Cons. Stato, Sez. VI n.3578 del 20 giugno 2012
Beni ambientali. Piattaforma elevatrice
Diniego sanatoria piattaforma elevatrice. E’ legittimo il diniego comunale di sanatoria di una piattaforma elevatrice, adottato sulla scorta del parere negativo espresso dalla Soprintendenza sul rilievo della non autorizzabilità, ai sensi dell’art. 167 del Codice del paesaggio, di opere implicanti aumento di volumetria (segnalazione emassima di F. Albanese)
N. 03578/2012REG.PROV.COLL.
N. 05367/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5367 del 2008, proposto dal signor Salemme Ferdinando, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Vecchione, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Abbamonte in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
Il Comune di Napoli, in persona del sindaco e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Barone e Giuseppe Tarallo, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Ministero per i beni e le attivita' culturali, in persona del Ministro e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 2297/2008, resa tra le parti, concernente DINIEGO SANATORIA DI PIATTAFORMA ELEVATRICE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero per i beni e le attivita' culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Vecchione, Tarallo e l'avvocato dello Stato Pio Marrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 17 aprile 2008 n. 2297, che ha respinto il ricorso n.4696 del 2007 proposto dall’odierno appellante avverso il diniego comunale di sanatoria edilizia opposto sulla istanza di accertamento di conformità relativa a una piattaforma elevatrice posta (tra il quarto piano ed il terrazzo) a servizio di un appartamento sito in Napoli al viale Gramsci n. 16.
Il diniego comunale è stato adottato sulla scorta del parere negativo espresso dalla Soprintendenza sul rilievo della non autorizzabilità, ai sensi dell’art. 167 del Codice del paesaggio, di opere implicanti aumento di volumetria.
L’appellante insiste anche in questo grado nel ritenere assentibile l’intervento edilizio oggetto di domanda di sanatoria, deducendo la non correttezza della sentenza impugnata che ha respinto il ricorso sul rilievo della legittimità dell’avversato diniego.
Egli conclude per l’accoglimento dell’appello e per l’annullamento, in riforma della impugnata sentenza, dell’atto negativo impugnato in primo grado.
Si è costituita in giudizio la intimata Amministrazione per resistere al ricorso in appello e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 29 maggio 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2.- L’appello è infondato e pertanto va respinto.
2.1 Con un primo ordine di censure, l’appellante sostiene che l’illegittimità del diniego impugnato in primo grado deriverebbe dalla non corretta qualificazione giuridica dell’intervento da assentire con il procedimento di accertamento di conformità.
In particolare, ad avviso dell’appellante, poichè nel caso di specie si sarebbe trattato di un intervento di manutenzione straordinaria finalizzato a rimuovere- in base all’art. 1, comma 6, del d.P.R. 24 luglio 1996 n. 503 - le barriere architettoniche in un edificio privato, non sarebbe richiesta, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’autorizzazione paesaggistica, di guisa che il parere negativo della Soprintendenza sarebbe stato rilasciato nella specie in carenza di potere.
La censura non è condivisibile.
Vale anzitutto precisare che ai sensi del citato art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004 l’autorizzazione della autorità preposta alla tutela del vincolo non è richiesta soltanto per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria di restauro e di risanamento conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.
Nel caso in esame è pacifico al contrario che la realizzazione della piattaforma elevatrice abbia determinato un aumento dei volumi dell’edificio ed abbia inciso sui profili esteriori dello stesso, onde la qualificazione dell’intervento quale manutenzione straordinaria non gioverebbe alle ragioni dell’appellante nella misura in cui non sarebbe idonea a superare la necessità del rilascio della autorizzazione e del suo superamento della fase del riesame della Soprintendenza (trattandosi di immobile ricadente in area sottoposta a vincolo paesaggistico).
In ogni caso, è da escludere che l’intervento possa correttamente qualificarsi come di manutenzione straordinaria, atteso che la realizzazione di una piattaforma elevatrice munita di autonomo vano di scorrimento, che fuoriesce dalla sagoma dell’edificio asservito e che quindi costituisce un’opera dotata di autonomia funzionale, appare piuttosto integrare una ristrutturazione edilizia, necessitante di permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del d.PR. n. 380 del 2001 o, in alternativa, di denuncia di inizio di attività ai sensi dell’art. 22 d.PR cit.
Per altro verso, la qualificazione dell’intervento alla stregua di opera di straordinaria manutenzione non potrebbe trarsi, come assume l’appellante, dalla disciplina normativa di favore dettata in materia di eliminazione delle barriere architettoniche dagli edifici pubblici e privati (d.P.R n. 503 del 1996, attuativo dell’art. 27 l. 30 marzo 1971 n. 118; art. 24 l. 5 febbraio 1992 n. 104; l. n. 13 del 1989), dato che le finalità semplificatorie e propulsive di tali testi normativi in favore delle persone diversamente abili non ha in ogni caso comportato una modificazione della tipologia degli interventi edilizi funzionali alla eliminazione delle barriere architettoniche e dei corrispondenti titoli edilizi necessari per la loro realizzazione.
E tanto anche a voler considerare le opere di che trattasi, consistite nel collegare il quarto piano di un appartamento al terrazzo superiore, alla stregua di intervento finalizzato in concreto ad eliminare le barriere architettoniche di un edificio privato in favore di un soggetto meritevole di protezione.
2.2- Sotto altro profilo non appare condivisibile la censura d’appello di violazione e falsa applicazione della legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante le disposizioni funzionali alla eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati.
Sul punto l’appellante censura la correttezza del ragionamento dei giudici di primo grado nella parte in cui questi ultimi avrebbero ritenuto abrogate (e quindi non più applicabili in quanto non riprodotte negli artt. 77 e segg. del testo unico in materia edilizia) quelle disposizioni della citata legge specificamente dettate ai fini della eliminazione delle barriere architettoniche (in particolare art. 4.1, commi 4 e 5); le quali stabilivano che, anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, l’autorizzazione paesaggistica poteva essere negata solo ove non fosse possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato e che, in ogni caso, il diniego doveva essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato.
Osserva al proposito il Collegio che:
anzitutto è vero che non vi è stata, nel testo unico sull’edilizia, la riproduzione di quelle previsioni normative che ponevano un particolare onere motivazionale in sede di diniego alle opere finalizzate alla rimozione delle barriere architettoniche anche in edifici sottoposti al vincolo storico-artistico o in aree vincolate sul piano paesaggistico;
in ogni caso, al di là della sussistenza o meno di un’indicazione normativa espressa in tal senso (che tuttavia potrebbe trarsi dal sistema) non potrebbe farsi a meno di rilevare che, nel caso in esame, non vengono in rilievo le disposizioni afferenti il procedimento di ordinaria formazione del titolo edilizio, dato che l’intervento è stato realizzato sine titulo ed il diniego avversato in primo grado è maturato, in ragione del parere negativo della Soprintendenza, nel distinto procedimento di accertamento di conformità (che costituisce un procedimento di sanatoria postuma dell’abuso).
Ora, ed è questa la questione dirimente del giudizio, è decisivo considerare che l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, delle opere (art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi tassativamente previsti dall’art. 167, commi 4 e 5.
Con tale scelta il legislatore ha inteso presidiare ulteriormente il regime delle opere incidenti su beni paesaggistici, escludendo in radice che l’esame di compatibilità paesaggistica possa essere postergato all’intervento realizzato (sine titulo o in difformità dal titolo rilasciato) e ciò al fine di escludere che possa riconnettersi al fatto compiuto qualsivoglia forma di legittimazione giuridica.
In altri termini, il richiamato art. 167 del Codice n. 42 del 2004, evidentemente in considerazione delle prassi applicative delle leggi succedutesi in materia di condoni e sanatorie (caratterizzate di regola dall’esercizio di poteri discrezionali delle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso tutelare più rigorosamente i beni sottoposti al medesimo vincolo, precludendo in radice ogni valutazione di compatibilità ex post delle opere abusive (tranne quelle tassativamente indicate nello stesso art. 167).
Sotto tale profilo, ove le opere risultino diverse da quelle sanabili e indicate nell’art. 167, le autorità non possono che emanare un atto dal contenuto vincolato e cioè esprimersi nel senso della reiezione dell’istanza di sanatoria.
L’unica eccezione a tale rigida prescrizione riguarda il caso in cui i lavori, pur se realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
Tuttavia, nel caso in esame correttamente la Soprintendenza ha escluso la ricorrenza della fattispecie derogatoria appena richiamata, atteso che il vano ascensore, come già detto, ha in fatto comportato un aumento delle volumetrie dell’edificio e, per di più, un’opera rilevante sul piano della sua percezione visiva nel contesto paesaggistico di riferimento.
2.3 – A tal proposito non può condividersi l’approccio interpretativo dell’appellante, che mira a neutralizzare il profilo dell’aumento volumetrico determinato del vano ascensore, richiamando la normativa sui cosiddetti volumi tecnici.
Sul punto il Collegio ritiene che tale tesi non tenga conto del testo e della ratio del medesimo art. 167.
Anzitutto appare dubbia, già in linea di principio, l’ascrizione del vano ascensore al novero dei cosiddetti volumi tecnici nei casi in cui, come nella specie, lo stesso sia in fatto conformato alla stregua di un autonomo corpo edilizio destinato ad ospitare l’intero impianto elevatore (e non invece, ad esempio, soltanto l’extracorsa dell’ascensore). Per volume tecnico si intende infatti un volume destinato ad ospitare un impianto o parte di esso che, per ragioni di funzionalità, di igiene o di sicurezza non potrebbe essere allocato nella volumetria assentita o comunque assentibile (Consiglio di Stato, IV sez., 26 luglio 1984 n. 578); nel caso in esame non è provato che tale circostanza ricorra in concreto ed appare dubbia l’assimilabilità del vano ascensore avente caratteristiche morfologiche a quello per cui è giudizio al cosiddetto “volume tecnico”, nella cui categoria potrebbe al più rientrare il vano destinato ad ospitare i macchinari funzionali all’ascensore (ma non l’ascensore in sé, dotato di autonomia planovolumetrica rispetto all’edificio servito).
In ogni caso, ed il rilievo appare di per sé assorbente e decisivo, nella prospettiva della tutela del paesaggio non è rilevante la classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine di evidenziare la neutralità, sul piano del carico urbanistico, dei cosiddetti volumi tecnici.
E’ pacifico infatti che tale distinzione si rivela inconferente sul piano della tutela dei beni paesaggistici: le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non hanno rilievo, quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva di volumi, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia quando comunque si tratti di modificare un terreno oun edificio, o il relativo sottosuolo.
La circolare ministeriale citata dall’appellante (del Ministero dei lavori pubblici del 31 gennaio 1973, n. 2474, e che, in base ad un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, inserisce tra i volumi tecnici ai fini del calcolo della volumetria assentibile solo i volumi strettamente necessari a contenere e a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono per esigenze di funzionalità degli impianti trovare luogo entro il corpo di fabbrica dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche), a parte ogni considerazione sulla impossibilità che essa limiti l’applicazione delle sopravvenute disposizioni legislative, già a suo tempo aveva colto il principio per cui la nozione di ‘volume tecnico’ rileva ai soli fini urbanistico-edilizio, avendo specificato che “la sistemazione dei volumi tecnici non deve costituire pregiudizio per la validità estetica dell’insieme architettonico”.
Pertanto, la natura del volume edilizio realizzato (sia o meno qualificabile come volume tecnico) non rileva sul giudizio di compatibilità paesaggistica ex post delle opere: la nuova volumetria, quale che sia la sua natura, impone una valutazione di compatibilità con i valori paesaggistici dell’area (che deve compiersi da parte della autorità preposta alla tutela del vincolo, ovvero dalla competente Soprintendenza in sede di redazione di un suo parere), mentre sono radicalmente precluse autorizzazioni postume per le opere abusive che abbiano comportato la realizzazione di nuovi volumi (art. 167 d.lgs. cit.).
Nel caso in esame appare pertanto pienamente legittimo il parere negativo – avente contenuto vincolato - espresso dalla Soprintendenza con la nota 29 gennaio 2007, n. 33585, e, per conseguenza, immune dalle censure dedotte l’avversato diniego comunale.
L’inconfigurabilità della sanzione pecuniaria alternativa e la necessità della riduzione in pristino dello stato dei luoghi sono inoltre effetti legali strettamente connessi alla applicazione dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004., il quale non prevede sanzioni alternative alla misura ripristinatoria a carattere reale.
3.- Alla luce dei rilievi che precedono l’appello va respinto.
Le spese del secondo grado di lite, in considerazione della parziale novità delle questioni trattate, possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello (RG n. 5367/08), come in epigrafe proposto, lo respinge
Spese compensate del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)