Cons. Stato Sez.V sent. n. 1261 del 7 marzo 2003
REPUBBLICA ITALIANA N.1261/03REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 5796 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002
ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 5796/2002 proposto da NATALIZIO Maria Teresa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Sergio GAMBARDELLA, Domenico VITALE ed Erminio CAPEZZUTO ed elettivamente domiciliata in Roma, viale Angelico 38, presso l’avv. Luigi NAPOLITANO,
contro
PALMA Elio, Mario e Francesco, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’avv. Camillo Lerio MIANI ed elettivamente domiciliati in Roma, viale Angelico 38 - presso l’avv. Luigi NAPOLITANO - anche nella veste di
appellanti incidentali
e
PALMA Renato, non costituitosi in giudizio,
e nei confronti
del Comune di NOLA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
per l’annullamento
della sentenza del TAR della Campania, sede di Napoli, Sezione IV, 24 giugno 2002, n. 3725;
visto il ricorso in appello proposto dalla Sig.ra Natalizio e l’atto di costituzione in giudizio e appello incidentale dai Sigg.ri Palma, nonché i relativi allegati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti di causa;
vista l’ordinanza della Sezione 30 luglio 2002, n. 3200, di accoglimento, per quanto di ragione, dell’istanza di sospensione della sentenza appellata;
relatore, alla pubblica udienza del 4 febbraio 2003, il Consigliere Paolo BUONVINO; uditi, per le parti, gli avv.ti GAMBARDELLA, VITALE, CAPEZZUTO e MIANI.
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O
1) - Con la sentenza appellata il TAR ha, giusta dispositivo della stessa:
a) - respinto il ricorso n. 3593/1994 proposto dai Sigg.ri Palma Francesco, Renato, Elio e Mario per l’annullamento della concessione edilizia n. 13/1993 rilasciata dal Comune di Nola alla Sig.ra Natalizio Teresa in data 6 gennaio 1993, nonché della delibera commissariale n. 407/89 e della delibera di G.M. 3 ottobre 1990, n. 512;
b) - accolto il ricorso n. 10574/2001 proposto dal Sig. Palma Elio per l’annullamento della concessione edilizia in sanatoria 8 febbraio 2001, n. 3, rilasciata a favore della stessa Sig.ra natalizio, nonché del parere della C.E. del 5 novembre 1998, del provvedimento 13 gennaio 1999, n.186/UT (che prende atto del detto parere della C.E.) e, per quanto di interesse, della delibera di G.M. 3 ottobre 1990, n. 512;
c) - accolto il ricorso in opposizione di terzo n. 11076/2001 proposto dai Sigg.ri Palma Elio e Francesco per l’annullamento – per quanto di ragione - della sentenza del TAR della Campania, Sezione IV, 19 ottobre 1999, n. 2690.
2) - Deduce l’appellante principale – Sig.ra Natalizio - l’erroneità della sentenza nelle parti in cui ha accolto i ricorsi e i motivi aggiunti svolti da controparte, non sussistendo, a suo avviso, i presupposti in fatto e in diritto per decidere in tal senso; insiste per l’accoglimento delle eccezioni di tardività del ricorso di primo grado n. 10574/2001 e dei motivi aggiunti al ricorso n. 3593/1994, nonché dell’eccezione di inammissibilità, per difetto dei necessari presupposti, del ricorso per opposizione di terzo n. 11076/2001.
3) – I Sigg.ri Palma Elio, Francesco e Mario, oltre a resistere, in sede di atto di costituzione, alle eccezioni ed ai motivi svolti ex adverso, svolgono, con lo stesso atto, appello incidentale per contestare il capo della sentenza in esame che ha rigettato il ricorso di primo grado n. 3593/1994, di cui chiedono l’accoglimento in questa sede, con correlativo annullamento anche della concessione edilizia n. 13/1993.
Nelle memorie le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
D I R I T T O
1) – Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso (n. 3593/94) proposto per l’annullamento della concessione edilizia n. 13/93.
Ha, invece, accolto il ricorso n. 10574/2001 e, come emerge, in effetti, solo dalla parte motiva della sentenza, anche i motivi aggiunti al ricorso n. 3593/94, proposti per l’annullamento della concessione in sanatoria n. 3/2001; ha, inoltre, accolto il ricorso per opposizione di terzo n. 11076/2001 proposto per conseguire l’annullamento della sentenza dello stesso TAR n. 2960/99.
La sentenza è appellata, in via principale, dalla Sig.ra Natalizio e, con appello incidentale, dai Sigg.ri Palma Elio, Francesco e Mario, che deducono l’erroneità della stessa nella parte in cui rigetta le censure svolte con l’originario ricorso di primo grado n. 3593/94.
In ordine logico va esaminato, anzitutto, l’appello incidentale ora detto.
2) – Ad avviso del Collegio sono inammissibili i profili con lo stesso svolti che si appuntano avverso la sentenza appellata laddove:
a) - da un lato, ha ritenuto legittimo – ai fini del rilascio della concessione edilizia n. 13/93 – il richiamo fatto dal Comune all’ordinanza di sospensiva a suo tempo e ad iniziativa di un diverso soggetto accordata dal TAR avverso un diniego di concessione edilizia conseguente al provvedimento di annullamento assunto dal CORECO (pure in quella sede impugnato) della delibera comunale di approvazione del Piano di recupero sulla cui base erano state poi accordate sia la concessione edilizia oggetto del diniego anzidetto, sia la concessione n. 13/93 di cui qui è causa;
b) - dall’altro, ha ritenuto che il Piano di recupero ora detto fosse di competenza della Giunta e non del Consiglio Comunale.
Se anche le dette doglianze fossero – in ipotesi - fondate, infatti, gli appellanti incidentali non hanno utilmente gravato la sentenza in esame nella parte in cui puntualmente precisa che “alcuna censura viene articolata circa profili di contrasto rispetto alla disciplina contenuta nel citato programma di fabbricazione, esso solo, quindi, idoneo a fondare la determinazione assunta”, non potendo, del resto, sempre secondo i primi giudici, “la pianificazione di recupero considerarsi parte essenziale del corredo motivazionale posto a corredo del titolo abilitante”, sicché, “anche a voler ritenere inefficace il piano di recupero richiamato nel preambolo dell’atto censurato, ciò non avrebbe portata dirimente….”.
Con la conseguenza che, indipendentemente o meno dalla fondatezza delle predette censure, la sentenza fa stato, comunque, tra le parti per quanto attiene alla piena e autonoma valenza del Programma di fabbricazione a sorreggere da solo il titolo edificatorio del 1993, indipendentemente dall’esistenza o meno di un legittimo Piano di recupero.
Viene dedotto, invero, con l’appello incidentale in esame, che il P. di F. del 1962 ricomprenderebbe l’area di cui si tratta nel centro storico cittadino e che in base all’art. 17 della legge n. 765/1967 (introduttivo dell’art. 41quinquies della legge n. 1150/1942) nei centri di particolare pregio storico e ambientale quale quello in esame (giusta quanto emergerebbe dallo stesso Piano di recupero) sarebbero consentite solo opere di intervento conservativo e consolidamento, senza alterazioni di volume; e, inoltre, che per l’art. 8 delle NTA del PRG adottato con delibera n. 212/92 e approvato nel 1995, la zona in questione ammetterebbe solo interventi manutentivi straordinari, con tassativo divieto di interventi comportanti aumenti di volumi o superfici, sicché la concessione n. 13 del 1993 non avrebbe potuto essere rilasciata sulla base della disciplina urbanistica all’epoca vigente; in definitiva il sottotetto – anche perché non previsto dal Regolamento edilizio e dal relativo P. di F del 1962 - non avrebbe potuto essere previsto in tale concessione.
Senonché tali doglianze (che denunciano – anche con riguardo al sottotetto - il contrasto della concessione edilizia del 1993 con la specifica disciplina normativa ora detta) sono state mosse per la prima volta solo in sede di appello incidentale e, come tali, sono inammissibili.
Ad ogni buon conto, per quanto attiene, in particolare, all’invocato art. 41quinquies della legge urbanistica n. 1150/1942, non solo la censura che poggia su di esso è stata, per la prima volta, formulata in appello, ma la stessa è anche infondata nel merito, dal momento che tale norma si applica soltanto “nei Comuni sprovvisti di….programma di fabbricazione….”; con la conseguenza che i contenuti inibitori alla norma medesima riconducibili non possono essere utilmente invocati nella presente fattispecie, connotata dall’operatività di detto strumento urbanistico.
Quanto, poi, al predetto art. 8 delle NTA del PRG, nella formulazione adottata con la citata deliberazione del 1992, va rilevato che, trattandosi di disposizione, per l’appunto, solo adottata, essa avrebbe potuto giustificare l’adozione di eventuali misure di salvaguardia; ma nell’originario ricorso i deducenti non hanno in alcuna misura lamentato il fatto che la concessione edilizia del 1993 non avrebbe potuto essere rilasciata dovendo adottarsi, da parte della P.A., le misure di salvaguardia correlate all’adozione della predetta norma tecnica; con la conseguente inammissibilità di tale doglianza, non potendo essere svolte in appello censure nuove (contrasto della concessione edilizia impugnata con la detta disciplina tecnica, all’epoca solo adottata) che bene avrebbero potuto essere formulate in primo grado.
Deve ritenersi, ormai, formato, quindi, il giudicato nella parte in cui il TAR ha ritenuto che la disciplina edilizia all’epoca vigente (P. di F.) era, di per sé sola, idonea e sufficiente a sorreggere il titolo concessorio impugnato in primo grado; dal momento che il provvedimento stesso poggia, in effetti, su più fonti normative e una di esse è stata ritenuta sufficiente a supportare - autonomamente e indipendentemente dalla sussistenza o meno di un Piano di recupero - il provvedimento concessorio di cui si tratta, ne consegue che la fondatezza o meno delle censure di cui ai punti a) e b) che precedono non è, comunque, in grado di incidere sulla legittimità del titolo impugnato.
Non senza considerare, infine, che neppure è condivisibile l’assunto degli odierni appellanti incidentali, secondo cui il P. di F. non consentirebbe affatto di realizzare il sottotetto senza tenere alcun conto della volumetria pure con esso sviluppata.
Al contrario, il P. di F. fa, in più punti (v. artt. 18, 41 e 46), espresso riferimento alla possibilità di realizzare tetti di copertura, ma non tiene alcun conto degli stessi quali elementi atti ad incidere sulla volumetria delle opere da realizzare, così come evidenzia il fatto che, nella zona centrale, sono realizzabili, ai sensi dell’art. 13 del regolamento edilizio del 1962, due piani fuori terra oltre al seminterrato, con aggiunta del tetto e, quindi, anche del sottotetto, non rientrante, peraltro, tra i piani abitabili (v. art. 46 del citato R.E.).
Il sottotetto, del resto, quando non è oggettivamente connotato da requisiti di abitabilità (secondo quanto prescritto, del resto – fermo il citato art. 46 - dallo stesso Comune che ha indicato, nel rilasciare i titoli edificatori qui contestati, altezze interne che non consentono l’abitazione) e quando è destinato ad assolvere a mere funzioni di servizio (stenditoio, soffitta, locali per impianti tecnologici) non può assumere, quando non diversamente previsto dallo strumento urbanistico e dalla regolamentazione edilizia locale, rilievo significativo in termini di volumetria complessiva, assolvendo ad una semplice funzione tecnica accessoria e servente.
Ciò che, in definitiva, conduce al rigetto del predetto appello incidentale.
3) – Appare, invece, fondato l’appello principale che investe la sentenza in esame nella parte in cui accoglie i ricorsi nn. 10574/2001 (proposto dal Sig. Palma Elio avverso la concessione edilizia in sanatoria n. 3/2001 e atti ad essa presupposti) e 11076/2001 (proposto dai sigg.ri Palma Mario e Francesco in opposizione di terzo alla sentenza della stesso TAR 19 ottobre 1999, n. 2690, Sez. IV; sentenza ritenuta lesiva della loro sfera giuridica in quanto il Comune l’ha posta a supporto del titolo in sanatoria n. 3/2001), nonché i motivi aggiunti al ricorso di primo grado n. 3593/94.
Il TAR, in particolare, rileva che la concessione edilizia in sanatoria n. 3/2001 (con la quale, ad avviso dello stesso Tribunale, “da un lato si sanano le difformità alla concessione edilizia n. 13/93, dall’altro si autorizza la realizzazione del sottotetto”) assentiva una eccedenza complessiva di volume, rispetto al titolo del 1993, pari a mc. 1871,02 e che, quindi, non si trattava, come ritenuto dall’Amministrazione, di “lieve difformità”; che il titolo contestato portava, in effetti, alla sanatoria di rilevanti innovazioni strutturali, quali la realizzazione di un piano seminterrato cui si correlava la maggiore altezza del fabbricato e variazioni prospettiche, tali da comportare senz’altro l’emersione di un intervento edilizio non qualificabile come lievemente difforme, bensì quale variazione essenziale; donde la violazione dell’art. 8 delle NTA del PRG che, in centro storico, faceva divieto di interventi comportanti aumenti di volume e/o superfici utili (sotto quest’ultimo profilo, essendo inapplicabile l’art. 13 della legge n. 47/85 per difetto del requisito della “doppia conformità”).
Quanto al citato ricorso per opposizione di terzo n. 11076/2001 (recante anche censure analoghe a quelle svolte con motivi aggiunti al ricorso n. 3593/94 e teso ad investire gli stessi atti) il TAR, oltre ad averlo ritenuto ammissibile (in quanto il relativo procedimento giurisdizionale si era svolto nel difetto del contraddittorio con gli stessi opponenti), lo ha anche accolto perché, contrariamente all’assunto della gravata sentenza n. 2690/99, la concessione edilizia n. 13/1993 non avrebbe assentito affatto anche la realizzazione del sottotetto.
4) - In ordine logico ritiene la Sezione che debba essere esaminato, anzitutto, il capo di appello che si appunta avverso l’accoglimento del ricorso in opposizione di terzo.
Può prescindersi dall’esame delle eccezioni di inammissibilità del ricorso stesso, disattese dal TAR e con il presente gravame ribadite, atteso che sono da condividere le censure di merito svolte avverso il suo accoglimento.
Il TAR, in particolare, ha ritenuto che “l’imposizione di molteplici prescrizioni nella edificazione del sottotetto e soprattutto l’espressa riserva di esame del progetto esecutivo implica che la volontà autorizzatoria non si sia perfezionata, con la conseguenza che la normativa sopravvenuta alla c.e. n. 13/93 ha legittimo ingresso nel quadro dei parametri urbanistici di riferimento”; e che “il sottotetto, quindi, non ancora realizzato, va fatto oggetto di un nuovo e autonomo atto di assenso che ovviamente soggiace alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del suo rilascio, compresa, quindi, quella sopravvenuta rispetto alla c.e. del 1993”.
Al contrario, può rilevarsi, però, che, come correttamente ritenuto dallo stesso TAR con la sentenza opposta n. 2690/1999, la concessione edilizia n. 13/1993 assentiva, in effetti, anche il sottotetto, subordinandone, semplicemente, la realizzazione a talune “prescrizioni speciali” (relative alla pendenza della falda, all’altezza massima interna al colmo e alla linea di gronda, nonché alla superficie finestrata massima, da rapportare alla superficie del pavimento).
Vero che, in base a detta concessione, “tali prescrizioni dovranno essere definite in conformità di quanto sopra con ulteriore grafico di progetto da sottoporre alla approvazione del Comune prima della sua esecuzione”; ma la produzione di tale ulteriore progettazione valeva solo a garantire il rispetto di tali prescrizioni speciali che già di per sé, per converso, assegnavano un puntuale contenuto approvativo alle opere da eseguire.
L’interessata ha poi presentato – secondo quanto emerge dagli atti e dedotto dagli stessi originari ricorrenti – la detta progettazione integrativa nel corso del 1994; ma l’Amministrazione, anziché procedere all’esame della stessa, ha, con successive determinazioni, paralizzato l’esecuzione delle opere edilizie nel loro complesso, avendole ritenute realizzate in eccedenza rispetto a quanto concesso nel 1993 (ordine di sospensione dei lavori e contestuale ingiunzione a demolire giusta ordinanza commissariale n. 43/1995).
Si è, così, realizzato quel factum principis che (contrariamente a quanto dedotto dagli originari ricorrenti con censura – volta a far valere la decadenza della concessione del 1993 - che il TAR ha, peraltro, disatteso, senza che sul punto la sentenza in esame sia stata gravata da specifico motivo incidentale) ha inibito alla richiedente di realizzare le opere assentite.
Successivamente, a seguito di istanza in sanatoria avanzata nel 1996, poi intergrata, il Comune, con nota n. 186 del 13 gennaio 1999, ha espresso parere favorevole quanto alla sanatoria delle opere realizzate in eccedenza, ma ha denegato il proprio assenso alla realizzazione del sottotetto per contrasto con l’art. 8 delle NTA del PRG; tale nota è stata, però, annullata dal TAR con la ripetuta sentenza n. 2690/1999, che recava anche il puntuale invito all’Amministrazione a conformarsi alla pronuncia nella parte in cui affermava che con la concessione del 1993 era già stato assentito anche il sottotetto (con la conseguenza che la disciplina urbanistica sopravvenuta non poteva trovare applicazione e non poteva, quindi, paralizzare la realizzazione del medesimo).
Consegue, da quanto sopra, che correttamente il Comune, nel sanare la realizzazione delle opere realizzate in eccedenza rispetto al titolo originario, ha anche assentito la realizzazione del sottotetto sulla base della progettazione integrativa a suo tempo richiesta.
Né è da ritenere che il progetto di sottotetto così definitivamente assentito comportasse modifiche o integrazioni (per volume, superfici o prospetti) tali da alterare radicalmente il disegno originario, assentito nel 1993; ciò in quanto esso non presenta alcun aumento di superficie o di volumetria (anzi, dalla perizia versata in atti dagli originari ricorrenti emerge una diminuzione di volumetria di circa mc. 9); l’altezza interna, del resto, alla linea di gronda, risulta ridotta sia rispetto all’originario progetto che alle altezze interne massime consentite con la concessione edilizia n. 13/1993; mentre eventuali maggiori sporti delle falde del tetto non appaiono tali, per la loro modestia, da alterare in misura significativa il generale disegno dei prospetti.
Può, infine, rilevarsi, per incidens, che sia in sede di opposizione di terzo, sia in sede di motivi aggiunti svolti dal sig. Palma Elio in relazione al proprio ricorso n. 10754/2001, sia, ancora, nei motivi aggiunti al ricorso n. 3593/94, gli originari ricorrenti, lungi dall’avere contestato quanto affermato nella gravata sentenza n. 2690/99 in merito al fatto che, in realtà, il sottotetto era stato già assentito con la concessione n. 13/93 (tanto che espressamente affermano che è “condivisibile l’assunto” secondo cui, come affermato nella citata sentenza, “il sottotetto deve intendersi compreso nella conc. edilizia n. 13/93 ed il riconoscimento da parte dell’Amm.ne della conformità alle prescrizioni del nuovo grafico del sottotetto predisposto dall’interessata ha effetto retroattivo e meramente ricognitivo o confermativo della conc. edilizia n. 13/93 che, come tale, è sottratta alla normativa sopravvenuta di cui al citato art. 8 delle norme d’attuazione del PRG approvato nel 1995”) hanno, invece, sostenuto che il titolo concessorio del 1993 avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto, riguardo al sottotetto, in quanto le opere previste non sarebbero state eseguite nel termine prescritto.
Il TAR, pertanto, ha annullato la sentenza del 1999 sulla base di censure che gli interessati, in realtà, non hanno svolto; come detto, gli stessi si erano limitati, infatti, ad invocare, quanto al sottotetto, la decadenza della concessione del 1993 (in quanto il progetto – conforme alle prescrizioni contenute nel titolo concessorio – era stato avanzato il 16 settembre 1994 e i relativi lavori non erano stati eseguiti entro il termine perentorio del 12 gennaio 1996); ma, sul punto, come già detto, la sentenza appellata – per tale parte, come già notato, rimasta inoppugnata da parte degli odierni appellanti incidentali - ha disatteso la relativa censura, avendo ritenuto che la concessione del 1993 non assentisse affatto il sottotetto e che la decadenza non poteva verificarsi in presenza di un factum principis, riconoscibile, nella specie, nel mancato esame, da parte della P.A., di detta progettazione integrativa.
5) - Passando, infine, all’esame delle censure con le quali l’appellante principale denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittima la sanatoria relativa all’edificio di cui si tratta, è, anzitutto, da rilevare che i primi giudici hanno ritenuto il progetto in sanatoria come non caratterizzato da “lieve difformità” rispetto al precedente progetto quanto a superfici e volumetria, stante una eccedenza di circa mc. 1871; senonché nella volumetria ora detta il TAR ha ricompreso anche il volume del sottotetto (prossimo, come detto, quasi a mc. 1000).
La differenza volumetrica si ridurrebbe, quindi, attenendosi alla perizia prodotta dagli originari ricorrenti (che il TAR ha ritenuto di porre a base delle proprie argomentazioni, preferendola, solo in quanto genericamente ritenuta meglio articolata, alle perizie di controparte), a poco meno di mc. 900.
Nei propri calcoli, peraltro, il TAR, avvalendosi esclusivamente dei dati riassuntivi forniti dagli originari ricorrenti nella predetta perizia, non sembra avere tenuto conto dei rilevanti elementi che seguono.
5.1) - Per quanto attiene al piano terra, la differenza di cubatura tra progetto assentito nel 1993 e sanatoria assentita nel 2001 è stata indicata - nella perizia giurata prodotta dai ricorrenti in primo grado e di cui si è detto - come pari a circa mc. 384; in particolare, con la concessione n. 13/1993 sarebbero state assentite (vedi pag. 5 della perizia e prospetto riepilogativo allegato alla stessa) una superficie di mq. 423,18 e un’altezza di m. 4,25 mentre, con la concessione n. 3/2001, sarebbero state assentite una superficie di mq. 507,44 ed un’altezza di m. 4,30; donde, rispettivamente, una volumetria di mc. 1798,51 per il titolo del 1993 ed una di mc. 2181,99 per quello in sanatoria del 2001.
Ma le indicazioni ora dette scontano un evidente errore di fatto, desumibile sia da semplici operazioni di calcolo delle superfici indicate nelle planimetrie progettuali approvate, a suo tempo, dal Comune, sia dai “grafici di verifica della superficie e volumetria” costituenti parte integrante della stessa, ripetuta perizia giurata.
Dalla grafica comparativa dei diversi piani dell’edificio ora detta emerge, infatti, che la superficie del piano terra assentita nel 1993 era pari a mq. 513,10, mentre quella assentita nel 2001 era pari a mq. 518,38; già questa intrinseca discrasia e disomogeneità dei dati contenuti nella stessa perizia avrebbe dovuto dare adito a dubbi sulla sua reale rispondenza a verità con riguardo a tutti gli elementi in essa riportati.
Confrontando, peraltro, le planimetrie di progetto in atti e le diciture in esse contenute è facile rilevare che il valore di mq. 423 circa corrisponde, approssimativamente, alla sola superficie di calpestio delle aree espressamente riservate, nel progetto del 1993, ad “attività” e a “zona” commerciale; ma, comprendendo nel calcolo anche il vano scale e le pareti perimetrali di cui al progetto, si perviene, in effetti, ad individuare l’esatta superficie del piano terra, sostanzialmente coincidente con quella indicata nella stessa comparazione grafica contenuta nella perizia prodotta dagli originari ricorrenti in primo grado.
Si aggiunga, ad ogni buon conto, che la superficie del piano seminterrato e del piano terra risultano (sia stando alla lettura del progetto in sanatoria, sia attenendosi al ripetuto confronto grafico prodotto dagli originari ricorrenti) sostanzialmente coincidenti, differenziandosi solo in quanto il nuovo vano scala, di circa mq. 20, è presente solo con riguardo al seminterrato; così come coincidenti risultano (sempre in base alle planimetrie progettuali e al confronto grafico anzidetto) le superfici complessive dei piani interrato e primo in base al progetto approvato nel 1993.
In definitiva, la differenza di superficie tra piano terra assentito nel 1993 e piano terra assentito nel 2001 sarebbe pari - sempre attenendosi al confronto grafico allegato alla perizia prodotta dagli originari ricorrenti - a circa mq. 5, mentre la differenza di volumetria sarebbe di circa mc. 21.
5.2) - Quanto al primo piano (avente in entrambi i progetti, rispetto ai due piani sottostanti ora detti, una superficie coperta oggettivamente minore per circa mq. 100, in quanto l’estradosso del piano terra viene utilizzato, in parte, come superficie di calpestio esterna, necessaria per l’accesso alle unità abitative collocate nello stesso piano primo) il ripetuto confronto grafico prodotto dagli originari ricorrenti riporta una differenza pari (tra progetto del 1993 e sanatoria del 2001) a circa mq. 11, mentre la differenza di cubatura è pari a circa mc. 77.
5.3) – In definitiva, anche a volere ritenere valide le indicazioni fornite nella predetta perizia di parte ricorrente, si perverrebbe ad una differenza, tra i due progetti, pari a circa mq. 16 quanto alle superfici complessive e a circa mc. 100 quanto alle volumetrie; misure, queste, oggettivamente abbastanza modeste, come ragionevolmente ritenuto dall’Amministrazione in sede di esame della domanda in sanatoria, e compatibili, quindi, con tale richiesta, non apparendo configurabili quali varianti essenziali.
Ciò anche nella considerazione, può aggiungersi, che (v. la voce “verifica progetto assentito con concessione edilizia n. 3/2001” contenuta nel prospetto volumetrico allegato alla perizia prodotta dai ricorrenti in primo grado) il fabbricato demolito sarebbe stato caratterizzato da una volumetria fuori terra pari a circa mc. 4419, mentre il nuovo manufatto (in esso comprendendo la parte di seminterrato che fuoriesce rispetto al piano stradale ed escludendo, invece, per le ragioni dianzi dette, il sottotetto) sarebbe caratterizzato, in effetti, da una volumetria fuori terra pari a circa mc. 4020, inferiore, dunque, a quella demolita, anche se superiore a quella che sarebbe stata, con la sanatoria stessa assentita; mentre, tenendo conto dei valori assentiti in sanatoria (sempre indicati in tale relazione di parte) si perverrebbe ad un valore ancora inferiore, pari a circa mc. 3885 (mc. 2182 per il piano terra, 1353 per il primo piano e 350 per la parte di seminterrato realizzata fuori terra).
Va, inoltre, osservato che il progetto di sanatoria era accompagnato da una relazione tecnica – non contestata - esplicativa delle ragioni che avevano indotto a modificare - anche tenuto conto delle difformità riscontrate dal Comune nel 1995 tra progetto approvato e opere in concreto eseguite - l’altezza del piano interrato, portandolo parzialmente fuori terra; e che lo stesso progetto reca anche precise indicazioni circa le superfici e volumetrie da realizzare e le altezze dei singoli piani e parti strutturali; spetterà, naturalmente, all’Amministrazione, nell’esercizio dei suoi ordinari poteri di controllo del territorio e connesse potestà sanzionatorie, verificare che tali valori e le destinazioni funzionali dei locali assentiti siano stati rispettati.
Può infine segnalarsi, per completezza, che l’art. 13 del regolamento edilizio annesso al programma di fabbricazione del 1962 prevedeva nella zona A – urbana esistente – un numero massimo di piani, come già ricordato, pari a tre, compreso pianterreno e seminterrato; nel caso in esame i piani previsti nella concessione del 1993 erano due fuori terra più interrato e sottotetto.
Per i motivi tecnici indicati nella relazione al progetto in sanatoria (della cui ragionevolezza, come si ripete, non è stata fatta questione) il piano interrato è stato mutato in seminterrato (anche se fuoriesce da terra solo per un altezza di circa cm. 60 e senza finestrature); in tal modo, però, l’art. 13 del regolamento edilizio non appare violato in quanto si rientra, comunque, nel limite di tre piani ivi previsto, non dovendo essere – per i motivi già detti - computato il sottotetto.
6) – Per i motivi che precedono appare fondato e va accolto l’appello principale in esame, proposto dalla Sig.ra Natalizio, mentre va respinto l’appello incidentale proposto dai Sigg.ri Palma; per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, vanno respinti il ricorso di primo grado n. 10574/01 (e i motivi aggiunti al ricorso di primo grado n. 3593/94) e il ricorso in opposizione di terzo n. 11076/01, pure radicato innanzi al TAR.
Le spese dei due gradi di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale in epigrafe indicati.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2003 dal Collegio costituito dai Sigg.ri
ALFONSO QUARANTA – Presidente
RAFFAELE CARBONI - Consigliere
GIUSEPPE FARINA – Consigliere
PAOLO BUONVINO - Consigliere est.
M A R C O L I P A R I - Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Paolo Buonvino f.to Alfonso Quaranta
IL SEGRETARIO
f.to Francesco Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 7 MARZO 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Dott. Antonio Natale