Consiglio di Stato Sez. VI n. 9656 del 3 novembre 2022
Urbanistica.Rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo     

In linea generale nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p., secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza edilizia. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando la pubblica amministrazione non si sia costituita parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell'accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti ad esso estranei, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale. Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l'accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l'autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione

Pubblicato il 03/11/2022

N. 09656/2022REG.PROV.COLL.

N. 00054/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 54 del 2018, proposto da
Picuri s.a.s. di Picuri Giulio e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luciano Salomoni e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

Comune di Cannobio, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00628/2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2022 il Cons. Alessandro Maggio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La Picuri s.a.s. di Picuri Giulio e C. (d’ora in poi solo Picuri s.a.s.) esercita, su un’area di proprietà del sig. Giulio Picuri, ubicata nel Comune di Cannobio e soggetta a vincolo paesaggistico, attività di escavazione, vagliatura, lavorazione e trasporto di materiali inerti, calcestruzzo e materiali edili.

Sul presupposto che sulla detta area fossero state realizzate opere in assenza di titolo edilizio o in difformità da quello rilasciato, il comune ha adottato l’ordinanza 23/9/2015, n. 122 con cui ne ha ingiunto la demolizione.

La contestazione riguardava i seguenti manufatti:

A) un garage in lamiera e un edificio a uso garage-ricovero attrezzi con wc interno e ripostiglio;

B) un garage in lamiera;

C) una tettoia;

D) un container;

E) impianti di betonaggio e trattamento inerti;

F) una pesa per autocarri.

Ritenendo l’ordinanza illegittima, la Picuri s.a.s. l’ha impugnata con ricorso al T.A.R. Piemonte, il quale, con sentenza 17/5/2017, n. 628, lo ha accolto in parte, respingendolo, in particolare, con riguardo agli interventi di cui alle sopra citate lettere B) e C).

Avverso la sentenza hanno proposto appello la Picuri s.a.s. e il sig. Picuri.

Con successiva memoria la parte appellante ha ulteriormente argomentato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 27/10/2022 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe malamente motivato la reiezione del motivo con cui era stato dedotto che l’opera sub B), che non sarebbe un garage, come erroneamente affermato dal comune, ma una tettoia, sarebbe stata realizzata sulla base dell’autorizzazione a titolo precario prot. n. 5858, rilasciata dal comune in data 12/11/1973.

L’edificazione sarebbe, quindi, avvenuta sulla base di un idoneo titolo abilitativo, per cui non avrebbe potuto essere considerata abusiva.

D’altra parte, il manufatto sarebbe funzionale all’esercizio dell’attività svolta dalla società Picuri, per cui, sino a che tale attività prosegue, la tettoia risulterebbe titolata.

Sul punto il Giudice di prime cure si sarebbe limitato ad affermare che l’opera sarebbe connotata da stabilità e, dunque, necessiterebbe di titolo edilizio, senza considerare che l’autorizzazione in precario non riguarderebbe opere prive di stabilità, ma opere temporanee.

Il garage/tettoia avrebbe, comunque, natura pertinenziale, e, all’epoca della sua realizzazione (1973), i manufatti di tale natura non avrebbero necessitato di titolo edilizio.

Peraltro, l’appellata sentenza risulterebbe viziata da illogicità laddove,

dopo aver riconosciuto come non fosse richiesto alcun titolo abilitativo per la realizzazione dell’impianto di betonaggio e trattamento inerti, ha adottato una soluzione diametralmente opposta con riguardo al garage/tettoia di cui alla lettera B dell’ordinanza di demolizione.

Nemmeno l’esistenza di un minimo incremento dimensionale del garage/tettoia avrebbe potuto giustificare l’avversato provvedimento ripristinatorio e, in ogni caso, l’ordine di demolizione avrebbe potuto interessare solo la parte eccedente quella assentita.

Con riguardo al manufatto di cui alla lettera C) dell’ordinanza di demolizione, si deduce che il comune sarebbe già a suo tempo intervenuto adottando un provvedimento di ripristino e denunciando penalmente l’illecito.

Il processo penale si sarebbe concluso con la sentenza di proscioglimento n. 166/1988, con la quale il Pretore di Verbania avrebbe ritenuto che l’opera, quale impianto tecnico, sarebbe stata soggetta a semplice autorizzazione e che, pertanto, l’illecito sarebbe stato punibile unicamente con una sanzione pecuniaria.

L’amministrazione comunale, quindi, non avrebbe potuto a distanza di oltre trent’anni riesercitare i propri poteri repressivi senza fornire alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico leso e all’affidamento del privato.

Il giudice di prime cure, dal canto suo, non avrebbe condiviso la tesi enunciata dal giudice penale senza, però, fornire al riguardo alcuna motivazione.

Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal giudice di prime cure nel ritenere che l’ordine di demolizione non richiedesse alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e all’affidamento dei privati in ordine alle legittimità di quanto realizzato e ciò tenuto anche conto del fatto che il comune avrebbe acquisito conoscenza delle costruzioni fatte oggetto di contestazione da lunghissimo tempo.

L’amministrazione non avrebbe, inoltre, dimostrato, come, invece, avrebbe dovuto, l’abusività delle opere di cui ha ingiunto la demolizione.

Le due doglianze così sinteticamente riassunte, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano condivisione.

Occorre premettere che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, gli eventuali vizi della motivazione della sentenza restano assorbiti dall’effetto devolutivo dell’appello, che consente al giudice di secondo grado di correggere e integrare eventuali deficit motivazionali od omissioni della pronuncia gravata (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 23/11/2021, n. 7840; 3/11/2021, n. 7345).

Per il resto le censure sono infondate sotto tutti i profili in cui si articolano.

Con riguardo all’opera di cui alla lettera B) dell’ordine di demolizione, la medesima parte appellante afferma che la stessa è stata autorizzata “a titolo provvisorio”. La circostanza trova conferma nel provvedimento comunale 12/11/1973, n. 5858, con cui la detta opera è stata assentita.

Orbene, un titolo edilizio provvisorio non è idoneo a legittimare la realizzazione di un manufatto destinato ad avere carattere permanente, carattere, questo, pacificamente riscontrabile nella tettoia oggetto di contestazione, tenuto conto che la stessa, al momento di adozione della gravata ordinanza di demolizione, risultava esistente da circa quarantadue anni.

Conseguentemente, risultando il manufatto privo di un titolo che ne legittimasse il mantenimento, correttamente il comune prima, e il Tribunale poi, lo hanno ritenuto abusivo e, quindi, suscettibile di demolizione.

D’altra parte, contrariamente a quanto parte appellante sostiene, l’obbligo di munirsi di apposita “licenza” edilizia per eseguire, nell'ambito dell’intero territorio comunale, nuove costruzioni (tra cui anche le tettoie), o per ampliare, modificare o demolire quelle esistenti, sussiste sin dal 1967 (in virtù dell’art. 10 della L. 6/8/1967, n. 765).

Né nella fattispecie è ravvisabile un’opera di natura pertinenziale, come tale esente da titolo abilitativo.

Trattasi, infatti, di una tettoia di rilevanti dimensioni (mt 8 x 4 secondo la quanto emerge dalla domanda con cui è stata richiesta la licenza provvisoria), che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla “res principalis”, e che, quindi, indipendentemente dall’eventuale vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa, non può considerarsi, del punto di vista urbanistico, sua pertinenza (Cons. Stato, Sez. II, 27/10/2020, n. 6553).

Nessuna rilevanza assume, poi, il fatto che la tettoia sia funzionale all’esercizio dell’attività d’impresa svolta dalla società Picuri, dato che, comunque, la stessa, comportando una non trascurabile trasformazione del territorio, doveva essere preventivamente assentita con un titolo edilizio non provvisorio.

Con riguardo alla tettoia di cui alla lettera C) del provvedimento ripristinatorio, occorre premettere che gli stessi appellanti riconoscono che la stessa è stata realizzata in assenza di titolo abilitativo, e il che ne determina l’abusività.

In presenza di un illecito edilizio il provvedimento demolitorio assume, per pacifica giurisprudenza, natura vincolata e doverosa anche a distanza di lungo tempo dalla commissione dell’abuso e la sua adozione non richiede specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata (Cons. Stato, Sez. VI, 3/1/2022, n. 8).

Inoltre, il tardivo intervento del provvedimento ripristinatorio, ancorché l’esistenza dell’abuso sia nota al comune da lungo tempo, non è idoneo a radicare, in capo al privato, alcun affidamento tutelabile (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 22/11/2021, n. 7764).

Deve, infine, escludersi che l’invocata sentenza penale potesse costituire un vincolo per il comune o per il Tribunale.

In linea generale nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p., secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza edilizia. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando la pubblica amministrazione non si sia, come nella fattispecie, costituita parte civile nel processo penale.

Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell'accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi.

Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti ad esso estranei, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale (nella fattispecie imputato era il sig. Battista Picuri).

Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l'accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l'autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. VI, 20/01/2022, n. 358; 15/2/2021, n. 1350; 23/11/2017, n. 5473; 28/7/2016, n. 3403; Sez. V, 17/3/2021, n. 2285).

Da ciò discende che la circostanza che, nel caso di specie, il giudice penale avesse ritenuto che la tettoia fosse soggetta a mera autorizzazione gratuita, non impediva all’amministrazione comunale e al Tribunale di opinare diversamente.

Né, infine, il fatto che il comune avesse già, a suo tempo, ingiunto la demolizione gli impediva di reiterare l’ordine, atteso che lo stesso era rimasto ineseguito.

L’appello va in definitiva respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

La mancata costituzione in giudizio della parte appellata esonera il Collegio da ogni statuizione sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le Spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Marco Poppi, Consigliere