Cass.Sez. III n. 37139 del 10 settembre 2013 (Ud 10 apr 2013)
Pres.Teresi Est. Andronio Ric. Di Benedetto
Urbanistica.Realizzazione di serre

In tema di reati edilizi, integra gli estremi della fattispecie di cui all'art. 44, comma primo, lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la realizzazione di una serra in difetto del preventivo rilascio del permesso a costruire, quando l'opera è priva del carattere di amovibilità ed è dotata di estesa pavimentazione ricadente all'interno del manufatto, non ricorrendo i presupposti per l'esecuzione di attività libere previsti dall'art. 6, comma primo, lett. e), e comma secondo, lett. c), del medesimo d.P.R.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 10/04/2013
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 1109
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere - N. 45306/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI BENEDETTO CARMINE N. IL 06/06/1958;
avverso la sentenza n. 1655/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 29/06/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 29 giugno 2012, la Corte d'appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce - sezione distaccata di Maglie del 10 marzo 2011, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), perché, quale affittuario di un fondo rustico, in mancanza di permesso di costruire e in area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, realizzava una serra di m 17,50 per m 8,50, alta m 4, in struttura tubolare metallica stabilmente infissa al terreno, con sottostante pavimentazione in battuto di cemento di m 8,50 per m 8.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si rilevano la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 1, lett. e), e comma 2, lett. c), e si formula istanza di rimessione alle sezioni unite della Corte di cassazione della questione di diritto implicante i concetti di mobilità, precarietà, temporaneità e stagionalità delle opere edilizie. Si lamenta, in particolare, che la Corte d'appello ha escluso che le opere indicate nell'imputazione potessero rientrare in quelle elencate nel richiamato art. 6, con una scorretta applicazione dei requisiti della amovibilità e della temporaneità, che sarebbero stati presi in considerazione solo nella loro accezione puramente soggettiva. Ad avviso della difesa, invece, tali concetti avrebbero dovuto essere presi in considerazione il senso oggettivo, perché legati all'intrinseca destinazione materiale dell'opera. Non si sarebbe, in particolare, considerato che: la serra realizzata è sprovvista di strutture in muratura, è funzionale allo svolgimento dell'attività agricola, è costituita da una struttura metallica infissa nel terreno senza fondazioni cementizie od opere murarie di sostegno, è semplicemente coperta da teli plastificati, soltanto su una porzione di essa insiste una zona spianata con calcestruzzo, per il deposito delle cassette del semenzaio, è priva di impianti a servizio delle culture. Secondo la difesa, la serra in questione avrebbe, dunque, dovuto essere ricondotta alla categoria delle serre mobili stagionali, anche perché l'opera di pavimentazione realizzata dovrebbe ritenersi esterna alla stessa e solo temporaneamente ricoperta da detta struttura.
2.2. - Si deduce, in secondo luogo, la mancanza di una idonea motivazione circa l'elemento decisivo rappresentato dalla precarietà della serra, perché tale non sarebbe - secondo la prospettazione difensiva - il rilievo della Corte d'appello secondo cui essa ha ragguardevoli dimensioni ed è saldamente ancorata al suolo. 2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 42 c.p. in relazione all'elemento soggettivo del reato, perché l'attività edilizia posta in essere dal ricorrente non rientra nell'ambito dell'attività agricola da lui professionalmente svolta, con la conseguenza che costui avrebbe potuto non conoscere la relativa normativa. Si lamenta, altresì la violazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p. quanto alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il ricorso è inammissibile.
3.1. - I primi due motivi di doglianza - che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla riconducibilità della serra e della pavimentazione all'attività edilizia libera, non soggetta titolo abilitativo - sono manifestamente infondati. L'incertezza interpretativa circa la necessità, nel caso di specie, di dotarsi del permesso di costruire prospettata dalla difesa risulta, infatti, manifestamente insussistente. Correttamente la Corte d'appello richiama lo jus superveniens, potenzialmente favorevole all'imputato, costituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 1, lett. e), e comma 2, lett. c), come modificato dal D.L. n. 40 del 2010, art. 5, convertito dalla L. n. 73 del 2010, il quale annovera nell'attività edilizia libera, tra gli altri, gli interventi aventi ad oggetto le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell'attività agricola e le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compresa la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati. La stessa Corte chiarisce, però, che l'opera realizzata dall'imputato è priva del carattere della amovibilità, essendo una struttura di 150 m2 di superficie e dell'altezza di 4 m, saldamente ancorata al suolo, ed è anche priva del carattere della stagionalità, rispetto al quale la difesa si è limitata a mere, indimostrate asserzioni. Nè potrebbe trovare applicazione la richiamata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. c), perché tale disposizione esclude la necessità del titolo abilitativo edilizio per i soli spazi esterni, mentre nel caso di specie il massetto in calcestruzzo, esteso per circa la metà dell'area della serra, ha comportato lo spianamento e il livellamento di una porzione del fondo agricolo che ricade all'interno della serra stessa.
Infine, nessuna rilevanza può essere data, in sede di legittimità, alle generiche affermazioni della difesa circa la circostanza, del tutto indimostrata, che parte della pavimentazione sarebbe in realtà esterna alla sera stessa.
3.2. - Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, perché meramente assertivo.
Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, la Corte d'appello ha, del resto, dimostrato che la necessità del previo conseguimento di un permesso di costruire per la realizzazione della serra non presentava alcuno specifico profilo di incertezza interpretativa; ne vi era sul punto alcun contrasto giurisprudenziale o nella prassi amministrativa; e ciò rende irrilevante il - peraltro indimostrato - basso grado di cultura dell'agente. Quanto all'applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., la motivazione adottata dalla Corte d'appello, oltre a non essere oggetto di puntuale critica da parte del ricorrente, risulta ampiamente sufficiente e logicamente coerente, perché giustifica il lievissimo scostamento dal minimo edittale in considerazione dell'entità non minimale della lesione arrecata al corretto assetto urbanistico, trattandosi pur sempre dell'installazione di un manufatto di grandi dimensioni in area vincolata.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2013