L’evoluzione del concetto di ristrutturazione edilizia dalla L. 457/1978 sino ai Decreti del Fare e Sblocca Italia
di Antonio VERDEROSA
E' noto che nella legislazione italiana si è verificata una evoluzione normativa con specifico riferimento alla qualificazione degli interventi di recupero dell'edilizia esistente che vede due momenti fondamentali, quello della entrata in vigore dell'art. 31 della L. 05.07.1978, n.457, e quello della entrata in vigore dell'art. 3 del DPR 6.6.2001, n.380.
Le definizioni degli interventi contenute nelle due disposizioni sono in larga misura ripetitive. Tuttavia, nella formulazione del 2001 sono presenti alcune innovazioni, anche alla luce delle modifiche introdotte, successivamente, con I'art.1 del D. Lgs. 27.12.2002 n,. 301, sia alla lettera d ) del comma 1 dell'art. 3, sia alla lettera c ) del comma 1 dell'art. 10, sia alla lettera a) del comma 3 dell'art.22, del medesimo D.P.R. 380/01.
Successivamente l’art. 3 del TUE viene modificato dall’art 30 comma 1 lett. a) del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69 (meglio noto come Decreto del Fare) convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 98.
L'art. 3, 1 comma lett. d) del D.P.R. 380/01, nella formulazione vigente, definisce interventi di ristrutturazione edilizia, quelli consistenti, tra l'altro, nella demolizione e ricostruzione del preesistente fabbricato, che possono anche portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente con il limite del rispetto della stessa volumetria e della sagoma, preesistenti1, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.
Tali interventi prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi come stabilisce il comma 2) sulla legislazione regionale ed le norme urbanistiche se in contrasto2 (cfr. Corte Costituzionale con Sentenza n°309 del 23.11.2011).
In Campania la definizione ci è fornita dall’art. 2 della LR 19/2001 come modificato dall’art. 49 comma 5 della LR 16/2004 rispetto alla originaria versione. Infatti nella prima formulazione consentiva la ristrutturazione a parità di ingombro plano-volumetrico senza alcuna identità di sagoma.
Norma regionale la quale oggi invece richiede, identità di volume e sagoma, tanto da non ritenere più applicabile il più concessivo disposto dell’art. 5 del Regolamento di Attuazione n° 381 della richiamata L.R. in quanto (come detto) ai sensi del comma 2 dell’art. 3 del DPR 380/2001 le disposizioni del comma 1circa la definizione di ristrutturazione edilizia – che abbiamo visto richiedere l’identità di sagoma – prevalgono sulle diverse disposizioni legislative delle Regioni ordinarie.
L’addizione di volumi che non siano “tecnici” non è compatibile con il concetto di ristrutturazione edilizia. La demolizione totale di un fabbricato e l’esecuzione di un edificio completamente differente dal primo devono qualificarsi come interventi di nuova costruzione su un lotto liberato da un preesistente fabbricato: non si tratta quindi di ristrutturazione di un fabbricato esistente.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia, di demolizione e di successiva ricostruzione, presuppongono sempre che i relativi lavori siano riferiti a un edificio esistente, ma è priva di utilità la prova della preesistenza dello stesso: è necessaria la sua esistenza fisica nel momento in cui avviene l’intervento richiesto.
E’ pacifico quindi che la ricostruzione di parti non esistenti ha modificato la sagoma dell’edificio, che di conseguenza subirebbe anche oggettive variazioni di pianta o forma ed in altezza, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della ristrutturazione.
Un edificio si può definire esistente in quanto “….esista un organismo edilizio, seppur non necessariamente abitato o abitabile, connotato nelle sue caratteristiche essenziali, dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione…” (cfr, C.d.S., sez. V, 10/2/2004, n. 475) . Cosa diversa sono i ruderi.
Non sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli effettuati su “ruderi o resti di edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare” (cfr. C.d.S., sez. IV, 15/9/2006, n. 5375).
L’intervento in questo caso è di “nuova costruzione” ed è assoggettato ai limiti stabiliti dalla vigente disciplina urbanistica” (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 29/6/2006, n. 1944 e 5/6/2008, n. 1667).
Il Tar Trentino-Alto Adige, sez. I, 08.01.2009, n.3, ricorda, che “…la giurisprudenza amministrativa ha, altresì, affermato che la ristrutturazione edilizia di un edificio, ma anche la più incisiva forma di recupero consistente nella totale demolizione dello stesso per la sua successiva ricostruzione, sono ammissibili nei limiti dello stato fisionomico attuale del fabbricato senza alcuna possibilità di recupero di parti strutturali che, anche se originariamente esistenti, sono successivamente venute meno per qualsiasi evenienza. In altri termini, tramite detti interventi, non è possibile recuperare strutture e volumi che non siano attualmente presenti….”.
Un rudere in stato di rovina non rientra nel novero delle “costruzioni esistenti” che possono essere demolite e ricostruite, senza modifica della destinazione preesistente. Manca, infatti, la possibilità di procedere alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in relazione anche alla sua destinazione (cfr. C.d. S., Sez. V 10 febbraio 2004, n. 475).
La giurisprudenza penale maggioritaria ci fornisce la intepretazione del secondo comma dell'art. 3 del T.U. n. 380/2001 secondo le definizioni legislative "prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” (cfr. CORTE DI CASS. PEN. Sez. III, 30/09/2010, Sent. n. 35390) .
Sul punto si è pronunciata anche la Corte Costituzionale con Sent. n°309 del 23.11.2011 stabilendo che la ristrutturazione edilizia con interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.
Ne consegue che i Regolamenti Edilizi che operano nel territorio nazionale consentendo interventi diversi (accorpamento di volumi accessori, modifica e traslazione dell’area di sedime) da quelli definiti dall’art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio, è da intendersi contro legge.
Ed al riguardo è appena il caso di osservare, a prescindere da ogni considerazione di merito circa l’effettiva portata delle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali, come la nozione legislativa dell’istituto della ristrutturazione prevalga sulle disposizioni regolamentari eventualmente incompatibili. Nè, per concludere sul punto, può la legislazione regionale e gli strumenti urbanistici scrutinare la maggiore o minore incidenza quantitativa delle modifiche sulla sagoma vera e propria, a ciò ostando la ontologica rigidità del concetto di “identica sagoma” postulato dalla norma. L’art 30 comma 1 lett. a) del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69 (Decreto del Fare) convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 98 ha modificato la definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia ampliandola anche al ripristino di quelle eventualmente crollati o demoliti. Infatti la nuova definizione statuisce : “ (…)Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente(…)”
La sentenza della Cass. Pen. III Sez. 40324/2014 pone forti limitazioni all’applicazione del Decreto del Fare, limitando la modifica di sagoma alle zone non gravate da vincoli paesistici, ritenendo però nel caso di ricostruzioni di parti collabenti, indispensabile l’accertamento della effettiva consistenza della parte crollata, infatti rileva che :
..... l'intervento edilizio, pur qualificandolo come intervento di ristrutturazione, era tenuto, ricadendo in zona vincolata, al rispetto della sagoma e soprattutto, a prescindere dall'esistenza del vincolo, si sarebbe dovuta accertare la preesistente consistenza di esso, circostanza esclusa, con congrua motivazione nel giudizio di merito, perché, anche in assenza di mappe catastali e di rilievi aereo fotogrammetrici (e da ciò la Corte territoriale ha tratto il logico convincimento che si trattasse di una nuova costruzione e neppure di una ristrutturazione), non è stata rilevata la preesistenza di un fabbricato (o parte di esso) da ristrutturare, inteso quale organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura, dovendo la consistenza, ai fini della disposizione in esame, essere rappresentata dalla presenza dei connotati essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), in modo che possa esserne determinata la volumetria, ovvero che essa possa essere oggettivamente desunta da apposita documentazione storica o attraverso una verifica dimensionale in sito, con la conseguenza che, in caso contrario, non è applicabile l'art. 3 comma 1 lett. d) d.P.R. 380 del 2001, come novellato dalla legge n. 98 del 2013.....
Anche la giurisprudenza amministrativa della Regione Campania TAR CAMPANIA, Napoli, Sez II - 11 settembre 2009, n.4949 ha stabilito che :
…..I lavori di rifacimento di ruderi, di un edificio già da tempo demolito o diruto sono qualificabili come nuova costruzione, con necessità di un'apposita concessione edilizia o titolo corrispondente, secondo la vigente normativa. Nel concetto giuridico di rudere rientra, senza dubbio, il caso relativo al rifacimento di un organismo edilizio dotato di sole mura perimetrali, e privo di copertura, con conseguente non invocabilità della disposizione urbanistica che consente il mantenimento dei volumi preesistenti, e quindi la mera ristrutturazione e non la nuova costruzione….
Il DPR 380/2001 non fornisce la definisce di sagoma di un edificio e, benché il concetto sia intuitivo, ciò può essere oggetto di differenti interpretazioni, anche in relazione all’area di sedime dell’immobile.
Sulla modifica della sagoma, le implicazioni della ristrutturazione edilizia cd. leggera (ossia che non comporta aumento di unità immobiliari, modifica dei prospetti, delle superfici e delle destinazioni d’uso in zona A) consentono il ricorso al più snello procedimento della SCIA e alleggeriscono gli oneri per il privato. Sorge tuttavia un dubbio, se da un lato il legislatore ha eliminato l’obbligo del rispetto della sagoma dalla nozione di ristrutturazione edilizia nella are non vincolate paesagisticamente, tuttavia mantiene quello del volume dell’edificio, dei prospetti o delle superficie. Atteso che la giurisprudenza (Cass.Penale n.8669/2007) ha chiarito che la ristrutturazione edilizia “pesante”ricorre quando venga alterato anche uno dei parametri elencati all’art. 10 comma 1 lett. c), pare corretto ritenere che una ristrutturazione che modifichi la sagoma dell’edificio nella maggior parte dei casi implicherà modifiche dei prospetti e/o del volume, ragione per cui rimarrà soggetta a SCIA o a permesso di costruire. Parimenti non si tratta di ristrutturazione pesante in caso di modesta sopraelevazione del tetto a seguito della modifica delle falde del tetto e l’introduzione di nuovo elemento architettonico che risulti in un altrettanto modesto incremento della volumetria. In questo caso infatti il modesto incremento dell’altezza massima della copertura non assume alcun rilievo purchè non si trasformi in maggiore volume a disposizione del fabbricato (altrimenti si presenterebbe la situazione ex art. 10 comma 1 lett.c) del DPR n. 380/2001) e incida su parametri urbanistici (idem valga anche per la coibentazione esterna che è un rimedio teso al miglioramento della coibentazione senza incidere sui parametri urbanistici). Sul punto, vedasi TAR Lombardia, Brescia, sent. 948/2013.
Vi sono una serie di pronunce conformi secondo cui e da intendersi per sagoma edilizia ”… la «conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti », è quella consolidata in giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 9 ottobre 2008, n. 38408; 6 febbraio 2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla Corte costituzionale (sentenza 23 novembre 2011, n. 309) a proposito della … l.r. Lombardia n. 12 del 2005….”(cfr. C. di S. Sez VI, 15 marzo 2013 n. 1564) . La Suprema Corte ha statuito che “…Al fine di ricomprendere nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione di un fabbricato con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma…” (cfr. Corte Cass. , Sez. III, sentenza 23 aprile 2004 n. 19034) . Si è pronunciata addirittura la consulta ritenendo che “…la sagoma edilizia dell’edificio preesistente – intesa quest’ultima come la conformazione plano-volumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale …” (cfr. Corte Costit., 23 novembre 2011 n. 309) Secondo l’autorevole giurisprudenza corrente appena richiamata , la nozione di sagoma edilizia è intimamente legata anche all’area di sedime del fabbricato. A tal è illuminante la recente sentenze del Consiglio di Stato Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 365, che nel richiamare quella della Corte Costituzionale rappresenta un utile riferimento per una interpretazione coerente del binomio sagoma-area di sedime. In tale pronuncia sono rettificate le affermazioni della Circ. Min. Infrastrutture e Trasporti n° 4174/2003, riconducendole ad un quadro legislativo più appropriato :
“…La questione centrale ……. è la riconducibilità dell’intervento proposto nell’area nozionale degli interventi sull’esistente, e in particolare della ristrutturazione edilizia, atteso che l’intervento edilizio de qua, in disparte le considerazioni sui profili volumetrici, viene realizzato mediante la demolizione degli edifici preesistenti e la loro collocazione in una area di sedime diversa, oppure al contrario in quella di opera di nuova costruzione. Proprio il tema della rilevanza del concetto di sedime appare, in effetti, oggetto di discussione nell’ambito della nozione di ristrutturazione edilizia. La circolare 7 agosto 2003 n. 4174 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, intitolata “Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301. Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia”, esaminata la definizione di ristrutturazione edilizia ed evidenziato che questa non richiama più il concetto di “area di sedime”, afferma espressamente: «non si ritiene che l’esclusione di tale riferimento possa consentire la ricostruzione dell’edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale. La prima ipotesi è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta di un intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui una localizzazione in altro ambito risulterebbe palesemente in contrasto con tale obiettivo; quanto alla seconda ipotesi si ritiene che debbono considerarsi ammissibili, in sede di ristrutturazione edilizia, solo modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali, ed a questo fine il riferimento è nelle definizioni stabilite dalle leggi regionali in attuazione dell’art. 32 del Testo unico. Resta in ogni caso possibile, nel diverso posizionamento dell’edificio, adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi». Rispetto a questa posizione ministeriale, di parziale apertura almeno alle dislocazioni interne al lotto, si riscontrano invece posizioni della giurisprudenza orientate in senso opposto (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 2008 n. 6214; Consiglio di Stato, sez. V, 15 aprile 2004 n. 2142, per l’espressa affermazione che la ristrutturazione edilizia individua un intervento dove non si assista ad alcun incremento per i volumi, le sagome e le superfici, salvo una diversa distribuzione di quelle assentite, né una maggiore o diversa occupazione delle aree di sedime), evidenziando come lo spostamento della collocazione del manufatto costituisce una nuova costruzione e non un intervento sull’esistente. La lettura in senso restrittivo della nozione di ristrutturazione urbanistica, così sostenuta, ha ricevuto poi un avallo autorevolissimo dalla giurisprudenza costituzionale, dove si legge (Corte Costituzionale, 23 novembre 2011 n. 309) in maniera assolutamente lineare e condivisibile che «in base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente – intesa quest’ultima come la conformazione plano-volumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale – configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia». Pertanto la nozione di sagoma di cui all’art. 3, comma 1 lett. d) del D.P.R. 380 /2001 .... comprende l’intera conformazione plano-volumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale e, conseguenzialmente, anche il rispetto della pregressa area di sedime. Inoltre, proprio il riferimento alla conformazione plano-volumetrica e alla prevalenza delle definizioni di cui al testo unico dell’edilizia, elementi contenuti nella pronuncia della Corte costituzionale sopra citata, consente di ritenere superate le voci difformi alla lettura restrittiva qui proposta (tra tutte, Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2006 n. 2364, in merito alla prevalenza della normativa tecnica di PRG che consentiva la sostituzione dell’organismo con altro in parte o in tutto diverso dal precedente, anche dal punto di vista del sedime). Non può quindi condividersi ….. lo spostamento dell’area di sedime come fatto di minor rilievo dal punto di vista edilizio e qualificabile come profilo legittimo della ristrutturazione edilizia. Al contrario, il manufatto qui in esame è da considerarsi edificio di nuova costruzione, e come tale soggetto a una disciplina diversa, ben più restrittiva…”. (cfr. C.di S. Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 365) .
Sul concetto di sagoma si sono espressi anche alcuni tribunali amministrativi regionali, a volte con opinioni discordanti. In particolare si mettono in rilievo TAR Puglia – Bari, del 22 luglio 2004 n.3210, e TAR Puglia – Bari, del 15 dicembre 2011 n.1889, che espongono differenti avvisi. Quest’ultima pronuncia è in linea con quelle recenti del Consiglio di Stato prima esposte, per cui si ritiene che l’orientamento giurisprudenziale prevalente sia quest’ultimo. Tuttavia la sentenza TAR Bari 3210/2004, pur collidendo con i più recenti orientamenti in tema di aggetti presenti sulle facciate, esprime, un concetto importante che resta valido: il prospetto è un parametro che rispetto alla sagoma, come prima definita, assume un mero carattere architettonico e, fatti salvi i posizionamenti degli “aggetti e degli sporti”, non incide sulla sagoma, intesa come “orma d’imposta”, pertanto l’espressione del TAR Bari 3210/2004 è pienamente valida, anzi aggiunge delle linee interpretative al rapporto sagoma-prospetti.
In tal senso è conforme la Suprema Corte secondo cui : “… la sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che non prevedono superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma…”. (cfr. Corte Cass. III Sezione, 9 febbraio 1998 n. 3849)
Tale concetto secondo cui nella sagoma rientrano anche sporti ed aggetti, viene recepito e rafforzato, dal alcune pronunce di tribunali amministrativi. Fra tutte si segnalano TAR Puglia- Lecce, Sez. I, sentenza 21 gennaio 2003 n. 232 e TAR Basilicata, sentenza 17 ottobre 2002 n. 628.
Il TAR Puglia nella sentenza n. 3210/2004 afferma che la sagoma “….è cosa diversa rispetto al prospetto e consiste nell’involucro esterno del manufatto, l’ingombro o impronta, quindi il perimetro delle sue mura……”. In altre parole, per usare le parole della Cassazione, è la “….conformazione plano-volumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti….” (cfr. Cass., sez. III, 23 aprile 2004, n. 19034).
Il Tribunale pugliese, propone anche una definizione di prospetto stabilendo che “…la modifica dei prospetti attiene alla facciata dell’edificio sicché non va confusa o compresa nel concetto di sagoma che indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l’edificio. Ne consegue che la previsione di balconi in luogo di finestre, essendo relativa al prospetto non riguarda il concetto di sagoma...”.
Le modifiche che il D.L. 69/2013, convertito in legge 98/2013, al nuovo testo del DPR 380/2001 hanno interessato il vincolo della sagoma edilizia negli interventi di demolizione e ricostruzione, imponendo il solo rispetto della volumetria preesistenti, per immobili non vincolati, di conseguenza consentendo la modifica della sagoma e dei prospetti. I due concetti a ben vedere si intersecano. Quindi se nel concetto di sagoma rientrano per pacifica giurisprudenza, anche i perimetri verticali ed orizzontali (ivi compresi balconi, tettoie, etc), nel concetto di prospetto rientrano finestre, porte finestre e tutto quanto non sporge dall’edificio ovverosia che non rientra nei perimetri come sopra definiti.
La confusione interpretativa generata dal D.L. 69/2013 che ampia la portata della ristrutturazione “leggera”, è rilevantissima in quanto, per esempio, il nuovo edificio ristrutturato (con una sagoma diversa dal precedente) dovrà avere i medesimi prospetti e le medesime finestre e quant’altro attinente alle facciate dell’edificio non rientranti, nemmeno latamente, nel concetto di sagoma. In alternativa la norma può essere interpretata nel senso che la modifica della sagoma rientra nel novero della ristrutturazione “leggera” quando non alteri i prospetti mentre rimarranno attratti nella categoria della ristrutturazione cd. “pesante” tutte quelle modifiche della sagoma che implicano variazione dei prospetti.
La ragione della scelta intrapresa dal legislatore con il D.L. 69/2013, è dubbia anche se può motivarsi con il tentativo di limitare l’attività edilizia assentibile in assenza di permesso di costruire, tuttavia pare certo che il successo dell’iniziativa legislativa sarà fortemente legata all’interpretazione che ne daranno i comuni atteso che sarà molto difficile alterare la sagoma senza modificare i prospetti e quindi ancora una volta, forse, le buone intenzioni produrranno solo nuovo contenzioso dagli esiti finali incerti. Neanche il D.L. 12.09.2014 (noto come Sblocca Italia) , n°133 convertito con modificazioni dalla L. 11.11.2014, n° 164 fa chiarezza in quanto nell’estendere gli interventi ricompresi nella manutenzione straordinaria, ricomprende anche i frazionamenti e gli accorpamenti di unità immobiliare con esecuzione di opere. Con la nuova disposizione, il frazionamento delle unità immobiliari passa perciò dalla ristrutturazione edilizia alla manutenzione straordinaria con tutte le conseguenze che ciò comporta. L’unico limite che viene posto è il rispetto della volumetria complessiva dell’edificio e della destinazione d’uso, ma nel contempo si è ritenuto ammissibile la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari e del carico urbanistico, annullando i consolidati indirizzi normativi e giurisprudenziali . Ricomprendendo tali interventi nella manutenzione straordinaria, si intende affermare che il frazionamento e l’accorpamento e l’accorpamento rientrano nella manutenzione funzionale delle costruzioni che deve essere perciò valutata a scala edilizia e non a quella urbanistica, per cui non è una discriminante neanche la variazione del carico urbanistico che invece finora era considerata uno spartiacque sostanziale.
L’inserimento del frazionamento delle unità immobiliari, tra gli interventi di manutenzione straordinaria, comporta necessariamente una modifica all’art. 10 del D.P.R. n° 380/2001 consistente nella sostituzione delle parole “aumento delle unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti e delle superfici” con “modifiche della volumetria complessiva degli edifici e dei prospetti”.
In tal modo il frazionamento non rientra più tra gli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. pesante soggetti a permesso di costruire e la logica avrebbe voluto il suo assoggettamento a SCIA come ristrutturazione edilizia c.d. leggera assimilabile ad un risanamento funzionale . Il D.L. n°133/2014 lo ha invece ricompreso nell’ambito della manutenzione straordinaria con conseguente obbligo di presentazione di una CIL con attestazione.
Antonio Verderosa
architetto
1 La ristrutturazione edilizia ex art. 31, lett. d) l. 457/78 include anche la ricostruzione dell’edificio demolito purchè la diversità del nuovo organismo edilizio consista nel ripristino o nella sostituzione di alcuni elementi del fabbricato stesso, e non la realizzazione di nuovi volumi (Cons.Stato, V, 5.3.2001, n. 1246). In tale ultimo caso l’intervento va considerato come nuova costruzione, soggetto alle limitazioni imposte dalle norme urbanistiche in vigore al momento del rilascio del titolo autorizzativo.
2 Vedasi sul punto la sent. Cort. Cost. n.309/20011 che ha censurato l’art. 27 della L.R. Lombardia n.12/2005 sul concetto di ristrutturazione edilizia mediante DIA e sul contrasto interpretativo tra norme fondamentali e norme di dettaglio del TU 380/2001. Il ricorso, tra l’altro, riguardava un caso di ristrutturazione edilizia in zona paesaggistica.