascio di certificato d’uso a frantoio oleario, nonché, con motivi aggiunti, del provvedimento 14.8.2008 prot. 6296 di conferma del diniego sull’istanza presentata il 24.10.2007 di rilascio di certificato d’uso a frantoio oleario.
L’Amministrazione comunale aveva negato il rilascio del certificato d’uso a frantoio oleario di un locale, già destinato alla trasformazione di prodotti agroalimentari.
Il diniego si fondava sulla rumorosità e molestia dell’attività di frantoio, in applicazione delle Norme tecniche di attuazione del Piano di Fabbricazione e dell’art. 61 del Regolamento di Polizia Urbana.
Con ordinanza n. 642/2008 il giudice di prime cure accoglieva l’istanza cautelare presentata dal ricorrente; a seguito di tale ordinanza con provvedimento prot. n. 6296 del 14.8.2008 il Comune confermava il diniego dell’istanza.
Il giudice di prime cure dichiarava quindi l’improcedibilità del ricorso originario, a causa della sostituzione dell'atto impugnato a mezzo di un nuovo provvedimento non meramente confermativo del precedente, poiché l'attività amministrativa espletata dall'Amministrazione a seguito dell’ordinanza cautelare 642/2008 (che statuiva la sospensione dell’atto basandosi sull’insufficienza dell’istruttoria e della motivazione espletata dagli uffici comunali) si era tradotta in ulteriori atti, risultanti in una nuova verifica della sussistenza dei presupposti e in una rinnovata articolazione dei motivi di diniego. Il successivo atto del 14.8.2008 pertanto si configurava come espressione di nuove, autonome, scelte discrezionali dell'Amministrazione, a fronte delle quali l’impugnazione dell’atto sostituito perde di interesse.
Venivano rigettati nel merito, siccome infondati, i motivi di censura proposti con motivi aggiunti, riguardanti l’asserita elusione del giudicato cautelare, e quindi la nullità dell’atto adottato, l’esigenza di attivare il contraddittorio procedimentale con comunicazione del preavviso di diniego, il difetto di adeguata istruttoria atta a sostenere le ragioni del diniego (rispetto alle NTA della zona B (Completamento), zona in cui è posto il fondo in oggetto, che non prevedono, in tali zone, l’edificazione di locali per attività artigianali moleste e rumorose, e rispetto al Regolamento Comunale di Polizia Urbana, che all’art. 61 qualifica come rumorosi e incomodi, dopo una serie non tassativa di esempi, tutti quei mestieri che, per l’azione di macchine, di motori o per l’uso continuo di strumenti manuali, rechino molestia al vicinato.
Pertanto, secondo il primo giudice, il provvedimento era idoneamente motivato, risultando condivisibile l’assunto in base al quale, tenuto conto delle dimensioni e dell’estensione dell’impianto, si è in presenza di attività “rumorosa e molesta”, riferendosi tale endiadi a tutte quelle caratteristiche nocive per le abitazioni circostanti e che sono rappresentante non solo dal rumore - interno ed esterno al fabbricato - ma anche dall’impatto in termini “di immissioni, traffico, odori, parcheggi, situazione viaria”.
Con l’atto di appello il medesimo De Giorgi sostiene i seguenti motivi di gravame:
sarebbe contraddittorio – e contraddittoria sarebbe anche la sentenza del giudice di primo grado (tacciato, pagina 12, di “schizofrenia processuale” per i “cambi di fronte”) - l’operato del Comune di Corsano, che prima ha rilasciato titoli edilizi per realizzare uno stabilimento artigianale funzionale alla trasformazione e confezionamento di prodotti agroalimentari e poi, dopo la realizzazione della struttura, ha negato il rilascio del certificato d’uso a frantoio oleario, sul presupposto errato che tale impianto non sarebbe ammissibile in ragione delle NTA della zona di completamento del Comune, ritenendo erroneamente che l’attività di frantoio sia cosa diversa dalla attività di trasformazione e confezionamento di prodotti agroalimentari.
L’appello sostiene che il diniego attiene a rilascio del certificato d’uso per l’attivazione dell’impianto e non alla mutazione della destinazione d’uso dell’immobile, tanto che si sostiene come tale certificato sarebbe addirittura ultroneo; nei titoli edilizi era specificato che vi era la stanza per la molitura delle olive;
con altro motivo di appello si sostiene che il PdF vigente ammette espressamente la realizzazione in zona B residenziale di manufatti destinati all’esercizio di attività artigianali e quindi alla attività frantoiana, sicché non può farsi riferimento a diverse ipotesi che riguardano la fattispecie in cui lo strumento urbanistico esclude espressamente in zona residenziale la realizzabilità di manufatti industriali e/o agricoli e il deposito di olive, mentre nella specie, al contrario, è ammessa espressamente la realizzabilità di manufatti artigianali, come deve essere considerato quello realizzato dall’appellante, di cui deve escludersi invece la natura industriale.
L’appello sostiene l’erroneità delle ragioni del diniego, in quanto l’impianto è gestito direttamente ed esclusivamente dall’appellante e dalla sua famiglia, perché tale attività è ammessa dalle NTA al PdF vigente e perché si tratta di attività strettamente collegate alla destinazione e non necessariamente in contrasto con l’uso abitativo tipico della residenzialità; fa presente che l’installazione di attività industriali e addirittura insalubri non è in sé vietata in zona residenziale, ma solo quando non sia accompagnata da particolari metodi produttivi e cautele in grado di escludere rischi e compromissioni.
In definitiva, si lamenta il difetto di adeguata istruttoria da parte dell’amministrazione, che non ha tenuto conto: delle perizie di parte depositate, delle concrete modalità di costruzione del manufatto (come le pareti, che attutiscono i rumori) e delle concrete modalità di svolgimento dell’attività di molitura; non è dimostrata la intollerabilità dei rumori e degli odori; si fa presente che l’ASL aveva attestato la regolarità dell’impianto.
Si contesta la sentenza anche laddove ha ritenuto l’improcedibilità del ricorso originario, stante la autonomia; si reitera la censura di violazione dell’ordinanza cautelare; si reitera la violazione dell’art. 10 bis L.241 del 1990.
Si contestano altresì le ragioni eventualmente collegate alla violazione delle norme sugli scarichi.
Si è costituito il Comune di Corsano eccependo l’inammissibilità parziale dell’appello e chiedendone comunque il rigetto perché infondato.
Alla udienza pubblica dell’8 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.L’appello è infondato, come emerge dalla esatta e puntuale ricostruzione dei dati di fatto esposti dalla difesa comunale.
L’appellante aveva dapprima ottenuto il rilascio di titoli edilizi al fine della costruzione di impianto artigianale per trasformazione e confezionamento di prodotti agroalimentari, in generale e senza ulteriori specificazioni, come tale compatibile con la zona residenziale B; successivamente, due mesi dopo circa, ha chiesto nella sostanza un cambio di destinazione d’uso, in vista dell’attività di esercizio del frantoio, non autorizzabile e non autorizzata in quanto rumorosa e molesta.
E’ del tutto infondato anche ogni rilievo di difetto di adeguata istruttoria e motivazione.
Infatti, nel diniego del 14 agosto 2008, il Comune motiva, rappresentando che è incompatibile in zona residenziale B un frantoio oleario, poiché la possibilità di insediare attività artigianali esclude tuttavia quelle rumorose e moleste.
L’attività di frantoio, così continua il Comune, sarebbe del tutto incompatibile – perché rumorosa e molesta – nel centro edificato di un piccolo Comune, perché in contrasto con la tutela della funzione residenziale.
Il Collegio osserva che è vero che la puntualizzazione della inammissibilità di attività rumorose e moleste non vale in assoluto, poiché oltre alla tutela della funzione residenziale, devono ritenersi consentite attività confacenti o necessarie all’ordinato assetto di quartieri residenziali (come per esempio, uffici, negozi, autorimesse, parcheggi pubblici, studi professionali), ma non può ammettersi quella di un impianto produttivo del tutto avulso dal tessuto edilizio di zona di completamento e in tal senso non possono valere le relazioni tecniche di parte.
Né è degna di positiva considerazione l’osservazione secondo cui negli allegati sarebbe stata rappresentata anche la stanza della molitura delle olive, essendo evidente invece la genericità del primo assentimento, in quanto, contrariamente, non avrebbe avuto alcun senso l’esigenza, pur sentita dalla parte istante, di ottenere un ulteriore provvedimento, rappresentato, nella sostanza, come un concreto cambio di destinazione d’uso.
La circostanza di aver chiesto ulteriore provvedimento nel senso preteso dimostra la insufficienza, ai fini di esercitare l’attività di molitura delle olive, dell’originario provvedimento positivo, da intendersi nel senso generico sopra riportato.
E’ priva di fondatezza anche la censura di difetto di motivazione.
Pronunciandosi sulla richiesta ulteriore, il Comune motiva il diniego nel senso che si tratta di attività rumorosa, ossia di qualcosa di più e diverso rispetto alle condizioni di rumorosità all’interno di un fabbricato; si tratta di attività molesta, sotto i profili degli odori, delle immissioni, del traffico, indoptto, dei parcheggi necessari, e della situazione viaria; in pratica il Comune ha ritenuto che per i residenti la situazione sarebbe intollerabile.
Il diniego motiva correttamente anche facendo riferimento alla natura di carattere industriale dell’attività di frantoio, affermata in diverse circostanze dalla giurisprudenza.
Il diniego è quindi motivato ampiamente in relazione alla incompatibilità di tale attività con la destinazione residenziale di zona e con riguardo alla natura rumorosa e molesta dell’attività che verrebbe esercitata, che conferma l’incompatibilità.
Anzi, il Comune nelle sue difese sostiene che a monte sussiste in ogni caso l’incompatibilità tipologica dell’impianto produttivo con la destinazione di Zona e che l’attività non può essere comunque consentita, appunto, perché rumorosa e molesta.
Con riguardo alla molestia da odori, traffico, parcheggi, situazione viaria e così via, deve osservarsi come anche essa faccia parte delle immissioni intollerabili da vicinato, se valutata in relazione alle esigenze residenziali degli abitanti, smentendosi le affermazioni di parte riguardo al numero di accessi di veicoli al giorno; con riferimento ai rumori, sarebbe inaccettabile realizzare, come pretende l’appellante, tutte le operazioni di carico e scarico sul piazzale.
Al di là della contrarietà con la normativa in materia di scarichi e acque, rileva soprattutto la natura industriale dell’impianto (questione non espressamente affrontata dal primo giudice, ma riproposta dal Comune), confermata anche dalla natura di industria insalubre, in realtà ammessa come tale e proveniente dalla stessa parte (dichiarazione del tecnico incaricato), che non può quindi essere negata, non rilevando l’aspetto familiare dell’attività di impresa.
Questo Consesso ha già sostenuto che deve escludersi il carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive e lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
Deve rilevarsi che la lavorazione per conto terzi (“da un ristretto numero di clienti”) non è smentita e anzi ammessa anche da parte del De Giorgi (relazione dott. Salerno, in particolare).
È stato precisato che la predetta attività connessa dell'imprenditore agricolo deve restare collegata all'attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura ed assume invece il carattere prevalente o esclusivo dell'attività commerciale o industriale (in tal senso: Cons. stato, sez. IV 14 maggio 2001 n. 2669).
Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività non sia prevalente (Cass. 29 marzo 1990 n. 2571).
In ogni caso, allorquando l'attività della cui connessione con un'attività propriamente agricola si discute, abbia in concreto dimensioni tali (anche nell'ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell'attività stessa (Cass. 6 giugno 1974 n. 1682).
Alla stregua delle predette considerazioni deve senz'altro escludersi il carattere agricolo dell'attività in questione, giacché, in genere in tali casi, come anche nella specie, il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento, come si ripete, non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
Venendo in considerazione un impianto anche per la lavorazione della pasta disoleata, il processo tecnologico consiste in ciò: una volta molite le olive si procede, attraverso particolari strutture (oggetto della denegata concessione in sanatoria) ad estrarre, per separazione, olii e pasta disoleata, dopo di che tale pasta, costituita da un miscuglio di sansa più acqua contenuta nelle olive, subisce ulteriori cicli di trasformazione grazie ai quali viene recuperata la pasta esausta, dalla quale, poi, per successive lavorazioni tecnologiche, si ottengono nuovi derivati, alcuni dei quali, come ad esempio l'olio d'oliva "lampante", devono essere sottoposti ad un ultimo trattamento di trasformazione, che prevede l'uso di processi chimici, per poter diventare commestibili.
Non si è in definitiva in presenza di una semplice attività connessa ad un'attività tipicamente agricola svolta in via principale, bensì di una vera e propria attività industriale.
Con il medesimo motivo l’appellante lamenta che il Comune non avrebbe svolto adeguata istruttoria per sostenere le ragioni del diniego.
Il diniego del Comune ha preso le mosse dalla disciplina urbanistica vigente; in particolare le NTA della zona B (Completamento), zona in cui è posto il fondo in oggetto, che non prevede, in tali zone, l’edificazione di locali per attività artigianali moleste e rumorose, e il Regolamento Comunale di Polizia Urbana, che all’art. 61 qualifica come rumorosi e incomodi, dopo una serie non tassativa di esempi, tutti quei mestieri che, per l’azione di macchine, di motori o per l’uso continuo di strumenti manuali, rechino molestia al vicinato.
E’ quindi immune da censure la qualificazione operata dagli uffici comunali, laddove si assume non a torto che nel progetto di frantoio (ciclo continuo di trasformazione, lavorazione per conto terzi, sistema degli scarichi) si ravviserebbe un impianto produttivo “del tutto avulso dal tessuto edilizio di completamento”.
Giova in proposito ricordare come già è stato ritenuto legittimo il diniego di concessione edilizia opposto dal Comune alla realizzazione in zona agricola di un impianto per la molitura delle olive e la trasformazione delle paste derivate, ove come nel caso, per dimensioni e tipologia, esso sia destinato prevalentemente alla lavorazione dei prodotti di terzi rispetto a quelli provenienti dal fondo; la lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli - per poter essere considerata " attività connessa" all'agricoltura e rientrare nella nozione di "impresa agricola" di cui all'art. 2135 c.c. - deve infatti avere carattere strettamente strumentale e complementare all' attività principale di coltivazione del fondo, ciò che non accade allorché essa abbia prevalentemente ad oggetto la trasformazione di prodotti agricoli per conto terzi (così Consiglio Stato sez. V, 6 marzo 2007, n. 1051).
2.E’ infondato il motivo di appello che ripropone la violazione dell’ordinanza cautelare (quale nullità radicale ai sensi dell’art. 21 septies della l.n.241 del 1990).
Nel giudizio amministrativo, la circostanza per cui l'ordinanza di sospensione di un diniego sia stata adottata attraverso la cd. tecnica del " remand ", ossia mediante la fissazione delle coordinate operative e sistematiche cui informare la concreta riedizione del potere, non consente all'Amministrazione di limitare la propria attività conformativa alla mera rimozione del provvedimento negativo oggetto di impugnativa, altrimenti venendo meno il "continuum" funzionale (anche in chiave procedimentale) che necessariamente deve intercorrere fra il "jussum" giudiziale (quand'anche impartito nella forma dell'ordinanza cautelare atipica) e le conseguenze conformative, risolventisi nella riedizione del potere, secondo l'assetto delineato attraverso il comando del giudice (Consiglio Stato sez. VI, 5 febbraio 2010, n. 537).
Nel caso di specie l’ordinanza del Tar ha provvisoriamente indicato all’amministrazione che il primo diniego fondandosi sul riscontro della sola rumorosità dell’attività di frantoio - basata peraltro su accertamenti di tipo induttivo - risultava, ad un primo sommario esame, insufficientemente motivato. L’amministrazione pertanto, in ottemperanza all’efficacia propulsiva dell’ordinanza, ha più ampiamente trattato la questione, argomentando il diniego non solo sulla base del livello di rumorosità della nuova attività, ma anche sulla natura molesta della stessa a confronto con la destinazione urbanistica della zona di insediamento (Consiglio Stato sez. V, 6 marzo 2007, n. 1051).
L’ordinanza in oggetto dà, infatti, impulso all’Amministrazione perché questa rieserciti il potere, sottolineando l’insufficienza della motivazione (“l’Amministrazione si è limitata..”) e indicando la possibilità di svolgere alcuni atti istruttori (“accertamenti tecnici”), fermo restando in capo all’Amministrazione, implicitamente, il potere discrezionale di negare il bene della vita preteso sulla base di argomenti diversi (la natura molesta dell’attività e l’incongruenza con la destinazione urbanistica della zona).
L’atto impugnato per motivi aggiunti non può pertanto dirsi in contrasto con la stessa ordinanza, costituendo, attraverso l’integrazione della parte motiva, un rinnovato e approfondito esercizio dei poteri discrezionali dell’Amministrazione nel solco di quanto tracciato dal Tar con la richiamata ordinanza di accoglimento.
3.E’ infondato anche il riproposto motivo di violazione dell’art. 10 bis.
Infatti, in caso di riesame, per ordine del giudice, di un provvedimento amministrativo censurato in sede giurisdizionale, la comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10-bis citato costituisce un inutile aggravamento dell'attività amministrativa, tenuto anche conto che il riesame dell’istanza è disposto per impulso giudiziale, e quindi con tutte le garanzie del contradditorio proprie del processo, e non su istanza di parte, allorché invece l'art. 10-bis legge 241/1990, come noto, trova applicazione per i soli procedimenti “ad istanza di parte”.
Valgono al riguardo le regole dettate dalla giurisprudenza amministrativa sui ricorsi amministrativi.
La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda non è necessaria in relazione alle decisioni di ricorsi gerarchici, atteso che il preavviso di rigetto si applica ai procedimenti ad istanza di parte, mentre il ricorso amministrativo non è assimilabile a un' istanza di provvedimento, ma costituisce la contestazione di un provvedimento già emanato; inoltre è diretto a promuovere il contraddittorio prima dell'adozione di un provvedimento di amministrazione attiva, mentre, nel caso del ricorso amministrativo, il provvedimento di amministrazione attiva è già stato emanato e impugnato; prima del provvedimento impugnato il privato, di regola, ha già potuto interloquire con l'Amministrazione, sicché un ulteriore preavviso di rigetto introdurrebbe un'ulteriore fase di contraddittorio, sostanzialmente inutile e in contrasto con le esigenze di buon andamento, economicità e celerità dell'azione amministrativa; la comunicazione del preavviso di rigetto interrompe i termini per l'emanazione del provvedimento finale, e questo effetto è incompatibile con la disciplina del ricorso amministrativo perché comporterebbe il raddoppio praeter legem dei termini di decisione del ricorso; il procedimento avviato col ricorso gerarchico può concludersi con il silenzio, con l'effetto di consentire al ricorrente di impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento già impugnato in sede amministrativa, e tale disciplina è, per la sua intrinseca funzione acceleratoria dei rimedi di tutela, incompatibile con la necessità del preavviso di rigetto; la decisione dell'Amministrazione sul ricorso gerarchico ha carattere di segretezza fino alla sua emanazione, e pertanto non ammette un preavviso di rigetto (Consiglio di Stato sez. V, 3 maggio 2012, n. 2548).
4.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:
rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro tremila, di cui mille per spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)