Consiglio di Stato, Sez.VI, n. 2678, del 28 maggio 2015
Beni Ambientali.Necessità dell’autorizzazione ex art. 7 l. 1497/1939 per ogni attività di trasformazione nelle località individuate dai decreti “galassini”

Il venir meno del vincolo d'inedificabilità assoluta non ha fatto venire meno dunque l'individuazione delle località aventi pregio paesistico e il conseguente effetto della loro sottoposizione all’ordinario regime di tutela di cui alla legge n. 1497 del 1939, in via d’integrazione degli elenchi delle bellezze naturali. Ciò comporta l'applicabilità alle località individuate dai decreti cosiddetti “galassini”, cioè i dd.mm. del 1° agosto 1985, che avevano la fonte nel decreto Galasso, pubblicati, come nel caso in esame, in data successiva al 6 settembre 1985, del regime d’inedificabilità relativa, con conseguente necessità della prescritta autorizzazione dell'art. 7 della legge del 1939 per ogni attività di trasformazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese.).

N. 02678/2015REG.PROV.COLL.

N. 00027/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 27 del 2015, proposto da: 
Ditta Brusutti s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Ettore Verino e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Barnaba Tortolini, 13; 

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Iannotta, Maurizio Ballarin, Nicoletta Ongaro, Giuseppe Venezian e Nicolò Paoletti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Barnaba Tortolini, 34; 

per la riforma

della sentenza 20 novembre 2014, n. 1432 del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Venezia, Sezione I.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Venezia;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Mario Ettore Verino, Franco Zambelli e Nicolò Paoletti.

 

FATTO e DIRITTO

1.– La Brusutti s.r.l. è proprietaria di alcuni terreni siti in prossimità dell’aeroporto Marco Polo di Venezia, in zona classificata E3.1 «area a prevalente frazionamento fondiario e/o a elevata frammentazione aziendale».

Il Comune di Venezia, con atto del 20 dicembre 2000, ha autorizzato la suddetta società a esercitare, sull’area contraddistinta dai mappali 340 e 341, l’attività di parcheggio commerciale sino a trecento veicoli. In particolare, la società è stata autorizzata ad esercitare attività di rimessaggio delle autovetture che i viaggiatori lasciano in custodia fino al loro ritorno in aeroporto, nonché attività di noleggio bus.

La polizia Municipale del Comune di Venezia, in data 19 maggio 2004, ha contestato alla società l’avvenuta realizzazione – in assenza di permesso a costruire, autorizzazione paesaggistica e in contrasto con le norme urbanistiche – di un «piazzale in ghiaia di circa 6000 mq circa utilizzato come parcheggio a cielo aperto di autoveicoli», utilizzato come ampliamento del parcheggio di autoveicoli già esistente sulle aree adiacenti 340 e 341.

Più in particolare, è stata riscontrata: «presenza a circa metà del piazzale lungo il confine est ed ovest di pali con fari di illuminazione; presenza lungo il perimetro del piazzale di sistema antincendio con dislocazione in vari punti di estintori a polvere; asfaltatura di un’esigua zona del piazzale a ridosso del confine sud per la sosta dei veicoli delle persone portatrici di handicap; asfaltatura di una fascia al centro del piazzale con direzione nord – sud quale corsia di manovra; presenza lungo il confine nord d. n. 3 caditoie per al raccolta delle acque meteoriche del piazzale».

A seguito di detto sopralluogo, la società ha presentato, in data 28 maggio 2004, una domanda in sanatoria ai sensi dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, provvedendo contestualmente al pagamento della relativa oblazione.

Il Comune di Venezia, in data 5 novembre 2008, ha rigettato la domanda di condono, rilevando che l’opera non era sanabile, trattandosi di un intervento di urbanizzazione di un’area agricola che necessita di permesso a costruire, insistente in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi del decreto ministeriale 1° agosto 1985.

Al diniego in sanatoria ha fatto seguito, in data 8 gennaio 2010, l’adozione di un’ordinanza di demolizione dell’opera abusiva.

2.– La società Brusutti, con ricorso n. 132 del 2009, ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto il suddetto diniego, nonché, con motivi aggiunti, il successivo ordine di demolizione.

Il Tribunale amministrativo ha disposto una verificazione per accertare se l’area fosse sottoposta a vincolo ai sensi del d.m. 1° agosto 1985 e se quest’ultimo fosse stato o meno modificato nella sua estensione a seguito dell’approvazione [con atto del Consiglio Regionale n. 70 del 9 novembre 1995] del Piano di Area della Laguna e dell’Area Veneziana (c.d. Palav ).

Le conclusioni della verificazione hanno confermato l’esistenza del vincolo con riferimento alle aree di proprietà della ricorrente.

3.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 20 novembre 2014, n. 1432, ha, pertanto, rigettato il ricorso e i connessi motivi aggiunti, ritenendo che l’abuso realizzato avesse modificato in modo sostanziale lo stato dei luoghi, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e in contrasto con la normativa urbanistica: ragioni per le quali, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, l’amministrazione non avrebbe potuto accogliere l’istanza di condono.

4.– La società Brusutti ha proposto appello per i motivi indicati nei successivi punti.

4.1.– Si è costituito in giudizio il comune di Venezia, chiedendo il rigetto dell’appello.

5.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21 aprile 2015.

6.– L’appello è infondato.

7.– I motivi verranno esaminati in un ordine diverso da quello esposto nell’atto di appello.

8.– Con il quarto motivo si assume che sull’area in questione non sussisterebbe il vincolo paesaggistico ex decreto ministeriale 1° agosto 1985. In particolare si rileva che, nelle more della conversione del decreto-legge n. 312 del 1985, «il Ministro Galasso, dando seguito alla previsione di cui al punto 2 del d.m. 21 settembre 1984, assunse una serie di decreto (i c.d. Galassini) tra cui quello concernete la Laguna di Venezia e il suo entroterra». Il vincolo apposto con il suddetto decreto 1° agosto 1985 sarebbe cessato il 31 dicembre 1985. Si aggiunge che il Palav [Piano di Area della Laguna e dell’Area Veneziana, approvato con atto del Consiglio Regionale n. 70 del 9 novembre 1995] non includerebbe «l’area Brusutti tra quelle con specifica vocazione paesistica-ambientale».

Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già considerato che il decreto 1° agosto 1985, con il quale il Ministero per i beni culturali e ambientali ha sottoposto a vincolo, tra le altre, la zona in esame, ha una duplice valenza: «di individuazione di località aventi pregio paesaggistico con la sottoposizione delle stesse al regime di tutela di cui alla legge n. 1497 del 1939 operata dal Ministero per i beni culturali e ambientali in via di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali; di applicazione nelle medesime località vincolate di un divieto assoluto e temporaneo di modificazione dei luoghi predetti fino al 31 dicembre 1985». Ne consegue che «solo quest’ultimo aspetto ha perduto efficacia a causa della mancata pubblicazione del decreto di imposizione del vincolo prima dell'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, mentre la dichiarazione delle aree di interesse paesaggistico individuate dallo stesso decreto, emanato dal Ministero in virtù di un concorrente potere statale di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali meritevoli di tutela, mantiene la sua piena efficacia, con ogni conseguenza in ordine al regime di inedificabilità relativa dell'area in questione, la cui attività di trasformazione dovrà essere autorizzata necessariamente, come si è detto, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497 del 1939 e successive modificazioni». In definitiva, «il venir meno del vincolo d'inedificabilità assoluta non ha fatto venire meno dunque l'individuazione delle località aventi pregio paesistico e il conseguente effetto della loro sottoposizione all’ordinario regime di tutela di cui alla legge n. 1497 del 1939, in via di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali». Ciò comporta «l'applicabilità alle località individuate dai decreti cosiddetti galassini (cioè i dd.mm. del 1° agosto 1985, che avevano la fonte nel decreto Galasso), pubblicati, come nel caso in esame, in data successiva al 6 settembre 1985, del regime di inedificabilità relativa, con conseguente necessità della prescritta autorizzazione dell'art. 7 della legge del 1939 per ogni attività di trasformazione» (Cons. Stato, VI, 24 maggio 2013, n. 2867; cfr. anche Cons. Stato, VI, 3 maggio 2007, n. 1947.).

Nel caso di specie, il verificatore, nominato nel giudizio di primo grado, ha accertato, con giudizio condivisibile, che l’area rientra nel perimetro vincolato ai sensi del decreto ministeriale 1° agosto 1985. Ne consegue che, successivamente alla data del 31 dicembre 1985, l’area stessa continua ad esse sottoposta, per le ragioni sopra indicate, a un regime di inedificabilità relativa.

9.– Con i primi tre motivi, che si esaminano congiuntamente, si assume quanto segue.

In primo luogo, il Comune di Venezia, nel rigettare la domanda di condono, non avrebbe acquisito il necessario parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo insistente sull’area.

L’appellante, «aveva inizialmente individuato nella Commissione per la Salvaguardia di Venezia, piuttosto che nella competente Soprintendente, l’organo deputato ad esprimere il parere». Si è trattato, si sottolinea, di «un fraintendimento imputabile all’obiettiva incertezza del vincolo opposto dalla p.a.». La mancanza di tale parere renderebbe illegittimi gli atti impugnati.

In secondo luogo, il vincolo paesaggistico non sarebbe di ostacolo al rilascio del titolo in sanatoria, consistendo l’abuso nella realizzazione di opere minimali, non comportanti aumenti di volumetria e comunque compatibili con la destinazione agricola dell’area. L’art. 39.3.2. delle Norme tecniche di attuazione conterrebbe un’elencazione di attività che non possono essere effettuate nella zona («le attività produttive di prima e seconda classe di cui al d.m. 12 febbraio 1971; le industrie estrattive; le cave limitatamente alle aree vincolate; i depositi a cielo aperto di materiali edili; i rottamai; le discariche di ogni tipo») e tra queste non è incluso lo svolgimento di attività commerciali inerenti alla gestione del parcheggio.

Inoltre, l’art. 48, comma 7-ter della legge della Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio) consentirebbe l’effettuazione di opere di ristrutturazione.

Infine, il n. 6 dell’Allegato 1 della legge n. 326 del 2003 autorizzerebbe l’esecuzione, anche in aree vincolate, di «opere e modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume».

I motivi non sono fondati.

L’art. 32, comma 27, lettera d) del decreto-legge n. 269 del 2003 prevede: «fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

La norma, come emerge dal suo contenuto, prevede due requisiti che, se sussistenti, condizionano la sanatoria: i) l’esistenza del vincolo (es. Cons. Stato, VI, 17 gennaio 2014, n. 231; 1 ottobre 2014, n. 4867); ii) la difformità delle opere dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cons. Stato, IV, 17 settembre 2013, n. 4619).

Nella fattispecie, quanto al primo requisito (presenza del vincolo e omessa acquisizione del conseguente parere), si tratta di dato non contestato e di cui sopra si è detto.

La mancanza del secondo requisito deriva dalla circostanza che lo strumento urbanistico qualifica l’area come «agricola E.3.1.» e consente esclusivamente lo svolgimento di «attività produttive connesse» a quella agricola (art. 39.3.1., lettera a)). Il che significa che possono essere svolte soltanto attività che sono strettamente correlate alla destinazione agricola. Le attività connesse ad un parcheggio, descritto al punto 1, sono attività imprenditoriali oggettivamente incompatibili con la suddetta destinazione.

Nemmeno si potrebbe ritenere che il contrasto con la normativa urbanistica non sussisterebbe alla luce di quanto esposto nei riportati motivi di appello, in quanto:

- le norme tecniche, con l’elencazione delle opere vietate, non consentono l’effettuazione di tutte le altre opere non indicate ma allargano ulteriormente l’ambito del divieto non autorizzando (come risulta dall’espressione «sono comunque esclusi i seguenti interventi») opere che, pur potendosi ritenere, in astratto, compatibili, con la destinazione dell’area, non sono comunque consentite;

- il comma 7-ter dell’art. 48 della citata legge regionale ammette opere di ristrutturazione ma sempre «nel rispetto delle previsioni e prescrizioni dello stesso»;

- l’ampliamento di un parcheggio delle dimensioni di quello in esame, con le opere connesse, non può ritenersi opera “minimale”;

- l’Allegato 1, n. 6, del decreto-legge n. 269 del 2003, nel prevedere la condonabilità di «opere e modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume» prescrive comunque che ricorrano le condizione previste dall’art. 32; e in ogni caso la realizzazione di un parcheggio, che richiede il rilascio di un permesso di costruire (si v. successivo punto 12), non rientrerebbe neanche nell’ambito della tipologia di abuso richiamata nell’Allegato.

In definitiva, la preesistenza del vincolo e il contrasto con la destinazione urbanistica dell’area impedisce di ritenere condonabile l’opera. Si tratta di impedimenti oggettivi che operano automaticamente senza che sia necessario acquisire il parere della Soprintendenza. Soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel riportato art. 32, l’amministrazione comunale, in presenza di un vincolo di in edificabilità relativa, avrebbe dovuto chiedere il parere dell’organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all’interessato un provvedimento favorevole.

10.– Con il sesto motivo si deduce la violazione delle regole procedimentali sotto due diversi aspetti.

In relazione ad un primo profilo, si assume che l’amministrazione non avrebbe «in alcun modo considerato le osservazioni dell’istante, volte a contestare la pretesa difformità dell’intervento abusivo rispetto alle previsioni dello strumento urbanistico». Inoltre, sarebbe rimasta «inevasa la richiesta di procedere in alternativa al rilascio del titolo in sanatoria, all’attivazione della procedura semplificata di ci all’art. 5 del d.p.r. n. 447 del 1998».

In relazione ad un secondo profilo, si deduce che nel provvedimento di rigetto della domanda di condono sarebbero stati indicati motivi «ulteriori e nuovi» rispetto a quelli comunicati con il preavviso di rigetto. In particolare, l’amministrazione avrebbe indicato quale ulteriore argomento la decadenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di parcheggio.

I motivi non sono fondati.

In relazione al primo profilo, la doglianza è generica. In ogni caso, l’amministrazione procedente ha espressamente richiamato il contenuto della memoria e non ha condiviso i suoi rilievi. Non è necessario che la p.a. richiami espressamente tutti i rilievi difensivi ma è sufficiente che, dall’esame complessivo della motivazione, risultino chiaramente le ragioni per le quali l’istanza non può essere accolta. Nella specie il Comune ha indicato le ragioni di natura paesaggistica e urbanistica che, impedendo l’accoglimento dell’istanza, rendevano il potere pubblico vincolato nel senso del rigetto dell’istanza.

In relazione al secondo profilo, è sufficiente rilevare che, anche a ritenere l’illegittimità della integrazione dei motivi, in ogni caso l’appellante non potrebbe trarre utilità dall’eventuale accoglimento della censura, in quanto il provvedimento impugnato si fonda su altre e autonome ragioni da sole sufficienti a sorreggere il rigetto dell’istanza di condono.

11.– Con il quinto motivo si deduce l’omessa pronuncia del primo giudice in ordine alla censura afferente la esatta misura dell’oblazione dovuta.

Il motivo non è fondato.

Il rigetto della domanda di condono per i motivi indicati rende priva di rilevanza la questione relativa all’entità dell’oblazione.

12.– Con il settimo motivo, si deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo l’ordine di demolizione, in quanto sarebbero state realizzate opere per le quali sarebbe stata necessaria «al più» una «mera d.i.a.».

Il motivo non è fondato.

L’art. 3, comma 1, lettere e), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentariin materia edilizia) identifica per nuova costruzione, tra l’altro, gli interventi di urbanizzazione, nonché le infrastrutture che comportino «la trasformazione in via permanente del suolo in edificato» (cfr. Cons. Stato, VI, 21 luglio 2010, n. 4801). La realizzazione di un ampio parcheggio, dotato di strutture, rientra nell’ambito delle esemplificazioni legislative riportate e deve pertanto ritenersi nuova costruzione, che in quanto tale necessita del previo rilascio del permesso di costruire.

12.– L’appellante è condannata al pagamento, in favore dell’amministrazione costituita, delle spese processuali che si determinano in euro 5.000,00, oltre accessori.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione costituita, delle spese processuali che si determinano in euro 5.000,00, oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/05/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)