Cons. Stato Sez. IV n.3300 del 5 giugno 2012
Urbanistica. Usufruttuario
La titolarità a chiedere ed ottenere la concessione edilizia su un fondo, da parte dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di principio sia legittimato a contestare la legittimità del permesso di costruire rilasciato al vicino, purchè sussistano i presupposti della vicinitas e del concreto pregiudizio alle facoltà dominicali, che sono il proprium della legittimazione ad agire in subiecta materia.
N. 03300/2012REG.PROV.COLL.
N. 07754/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 7754 del 2010, proposto da:
Susanna Pulici, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Alessandra Sandulli, Anna Laura Ferrario, con domicilio eletto presso Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele II,349;
contro
Comune di Merate, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Mario Anghileri, Francesco Pecora, con domicilio eletto presso Francesco Pecora in Roma, via Gavinana 1;
nei confronti di
Parco Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Guido Francesco Romanelli, Andrea Vimercati, Umberto Grella, con domicilio eletto presso Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria N. 5; Immobiliare Mape S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Ercole Romano, Diego Vaiano, con domicilio eletto presso Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio N. 3; Regione Lombardia, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e il Paesaggio;
Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e Ambientali, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 01147/2010, resa tra le parti, concernente PERMESSO DI COSTRUIRE (RISARCIMENTO DEI DANNI)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Parco Costruzioni S.r.l. e del Comune di Merate e della Immobiliare Mape S.r.l. e del Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e Ambientali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Anna Laura Ferrario, Mario Anghileri, Umberto Grella, Andrea Vimercati, Ercole Romano, e l’Avvocato dello Stato Federica Varrone;
Visto l'art. 36, comma 2, del codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano - ha deciso una articolata impugnazione, corredata da motivi aggiunti, proposta dalla odierna appellante Pulici Susanna, nella qualità di usufruttuaria di un immobile sito nel Comune di Merate, di pregio architettonico e ambientale, inserito in un contesto assoggettato a vincolo paesaggistico ex lege n. 1479/1939.
L’iniziativa giurisdizionale era volta ad avversare gli atti amministrativi sottesi ai lavori autorizzati su un immobile collocato di fronte alla sua proprietà e di particolare pregio storico, già esistente nel catasto teresiano, assoggettato alla disciplina di cui all’art 31 delle NTA del PRG, che disciplinava gli immobili di riconosciuto rilievo urbanistico-architettonico, storico-artistico, culturale e ambientale esterni al centro storico.
In particolare, la odierna appellante aveva avversato il permesso di costruire del 19.2.2008 prot. 0037373/06 per i lavori di demolizione e ricostruzione di edificio esistenti, l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, nonché quali atti presupposti e conseguenti il verbale del 14 dicembre 2006 n. 29 con cui la Commissione edilizia aveva espresso parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica, la relazione del 14.12.2006 di esame dell’impatto paesistico 22.11.2006, il parere della Commissione edilizia 30.10.2008 n. 25 e la relazione ai sensi dell’art 81 L.R. 12/2005.
Erano state altresì proposte doglianze volte a censurare, sia in via derivata che in via autonoma, l’autorizzazione paesaggistica in variante del 2.2.2009 e il permesso di costruire in variante del 2.2.2009.
Con successivi motivi aggiunti l’odierna appellante – che medio tempore aveva inoltrato all’amministrazione comunale alcune diffide volte a stimolare l’ esercizio dei poteri di vigilanza edilizia – aveva impugnato le risposte fornitele dall’Amministrazione con le quali quest’ultima le aveva comunicato di volere attendere l’esito del giudizio già incoato prima di intraprendere eventuali iniziative repressive.
Il primo giudice, ha disatteso l’eccezione di difetto di interesse e carenza di legittimazione preliminarmente proposte dalle originarie parti resistenti affermando che la qualità di usufruttuaria rivestita dall’appellante le conferiva il potere di iniziativa giurisdizionale.
Ha quindi preso in esame l’eccezione di tardività del mezzo di primo grado e ne ha affermato la parziale fondatezza.
Ha in proposito rimarcato che il petitum articolato in primo grado era volto a contestare la legittimità dei provvedimenti citati nella parte in cui avevano permesso la demolizione dell’edificio, (ritenendo che, in base all’art 31 delle NTA, gli interventi consentiti fossero solo quelli dei ristrutturazione interna e di ristrutturazione edilizia, con conservazione delle facciate esterne e coperture) ivi essendosi sostenuto (primo motivo di censura)che, secondo le tassative e analitiche modalità di intervento descritte dall’art 31 NTA, ne era impedita la demolizione e la sua ricollocazione fisica.
Da ciò doveva quindi discendere che la violazione delle disposizioni in materia era riconducibile anche alla demolizione (che era stata assentita con il permesso di costruire del 19.2.2008) e non alla sola ricostruzione.
Della avvenuta demolizione la originaria ricorrente aveva avuto notizia certa percependone l’effetto lesivo, al più tardi, già con i lavori di demolizione e poi al momento della ricostruzione.
Pertanto proprio perché veniva censurato l’intervento sostenendo l’inammissibilità di una demolizione, la lesività si riconnetteva alle opere di demolizione, concluse nell’aprile del 2008; l’attività di ricostruzione, poi, era avvenuta nel maggio 2008 (e da tale data si poteva evincere la collocazione dell’immobile e quindi l’eventuale violazione delle distanze).
La appellante aveva presentato istanza di accesso per la prima volta solo nel mese di gennaio 2009: ne conseguiva che l’impugnazione proposta avverso il permesso di costruire 19.2.2008 e gli atti a questo presupposti ed antecedenti (l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, il verbale del 14 dicembre 2006 n. 29 con cui la Commissione edilizia aveva espresso parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica, la relazione del 14.12.2006, l’esame dell’impatto paesistico 22.11.2006, il parere della Commissione edilizia 30.10.2008 n. 25 e la relazione ai sensi dell’art 81 della legge regionale 12/2005), era irrimediabilmente tardiva.
Il gravame doveva considerarsi, invece, tempestivo, con riguardo ai motivi (punti 13 e 14 del mezzo principale) formulati avverso l’autorizzazione paesaggistica in variante del 2.2.2009 ed avverso il permesso di costruire in variante del 2.2.2009.
Ivi si era sostenuta la illegittimità del parere favorevole sull’interrato e sull’asfaltatura di via San Giuseppe (reso sull’erroneo presupposto che si trattasse di “opere quasi interamente interrate” mentre la realizzazione del piano autorimesse spiccava oltre il profilo naturale del terreno anche in violazione alle distanze e quindi aveva un impatto sul paesaggio) e la circostanza che la progettazione non era stata conforme ai criteri della DGR 2121/06, nonché ( motivo successivo) l’assenza di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica in variante.
Il primo giudice ha partitamente preso in esame le dette, residue, censure, e le ha disattese evidenziando che la variante aveva assentito modifiche al piano autorimesse, senza incidere sulla loro collocazione: pertanto la presunta lamentata violazione delle distanza dal confine delle autorimesse era conseguenza del (per le già chiarite ragioni consolidatosi) titolo edilizio originario e non della variante.
Peraltro sia il permesso di costruire in variante che il provvedimento di autorizzazione paesaggistica richiamavano il parere favorevole della Commissione Comunale per il Paesaggio ed Edilizia del 30.10.2008 sul progetto di variante e nell’autorizzazione paesaggistica si dava altresì atto della conformità delle opere alla delibera G.R. 2121/2006 e che le stesse non erano né lesive né in contrasto con l’ambiente tutelato, dal che discendeva la infondatezza della censura di difetto di motivazione e la genericità dello stesso mezzo laddove non evidenziava il supposto contrasto con la delibera regionale.
Il Tribunale amministrativo ha poi dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione il motivo di censura (n. 14) del mezzo principale teso a stigmatizzare la violazione delle norme in materia di competenza professionale ( in quanto ivi si era sostenuto che il progetto, pur riguardando opere in cemento armato ed incidente su un bene di rilievo artistico era stato redatto da un geometra) ed ha altresì dichiarato inammissibili i motivi aggiunti avversanti le “risposte” fornite dall’amministrazione alle diffide inoltrate dall’appellante in quanto l’atto nell’ambito del quale era stata resa nota la scelta di non iniziare il procedimento stante la pendenza di un procedimento giurisdizionale del quale appariva opportuno attendere l’esito, si configurava come una mera comunicazione, priva di natura provvedimentale.
La originaria ricorrente rimasta soccombente ha appellato la sentenza in epigrafe criticandola articolatamente sotto tutti i versanti motivazionali suindicati e chiedendone la riforma.
Quanto alla dedotta tardività del mezzo di primo grado con riferimento al permesso di costruire del 19 febbraio 2008, alla autorizzazione paesaggistica del 2007 ed agli atti a questi presupposti, la statuizione impugnata era errata in quanto aveva dato per provata la circostanza che le opere di demolizione erano iniziate nell’aprile 2008 e quelle di ricostruzione nel maggio 2008, in assenza di alcun decisivo elemento dimostrativo di tale circostanza: la impugnata decisione peraltro non aveva tenuto conto delle precarie condizioni di salute dell’appellante (ascrivibili ad una gravidanza) che le avrebbero impedito di proporre tempestivamente il gravame.
Con il secondo ed il terzo motivo di censura sono state riproposte le doglianze avverso la autorizzazione paesaggistica ed al coevo permesso di costruire del 2 febbraio 2009 ed è stato ribadito che la ripavimentazione di via San Giuseppe era priva del necessario parere paesaggistico e che le opere non erano interrate, mentre l’autorizzazione paesaggistica era carente di motivazione ed in contrasto con la delibera di Giunta Regionale n. 2121/2006.
La sentenza era errata anche (quarto motivo di appello) laddove aveva dichiarato la inammissibilità, per difetto di interesse, della censura fondata sulla circostanza che il progetto era stato redatto da un geometra: ciò in quanto la disposizione di cui all’art.16 del R.D. n. 274/1929 era dettata a tutela della pubblica incolumità e della sicurezza delle costruzioni, di guisa che sussisteva la legittimazione attiva dell’appellante a sollevare il relativo vizio.
Inoltre con il quinto motivo di appello è stata censurata la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in primo grado e volti ad avversare l’azione amministrativa successiva all’inoltro da parte dell’odierna appellante della diffida a ritirare gli atti asseritamente illegittimi emessi, diretta all’amministrazione comunale appellata).
Con ulteriori articolati motivi (da n. 6 a 14 del ricorso in appello) sono stati riproposte le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative al permesso di costruire rilasciato nel 2008 ed agli atti a questo sottesi, mentre con i motivi 15-17 sono state riproposte le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative all’autorizzazione paesaggistica del 2007; con i motivi da 19 a 20 sono state nuovamente prospettate le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative al permesso di costruire in variante ed all’autorizzazione paesaggistica in variante del 2 febbraio 2009 ed i motivi aggiunti (20 bis-23) volti ad avversare l’attività amministrativa successiva alla diffida a ritirare gli atti inviata dall’appellante all’amministrazione comunale non esaminati dal Tar Lombardia.
L’appellante ha altresì proposto domanda risarcitoria.
L’appellata Parco Costruzioni SRL ha depositato una articolata memoria chiedendo in primo luogo la declaratoria di inammissibilità del gravame per carenza di interesse e perché proposto in evidente abuso del diritto.
La (provata) piena conoscenza dell’abuso in capo al padre dell’appellante (nudo proprietario ed occupante dell’immobile di cui era usufruttuaria l’appellante) “comunicava” tale circostanza a quest’ultima: il mezzo di primo grado era pertanto certamente tardivo.
In ogni caso l’appellante era una usufruttuaria meramente “formale” perché non godeva del bene e non lo occupava: ne conseguiva che essa non aveva alcun interesse a proporre il ricorso di primo grado.
In ultimo, la circostanza che l’appellante aveva posto in vendita il detto compendio immobiliare (di guisa che veniva meno anche il requisito legittimante fondato sul criterio dello “stabile collegamento”) impediva di ravvisare ogni interesse alla prosecuzione del giudizio.
Nel merito, ha chiesto la reiezione del gravame perché infondato.
La Mape immobiliare ha depositato una articolata memoria chiedendo l’accoglimento dell’appello incidentale e la reiezione dell’appello principale.
Con una dettagliata memoria il comune di Merate ha ripercorso le tappe procedimentali e quelle relative al contenzioso giurisdizionale relativo alla vicenda per cui è causa ed ha chiesto la reiezione del gravame principale e la conferma dell’impugnata decisione.
Alla odierna pubblica udienza del 15 maggio 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1.L’appello principale è infondato e merita di essere respinto nei termini di cui alla motivazione che segue nella parte in cui esso censura la statuizione di tardività del mezzo di primo grado rivolto avverso il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica rilasciate nel 2008 e nel 2007 e nella parte in cui censura la statuizione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado, laddove ripropone in via derivata le dette censure avverso la variante e l’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2009, e laddove è volto ad avversare la variante e l’autorizzazione paesaggistica rilasciate nel 2009 sostenendone l’autonoma lesività per violazione al regime delle distanze mentre, per la restante parte, devono essere disposti incombenti istruttori.
Le censure incidentalmente riproposte dalle parti appellate devono essere respinte.
1.1. La prima questione da risolvere riposa nella statuizione di parziale inammissibilità del mezzo di primo grado a cagione della intempestività della proposizione dello stesso (il ricorso venne notificato soltanto il 25 febbraio 2009) laddove diretto ad avversare il permesso di costruire del 19.2.2008 prot. 0037373/06 per i lavori di demolizione e ricostruzione di edificio esistente, l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, e gli atti a questi sottesi.
1.2. Quanto a tale profilo, occorre tenere conto non soltanto delle deduzioni contenute nel gravame ma anche delle tesi sostenute in via incidentale dalle parti appellate, e volte (non solo a sostenere la tardività del gravame proposto ma, anche) a postulare il radicale difetto di legittimazione dell’ odierna appellante (il che implicherebbe la inammissibilità dell’intero ricorso di primo grado).
1.3. Il Collegio ritiene che, seppure necessitando di qualche puntualizzazione sotto il profilo motivazionale la sentenza resista alle avverse censure e che, avuto riguardo alla infondatezza delle eccezioni prospettate nei citati appelli incidentali, possa prescindersi dalla verifica della tempestività degli stessi (posta in dubbio da parte appellante nella memoria di replica in ultimo depositata).
1.4. Deve premettersi che la giurisprudenza amministrativa, muovendo dal tenore letterale dell’art. 11 del dPR n. 380/2001, ha costantemente affermato che” ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento costruttivo.”(Consiglio Stato , sez. IV, 08 giugno 2007 , n. 3027);
”all'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che «abbiano titolo per richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo.”( T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 07 marzo 2011 , n. 1318).
Costituisce altresì principio fondante in materia quello per cui “nel ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del ricorrente.” (Consiglio Stato , sez. IV, 24 gennaio 2011 , n. 485).
La dimostrata titolarità a chiedere ed ottenere la concessione edilizia su un fondo, da parte dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di principio sia legittimato a contestare la legittimità del permesso di costruire rilasciato al vicino, purchè sussistano i presupposti della vicinitas e del concreto pregiudizio alle facoltà dominicali, che si è visto essere il proprium della legittimazione ad agire in subiecta materia.
Posto che nel caso di specie la vicinitas è certamente sussistente, ed il petitum proposto dall’appellante in primo grado era volto a censurare, tra l’altro, anche la violazione del regime delle distanze, appare al Collegio doveroso affermare che in via astratta fosse incontestabile la legittimazione ad agire dell’appellante.
Le appellate Ma.Pe e Parco Costruzioni escludono però la sussistenza della legittimazione ad agire dell’appellante alla stregua di una serie di argomentazioni.
1.4.1. Per un verso, infatti, a cagione della circostanza che l’atto di concessione dell’usufrutto non prevedeva la prestazione da parte dell’usufruttuario della garanzia, e della circostanza che il nudo proprietario (padre dell’appellante) rimase nel possesso dell’immobile, si sostiene via via che la donazione dell’usufrutto fosse stata simulata, nulla, etc (e che pertanto, caduto il titolo legittimante ne discenda la carenza di legitimatio ad causam dell’appellante). Per altro verso, avuto riguardo alla circostanza che la stessa appellante non abitava nell’immobile, né di esso godeva, si perviene da parte delle appellate alla conclusione che la stessa, in concreto, non avesse titolo a dolersi della costruzione frontista realizzata.
1.4.2. Nessuna delle suindicate argomentazioni persuade il Collegio.
1.4.3. Quanto al primo gruppo di eccezioni, che per la loro intima connessione possono essere esaminate congiuntamente, ritiene il Collegio che esse debbano essere disattese alla stregua di una duplice emergenza processuale.
Da un canto, infatti, non risulta che le appellate abbiano intrapreso innanzi al Giudice civile competente, pur avendone in via teorica la possibilità (trattandosi di azioni a legittimazione non limitata, ma condizionata unicamente dalla positiva delibazione della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante) le azioni di simulazione e nullità della donazione dell’usufrutto.
In carenza della proposizione nella sede ordinaria delle relative azioni, non ritiene il Collegio che possano essere introdotte nell’odierno giudizio tematiche che postulerebbero l’avvenuto positivo esperimento delle dette azioni.
Si rimarca in proposito che la giurisprudenza formatasi antecedentemente alla positiva introduzione nel sistema del codice del processo amministrativo (rilevante in quanto il mezzo di primo grado e la sentenza gravata sono antecedenti alla entrata in vigore del codice del processo amministrativo e financo l’atto di appello è stato proposto prima del 16 settembre 2010) ha costantemente ribadito che “ ai sensi dell'art. 8 l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e dell'art. 28 t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, il giudice amministrativo, può accertare, in via incidentale, la sussistenza o meno di un diritto soggettivo, ai limitati fini della soluzione della vertenza ad esso demandata in via principale, ancorché sulla predetta questione di diritto sia pendente giudizio avanti al giudice ordinario, ma senza sconfinare nella risoluzione delle controversie, attenendosi alle risultanze dei contratti scritti, dei libri e registri immobiliari e delle sentenze che accertano o costituiscono diritti reali immobiliari senza poter conoscere di atti o fatti modificativi delle situazioni giuridiche, quali usucapione, prescrizioni acquisitive, devoluzioni ablative, manifestazioni atipiche della volontà contrattuale, ecc.” Consiglio Stato , sez. IV, 11 febbraio 2003 , n. 736)
Si è detto, in particolare, che “i limiti all'accertamento incidentale effettuato - per quanto qui interessa - ai sensi dell'art. 8, l. Tar, non possono sconfinare nella vera e propria tutela dei diritti e consistere, quindi, nella soluzione di controversie riservate all'autorità giudiziaria ordinaria, con conseguente circoscrizione del sindacato giurisdizionale di cui trattasi al contenuto oggettivo degli atti, che siano fonte costitutiva o anche meramente ricognitiva di un diritto, senza che il sindacato stesso possa estendersi ad ulteriori atti o fatti modificativi delle situazioni giuridiche, come usucapioni, prescrizioni, devoluzioni o manifestazioni atipiche di volontà contrattuale.”(Consiglio Stato , sez. VI, 27 febbraio 2008 , n. 713).
La previsione contenuta nell’art. 8 del vigente codice del processo amministrativo, in ogni caso non autorizza, ad avviso del Collegio, conclusioni diverse da quelle sinora rassegnate.
Per altro verso, rileva il Collegio che la “contestata” donazione dell’usufrutto risale al 2006, ed è quindi ben antecedente al rilascio del permesso di costruire gravato: salvo a volere ipotizzare che l’atto pubblico costitutivo del diritto reale parziario sia falso (ma a ciò neppure le appellate si sono spinte, ed in ogni caso non risulta abbiano proposto alcuna azione in tale senso) non si veda a quale interesse giuridico potesse rispondere, all’epoca, la volontà di simulare l’atto di donazione dell’usufrutto a meno di volere ipotizzare facoltà divinatorie in relazione alla futura costruzione dell’immobile frontista contestato.
Tale articolazione della doglianza incidentalmente proposta merita certamente di essere disattesa.
1.4.4. Anche la prospettata carenza di legittimazione ad agire “in concreto” discendente dal mancato utilizzo del bene da parte dell’usufruttuaria appellante appare inaccoglibile.
E’ ben noto al Collegio che la funzionalizzazione del concetto di proprietà (comprensivo dei diritti reali “parziari” o “minori”) ascrivibile non soltanto all’art. 42 della Costituzione induca a ritenere ormai privo di cittadinanza, nel sistema, il brocardo romanistico secondo cui il proprium dello statuto proprietario si ravvisa nel “ius utendi fruendi et abutendi” .
Tuttavia resta incontestabile che le facoltà attribuite dal titolo costitutivo all’usufruttuario di un bene immobile possano essere liberamente esercitabili da questo; che la scelta di non esercitarle sia allo stesso liberamente rimessa; che a cagione di tale omesso esercizio, e sino alla eventuale prescrizione estintiva del diritto (art. 1014 n.1 del codice civile) quest’ultimo si conservi immutato e legittimi il titolare all’esercizio di tutte le azioni a difesa del proprio diritto.
Si rammenta in proposito che, per costante quanto condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione l’usufruttuario al cospetto dei terzi esercita i diritti del pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto d'interversione del possesso, esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un'attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui.”Cassazione civile , sez. II, 10 gennaio 2011 , n. 355) e pertanto i diritti nascenti da detta posizione giuridica non possono essere condizionati dalla sussistenza – o meno – di un rapporto di detenzione con il bene materiale (è appena il caso di rammentare che per tradizione risalente al diritto romano classico il possesso può esercitarsi “solo animo”).
Anche la detta eccezione incidentalmente sollevata va disattesa, e vanno anche certamente disattese tutte le ulteriori eccezione proposte dalla Parco Costruzioni SRL di inammissibilità del gravame per carenza di interesse e per asserito “abuso del diritto”.
Al di là della (in dottrina assai controversa) trasponibilità nel sistema giuridico italiano della categoria giuridica prospettata, nel caso di specie non è dato riscontrare – da parte della odierna appellante -alcuna azione giudiziaria diversa da quella volta a difendere il proprio titolo asseritamente leso: la eccezione è infatti supportata da apodittiche affermazioni dell’appellata in punto di insussistenza di alcun concreto interesse a ricorrere in capo all’appellante, collidenti con la qualità di usufruttuaria ricoperta da quest’ultima certamente legittimata a dolersi della supposta violazione al regime delle distanze legali.
1.5. Per concludere sul tema e passando ad esaminare le eccezioni incidentali fondate sia sulla asserita spettanza esclusiva al padre della appellante (e nudo proprietario Pulici Pietro) della titolarità delle azioni di difesa del compendio immobiliare di cui l’appellante è usufruttuaria e sia quelle fondate su una asserita “comunicabilità astratta ” alla appellante del momento di conoscenza della edificazione dell’area provato in capo al padre della stessa, anche in questo caso il Collegio ne deve affermare la inconsistenza. La coesistenza su un medesimo bene di più diritti reali, implica la conseguenza che più soggetti possano agire a difesa dei rispettivi diritti insistenti sul medesimo bene, e ciò indipendentemente l’uno dall’altro.
Tale legittimazione, peraltro, spetta certamente all’usufruttuario (semmai, con riferimento a particolari aspetti, si potrebbe forse dubitare della legitimatio ad causam del nudo proprietario: “la servitù determina un rapporto tra fondi -di cui uno fornisce utilità all'altro-, la legittimazione processuale, attiva e passiva, nei giudizi ove è contestata l'esistenza di detto rapporto, compete a coloro che al momento della domanda sono titolari delle situazioni giuridiche dominicali rispettivamente avvantaggiate e svantaggiate dalla servitù. Tuttavia, quando il godimento completo del bene, cui si riferisce -in linea di vantaggio o di svantaggio- la contestata situazione di servitù, spetta non al proprietario, ma al titolare del diritto di usufrutto, al quale è assimilabile il concessionario di bene demaniale, a tale soggetto - usufruttuario o concessionario- si estende la legittimazione processuale, attiva e passiva, ai sensi dell'art. 1012, comma 2, c.c., che, legittimando espressamente l' usufruttuario all'azione confessoria per la difesa della servitù costituita a favore del fondo, implica di per sè la legittimazione passiva alla negatoria -costituente l'aspetto negativo della confessoria-, salvo l'onere -in base alla norma citata- di chiamare in causa il proprietario che, quindi, deve partecipare al giudizio come litisconsorte necessario dell' usufruttuario o del concessionario.”Cassazione civile , sez. II, 29 gennaio 1983 , n. 819 ).
E ciò a prescindere dalla circostanza che l’usufruttuario fosse anche detentore del bene.
Sotto altro profilo, appare senz’altro inammissibile, per quanto si è finora chiarito (ma si veda anche:”ove su di un immobile coesistano il diritto del nudo proprietario e quello dell'usufruttuario, il possesso che acquista rilievo ai fini dell'usucapione è, in primo luogo, configurabile a favore dell'usufruttuario, il quale può esercitarlo anche a vantaggio del nudo proprietario, ampliandone il godimento anche attraverso la costituzione di servitù attive; peraltro, se il nudo proprietario ha, di fatto, la disponibilità del bene, possono assumere rilievo anche gli atti di possesso dal medesimo compiuti, l'esercizio dei quali costituisce onere probatorio della parte che lo invochi.”-
Cassazione civile , sez. II, 14 ottobre 2010 , n. 21231-) che la inerzia del nudo proprietario possa pregiudicare il diritto di difesa dell’usufruttuario (e viceversa): anche le dette eccezioni devono pertanto essere disattese, e, per concludere sul tema, nessuna refluenza spiega sull’odierno giudizio la circostanza prospettata alle pagg. 10 ed 11 della memoria depositata dalla Parco Costruzioni Srl secondo cui il padre dell’appellante Signor Pulici Pietro avrebbe posto in vendita il complesso immobiliare di propria pertinenza (e ciò sia perché, in ossequio al principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, tale volontà dismissiva non potrebbe riguardare l’usufrutto di pertinenza dell’appellante; sia perché la volontà di alienare un bene non implica rinuncia alle azioni proposte, e men che meno sopravvenuta carenza di interesse, posto che l’esito favorevole di una lite potrebbe in ipotesi arrecare un incremento di valore del bene dallo stesso posseduto, sia, infine, perché a tale volontà di alienare la proprietà del bene non è seguita, comunque, la stipulazione di alcuna compravendita: in ogni caso l’appellante ha proposto azione risarcitoria, e ciò esclude la ravvisabilità di profili di sopravvenuta carenza di interesse). Le eccezioni proposte in via incidentale meritano pertanto la reiezione.
1.6. I principi sinora esposti inducono il Collegio, peraltro, a respingere le censure dell’appellante volte ad avversare il capo della impugnata decisione che ha affermato la tardività del mezzo di primo grado laddove diretto ad avversare il permesso di costruire del 19.2.2008 e l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007.
1.6.1. La circostanza che l’usufruttuario di un compendio immobiliare possa non giovarsi delle facoltà inerenti al proprio diritto, e/o financo totalmente disinteressarsi del bene medesimo senza conseguenze sul proprio diritto salvo quelle discendenti dalla prescrizione estintiva del medesimo, non implica affatto che questi possa esercitare sine die le azioni giudiziarie a tutela del proprio bene.
Esse, infatti, restano soggette al termine ex lege previsto, non potendo assumere rilievo alcuno neppure eventuali (anche positivamente comprovate, il che non è nel caso di specie, posto che lo stato di gravidanza dell’appellante non le avrebbe impedito in via assoluta comunque di recarsi sul sito e neppure ebbe inizio in coincidenza con l’inizio dei lavori) situazioni soggettive di temporanea “incapacità”.
Ciò vale in via generale (anche per le azioni civilistiche a tutela del possesso), ed a fortiori laddove ci si confronti con provvedimenti amministrativi asseritamente lesivi, onde evitare che il consolidarsi dell’azione amministrativa discendente dalla sopravvenuta inimpugnabilità dell’atto resti esposto a circostanze aleatorie e non prevedibili o conoscibili ex ante.
D’altro canto nessuno dubita che il termine di proposizione del ricorso avverso gli atti amministrativi abbia natura decadenziale e che lo stesso quindi resti soggetto alla disciplina contenuta nell’art. 2964 del codice civile (“Quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza non si applicano le norme relative all'interruzione della prescrizione . Del pari non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione salvo che sia disposto altrimenti.”) con irrilevanza, quindi, di situazioni e condizioni di natura soggettiva che hanno asseritamente impedito la tempestiva proposizione del gravame Tale conclusione si giustifica in relazione sia al dato positivo che ai connotati sistemici del processo amministrativo. Il posticipare l'impugnazione dell'atto per ragioni legate all'apprezzabilità soggettiva della sua lesività, si porrebbe in contrasto con il principio per cui l'azione di annullamento si propone entro un termine (espressamente definito) di decadenza (art. 29 c.p.a.). Quest'ultima si distingue dalla prescrizione proprio perché, tramite essa, il legislatore intende ricollegare all'oggettivo trascorrere del tempo l'effetto di precludere l'esercizio di un potere, senza che alcuna rilevanza possano assumere circostanze soggettive a giustificarne la sospensione o l'interruzione del decorso.
1.6.2. Non ignora il Collegio che consolidata e condivisibile giurisprudenza abbia con continuità affermato che “la decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica. In materia di impugnazione del permesso di costruire, è sufficiente la cd. "vicinitas", quale elemento che distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella della generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a ché il provvedimento dell'Amministrazione sia procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia.”Consiglio Stato , sez. IV, 05 gennaio 2011 , n. 18).
Ciò che si vuole rimarcare, però, è che la “conoscenza” non può essere sfalsata, o procrastinata sine die, a cagione della situazione soggettiva del terzo asseritamente leso: questi è certamente libero di non risiedere nel sito di propria pertinenza, e disinteressarsi di ciò che accade nelle vicinanze dello stesso, ma non può giovarsi di tale circostanza per proporre gravami tardivi.
Più che di effettiva conoscenza, quindi, deve farsi riferimento al concetto di “conoscibilità” della possibile lesione giuridica al proprio “statuto proprietario” arrecata dalla costruzione limitrofa, quale termine a partire dal quale decorre la proponibilità dell’azione giurisdizionale (quantomeno laddove un titolo vi sia, ed in disparte la differente ipotesi in cui vengano intrapresi lavori abusivi in carenza di provvedimento abilitativo).
Ciò per non lasciare che l’azione amministrativa culminata nel rilascio di titoli abilitativi ai controinteressati rimanga esposta alla proposizione di azioni demolitorie intentate a rilevante distanza temporale dal rilascio (e per salvaguardare altresì l’affidamento del latore del titolo abilitativo rilasciatogli sulla legittimità di quest’ultimo)
1.6.3. Nel caso di specie, la appellante ha presentato la prima domanda di accesso solo nel mese di gennaio 2009 (il 21 gennaio, per esattezza); lamentava che l’immobile per cui è causa non potesse essere demolito e lamentava altresì che i lavori di ricostruzione assentiti fossero illegittimi.
La stessa propose il ricorso al Tribunale amministrativo regionale notificandolo in data 25 febbraio 2009.
Mentre le sottolineature delle parti appellate in ordine alla circostanza che il detto complesso ricorso, corredato da una pluralità di motivi, fosse stato redatto in un termine sì breve nulla dimostrano (come nulla dimostra la circostanza che il padre dell’appellata e nudo proprietario residente nell’immobile Signor Pulici fosse già in possesso dei documenti oggetto della richiesta di accesso), la tardività del mezzo di gravame emerge per tabulas da alcune diverse emergenze processuali.
1.6.4. Segnatamente, dalle comunicazioni che un soggetto terzo rispetto all’odierno processo (il predetto nudo proprietario e padre della ricorrente Signor Pulici Pietro, non certo “sospettabile” di avere precostituito elementi indiziari contrari all’interesse dell’appellante, non foss’altro perché con la stessa condivide l’identico interesse sostanziale, come dimostrato dalle azioni intentate dallo stesso in sede civile ed in sede penale per impedire l’edificazione del manufatto contestato) ebbe ad indirizzare all’amministrazione comunale appellata ed ad altre Autorità, emerge con evidenza che i lavori di demolizione e ricostruzione del manufatto, ed in particolare lo scavo dello stesso, risalgono al periodo aprile/ maggio 2008.
La comunicazione di inizio lavori trasmessa dalla Parco Costruzioni srl è infatti dell’11 aprile 2008 (essa acquistò l’area, da potere della Immobiliare Mape srl il 3 aprile 2008); il 13 maggio 2008 il Pulici Pietro denunciò al comune la esistenza di lavori di scavo sull’area (il che comprova il tempestivo inizio dei medesimi, ovviamente precedente a detta data); il 16 ottobre 2008 il predetto denunciò che dai lavori avviati discendeva un concreto pregiudizio alla sua proprietà affermando che era “terminata l’attività di escavazione” ed era stata collocata una gru di grandi dimensioni nel cantiere (e così anche nelle istanze di accesso del 3 novembre 2008 e del 25 novembre 2008).
All’evidenza il mezzo di primo grado, proposto soltanto nel febbraio 2009, è certamente tardivo sia con riferimento al permesso di costruire del 19.2.2008 che agli atti ad esso presupposti (l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, il verbale del 14 dicembre 2006 n. 29 con cui la Commissione edilizia ha espresso parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica, la relazione del 14.12.2006, l’esame dell’impatto paesistico 22.11.2006, il parere della Commissione edilizia 30.10.2008 n. 25 e la relazione ai sensi dell’art 81 L.R. 12/2005) non rilevando il particolare stato di gravidanza dell’appellante.
Né dicasi - come sostenutosi nell’atto di appello - che la percezione della lesività dell’opera la si ebbe soltanto nel dicembre 2009 a seguito dello sviluppo dell’attività costruttiva atteso che, avuto riguardo alle censure proposte, e considerato che in primo luogo si è sostenuto che l’immobile non potesse essere demolito, e secondariamente che la ricostruzione violava le distanze, già dallo scavo di fondazione era ben agevole per l’appellante riconoscere i connotati essenziali della denunciata asserita lesività del manufatto, di guisa che alla epoca, correttamente determinata nella decisione di primo grado deve farsi risalire la conoscenza (o comunque la conoscibilità, che ai fini della tempestiva proposizione dell’impugnazione costituisce per le già chiarite unico parametro valutabile) della asserita lesione e l’omessa proposizione (già possibile) del gravame, o quantomeno, a tutto concedere, la omessa proposizione di una istanza di accesso tempestiva che avrebbe consentito di percepire appieno la ipotizzata illegittimità dei titoli abilitativi .
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa di primo grado ha a più riprese affermato che
“a conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia rilasciata a terzi - che deve essere provata da chi eccepisce la tardività dell'impugnazione - si verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di inoppugnabile prova, con l'ultimazione dei lavori di costruzione dell'immobile e non con solo il loro inizio occorre pertanto che le parti evidenzino elementi di prova di una conoscenza anteriore dell'opera assentita e della sua consistenza o una ultimazione dei lavori in epoca anteriore oltre sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso.”(T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 19 dicembre 2006 , n. 1711 ).
Ritiene il Collegio che detta evenienza (la “prova inoppugnabile” cui fa riferimento la giurisprudenza) sia avvenuta nel caso in esame, proprio tenuto conto delle doglianze contenute nel mezzo di primo grado, volte a dolersi della demolizione e della ricostruzione violativa del regime delle distanze: non si tratta, come è evidente, di affermare un insussistente obbligo del titolare di un diritto reale di risiedere a tempo pieno nell’immobile di propria pertinenza, al fine di potere contestare (asseritamente)illegittime iniziative edificatorie da altri intraprese, al fine di ritualmente contestarle.
Si tratta di verificare, caso per caso, e tenuto conto delle particolari circostanze concrete, con una tolleranza possibile laddove lo scostamento temporale sia minimo, il momento in cui la lesione era concretamente avvertibile e percepibile, e da tal momento individuare il dies a quo di proposizione del gravame.
Nel caso di specie, a fronte di uno scostamento temporale che per le già chiarite ragioni appare assai ampio, non sussistono motivi per dilatare oltremisura – siccome richiesto dall’appellante- i termini di proposizione del gravame: la sentenza impugnata merita quindi piena conferma sul punto.
2. Ad analogo avviso reiettivo perviene il Collegio con riferimento alle censure attingenti la statuizione di inammissibilità resa dal primo giudice con riguardo ai motivi aggiunti formulati in primo grado volti ad avversare l’attività amministrativa successiva alla diffida a ritirare gli atti inviata dall’appellante all’amministrazione comunale
Parte appellante ha censurato il detto capo di decisione sia formulando un apposito motivo di critica alla sentenza di primo grado (motivo n. 5, pagg. 18 -20 dell’atto di appello) sia riproponendo le censure non esaminate in primo grado (punto D dell’appello, motivi 20- 23 del gravame, esposti alle pagg. 41-47 dell’appello).
2.1. Le doglianze dell’appellante si fondano su una non corretta esegesi dell’art. 27 del dPR n. 380/2001, a torto invocato nel caso in esame.
Stabilisce infatti la richiamata disposizione che: “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, ,nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo. 29 ottobre 1999, n.490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 del!' articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n.662 .
Ferma rimanendo l'ipotesi prevista dal precedente comma 2, qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d'ufficio o su denuncia dei cittadini, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, ordina l'immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori. Entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere.
Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all'autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti. ”.
Secondo parte appellante detto potere-dovere di vigilanza integra un preciso dovere dell’Amministrazione, cui la stessa deve ottemperare sia ex officio, che ove (come del caso di specie) sollecitata da una diffida di privati: l’eventuale diniego all’adozione dei richiesti provvedimenti repressivi sfocia in una manifestazione (seppure negativa) di potere avente contenuto provvedimentale, autonomamente impugnabile.
2.2. Il Collegio, seppur il linea di principio concordi con talune affermazioni contenute nei richiamati motivi di appello, ritiene che la pur abilmente formulata prospettazione dell’appellante non abbia alcuna possibilità di accoglimento.
2.3.Invero, ciò che l’appellante trascura di rilevare è che la sollecitazione all’esercizio del detto potere di vigilanza e repressivo, si innestava in una pendente vicenda contenziosa, già devoluta al vaglio giurisdizionale e, soprattutto, non trattavasi di iniziativa sollecitatoria volta a stimolare l’amministrazione a reprimere condotte di edificazione abusiva sine titulo (vedasi il comma 2 della citata disposizione), ma di diffida all’esercizio di poteri di autotutela in quanto volti al ritiro od autoannullamento di atti ampliativi precedentemente resi (e per di più già impugnati in sede giurisdizionale).
Appare al Collegio evidente, pertanto, che se l’oggetto dell’attività “sollecitata” all’amministrazione riposava nella repressione di asserite violazioni edilizie, avuto riguardo alla non secondaria circostanza che erano già stati emessi provvedimenti ampliativi, in realtà ciò che si pretendeva da parte dell’appellante riposava nell’esercizio di attività di autotutela da parte del comune.
Rammenta il Collegio che, per condivisa quanto pacifica giurisprudenza “l'Amministrazione non ha l'obbligo, ma il potere discrezionale, di agire in autotutela, con la conseguenza che istanze volte a sollecitare l'esercizio di tale potere hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione, ma non creano in capo alla p.a. alcun obbligo di provvedere e non danno luogo a formazione di silenzio-inadempimento in caso di mancata definizione dell'istanza.”Consiglio Stato , sez. VI, 11 febbraio 2011 , n. 919).
2.3.1. In particolare, poi, si è condivisibilmente rimarcato da parte della giurisprudenza di merito che, ulteriore autonomo caso in cui non si ravvisa alcun obbligo di provvedere sulla istanza del privato, si ravvisa laddove l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e "sub judice" al momento dell'istanza stessa: e ciò all'evidente scopo di evitare la proliferazione di inutili e dispendiose iniziative giurisdizionali in relazione ad un'unica vicenda sostanziale (T.A.R. Liguria, sez. II, 10 maggio 2007; cfr. altresì T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 19 marzo 2008, n. 1410 e ancor più di recente, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 22 settembre 2010 , n. 32400).
2.3.2. Nel caso di specie, peraltro, non avendo il giudice adito sospeso gli atti, la adozione da parte del Comune di provvedimenti autonomi di natura interinale/sospensiva ovvero ancora direttamente sanzionatori avrebbe dovuto essere supportata da valutazioni ampiamente discrezionali e non direttamente sovrapponibili a quelle riposanti negli asseriti vizi di illegittimità connotanti gli atti impugnati.
Ne discende quindi che, non potendosi ravvisare alcun dovere in capo all’amministrazione di pronunciarsi sulle diffide alla stessa indirizzate da parte appellante, la comunicazione predisposta in risposta alle dette diffide non assumeva valore provvedimentale ed esattamente l’impugnazione è stata in parte qua dichiarata inammissibile, dovendosi per incidens comunque aggiungere che, se anche alla stessa fosse stato possibile attribuire il negato spessore provvedimentale la motivazione posta a supporto della reiezione appare non soltanto esauriente ma anche, per le già chiarite ragioni, condivisibile.
3. Restano da esaminare le doglianze articolate avverso il permesso di costruire in variante ed all’autorizzazione paesaggistica in variante del 2 febbraio 2009 (motivi d’appello 2, 3, 4, 19 e 20.
3.1. Si ricorda in proposito che in primo grado l’appellante aveva censurato gli atti abilitativi rilasciati il 2 febbraio 2009 sia in via derivata in quanto mutuanti le illegittimità affermate con riferimento al permesso di costruire del febbraio 2008, sia in via autonoma (sotto tale ultimo profilo, con i motivi nn. 13 e 14 del mezzo di primo grado si erano prospettati, rispettivamente, i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere; violazione art 159 D. Lvo 42/2004 e della DGR 2121/06; travisamento dei presupposti; difetto di istruttoria e di motivazione; violazione dell’art 873 C.C. e dell’art 18 NTA del PRG: la Commissione ha espresso un parere favorevole sul piano autorimesse, sull’erroneo presupposto che sia interrato ed i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere; violazione degli artt. 146 e 159 D. Lvo 42/2004 e della DGE 2121/2006; difetto di motivazione; violazione R.D. 274/1929: l’autorizzazione paesaggistica in variante è priva di motivazione; il progetto è stato redatto da un geometra, pur interessando opere tutelate).
Tutte le dette censure, che sono state riproposte, dovranno essere partitamente esaminate dal Collegio.
3.1 Ovviamente l’esame del Collegio si limiterà a quelle mediante le quali si è sostenuto che gli atti avversati fossero affetti da vizi autonomi ed indipendenti da quelli afferenti al premesso di costruire rilasciato nel 2008: posto infatti che, per le prima chiarite ragioni l’impugnazione avverso il titolo abilitativo originario del 2008 (ed avverso l’autorizzazione paesaggistica del 2007) è stata dichiarata inammissibile ed i detti titoli abilitativi sono ormai divenuti incontestabili, i supposti vizi “derivati” non potrebbero utilmente proporsi avverso gli atti successivamente emessi.
Non possono pertanto essere riproposte avverso la variante tutte quelle censure (ivi compresa la radicale doglianza volta a sostenere che trattasi di intervento di “nuova edificazione” e che non avrebbe potuto procedersi alla demolizione dell’immobile) in realtà attingenti il permesso di costruire rilasciato nel febbraio 2008 in quanto a quest’ultimo riferibili.
3.2. Ciò premesso, il primo giudice ha disatteso le censure proposte avverso la variante, a cagione della non innovatività di quest’ultima rispetto ai lavori originariamente assentiti, in relazione alle doglianze prospettate dall’appellante (questo, il passaggio motivazionale cruciale, che appare utile riportare: “Quanto alla lamentata falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, in quanto le opere non sarebbero interamente interrate, si osserva che la variante ha assentito modifiche al piano autorimesse, ma senza incidere sulla loro collocazione: pertanto la presunta lamentata violazione delle distanza dal confine delle autorimesse è conseguenza del titolo edilizio originario, non della variante.”)
3.2.1. Rileva il Collegio che alla stregua di alcune emergenze processuali successive alla pubblicazione della impugnata decisione, la statuizione del primo giudice sul punto – già correttamente e congruamente motivata per il vero - abbia ricevuto una formidabile conferma.
Invero è stata versata in atti la sentenza depositata il 12 dicembre 2011 e pubblicata il 23 gennaio 2012 resa dal Tribunale di Lecco sul ricorso promosso dal Signor Pietro Pulici (nudo proprietario occupante dell’immobile e genitore dell’appellante) nei confronti della parco Costruzioni S.R.L proposto ex artt. 1170 cc e 703 cc nell’ambito del quale era stata censurata –anche la violazione al regime delle distanze legali-.
Essa, sebbene resa in un giudizio al quale l’appellante non ha partecipato, è certamente apprezzabile nell’odierno giudizio, in quanto fondata su accertamenti tecnici resi sull’immobile per cui è causa, e vertente su aspetti di interesse anche nell’ambito dell’odierno procedimento.
Ivi, il giudice civile, (come già in precedenza in sede di tutela possessoria urgente il Tribunale in composizione collegiale quale giudice del reclamo) ha incontrovertibilmente chiarito due aspetti, che erano già stati oggetto di valutazione (negativa per l’appellante) da parte del Tribunale amministrativo.
In particolare, anche a seguito della disposta consulenza tecnica ( e del supplemento di relazione resa a chiarimento dal CTU nell’ambito del quale sono state confutate le deduzioni del CTP) è emerso che, da un canto, l’ampliamento del vano autorimesse oggetto della variante riguardava opere sostanzialmente del tutto interrate e, secondariamente, che anche a seguito delle opere in variante eseguite, furono del tutto rispettate le disposizioni civilistiche delle Nta in materia di distanze.
Tale ultimo profilo, assume valore dirimente, posto che la “differenza sostanziale” asseritamente lesiva per la posizione dell’appellante ( e differenziata rispetto alle lesione -per le già chiarite ragioni ormai incontestabile stante la tardività del ricorso proposto arrecata dal permesso di costruire del 2008 e dall’autorizzazione paesaggistica del 2007- sarebbe riposata nella predetta violazione del regime delle distanze: la puntuale smentita a tale assunto implica la reiezione della principale doglianza contenuta nei detti motivi.
3.3.Quanto alle ulteriori doglianze attingenti la detta variante (ci si riferisce al profilo relativo alla copertura del viottolo in acciottolato, ed a quella incentrata sulla supposta incompetenza del geometra), ed al petitum risarcitorio proposto, ritiene il Collegio che, ai fini del decidere, risulti assolutamente necessario acquisire la completa documentazione sottesa alla variante autorizzata, ivi compresa, ove sussistente, la relazione/calcolo delle opere in cemento armato redatta dall’Ing. Riva, cui si fa riferimento negli scritti difensivi delle parti appellate.
Tale documentazione dovrà essere trasmessa a cura dell’amministrazione comunale appellata presso la Segreteria della Sezione nel termine di trenta giorni, decorrente dalla data di comunicazione della presente pronuncia interlocutoria, ovvero dalla data di notifica della stessa, se anteriore,
Ogni ulteriore decisione in rito, nel merito e sulle spese resta riservata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso in appello principale in epigrafe, lo respinge nei termini di cui alla motivazione che precede nella parte in cui esso censura la statuizione di tardività del mezzo di primo grado rivolto avverso il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica rilasciate nel 2008, nella parte in cui censura la statuizione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e laddove ripropone in via derivata le dette censure avverso la variante e l’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2009 ed assume da parte di queste l’autonoma lesività per violazione al regime delle distanze. Respinge le doglianze incidentalmente formulate dalle parti appellate.
Interlocutoriamente pronunciando sulle restanti censure contenute nel ricorso in appello principale come sopra individuate e sulla domanda risarcitoria, ordina al Comune di Merate di depositare presso la Segreteria della Sezione stessa, la documentazione sopramenzionata nel termine e con le modalità indicate in motivazione.
Ogni decisione in rito, sul merito, e sulle spese resta riservata.
Rinvia l’esame della controversia alla pubblica udienza del 16 ottobre 2012.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Guido Romano, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/06/2012