Cass. Sez. III n. 29117 del 18 luglio 2024 (UP 17 apr 2024)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. Aurioso
Urbanistica.Demolizione e principio di proporzionalità

La verifica di un rapporto di proporzionalità, in caso di ordine di demolizione di un’opera abusiva, presuppone innanzitutto che l’ordine di demolizione sia in grado di pregiudicare in via diretta ed immediata diritti e interessi strettamente, direttamente e immediatamente connessi alla proprietà dell’opera da demolire, laddove il pregiudizio all’uso solo occasionale dell’immobile, nel quadro quindi di rapporti di mero godimento da parte di terzi estranei alla proprietà, non può ritenersi in grado di ostacolare la tutela degli interessi pubblici, in tale quadro già di per sé ben più pregnanti,  sottesi all’ordine di demolizione. 

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli veniva adito  - quale giudice dell’esecuzione - per la revoca dell’ordine di sgombero emesso dal Pubblico Ministero il 7 giugno 2023 in relazione all’ordine di demolizione di un manufatto abusivo disposto con sentenza del tribunale di Napoli divenuta irrevocabile  il primo ottobre 2009 e pubblicata nei confronti di Aurioso Anna (oltre che di un suo complice) –, da parte di Aurioso Raffaele, padre di Aurioso Anna. Il tribunale accoglieva la domanda sospendendo l’esecutività dell’ordine di sgombero. 

2. Avverso la predetta ordinanza Aurioso Raffaele, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un solo motivo di impugnazione. 
3. Deduce vizi di contraddittorietà e di manifesta illogicità della motivazione. Si rappresenta che con l’istanza si era chiesta al giudice dell’esecuzione non solo la sospensione dell’ordine di sgombero emesso dal P.M. nei confronti dell’istante quale occupante dell’immobile abusivo, ma anche la revoca dell’ordine di demolizione. E si contesta la scelta del giudice di non potere provvedere in ordine alla domanda di revoca dell’ordine di demolizione. Scelta che sarebbe stata viziata per contraddittorietà e illogicità, essendosi svilito il pur richiamato principio di proporzionalità in sede di valutazione dell’ordine di demolizione e nonostante le comprovate esigenze abitative dell’’istante, così che la revoca dell’ordine doveva ritenersi l’oggetto principale del giudizio di esecuzione come instaurato.  
 
CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice penale, pur di natura amministrativa, è volto al ripristino del bene tutelato in virtù di un interesse correlato all'esercizio della potestà di giustizia, ed il provvedimento conseguente è assoggettato all'esecuzione nelle forme previste dagli artt. 655 c.p.p. e segg. Si è al riguardo altresì affermato che compete al pubblico ministero, quale organo promotore dell'esecuzione ex art. 655 c.p.p., determinare le modalità esecutive della demolizione disposta ex L. n. 47 del 1985, art. 7 (attualmente art. 31 del DPR 380/01), ed ove sorga una controversia concernente non solo il titolo, ma anche le modalità esecutive, va instaurato dallo stesso P.M., dall'interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell'esecuzione (cfr. Sez. 3^, n. 1961 del 12/5/2000, dep. 4/7/2000, Masiello, Rv. 216991). 
Nel caso in esame, sembra emergere un equivoco da parte del giudice, laddove afferma che l’ordine di sgombero dell’opera abusiva – sospeso sine die con l’ordinanza impugnata – sarebbe prodromico all’ordine di demolizione, aggiungendo che lo stesso come tale non sarebbe adottabile nei confronti dell’attuale ricorrente, definito, in assenza di migliore e più circostanziata precisazione, “usuario” dell’immobile illecito, senza alcun approfondimento in ordine alla legittimità nel caso di specie di un tale diritto reale di godimento su cosa altrui, attesi i limiti che un immobile abusivo impone in ordine alla costituzione o trasmissione di un diritto alla luce del principio generale per cui la proprietà dell’opera abusiva si trasmette solo mortis causa. 
Appare evidente l’errore giuridico in cui è incorso il giudice, atteso che, come sopra premesso, l’unico reale ordine di demolizione che afferisce ad un’opera abusiva è quello che il giudice che pronunzia la condanna emette contestualmente ex art. 31 del DPR 380/01.
Purtuttavia, anche il ricorrente deduce un’istanza manifestamente infondata in punto di diritto, con riguardo alla dedotta pretesa, quale mero e non meglio specificato “usuario”, rivolta ad ottenere la revoca dell’ordine di cui alla sentenza del 2009 emessa nei confronti della figlia dell’attuale ricorrente. Così che deve farsi applicazione del noto principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge (alfine inesistente nel caso di specie); o sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 Emmanuele). 
Ed invero, da una parte, va precisato che l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (La Corte ha precisato in motivazione che, comunque, la mancata condanna del terzo per concorso nell'abuso edilizio non implica necessariamente una posizione di buona fede rispetto ad esso). (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009 Cc.  (dep. 11/12/2009 ) Rv. 245403 – 01).
Dall’altra, va osservato che il ricorrente, quale mero terzo non proprietario, e per giunta all’apparenza quale mero titolare di un diritto reale di godimento su cosa altrui, solleva la ancor più peculiare questione della legittimità dell'ordine di demolizione per la violazione del diritto all'abitazione ed al rispetto della vita privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU, deducendo il difetto di proporzionalità della misura, in ragione, in particolare, delle sue precarie condizioni di salute. 
A tale ultimo riguardo, deve allora evidenziarsi, innanzitutto, come secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio di proporzionalità nell'applicazione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo "procedurale" inevitabilmente connesse al procedimento penale da cui è scaturito l’ordine di demolizione che, per quanto sinora osservato, non ha mai visto come protagonista il ricorrente.
Ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha infatti valorizzato essenzialmente (cfr. in proposito, in motivazione, Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022 Rv. 282950 – 01): la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata.
Appare evidente, da quanto qui sintetizzato, che il rapporto di proporzionalità valorizzato in sede convenzionale riguarda la relazione tra l’interesse pubblico alla tutela del territorio e l’interesse all’utilizzo dell’opera abusiva da parte di chi l’abbia realizzata e che dovrebbe subire in via diretta le conseguenze dell’ordine di demolizione. 
Tale impostazione, volta a vagliare gli interessi dell’autore e/o proprietario dell’abuso rispetto a quelli pubblici sottesi all’ordine di demolizione, trova riscontro anche nelle pronunzie di legittimità con cui questa Suprema Corte si è confrontata con le pronunce della Corte EDU.
La maggior parte delle decisioni di legittimità ha invero ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo "cagionevole"») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, non massimata).
Anche la decisione di cui alla sentenza della sezione terza, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270-01, ha chiesto al giudice del rinvio, al fine dell'assunzione di una corretta decisione sulla legittimità dell'esecuzione dell'ordine di demolizione, di valutare: «se il ricorrente, nel momento in cui ha realizzato abusivamente l'attività edificatoria, avesse consapevolezza di agire illegalmente, ovvero, in caso contrario, quale fosse il grado della sua colpa; quali siano stati i tempi a disposizione del medesimo, dopo la definitività della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile, e comunque per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative; quali siano le effettive condizioni di salute e socio-economiche del ricorrente e se le stesse, in concreto, esplichino rilevanza sul giudizio concernente il rispetto del principio di proporzionalità, eventualmente anche solo in relazione al profilo della valutazione della congruità del tempo concesso al ricorrente».
Si tratta, invero, di profili di verifica che necessariamente fanno riferimento ai soggetti che risultino direttamente coinvolti nella realizzazione o proprietà dell’opera abusiva, con la conseguenza per cui la prospettiva circa la sussistenza, in tema di ordine di demolizione, di un rapporto di proporzionalità, con altrui interessi privati, deve ritenersi ristretta nell’ambito del rapporto tra interesse pubblico alla tutela del territorio e tutela del diritto di proprietà e delle relative forme immediate e dirette di godimento come riguardanti l’autore e/o proprietario dell’immobile assieme, al più, al suo diretto e formale nucleo familiare. Con l’effetto per cui tale interrelazione non può estendersi all’interesse di chi non vanti, come nel caso in esame, alcun titolo di proprietà rispetto all’opera abusiva, atteso che tale deficienza di per sé esclude ogni seppur astratta possibilità di proporzione tra interessi pubblici e privati, posto che si rischierebbe di comparare ed eventualmente poi di pregiudicare l’interesse generale alla tutela del territorio in favore dell’interesse all’utilizzazione non di un diretto interessato all’opera abusiva bensì di terzi (come tali anche strumentalmente utilizzabili per proteggere indirettamente l’interesse, illecito, al mantenimento dell’opera abusiva da parte dell’autore e/o proprietario), realizzato mediante la peculiare quanto singolare e illegale soluzione dell’utilizzo di un immobile abusivo altrui; laddove un tale interesse d’uso, nella misura, lo si ripete, in cui non riguarda soggetti direttamente correlati all’immobile abusivo come sopra illustrato, pur potendo risultare rilevante, è in questi casi in grado di essere suscettibile, al più, di ben altre forme di soddisfacimento, che possono andare dal coinvolgimento di politiche di assistenza sociale fino alla instaurazione, da parte dell’interessato, di rapporti di locazione di altri immobili, ma leciti, in ogni caso necessariamente estranee all’utilizzo di un immobile abusivo. Si tratta, infatti, di un interesse, da una parte, ampiamente tutelabile, attraverso innanzitutto, lo si ribadisce, il ricorso all’utilizzo di opere diverse e lecite, dall’altra, e conseguentemente, non in grado di contrapporsi, come tale, in alcun modo, a quello sotteso all’ordine di demolizione. In altri termini, la verifica di un rapporto di proporzionalità, in caso di ordine di demolizione di un’opera abusiva, presuppone innanzitutto che l’ordine di demolizione sia in grado di pregiudicare in via diretta ed immediata diritti e interessi strettamente, direttamente e immediatamente connessi alla proprietà dell’opera da demolire, laddove il pregiudizio all’uso solo occasionale dell’immobile, nel quadro quindi di rapporti di mero godimento da parte di terzi estranei alla proprietà, non può ritenersi in grado di ostacolare la tutela degli interessi pubblici, in tale quadro già di per sé ben più pregnanti,  sottesi all’ordine di demolizione. 
Va aggiunto, in ogni caso, che la deduzione proposta a sostegno della rivendicata pretesa risulta del tutto generica, tale essendo il mero rimando, con l’atto di ricorso proposto, a condizioni di salute. Inoltre, quale ulteriore ostacolo alla validità di un provvedimento quale quello auspicato dal ricorrente, emerge  quanto questa Corte ha già precisato, stabilendo che in tema di reati edilizi, la tutela del diritto alla salute di coloro che abitano l'immobile oggetto dell'ordine di demolizione, specie se affetti da patologie gravi o invalidanti, postula che i predetti siano necessariamente posti in un ambiente salubre, edificato e attrezzato nel pieno rispetto della normativa vigente (quale non può essere un immobile abusivo), essendo quest'ultima finalizzata a garantire anche il benessere di coloro che abitano detti luoghi. (Sez. 3, n. 48820 del 02/11/2023 Rv. 285756 – 02)
Le argomentazioni sueposte appaiono peraltro in contrasto anche con l’adottata decisione, in favore dell’”usuario” Aurioso Raffaele, di sospendere, per giunta sine die, lo sgombero dell’opera abusiva finalizzato alla demolizione, e tuttavia si tratta di decisione che allo stato degli atti non risulta contrastata dal Pubblico Ministero, neppure con una rinnovata istanza, pur attualmente ancora astrattamente legittima, da proporsi in sede di incidente di esecuzione. 

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 17/04/2024.