Consiglio di Stato Sez., VI n. 5034 del 13 agosto 2020
Elettrosmog.Interesse ad agire da parte di privati in relazione ad installazione di una stazione radio base
Non può ritenersi sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse ad agire la mera circostanza della prossimità dell’opera infrastrutturale ad una scuola elementare, dovendo essere per contro fornita la prova concreta (o quantomeno un principio di prova) del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica degli stessi ricorrenti. In particolare, deve trattarsi di pregiudizi concreti e oggettivi, che non possono esaurirsi in una mera prospettazione soggettiva e arbitraria di ipotetici immissioni di campi elettromagnetici asseritamente pregiudizievoli alla salute, specie in un caso, quale quello sub iudice, in cui le autorità a ciò preposte (in particolare, ARPA) abbiano escluso che l’opera potesse impattare negativamente sotto il profilo sanitario, con una valutazione certamente non sostituibile da una prospettazione soggettiva dei privati in funzione dell’esercizio di una correlativa azione impugnatoria, a pena di introdurre, attraverso l’elevazione di un astratto interesse alla legalità a criterio di legittimazione, un’inammissibile (perché priva di base legale) azione popolare sulla base di considerazioni e prospettazioni del tutto soggettive del singolo ricorrente.
Pubblicato il 13/08/2020
N. 05034/2020REG.PROV.COLL.
N. 05707/2018 REG.RIC.
N. 07686/2018 REG.RIC.
N. 08510/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5707 del 2018, proposto da Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tommaso Gulli, n. 11;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Maggiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi, Francesco Cardarelli e Jacopo d’Auria, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Lattanzi in Roma, via G. P. da Palestrina, n. 47;
Alessia Gazzillo, Carole Guillaume Laurence, Cecilia Tordini, Giuseppa Tata, Tatiana Grilli, Claudia Goldoni, Giulia Casati, Maria Linda Fusella, Loredana De Angelis, Cristina De Santis, Lara Magnani, Veronica Rossi, Annalisa Fuso, Daniela Castagnoli, Silvia Cerioni, Gioia Latini, Desire’ Iacino, Maria Pia Napolitano, Claudia Ledda, Raffaella Giacalone, Emanuela Verde, Maria Donzetti, Eugenia Scognamiglio, Roberta Mancia, Giulia Buffa, Elisabetta Burioni, Arianna Amato, Denise Iacino, Alessandra Viscardi, Silvia Panti, Marco Iodice e Roberta Cevenini, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Talladira e Loredana Alcamo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Buccari, n. 11;
Regione Lazio, Arpa Lazio - Agenzia Regionale Protezione Ambientale Lazio, Condominio di via Adrea Doria 16/C, non costituiti in giudizio nel presente grado;
nei confronti
Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicola Lais, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Claudio Monteverdi, n. 20;
sul ricorso numero di registro generale 7686 del 2018, proposto da Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi, Francesco Cardarelli e Jacopo d’Auria, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Lattanzi in Roma, via G. P. da Palestrina, n. 47;
contro
Alessia Gazzillo, Carole Guillaume Laurence, Cecilia Tordini, Giuseppa Tata, Tatiana Grilli, Claudia Goldoni, Giulia Casati, Maria Linda Fusella, Loredana De Angelis, Cristina De Santis, Lara Magnani, Veronica Rossi, Annalisa Fuso, Daniela Castagnoli, Silvia Cerioni, Gioia Latini, Desire’ Iacino, Maria Pia Napolitano, Claudia Ledda, Raffaella Giacalone, Emanuela Verde, Maria Donzetti, Eugenia Scognamiglio, Roberta Mancia, Giulia Buffa, Elisabetta Burioni, Arianna Amato, Denise Iacino, Alessandra Viscardi, Silvia Panti, Marco Iodice e Roberta Cevenini, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Talladira e Loredana Alcamo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Buccari, n. 11;
Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicola Lais, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Claudio Monteverdi, n. 20;
nei confronti
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Maggiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Regione Lazio, Arpa Lazio - Agenzia Regionale Protezione Ambientale Lazio, Condominio di via Adrea Doria 16/C, non costituiti in giudizio nel presente grado;
Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tommaso Gulli, n. 11;
sul ricorso numero di registro generale 8510 del 2018, proposto da Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicola Lais, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Claudio Monteverdi, n. 20;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Maggiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Regione Lazio, Arpa Lazio - Agenzia Regionale Protezione Ambientale Lazio, Condominio di via Adrea Doria 16/C, non costituiti in giudizio nel presente grado;
Telecom Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi, Francesco Cardarelli e Jacopo d’Auria, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Filippo Lattanzi in Roma, via G. P. da Palestrina, n. 47;
Alessia Gazzillo, Carole Guillaume Laurence, Cecilia Tordini, Giuseppa Tata, Tatiana Grilli, Claudia Goldoni, Giulia Casati, Maria Linda Fusella, Loredana De Angelis, Cristina De Santis, Lara Magnani, Veronica Rossi, Annalisa Fuso, Daniela Castagnoli, Silvia Cerioni, Gioia Latini, Desire’ Iacino, Maria Pia Napolitano, Claudia Ledda, Raffaella Giacalone, Emanuela Verde, Maria Donzetti, Eugenia Scognamiglio, Roberta Mancia, Giulia Buffa, Elisabetta Burioni, Arianna Amato, Denise Iacino, Alessandra Viscardi, Silvia Panti, Marco Iodice e Roberta Cevenini, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Talladira e Loredana Alcamo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Buccari, n. 11;
nei confronti
Wind Tre S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tommaso Gulli, n. 11;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, sezione II-Quater, n. 6136/2018, resa tra le parti e concernente: autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica per la realizzazione di un impianto per telefonia mobile in Roma, via Andrea Doria, n. 16/C;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle rispettive parti appellate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Giuseppe Sartorio, Angela Raimondo in sostituzione dell’avvocato Maggiore, Francesco Cardarelli, Jacopo d’Auria, Nicola Lais, Antonio Talladira e Loredana Alcamo Giuseppe Sartorio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per il Lazio pronunciava definitivamente sul ricorso n. 13454 del 2015 (integrato da motivi aggiunti), proposto da un gruppo di genitori di alunni della scuola elementare statale ‘Cairoli’ in Roma, via Giordano Bruno, n. 2, avverso i seguenti atti:
- l’autorizzazione formatasi per silenzio assenso in capo alle società telefoniche controinteressate per l’installazione di una stazione radio base sul lastrico solare dell’edificio sito in Roma, via Andrea Doria, n. 16/C, oggetto della richiesta presentata dalle società predette in data 4 agosto 2014 ai sensi dell’art. 87 d.lgs. n. 259/2003;
- il parere ARPA del 22 settembre 2014;
- la valutazione ambientale preliminare del 7 maggio 2015;
- l’autorizzazione sismica rilasciata dalla Regione Lazio;
- la nota del Dipartimento programmazione ed attuazione urbanistica - Direzione edilizia - Ufficio stazioni radio base di Roma Capitale del 14 ottobre 2015, con cui è stato sospeso il titolo autorizzativo tacito e avviato il procedimento di verifica sulla compatibilità dell’antenna;
- la nota comunale del 24 maggio 2016, di conferma della legittimità del titolo autorizzatorio.
1.1. In particolare, il TAR adìto, previa acquisizione di informazioni e chiarimenti dall’amministrazione, provvedeva come segue:
(i) respingeva l’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti – sollevata dalle imprese controinteressate sotto il profilo che gli stessi non sarebbero proprietari di immobili siti nelle immediate vicinanze dell’edificio su cui era posta l’antenna e che la scuola non sarebbe ‘toccata’ dai relativi lobi di irradiazione –, dovendosi «ritenere sussistente l’interesse in capo a chi frequenta la scuola (e, quali esercenti la potestà, ai genitori) ad impugnare i provvedimenti che si assumano in violazione delle disposizioni del Regolamento comunale adottato ai sensi dell’art. 8 della legge n. 36 del 2001, nonché con riferimento alla particolare disciplina di Roma Capitale, del Protocollo di intesa del 2004, con la conseguente legittimazione attiva» (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza);
(ii) respingeva, altresì, l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo – sollevata dalle imprese controinteressate sotto il profilo che gli impianti della stazione radio base sarebbero stati montati tra il 19 e il 20 luglio 2015, mentre il ricorso era stato spedito per la notificazione il 27 ottobre 2015 e quindi tardivamente (pur considerando il periodo di sospensione feriale di trenta giorni) –, avendo i ricorrenti in data 4 agosto 2015 presentato istanza di accesso agli atti ed essendo la relativa documentazione stata rilasciata dagli uffici comunali il 10 settembre 2015, con la conseguente acquisizione della conoscenza piena degli atti gravati solo in tale data anche tenuto conto della installazione dell’antenna nel periodo di chiusura scolastica, ed essendosi in ogni caso la successiva attività procedimentale chiusa soltanto con la nota comunale del 24 maggio 2016, di sostanziale natura autorizzatoria, con il conseguente superamento delle censure relative alla illegittima formazione del silenzio-assenso, il quale comunque non poteva ritenersi maturato a fronte della violazione del limite distanziale di cento metri da un sito sensibile, quale stabilito dal Protocollo d’intesa sottoscritto tra Roma Capitale e gestori della telefonia mobile in data 4 luglio 2004;
(iii) respingeva il ricorso incidentale proposto dalle imprese di telefonia avverso il protocollo d’intesa, affermandone la legittimità previo richiamo di precedenti giurisprudenziali e trattandosi comunque di atto dalle stesse sottoscritto;
(iv) accoglieva, per converso, le censure di illegittimità dell’autorizzazione per contrasto con il citato Protocollo d’intesa, fatte valere con il ricorso introduttivo, nonché le censure proposte con i motivi aggiunti avverso l’atto del 24 maggio 2016 che aveva ritenuto non applicabile il limite distanziale di cento metri dalla scuola al caso di specie, non riferendosi il Protocollo d’intesa alle sole ipotesi di collocazione degli impianti su immobili di proprietà comunale, e prevedendo comunque anche il regolamento successivo, approvato con deliberazione consiliare del 14 maggio 2015, un analogo limite distanziale dai siti sensibili, oltre a prescriverne la delocalizzazione;
(v) in accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, annullava pertanto gli atti impugnati dai ricorrenti, ponendo le spese di lite a carico dell’amministrazione resistente e delle imprese controinteressate.
2. Avverso tale sentenza interponevano appello le società Wind Tre S.p.A., Telecom Italia S.p.A. e Vodafone Italia S.p.A. (con tre separati ricorsi, rubricati sub r.g. n. 5707 del 2018, n. 7686 del 2018 e n. 8510 del 2018), deducendo i seguenti motivi (tra di loro sostanzialmente identici):
a) l’erronea reiezione delle eccezioni di carenza di interesse e di legittimazione a ricorrere;
b) l’erronea reiezione dell’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività;
c) l’erronea reiezione dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione della nota del 24 maggio 2016, di mera valenza ricognitiva nonché priva di natura provvedimentale e di autonoma valenza lesiva;
d) l’erronea applicazione degli artt. 87, comma 9, d.lgs. n. 259/2003 e 20, 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990;
e) l’erronea applicazione del Protocollo d’intesa del 4 luglio 2004 e del Regolamento approvato con deliberazione consiliare n. 26/2015, nonché degli artt. 86, 87, 87-bis, 90 e 93 d.lgs. n. 259/2003 e dell’art. 23 Cost. e della coeva disciplina europea, oltre che dell’art. 11 l. n. 241/1990, sotto vari profili, e la conseguente erronea reiezione del ricorso incidentale;
f) la violazione del principio tempus regit actum con riferimento al sopravvenuto regolamento comunale n. 26/2015, la contraddittorietà della sentenza e l’erroneo mancato accoglimento della censura di eccesso di potere.
Le società appellanti chiedevano pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado (compresi i motivi aggiunti), in rito e nel merito, nonché l’accoglimento del ricorso incidentale.
3. Si costituivano in giudizio gli originari ricorrenti, contestando la fondatezza degli appelli e chiedendone la reiezione.
4. Si costituiva altresì Roma Capitale, contestando la fondatezza degli appelli e sostenendo al legittimità degli atti regolamentari impugnati in via incidentale dalle imprese appellanti.
5. Respinte le istanze cautelari per carenza del periculum in mora, le cause sono state trattenute in decisione all’udienza pubblica del 20 febbraio 2020.
6. Premesso che a norma dell’art. 96, comma 1, cod. proc. amm. i ricorsi in appello, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti e decisi congiuntamente, si osserva che gli appelli sono fondati.
Meritano, in particolare, accoglimento i primi tre motivi d’appello, di cui sopra sub 2.a), 2.b) e 2.c), di natura pregiudiziale di rito.
6.1. Il TAR nell’impugnata sentenza ha respinto le eccezioni di carenza di legittimazione e di interesse sulla base del centrale rilievo che – poiché sia il Protocollo d’intesa sottoscritto dai gestori e l’amministrazione comunale il 5 luglio 2004, avente natura regolamentare, sia il regolamento adottato il 14 maggio 2015 stabiliscono il divieto di installazione nei limiti di cento metri dai siti sensibili comprese le scuole con ciò riconoscendo un interesse giuridicamente tutelato al rispetto di tale limite distanziale – si deve «ritenere sussistente l’interesse in capo a chi frequenta la scuola (e, quali esercenti la potestà, ai genitori) ad impugnare i provvedimenti che si assumano in violazione delle disposizioni del Regolamento comunale adottato ai sensi dell’art. 8 della legge n. 36 del 2001, nonché con riferimento alla particolare disciplina di Roma Capitale, del Protocollo di intesa del 2004, con la conseguente legittimazione attiva» (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).
In primo luogo, non può condividersi l’assunto per cui la semplice qualità di utente della struttura qualificata come sito sensibile dall’invocata disciplina regolamentare – nella specie, costituita dall’istituto scolastico dell’infanzia e primaria ‘Adelaide Bono Cairoli’ ubicato in via Giordano Bruno 2, frequentato dai figli minorenni degli originari ricorrenti – sia, di per sé, idonea a radicare una situazione qualificata e differenziata rispetto al quisque de populo, legittimante l’impugnazione giudiziale dei titoli autorizzatori in questione, in quanto:
- tale qualità, a differenza dal requisito della vicinitas – presupponente la residenza stabile, a titolo dominicale o ad altro titolo, nell’area o zona di ubicazione dell’opera e, peraltro, costituente solo uno dei presupposti per l’impugnazione di titoli edilizi o autorizzatori di impianti od opere infrastrutturali, accanto a quello di un pregiudizio concreto ed effettivo alla propria sfera giuridica soggettiva –, è per definizione transeunte e/o provvsoria, sicché difetta quello stabile e duraturo collegamento territoriale con il contesto nel quale è destinato ad essere realizzato il contestato intervento infrastrutturale (identico discorso varrebbe per gli utenti di strutture ospedaliere o assistenziali), integrante il requisito della vicinitas;
- in situazioni siffatte, la posizione legittimante è, semmai, individuabile in capo all’ente proprietario e/o gestore della struttura qualificata come sito sensibile, il quale agisce tramite gli organi titolari del potere di rappresentanza esterna (eventualmente, con il coinvolgimento e la partecipazione interna degli utenti, secondo le procedure che di volta in volta possano venire in rilievo), oppure, in alternativa, in capo a soggetti ‘entificati’ (quali comitati, associazioni, ecc.) individuabili, in presenza degli elementi all’uopo richiesti, quali titolari di correlativi interessi collettivi;
- infatti, seguendo la tesi accolta dal TAR, per cui la mera previsione di un limite distanziale da un sito sensibile legittimerebbe tutti i relativi utenti ad esperire l’azione impugnatoria avverso gli atti autorizzatori, si darebbe ingresso a una vera e propria azione popolare a tutela dell’astratta ed oggettiva legalità/legittimità dell’azione amministrativa sub specie di osservanza del limite distanziale, in contrasto con il carattere di giurisdizione soggettiva connotante il vigente sistema della giustizia amministrativa.
In secondo luogo, nel caso di specie manca qualsiasi prova di un pregiudizio alla salute degli alunni della scuola per effetto dell’immissione di campi elettromagnetici anche solo potenzialmente lesivi, dovendosi per contro sulla base degli elementi istruttori acquisiti in primo grado, in particolare delle risultanze delle misurazioni da parte dell’ARPA Lazio sia in prossimità degli edifici scolastici sia in prossimità della stazione radio base, ritenere positivamente comprovato il rispetto dei valori di soglia, dei valori di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità stabiliti dal d.P.C.M. dell’8 luglio 2003 (Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz). In assenza di pregiudizi concreti ed attuali arrecati alla posizione giuridica soggettiva delle parti ricorrenti va pertanto esclusa l’integrazione di un interesse concreto, attuale e personale a ricorrere, e quindi della correlativa condizione dell’azione giudiziale.
Osserva al riguardo il Collegio che l’esigenza dell’allegazione e della prova della sussistenza, in capo alle parti ricorrenti, di una situazione legittimante differenziata da quella riferibile al quisque de populo e di un interesse personale, concreto ed attuale, riferibile a un pregiudizio puntuale e specifico recato alla loro sfera giuridica – sia esso di carattere patrimoniale o di peggioramento delle condizioni di vita e di salute, oppure di deterioramento delle concrete e oggettive connotazioni urbanistico e ambientali dell’area – si impone con particolare riguardo a titoli abilitativi relativi ad opere infrastrutturali, quali gli impianti SRB e, in genere, le infrastrutture di comunicazione elettronica che a norma degli artt. 86 e 90 d.lgs. n. 259/2003 sono assimilate alle opere di urbanizzazione primaria e di pubblica utilità, in quanto funzionali all’erogazione di un servizio a carattere generale, il cui regime autorizzatorio è diverso da quello degli ordinari titoli edilizi – i quali, se necessari, sono comunque serventi rispetto ai primi – e convoglia, in un procedimento di autorizzazione unica, i pareri e gli atti di assenso delle varie amministrazioni deputate a rappresentare e gestire gli interessi pubblici e collettivi coinvolti.
Non può, pertanto, ritenersi sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse ad agire in capo agli originari ricorrenti la mera circostanza della prossimità dell’opera infrastrutturale al sito in questione, dovendo essere per contro fornita la prova concreta (o quantomeno un principio di prova) del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica degli stessi ricorrenti, nella specie mancante.
In particolare, deve trattarsi di pregiudizi concreti e oggettivi, che non possono esaurirsi in una mera prospettazione soggettiva e arbitraria di ipotetici immissioni di campi elettromagnetici asseritamente pregiudizievoli alla salute, specie in un caso, quale quello sub iudice, in cui le autorità a ciò preposte (in particolare, ARPA) abbiano escluso che l’opera potesse impattare negativamente sotto il profilo sanitario, con una valutazione certamente non sostituibile da una prospettazione soggettiva dei privati in funzione dell’esercizio di una correlativa azione impugnatoria, a pena di introdurre, attraverso l’elevazione di un astratto interesse alla legalità a criterio di legittimazione, un’inammissibile (perché priva di base legale) azione popolare sulla base di considerazioni e prospettazioni del tutto soggettive del singolo ricorrente.
Come già sopra esposto, dalle misurazioni effettuate dall’ARPA, anche in corso di giudizio su impulso del TAR, è emerso che le emissioni della SRB generano negli edifici scolastici limitrofi un campo elettromagnetico i cui valori sono ampiamente inferiori agli obiettivi di qualità fissati dal d.P.C.M. dell’8 luglio 2003, costituenti massima espressione del principio di precauzione sancito dalla l. 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici). Ma, in più, vi è emerso che un’eventuale delocalizzazione dell’impianto comporterebbe addirittura un peggioramento della situazione, poiché i lobi delle antenne attualmente non incidenti in modo significativo sugli edifici scolastici, verrebbero a trovarsi in una posizione meno favorevole per il plesso scolastico, rispetto a quella attuale
Quanto al principio di precauzione (al quale si ispira anche la disciplina della tutela dell’esposizione ai campi elettromagnetici), si osserva che esso costituisce uno dei capisaldi della politica ambientale dell’Unione europea, ed è attualmente menzionato, ma non definito, nell’art. 191, paragrafo 2, del TFUE, insieme a quelli del ‘chi inquina paga’ e dell’azione preventiva. Tale principio tuttavia non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile. Il principio di precauzione richiede, piuttosto e in primo luogo, una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi; rischi nella specie esclusi, anche secondo parametri di minimizzazione improntati al principio di precauzione, dalle verifiche tecniche dell’ARPA.
Concludendo sul punto, per le considerazioni sopra esposte, in accoglimento dei profili di censura dedotti nell’ambito del motivo sub 2.a), deve escludersi la sussistenza, in capo agli originari ricorrenti, la legittimazione e l’interesse a ricorrere avverso i provvedimenti impugnati in primo grado.
6.2. Merita, altresì, accoglimento la riproposta eccezione di tardività del ricorso di prima istanza, in quanto:
- risulta incontrovertibilmente comprovato, sulla base della stessa esposizione dei fatti di causa nel ricorso introduttivo di primo grado, che i ricorrenti fossero stati a conoscenza del montaggio del palo porta antenne in data 19 - 20 luglio 2015 (come ulteriormente confermato da una «petizione per immediata rimozione antenne scuola A. Cairoli» datata 28 luglio 2015, pure prodotta in giudizio dai ricorrenti);
- la consapevolezza dell’asserita violazione del limite distanziale e della prospettata lesività dell’opera coincide pertanto con la conoscenza dell’installazione della SRB sull’edificio limitrofo (a una distanza di soli 20 m) a quello del plesso scolastico, in data 19-20 luglio 2020, con la conseguenza che i ricorrenti non potevano limitarsi ad attendere il completamento dell’opera o ad esercitare solo in un secondo momento il diritto di accesso alla documentazione, inidoneo a procrastinare il dies a quo di decorrenza del termine d’impugnativa, in quanto lesivo del principio di stabilità dei rapporti giuridici e dell’affidamento dei soggetti titolari dell’autorizzazione;
- né l’effetto di una sorta di rimessione in termini per impugnare l’atto autorizzatorio può essere attribuito alla nota comunale del 24 maggio 2016, con cui sono state rese note gli esiti delle verifiche eseguite sulla SRB ed è rimasta confermata la piena conformità dell’impianto alle regole tecniche e alle disposizioni normative applicabili ratione temporis, poiché si tratta di atto meramente confermativo della legittimità del provvedimento autorizzatorio in precedenza perfezionatosi, e non già di un nuovo titolo abilitativo ad autonoma valenza lesiva;
- peraltro, alla luce del chiaro disposto dell’art. 87, comma 9, d.lgs. n. 259/2003, deve ritenersi che l’autorizzazione si sia perfezionata per silenzio-assenso sull’istanza congiunta presentata il 4 agosto 2014, non ostandovi la dedotta violazione del limite distanziale, la quale andava verificata all’interno della fase istruttoria e nel termine di 90 giorni, e, una volta spirato tale termine, poteva tutt’al più formare oggetto di provvedimento di annullamento in autotutela, il quale nella specie non solo mai risulta essere stato adottato, ma i cui presupposti sono stati positivamente esclusi con la nota del 24 maggio 2016, e, per il resto, doveva essere dedotto quale vizio di legittimità entro il termine decadenziale fissato per la proposizione del ricorso giurisdizionale;
- la notificazione del ricorso introduttivo di primo grado in data 27 ottobre 2015 (data di spedizione), a fronte del dies a quo individuabile al 20 luglio 2015, pur tenendo conto della sospensione feriale di 30 giorni, deve pertanto ritenersi tardivo, in quanto proposto oltre il termine di cui all’art. 41 cod. proc. amm..
6.3. Dalle considerazioni svolte sopra sub 6.2. in ordine alla natura della nota del 24 maggio 2016 consegue altresì l’accoglimento del motivo d’appello sub 2.c), con la conseguente declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso la nota medesima.
6.4. Per le ragioni tutte sopra esposte, di carattere assorbente e impeditive dell’ingresso di ogni altra questione, vanno accolti i motivi d’appello sub 2.a), 2.b) e 2.c), con la conseguente riforma dell’impugnata sentenza e con sequela di declaratoria di inammissibilità ed irricevibilità del ricorso introduttivo di primo grado, nonché di inammissibilità dei motivi aggiunti.
7. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti e tra di loro riuniti (ricorsi n. 5707 del 2018, n. 7686 del 2018 e n. 8510 del 2018), li accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara inammissibile e irricevibile il ricorso introduttivo di primo grado, nonché inammissibili i motivi aggiunti; dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere