Cass.Sez. III n. 14417 del 27 marzo 2013 (Ud 26 feb 2013)
Pres.Mannino Est.Franco Ric.Cavallo
Urbanistica.Realizzazione della copertura di un preesistente vano

Non integra il reato previsto dall'art. 44, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la realizzazione, in difformità dal titolo abilitativo, della copertura di un preesistente vano semi-aperto incluso nel perimetro esterno del fabbricato, senza variazione della sagoma o violazione delle distanze previste dagli strumenti urbanistici.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 26/02/2013
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 554
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 23821/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Cavallo Mauro, nato a Cuneo il 14.8.1964;
avverso la sentenza emessa il 14 ottobre 2011 dal Gip del tribunale di Cuneo;
udita nella pubblica udienza del 26 febbraio 2013 la relazione fatta dal Consigliere dR. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Pellegrino Aldo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il Gip del tribunale di Cuneo dichiarò Cavallo Mauro colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), per avere, quale direttore dei lavori, realizzato, in parziale difformità dalla DIA, una tettoia a copertura della scala di accesso al piano seminterrato, condannandolo alla pena dell'ammenda ritenuta di giustizia.
Osservò il giudice che la tettoia in questione era stata poi demolita; che essa aveva alterato la sagoma dell'edificio, e comunque che violava le NTA del PRG perché non poteva equipararsi ad una pensilina e quindi avrebbe dovuto rispettare la distanza di m. 10 dalla strada vicinale.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), e dell'art. 87 delle NTA. Osserva che la scala di accesso dall'esterno al piano interrato era già esistente e che la stessa era contornata da tre muri perimetrali. L'intervento era consistito unicamente nella copertura di questa struttura. Pertanto non era stata modificata la sagoma e non erano state violate le distanze dalla strada vicinale, perché il preesistente filo di fabbricazione non è stato variato. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Dalla sentenza impugnata risulta: - che esisteva già una scala di accesso al piano interrato situata all'esterno dell'edificio principale sul lato sud; - che la scala era contornata da tre muri perimetrali, ma priva di copertura; - che l'intervento in questione è consistito nell'apporre un tetto a copertura di questa struttura muraria già esistente; - che la sua situazione anteriore corrisponde a quella attuale conseguente alla demolizione della struttura di copertura.
Il giudice ha giustamente ritenuto erronea la tesi del responsabile dell'ufficio tecnico comunale, secondo cui l'intervento andrebbe qualificato come "ampliamento" sicché mancherebbe la distanza di 10 metri dalla strada vicinale, come prescritto dall'art. 87, comma 1, lett. J, delle NTA del comune di Fossano.
Il giudice, peraltro, ha ritenuto ugualmente configurabile il reato innanzitutto perché sarebbe mutata la sagoma dell'edificio, come risulterebbe anche da due sentenze di questa Corte. Sennonché, va in primo luogo rilevato che con il capo di imputazione non risulta contestato il cambiamento di sagoma, ma unicamente la violazione delle distanze dalla strada vicinale. In secondo luogo, una delle due massime citate (Sez. 3, 9.2.1998, n. 3849, Maffullo, m. 210647) - dopo aver affermato il principio che "La sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l'edificio ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti rientrano nella nozione di sagoma e sono sottoposte al regime delle c.d. varianti in corso d'opera" - si riferisce alla realizzazione ex novo di una scala esterna di accesso al primo piano, che pertanto aveva alterato la sagoma dell'edificio ed impedito la sanatoria, integrando l'ipotesi della parziale difformità. Nella specie, invece, la scala già esisteva, compresi i muri perimetrali e l'opera è consistita unicamente nel coprire con un tetto una struttura muraria già esistente. In terzo luogo, la seconda massima citata (Sez. 3, 9.2.2006, n. 8303, Nardini, m. 233563) ribadisce il principio che "In tema di disciplina edilizia, rientrano nel concetto di sagoma di una costruzione tutte le strutture perimetrali come gli aggetti e gli sporti, restandone escluse le sole aperture che non prevedono superfici sporgenti, soltanto per le quali è consentita la procedura della denunzia di inizio attività per varianti in corso d'opera". Nella specie, pertanto, non si comprende come possa ritenersi alterata la sagoma, dal momento che dalla sentenza impugnata non risultano realizzati, rispetto all'edificio preesistente, nuovi aggetti o sporti o nuove strutture perimetrali, bensì solo la copertura di una preesistente struttura.
Del resto, il giudice non insiste sulla (non contestata) alterazione della sagoma e sembra fondare la sua decisione unicamente sulla violazione dell'art. 87, comma 1, lett. j, della NTA del PRG, secondo il quale la distanza rispetto alla strada vicinale di almeno 10 metri, va riferita al filo di fabbricazione, il quale è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere, aggettanti per non più di m. 1,50, mentre sono inclusi nel perimetro le verande, gli elementi portanti in risalto, gli spazi porticati, i vani semiaperti di scale e ascensori. Il giudice ha quindi ritenuto che l'opera in questione, ai fini del calcolo della distanza della costruzione dal ciglio stradale, andava "inclusa nel perimetro esterno, non essendo la stessa equiparabile a una semplice "pensilina", posto che poggia su pilastri infissi nel suolo".
Sennonché, giustamente la difesa osserva che il giudice non ha considerato che tale perimetro esterno già preesisteva, dal momento che i muri esterni della scala non erano stati oggetto d'intervento, che era consistito unicamente nella posa del tetto. Di conseguenza, proprio sulla base della norma regolamentare richiamata dal giudice, deve concludersi nel senso che il preesistente filo di fabbricazione non fu variato. E del resto, la norma regolamentare citata include espressamente nel perimetro esterno "i vani semi-aperti di scale e ascensori". Nella specie risulta appunto già esistente un vano chiuso su tre lati e privo di copertura, che dunque costituiva vano semiaperto e che pertanto era incluso nel perimetro esterno della costruzione. L'opera contestata consiste appunto nella realizzazione del tetto di questo vano semiaperto, che non aggetta certamente per più di 1,5 m. e che di conseguenza non è computabile ai fini della distanza.
In conclusione, è chiaro l'errore in cui è incorso il giudice nel ritenere che l'intervento sia consistito nella realizzazione di una tettoia, la quale è un manufatto composto da una struttura di sostegno (pilastri o muri) e da un tetto di copertura. Nel caso in esame, invece, la struttura di sostegno era già preesistente e costituiva a tutti gli effetti "perimetro esterno" ai sensi dell'art. 16 della NTA del PRG del comune di Fossano. L'apposizione di un tetto aggettante per meno di m. 1,50 non ha perciò variato il perimetro esterno e dunque non ha violato la distanza di m. 10 dalla adiacente strada vicinale.
Risulta quindi evidente che la violazione contestata con il capo di imputazione non sussiste. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 26 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2013