Consiglio di Stato Sez. IV n. 7560 del 13 settembre 2024
Urbanistica.Terrapieni e muri di contenimento
E' necessario il permesso di costruire per la realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo edilizio non risulterebbe - di per sé – necessario per la realizzazione delle murature con il fine di evitare smottamenti o frane. Il permesso di costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area impegnata, l’opera muraria risulta di per sé tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio. Ciò che rileva ai fini dell’affermazione circa la necessità del titolo è costituito dalle caratteristiche strutturali dell’opera che, se di notevoli dimensioni o tali da mutare in maniera permanente lo stato dei luoghi (producendo, ad es., il dislivello) richiedono la necessità di un preventivo “assenso” mediante la richiesta e l’emanazione del permesso di costruire.
Pubblicato il 13/09/2024
N. 07560/2024REG.PROV.COLL.
N. 05645/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5645 del 2022, proposto dalla -OMISSIS- s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Muzi, Angelo Ravizzoli e Rossana Colombo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Muzi in Roma, viale Regina Margherita, 42;
contro
il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
dell’Agenzia regionale protezione ambiente Lombardia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2024 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento con i quali il Comune ha negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria rispetto alla realizzazione di un terrapieno ubicato nell’area dove si colloca l’azienda della società e del provvedimento con il quale ha poi intimato la presentazione di un piano di rimozione dei rifiuti abbancati nella medesima area.
2. Si riassumono i fatti rilevanti per la decisione del giudizio.
2.1. La società ricorrente gestisce un’acciaieria regolarmente autorizzata.
2.2. Il 6 febbraio 2013, la polizia locale ha effettuato un sopralluogo presso lo stabilimento della ricorrente e ha accertato la presenza di cumuli di materiale configurabili come terrapieno artificiale ritenuto realizzato in assenza di titolo edilizio.
2.3. Il 28 marzo 2013, la società ha presentato la richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
2.4. Il 7 agosto 2013, è stato avviato, su richiesta della ricorrente, procedimento di S.u.a.p. in variante allo strumento urbanistico ai sensi dell'art. 8 del d.P.R. n. 160/2010 e una V.a.s., entrambi finalizzati a valutare la compatibilità ambientale di un ampliamento dell’insediamento industriale esistente.
2.5. In data 8 novembre 2013, la locale A.r.p.a. ha avviato le indagini per determinare la composizione del terrapieno, le cui risultanze hanno determinato che esso era composto, in parte, da materiale di riporto, da considerarsi rifiuto non pericoloso.
2.6. Il 28 giugno 2016, il Comune ha ritenuto che la condotta integrasse gli estremi dell’abbandono incontrollato di rifiuti e, conseguentemente, ha ordinato all’impresa di presentare un piano di rimozione dei materiali e di ripristino dello stato dei luoghi ex art. 192 del d.lgs. 152/16.
Il provvedimento, impugnato dall’impresa, è stato annullato da questo T.A.R. con la sentenza -OMISSIS-, in quanto di competenza del sindaco e non del responsabile del settore tecnico.
2.7. Il 30 giugno 2016, il Comune ha respinto l’istanza per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Questo provvedimento è stato impugnato con il ricorso depositato in data 11 agosto 2016 e iscritto al n.r.g. -OMISSIS-.
2.8. Il 13 luglio 2017, l’amministrazione procedente ha trasmesso all’odierna ricorrente il preavviso di rigetto, ex art. 10-bis l. 241/1990, dell’istanza di ampliamento dell’impianto a causa della sua non sostenibilità ambientale e, il successivo 13 ottobre 2017, la provincia di Brescia, nella sua veste di autorità competente per la V.a.s., ha espresso il proprio parere negativo sulla proposta di ampliamento dello stabilimento dell’odierna ricorrente.
Con ricorso, notificato in data 11 dicembre 2017, depositato il successivo 21 dicembre e iscritto al n.r.g. -OMISSIS-, la ricorrente ha impugnato il parere de quo unitamente a tutti gli atti a esso propedeutici, asserendone l’illegittimità.
2.9. Il 25 giugno 2019 anche il responsabile del S.U.A.P. ha rigettato l’istanza del ricorrente.
Il provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti, notificati il 26 agosto 2019 e depositati il successivo 19 settembre.
2.10. Il 5 settembre 2019 il Sindaco ha emanato una nuova ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 emendata dal vizio che ne aveva comportato l’annullamento.
Il provvedimento è stato impugnato con ricorso notificato il 20 novembre 2019, depositato il successivo 5 dicembre e iscritto al n.r.g. -OMISSIS-.
3. Con la sentenza impugnata, il T.a.r., previa riunione dei ricorsi, li ha respinti e ha condannato la società a pagare le spese del giudizio.
4. La -OMISSIS- ha proposto appello, impugnando i capi della sentenza che hanno respinto il ricorso n.r.g. -OMISSIS- e -OMISSIS-, mentre non ha impugnato i capi riguardanti il ricorso n.r.g. -OMISSIS-.
L’appellante ha formulato alcune censure sui capi riguardanti il ricorso n.r.g. -OMISSIS- e altre riguardanti il ricorso n.r.g. -OMISSIS-.
4.1. Si è costituito il Comune, formulando eccezioni di rito e difese di merito.
4.2. Il 17 giugno 2024, l’appellante e l’appellato hanno depositato le rispettive memorie conclusionali.
4.3. Il 27 giugno 2024, la società ha replicato allo scritto difensivo comunale.
5. All’udienza del 18 luglio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. In limine litis, in applicazione del criterio della ragione più liquida, il Collegio ritiene che non sia necessario procedere alla disamina delle eccezioni pregiudiziali formulate dal Comune appellato, bensì che si possano esaminare direttamente i motivi di impugnazione, essendone palese la loro infondatezza (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3.).
7. Il Collegio evidenzia che l’appellante ha articolato due censure relative alla violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990 relative sia al diniego di permesso di costruire in sanatoria sia all’ordinanza n. 54/2019 di rimozione dei rifiuti abbancati nel terrapieno.
Con ulteriori censure l’impresa ha dedotto la sussistenza di altri vizi di violazione di legge e di eccesso di potere dei predetti provvedimenti.
Il Collegio ritiene di procedere preliminarmente all’esame dei motivi fondati sulla violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990, per poi esaminare congiuntamente le rimanenti doglianze tenuto conto della connessione logica che li avvince.
8. Con la prima censura di violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990 (da pagina 6 a pagina 9), la società si duole del capo della sentenza che ha respinto il relativo motivo di impugnazione di primo grado articolato con riferimento al provvedimento di diniego al rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Si evidenzia come alcuna risposta sia stata fornita dal Comune rispetto alle argomentazioni in fatto e in diritto articolate dalla parte privata.
8.1. La censura in esame è infondata.
8.2. Risulta priva di errori in diritto la motivazione del T.a.r., nella quale si è evidenziato che: “dall’esame del provvedimento impugnato si evince, infatti, che l’amministrazione procedente ha ritenuto, nonostante le controdeduzioni della ricorrente, che «i “terrapieni artificiali” eseguiti dall'uomo sono inquadrabili come “costruzione edilizia” ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. e) del D.p.r. n. 380/2001 e s.m.i., per la quale si ritiene necessario verificare le distanze previste dall'art. 23 e 24 delle N.t.a. del P.d.r. del P.g.t. vigente e dal Regolamento normativo del reticolo idrico minore». Poiché, quindi, il Comune ha esaminato le controdeduzioni della ricorrente, pur non condividendone le conclusioni, il motivo è infondato e deve essere respinto”.
Il motivo di appello in esame non chiarisce a quale deduzione di parte il Comune non avrebbe fornito risposta né dall’esame del documento n. 12, a cui fa espresso riferimento l’appellante e contenente la risposta dell’impresa al “preavviso di rigetto/richiesta di integrazione documentale” dell’ente locale, è possibile trarre particolari argomenti e deduzioni che sarebbero rimaste non esaminate dal Comune.
In particolare, a fronte della qualificazione dell’opera (un terrapieno lungo oltre 240 metri e di altezza intorno ai 4 metri, per una superficie occupata di circa 2650 mq) da parte del Comune come “nuova costruzione” non si evincono quali sarebbero gli argomenti di parte rimasti non riscontrati, a cui si allude nel primo motivo di appello.
Va peraltro evidenziato che nel documento denominato “Esame dell’impatto paesistico dei progetti” del 17 giugno 2013, a firma dell’ingegnere incaricato dalla società e del legale rappresentante di quest’ultima, l’intervento viene espressamente qualificato di “nuova costruzione” e, dunque, necessitante dell’emanazione del permesso di costruire.
9. L’impresa ha contestato altresì la violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990, con riferimento all’ordinanza emanata ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006. In particolare, l’impresa si duole che sarebbe mancata l’interlocuzione procedimentale antecedente all’emanazione del provvedimento in questione (censura articolata da pagina 13 a pagina 14).
9.1. La censura è infondata.
9.2. L’art. 10 bis legge n. 241/1990 dispone, infatti, la necessità di questa fase prodromica alla decisione finale negativa, soltanto nel caso in cui si versi in un procedimento intrapreso ad istanza di parte.
Nel caso di specie, malgrado l’impresa sostenga che il “contributo” presentato in data 6 giugno 2015 valga come “istanza”, il procedimento che porta all’emanazione dell’ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006, costituisce un procedimento ad iniziativa d’ufficio, sicché nessuna violazione della norma può dirsi sussistente.
10. Terminato l’esame del gruppo di censure riguardanti il mancato accoglimento dei motivi di ricorso di primo grado con i quali si è dedotta la violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990, può procedersi all’esame delle rimanenti censure.
11. Con quella articolata da pagina 9 a pagina 13 dell’appello, la -OMISSIS- deduce che il diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria non conterrebbe alcuna giustificazione della non conformità edilizia dell’opera: “in sentenza non è spiegato (con un deficit motivazionale) quali sarebbero i motivi di non sanabilità ex art 36 DPR 380/2001”.
Secondo l’appellante, non potrebbe considerarsi un legittimo motivo ostativo il mancato rispetto della distanza dalla “roggia (parzialmente intubata) denominata «Ballina Santa Faustina»”, in quanto il “terrapieno è, quindi, “struttura” neutra dal punto di vista delle verifiche quanto al R.I.M. non determinando alcun recupero di superfici/volumi e alcun aumento del preesistente “carico urbanistico” nei termini ripetutamente affermati dalla giurisprudenza amministrativa, e pertanto non soggetta: -né ad una verifica art. 23 N.T.A. di P.G.T. (afferente gli ampliamenti dei capannoni esistenti); -né ai limiti correlati al ricadere in fascia di rispetto di canale esistente (che preclude manufatti e opere di trasformazione qualificabili in termini di “edificazione”).”.
Non costituirebbe, inoltre, un legittimo motivo ostativo neppure il “richiamo nelle premesse del diniego alla presenza di rifiuti”, in quanto “da una parte l'iter è di tipo edilizio e di accertamento dei presupposti ex art. 36 DPR 380, e quindi non assumono rilievi altri profili (né è motivata in sede di diniego la rilevanza di detto aspetto); dall'altra, l'affermazione sul punto è erronea, nei termini di cui al ricorso r.g. -OMISSIS- proposto avverso il relativo ed autonomo provvedimento”.
11.1. Con l’ulteriore censura formulata da pagina 14 a pagina 23 dell’appello, si impugna il capo della sentenza che respinto la domanda di annullamento dell’ordinanza sindacale emanata ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
In particolare, l’impresa ha contestato la qualificazione di “rifiuto” di parte del materiale adoperato per la realizzazione del terrapieno e, dunque, la sussistenza del presupposto per emanare l’ordinanza ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
Si contesta altresì che vi sia stato “abbandono di rifiuti” considerato che il terrapieno è stato consapevolmente e volontariamente edificato, e che il T.a.r. non avrebbe motivato sulla circostanza che tale opera è espressamente contemplata come prescrizione in sede di AIA.
Si evidenzia, inoltre, che le terre e le rocce di scavo, ai sensi del d.P.R. n. 120/2017 non costituirebbero rifiuti, ma sottoprodotti riutilizzabili a fini edilizi.
11.2. Le censure sono infondate.
Esse possono essere esaminate congiuntamente, in ragione della loro connessione.
11.3. In sintesi, in base alle censure articolate, l’impresa appellante sostiene che il terrapieno predisposto in assenza di un titolo edilizio non sia stato realizzato con materiali qualificabili come rifiuti e che, se anche lo fosse, questa circostanza non costituirebbe una motivazione idonea a giustificare il diniego del rilascio del permesso di costruire in sanatoria dell’opera.
11.4. In fatto, va puntualizzato che, in base alla relazione A.r.p.a. denominata “verbale di campionamento” del 6 novembre 2013, è emersa la presenza non soltanto di terre e rocce di scavo, ma anche la presenza di “altri materiali”.
Nell’ambito della relazione prot. 33328 del 12 marzo 2014 (firmata il 26 febbraio 2014), richiamata nell’ordinanza sindacale n. 52 del 5 settembre 2019, l’A.r.p.a. ha evidenziato che nelle quattro trincee esplorative effettuate “sul lato destro rispetto all’ingresso della -OMISSIS- s.p.a., su Via Industriale…si poteva constatare la presenza di terre e rocce da scavo con modesta presenza di pezzi di calcestruzzo, laterizi, scorie e ferro”.
11.5. In diritto, va invece evidenziato, preliminarmente, che “Si afferma inoltre la necessità del permesso di costruire (olim concessione edilizia) per la realizzazione dei terrapieni e dei muri di contenimento che hanno prodotto un dislivello del terreno oppure hanno accentuato quello già esistente, nel mentre tale titolo edilizio non risulterebbe - di per sé – necessario per la realizzazione delle murature con il fine di evitare smottamenti o frane” (così Cons. Stato, Sez. II, 13 dicembre 2019 n. 8487, Sez. V, 12 aprile 2005, n. 1619, e 28 giugno 2000, n. 3637) e che “il permesso di costruire risulta comunque necessario se, avuto riguardo alla sua struttura e all’estensione dell’area impegnata, l’opera muraria risulta di per sé tale da modificare l’assetto urbanistico del territorio” (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169).
In disparte la considerazione che le massime riportate si attaglino a terrapieni e muri “di contenimento”, ciò che rileva ai fini dell’affermazione circa la necessità del titolo è costituito dalle caratteristiche strutturali dell’opera che, se di notevoli dimensioni o tali da mutare in maniera permanente lo stato dei luoghi (producendo, ad es., il dislivello) richiedono la necessità di un preventivo “assenso” mediante la richiesta e l’emanazione del permesso di costruire.
Il dato interpretativo trova ulteriore conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, secondo la quale è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, essendo come tale qualificabile intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 21
novembre 2018, n. 55366, nonché 29 settembre 2011, n. 41425, 14 maggio 2008, n. 35698, e 17 giugno 1999, n. 1116).
Sempre in diritto, va evidenziato che “Le terre e rocce da scavo possono essere qualificate come sottoprodotti a condizione che il loro utilizzo avvenga sulla base di un "piano di utilizzo" (di cui all'art. 9, D.P.R. n. 120/2017) o di una "dichiarazione di utilizzo per cantieri di piccole dimensioni" (di cui all'art. 21, D.P.R. n. 120/2017). In caso contrario, fermo restando che l'onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di applicazione della disciplina speciale grava su chi invoca la deroga, il deposito delle terre e rocce da scavo non riutilizzate è da ritenersi in contrasto con il D.Lgs. n. 152/2006” (Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2023, n. 15450; Cass. pen., Sez. III, 05 luglio 2022, n. 38864, che evidenzia che “trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria”).
Inoltre, si è puntualizzato che “In tema di rifiuti, deve essere esclusa l'applicabilità della speciale disciplina sulle terre e rocce da scavo (nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sotto-prodotti e non a quello dei rifiuti), in presenza di materiali non rappresentati unicamente da terriccio e ghiaia, ma provenienti dalla demolizione di edifici o dal rifacimento di strade e, quindi, contenenti altre sostanze, quali asfalto, calcestruzzo o materiale cementizio o di risulta in genere, plastica o materiale ferroso” (Cass. pen., Sez. III, 05 novembre 2021, n. 43626).
11.6. Il Collegio ritiene che, in base ai dati di fatto e ai principi di diritto messi in risalto precedentemente, risulta evidente che l’opera in questione, per le sue notevoli dimensioni, necessitava del permesso di costruire e che non è utilmente invocabile la disciplina eccezionale e derogatoria sulle terre e rocce da scavo di cui all'art. 185, comma 1, lett. c), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e del d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120.
L’ordine di rimozione dei rifiuti abbancati nel terrapieno risulta dunque legittimo.
11.7. Conseguentemente, non risulta neppure viziata la ragione giustificatrice del diniego del permesso di costruire in sanatoria basata sulla circostanza che l’opera non risulta assentibile perché composta, almeno in parte, con materiali qualificabili come rifiuti.
In proposito, risulta evidente dal coordinamento normativo dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 che l’ente locale non può, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, assentire la conformità edilizia e urbanistica di un’opera composta da materiali che, almeno in parte, il proprietario di quell’opera ha l’obbligo di smaltire.
Poiché il diniego di permesso di costruire in sanatoria impugnato è un provvedimento plurimotivato, la legittimità della motivazione concernente la realizzazione dell’opera mediante l’uso di rifiuti, rende superflua la disamina della legittimità relativa a quella ragione del diniego basata sulla mancata prova da parte dell’impresa del rispetto delle distanze dal corpo idrico (sul provvedimento plurimotivato, Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023 n. 9849; Sez. VI, 18 febbraio 2021, n. 1468).
11.8. Va evidenziato, infine, che nessuna motivazione doveva essere articolata dal T.a.r. con riferimento alla circostanza, rimarcata anche in appello, che “i terrapieni sono stati espressamente contemplati come prescrizione in sede di AIA”, in quanto l’oggetto del presente giudizio è costituito, da un lato, dal diniego di permesso di costruire in sanatoria ed è, dunque, sulla legittimità del provvedimento di diniego che si controverte, e, dall’altro, dalla legittimità dell’ordine di rimozione di questi rifiuti rispetto alla contesta presenza di rifiuti da smaltire nel terrapieno realizzato dall’impresa.
12. In conclusione, per le motivazioni sin qui esposte, l’appello va respinto.
13. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza nei confronti della -OMISSIS- s.p.a. sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la -OMISSIS- s.p.a. alla rifusione, in favore del Comune di -OMISSIS-, delle spese del giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Michele Conforti, Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante, Consigliere
Ofelia Fratamico, Consigliere
Paolo Marotta, Consigliere