TAR Toscana Sez. II sent. 1585 del 6 novembre 2009
Urbanistica. Sportello unico
La trasmissione della pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto (
Urbanistica. Sportello unico
La trasmissione della pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto (
N. 01585/2009 REG.SEN.
N. 01786/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1786 del 2008, proposto da:
Daluema di Spennacchi M. & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Piselli e Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Orsola Cortesini in Firenze, via Lamarmora 14;
contro
Comune di Pienza, in persona del Sindaco “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Golini, persso il cui studio è elettivamente domiciliato in Firenze, via Gino Capponi 26;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota prot. n. 6846/4580, dell'11-07-2008, con la quale il Responsabile del Servizio del Comune di Pienza ha disposto l'archiviazione della pratica edilizia 72/01-49/07 relativa all'istanza della ricorrente in data 31-03-2001, volta ad ottenere l’autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione ambientale finale del sito di cava ubicato in località Pianporcino;
- della nota sopracitata, nella misura in cui con la stessa il Responsabile del Servizio del Comune di Pienza oppone un sostanziale diniego alla richiesta di autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione ambientale finale del sito di cava di cui sopra;
- per quanto di ragione, di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente, presupposto, conseguente o comunque connesso a quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pienza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 27 ottobre 2007, la Daluema S.n.c. proponeva impugnazione avverso la nota in epigrafe, mediante la quale il Comune di Pienza aveva disposto l’archiviazione del procedimento originato dall’istanza di autorizzazione alla coltivazione della cava di inerti ubicata in località Pian Porcino, presentata da essa Daluema il 31 marzo 2001 con contestuale richiesta di variante al PRG, e seguita nel mese di luglio dello stesso anno dall’istanza di attivazione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale.
In fatto, la società ricorrente esponeva che la commissione VIA, superando l’iniziale parere negativo, nella seduta dell’11 agosto 2005 aveva dichiarato la compatibilità ambientale dell’intervento, sia pure con prescrizioni. Il giudizio di compatibilità era stato recepito nei medesimi termini dal Comune di Pienza con la determinazione n. 149 dell’11 aprile 2006; Daluema aveva pertanto provveduto ad adeguare il progetto originario alle prescrizioni ricevute, per poi sollecitare, con nuova istanza del 3 ottobre 2007, la definizione della procedura autorizzatoria, ricevendone tuttavia in risposta la comunicazione di avvio del procedimento di archiviazione della pratica; comunicazione autonomamente impugnata dinanzi a questo stesso tribunale, che aveva però dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse con sentenza n. 5042/07, trattandosi di atto endoprocedimentale. Nell’ulteriore giudizio promosso dalla medesima Daluema per l’annullamento delle misure di salvaguardia adottate dal Comune di Pienza nel corso dell’approvazione del Piano Strutturale, onde sospendere ogni determinazione sull’istanza relativa alla cava di Pian Porcino, il TAR aveva invece accolto la domanda di sospensione cautelare (ord. n. 267/08), mentre la Regione Toscana, nelle more, aveva confermato la localizzazione dell’area di cava in questione anche nel nuovo Piano Regionale delle Attività Estrattive e di Recupero. In virtù di detti provvedimenti, Daluema aveva nuovamente fatto richiesta al Comune di Pienza affinché volesse rilasciare l’autorizzazione richiesta ed, in assenza di riscontri, era stata nuovamente costretta a rivolgersi al TAR, affinché dichiarasse l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione: proprio a ridosso dell’udienza fissata per la trattazione del ricorso contro il silenzio, il Comune di Pienza, con la nota qui impugnata, aveva comunicato l’avvenuta archiviazione della pratica.
In diritto la ricorrente affidava le proprie doglianze a cinque motivi, e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensiva, nonché per la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni.
Costituitosi il Comune di Pienza, che resisteva al gravame, nella camera di consiglio del 13 novembre 2008 la ricorrente dichiarava di rinunciare alla domanda cautelare. Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 2 luglio 2009, preceduta dal deposito di documenti e memorie difensive.
DIRITTO
La controversia ha per oggetto la nota dell’11 luglio 2007, attraverso la quale il Comune di Pienza ha comunicato alla ricorrente Daluema S.n.c. l’archiviazione (“sic”) del procedimento per l’autorizzazione alla coltivazione ed alla sistemazione ambientale finale della cava sita in località Pian Porcino, originariamente avviato dalla ricorrente medesima con istanza del 31 marzo 2001, successivamente rielaborata alla luce delle prescrizioni impartite in sede di valutazione di impatto ambientale e così ripresentata – ai fini del riesame da parte del Comune – il 3 ottobre 2007. La motivazione dell’atto impugnato, articolata per punti, ha riguardo ai seguenti profili ostativi all’accoglimento della pretesa: mancanza del bollo sull’istanza 3 ottobre 2007; necessità di sottoscrizione da parte di tecnico abilitato della domanda di variante al PRG; pregressa adozione di determinazioni conclusive negative sulla originaria istanza del 31 marzo 2001; assenza di autorizzazione e relazione paesistica; competenza in materia di rilascio dell’autorizzazione unica alla coltivazione della cava riservata allo Sportello Unico per le Attività Produttive; sottoposizione della variante al piano regolatore alla procedura disciplinata dalla legge regionale n. 1/05 ed alla verifica di compatibilità con il Piano di Indirizzo Territoriale e con il Piano Territoriale di Coordinamento; incidenza dell’intervento sulla zona di protezione speciale denominata “Crete dell’Orcia e del Formone”.
Secondo la prospettazione della ricorrente, le ragioni addotte dall’amministrazione procedente a sostegno dell’archiviazione consentirebbero di ravvisare nella stessa la sostanza di un provvedimento di diniego dissimulato, ed illegittimo, frapposto alla richiesta di autorizzazione del 2001, che l’istanza del 3 ottobre 2007 avrebbe solamente “riattivato”. Di contro, la difesa del Comune resistente afferma che l’originaria istanza sarebbe stata a suo tempo definita con le determinazioni di cui al verbale della conferenza di servizi del 15 luglio 2005 ed al parere della Commissione comunale per il paesaggio del 1 marzo 2006, non impugnate dall’interessata, mentre non rileverebbe la conclusione, con atto dello stesso Comune in data 11 aprile 2006, del procedimento di VIA, almeno in parte favorevole alla realizzabilità del progetto di coltivazione della cava; nell’ottica del Comune la richiesta del 2007 implicherebbe, già nella qualificazione fornitane dall’interessata (“richiesta di riesame”), l’avvenuta definizione del procedimento autorizzativo originario.
Per dirimere la questione, occorre esaminare nella loro sequenza gli atti adottati dal Comune sull’istanza presentata dalla ricorrente nel 2001, a partire dalla menzionata determinazione della conferenza di servizi del 15 luglio 2005, che – con decisione espressamente qualificata come “conclusiva” ai sensi dell’art. 14-ter co. 3 della legge n. 241/90, il cui contenuto è recepito dal successivo parere della Commissione comunale per il paesaggio del 1 marzo 2006 – per un verso statuisce di non approvare il progetto così come presentato, mentre, per l’altro, dà atto della necessità di rielaborare il progetto stesso e la variante al PRG onde adeguarli alle prescrizioni ed ai rilievi svolti, per le rispettive competenze, dall’ARPAT e dalla Regione Toscana. Il parere favorevole all’intervento, espresso invece dalla Commissione VIA nella seduta dell’11 agosto 2005, esclude peraltro dalla compatibilità ambientale le indicazioni progettuali relative all’ampliamento dell’area di cava ed alla collocazione delle vasche di decantazione delle acque in area demaniale, ed è rilevante come, nel conformarsi ad esso, il provvedimento finale della procedura di VIA, assunto dal Comune di Pienza con determinazione dell’11 aprile 2006, allo stesso tempo faccia proprie le determinazioni già adottate dalla conferenza di servizi in merito alla necessità di rielaborazione del progetto, cui la pronuncia di compatibilità ambientale viene infatti condizionata.
Al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente, nessuna contraddittorietà è dunque ravvisabile tra gli atti del Comune, dal momento che il diniego di approvazione pronunciato dalla conferenza di servizi in sede di rilascio di autorizzazione alla coltivazione della cava non risulta smentito dal provvedimento conclusivo della procedura di VIA, svoltasi parallelamente, ed anzi ne appare confermato sotto il profilo della necessità – ravvisata nell’uno e nell’altro caso – di procedere alla revisione del progetto originale, altrimenti inadeguato anche in ordine agli aspetti strettamente ambientali; e poiché la definitività del diniego di approvazione, chiaramente affermata dalla conferenza di servizi, non può oggi venire messa in discussione (la violazione dell’art. 14-ter della legge n. 241/90, cui la ricorrente fa cenno per negare il carattere decisorio della determinazione, avrebbe dovuto essere fatta valere a suo tempo mediante tempestiva impugnazione), deve convenirsi sul fatto che l’itinerario procedimentale avviato con l’istanza del 31 marzo 2001 si sia definitivamente arrestato con il diniego del 15 luglio 2005. Il diniego, pronunciato evidentemente allo stato degli atti, fa evidentemente salva la facoltà della società interessata di adeguarsi alle indicazioni e prescrizioni impartite dal Comune anche in funzione della compatibilità ambientale del progetto, vale a dire la facoltà – sempre esercitabile, del resto – di presentare un nuovo progetto depurato delle incongruenze rilevate dall’amministrazione, e come tale idoneo sia a giustificare il superamento del diniego di approvazione frattanto consolidatosi, sia a determinare l’avveramento della condizione apposta alla pronuncia favorevole di VIA: è perciò alla stregua dell’atto di avvio di un nuovo procedimento di approvazione che deve essere trattata l’istanza presentata dalla società Daluema il 3 ottobre 2007, a maggior ragione ove si consideri che il “riesame” chiesto al Comune riguarda oramai un progetto diverso da quello del 2001, sebbene da esso derivante.
Tanto premesso vanno respinte, sia pure con le precisazioni che seguono, le censure articolate dalla ricorrente con i primi due motivi di gravame, e rivolte nei confronti della declinatoria di competenza che sarebbe contenuta nell’atto impugnato, laddove quale ufficio competente a provvedere sull’istanza di autorizzazione viene indicato il locale Sportello Unico per le Attività Produttive: atteso, infatti, che l’istanza del 3 ottobre 2007 deve essere considerata quale istanza nuova ed autonoma, e non quale mero atto di impulso di un procedimento già pendente, essa avrebbe dovuto essere presentata dinanzi al SUAP Amiata – Val d’Orcia, istituito nel 2004. Nondimeno, la trasmissione della pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto (così Corte Cost. 23 luglio 2002, n. 376). Se, allora, la concentrazione della responsabilità procedimentale presso un unico ufficio, per fini di semplificazione, non comporta il venire meno delle distinte competenze facenti capo alle amministrazioni deputate alla cura degli interessi pubblici coinvolti, nella specie l’”archiviazione” del procedimento, con contestuale inoltro al SUAP, assume il significato più limitato di una declinatoria (non della competenza dell’ente, ma) della responsabilità procedimentale da parte del titolare del diverso ufficio comunale adito, declinatoria la quale di per sé non determina alcun definitivo arresto nel corso della procedura, il che fa dubitare della stessa configurabilità di un interesse all’impugnazione.
Al contempo, deve escludersi che dalla trasmissione degli atti allo Sportello Unico possa farsi discendere la conseguenza paventata dalla ricorrente, vale a dire che occorra rinnovare la procedura per la valutazione di impatto ambientale già favorevolmente conclusasi con la determinazione comunale n. 149 dell’11 aprile 2006. Quest’ultima, come si è visto, è dichiaratamente subordinata alla preventiva rielaborazione del progetto e della variante al PRG secondo le indicazioni del Comune e della Commissione VIA, risolvendosi di fatto in una pronuncia di compatibilità condizionata, operante “ora per allora”; si aggiunga che il termine quinquennale di efficacia della pronuncia sulla VIA è fatto decorrere, dalla menzionata delibera n. 149/06, dal rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, e questo conferma l’autonomia della pronuncia medesima dall’esito negativo della prima procedura autorizzativa, e la sua perdurante validità ed efficacia, rimanendo affidata al Comune di Pienza, della Provincia di Siena, dell’ARPAT e della ASL verificare che la società istante abbia elaborato il nuovo progetto in conformità alle prescrizioni ricevute. Quanto alla variante al PRG, a prescindere dalle prescrizioni apposte alla pronuncia di VIA, che si riferisce in via immediata al progetto, e solo in via mediata alla proposta di variante, è peraltro inevitabile la sottoposizione alla disciplina introdotta dalla sopravvenuta legge regionale n. 1/05, nel cui vigore il relativo procedimento è stato avviato (sul punto, v. anche “infra”).
Della sussistenza di un interesse al ricorso non può invece dubitarsi con riferimento al contenuto realmente ostativo del provvedimento impugnato, che – nella parte in cui costituisce manifestazione di quelle competenze di esclusivo appannaggio del Comune, destinate come tali a rifluire nel procedimento unico dinanzi al SUAP – dà luogo ad un effettivo arresto procedimentale, al di là delle veste formale attribuita al provvedimento. Sulla scorta di tale conclusione, consequenziale a quanto si è affermato inizialmente circa la natura dell’atto impugnato, possono considerarsi superate le doglianze svolte dalla ricorrente con il terzo motivo (tendenti, appunto, a far emergere il diniego sottostante all’archiviazione), per passare al vaglio dei motivi rimanenti, volti a censurare le ragioni addotte dal Comune a sostegno della ritenuta inaccoglibilità dell’istanza di Daluema.
Con il quarto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in cui fa discendere dalla mera incompletezza della documentazione presentata l’archiviazione/diniego dell’istanza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 L. 241/90. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria”, la ricorrente sostiene che le carenze documentali rilevate dal Comune – mancanza del bollo, mancanza della firma di tecnico abilitato in calce alla richiesta di variante al PRG, assenza dell’autorizzazione e della relazione paesistica, dell’indagine geotecnica e della verifica di coerenza con gli statuti del PIT e del PTC, del nulla osta a fini idraulici – costituirebbero ipotesi di irregolarità sanabili, a fronte delle quali l’amministrazione avrebbe dovuto sollecitare l’integrazione o i chiarimenti da parte dell’interessata. La ricorrente contesta inoltre nel merito la correttezza dei rilievi effettuati dal Comune.
Con il quinto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in cui fa discendere da un erroneo e/o omesso esame della documentazione presentata l’archiviazione/diniego dell’istanza. Illegittimità per eccesso di potere sotto i correlati profili del difetto assoluto di istruttoria, del travisamento, dell’errore sui presupposti di fatto e di diritto. Illogicità,irragionevolezza e contraddittorietà manifesta. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 L. 241/90”, è poi dedotta l’illegittimità della pretesa del Comune di sottoporre alla procedura di approvazione prevista dalla legge regionale n. 1/05 la modesta variante al PRG residuata dopo l’espunzione dal progetto dell’ipotesi di ampliamento dell’area di cava; viene contestata, inoltre, l’affermazione del Comune, secondo cui l’intervento proposto sarebbe incompatibile con la presenza di due zone di protezione speciale, mancando oltretutto la relativa valutazione di incidenza, e con gli obiettivi, le previsioni e le prescrizioni del Piano Strutturale.
I due motivi saranno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione.
È pacifico che l’istanza di autorizzazione presentata dalla società Daluema il 31 ottobre 2007 contiene, al pari di quella risalente al 2001, la richiesta di una contestuale variante al PRG, descritta nella relazione tecnica allegata e consistente nella modifica delle NTA vigenti nel senso di consentire, quanto ai contenuti del progetto di coltivazione e ripristino, la produzione di elaborati grafici in scala da 1:500 ad 1:1000 o di maggior dettaglio, anziché in scala 1:500 o di maggior dettaglio e, quanto alla fase operativa di rimodellamento del terreno, la formazione di pendenze non inferiori allo 0,5%, anziché all’1%, ed il posizionamento dell’isoipsa (la curva altimetrica) inferiore ad una quota tale da permettere il libero deflusso delle acque superficiali, anziché a quota identica a quella originaria. Ciò posto, la circostanza che si tratti di una variante c.d. “normativa” – peraltro direttamente incidente sull’assetto del territorio, nella parte in cui modifica i criteri per la risistemazione del terreno – non toglie che essa debba ritenersi assoggettata alla disciplina stabilita per l’approvazione degli strumenti di pianificazione e degli atti di governo del territorio dalla già citata legge regionale n. 1/05, la quale non effettua alcuna distinzione tra le diverse tipologie di variante (artt. 15 co. 1 e 18 co. 1), ed anzi prevede che le norme procedurali di cui agli artt. 16 e 17 si applichino anche agli atti di governo del territorio e relative varianti ancorché non implicanti modifiche degli strumenti di pianificazione (art. 18 co. 2-bis). Legittimamente il Comune, nel rimettere la pratica allo Sportello Unico, ha ritenuto perciò necessario che il rilascio dell’autorizzazione sia preceduto dalla definizione del parallelo procedimento per l’approvazione della variante; ed altrettanto legittima appare l’ulteriore pretesa del Comune, circa la necessità che la richiesta di variante sia sottoscritta da tecnico abilitato, avendo Daluema allegato all’istanza del 2007 una relazione progettuale sottoscritta da professionisti – un geologo ed un biologo – fra le cui competenze tale attività non rientra, ai sensi degli artt. 31 e 41 del D.P.R. n. 328/01 (mentre non è in discussione la competenza di quei professionisti per gli aspetti strettamente attinenti alle rispettive specialità).
Passando all’incidenza dell’intervento proposto dalla ricorrente sulla ZPS/pSIC “Crete dell’Orcia e del Formone”, all’interno del quale l’area della cava di Pian Porcino ricade, e sulla vicina ZPS/pSIC “Lucciolabella”, occorre ancora una volta tenere distinto il progetto di coltivazione della cava dalla contestuale variante al PRG. L’art. 5 co. 4 del D.P.R. n. 357/97 e l’art. 15 della l.r. n. 56/00 stabiliscono che la valutazione di incidenza sui siti di interesse regionale dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale sia integrata nell’ambito della stessa VIA, ed in particolare che lo studio di impatto ambientale contenga gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità di conservazione dei siti predetti. Ne discende, in prima approssimazione, che la valutazione di incidenza del progetto di coltivazione della cava di Pian Porcino deve presumersi adeguatamente svolta in seno alla procedura di VIA conclusasi con la determinazione comunale n. 149/06, e della cui perdurante validità ed efficacia si è detto in precedenza, di modo che per questo profilo non appaiono corrette le radicali affermazioni dell’atto impugnato in ordine alla mancanza della valutazione.
Diversamente è a dirsi per la variante al PRG, rispetto alla quale la valutazione di incidenza deve costituire oggetto di apposita relazione che, ai sensi dell’art. 15 co. 2-bis della citata legge regionale n. 56/00, deve confluire nella relazione di sintesi relativa alla valutazione integrata richiesta dall’art. 16 co. 3 della legge regionale n. 1/05 ai fini dell’approvazione degli atti di pianificazione e di governo del territorio e delle loro varianti. Sarà dunque nell’ambito del connesso procedimento per l’approvazione della variante che occorrerà constatare se possa venire mutuato “sic et simpliciter” il giudizio di compatibilità ambientale espresso in sede di VIA (che, lo si ripete, si riferisce al progetto e solo indirettamente alla corrispondente richiesta di variante), ovvero se detto giudizio debba essere integrato con specifico riguardo all’incidenza sui siti interessati, anche alla luce di quello che si dirà più avanti; fermo restando che l’eventuale esclusione dell’area di cava dal perimetro del pSIC n. 97 compete alla Regione, e non al Comune, al contrario di quanto sostenuto nella relazione progettuale della ricorrente.
Rimane, a questo punto, da verificare se il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava sia impedita, per la sua incidenza sulle ZPS, dagli atti normativi intervenuti successivamente alla conclusione del procedimento di VIA. In attuazione del D.M. 17 ottobre 2007, recante criteri minimi uniformi da adottarsi dalle Regioni per la definizione di misure di conservazione relative alle Zone speciali di conservazione ed alle Zone di protezione speciale, la delibera di Giunta regionale toscana n. 454 del 16 giugno 2008 – pubblicata il 25 giugno 2008 e pertanto in vigore al momento dell’adozione del provvedimento impugnato – nel revocare la precedente deliberazione n. 923 dell’11 dicembre 2006, a sua volta recante misure di conservazione per la tutela delle ZPS ai sensi del D.P.R. n. 357/97, sancisce il divieto di “apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto ivi compresi gli ambiti individuati nella Carta delle Risorse del Piano regionale delle Attività estrattive, a condizione che risulti accertata e verificata l'idoneità al loro successivo inserimento nelle Carte dei Giacimenti e delle Cave e Bacini estrattivi, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall'attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell'intervento. Sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d'incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l'attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici e sia compatibile con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie” (Allegato A, punto 1, lett. n). Come si vede, l’inciso conclusivo della disposizione condiziona la salvezza dei progetti di cava già sottoposti a valutazione di incidenza – e, per le ragioni esposte, al novero di tali progetti è ascrivibile quello di Daluema – non soltanto alla conformità agli strumenti di pianificazione vigenti, ma anche alla compatibilità dell’attività estrattiva con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie e, soprattutto, con l’indirizzamento dell’attività medesima a fini naturalistici, caratteristica che il progetto in questione “ictu oculi” non possiede, e che non ha neppure costituito materia di indagine in sede di valutazione di incidenza, non essendo in quel momento richiesta; e, del resto, la stessa ricorrente rivendica di aver indirizzato a fini naturalistici non l’attività estrattiva nel suo complesso, ma la sola sistemazione finale della cava (pag. 29 dell’atto introduttivo), riconoscendo così implicitamente l’assenza del requisito richiesto per l’apertura della cava dalla sopravvenuta delibera n. 454/08.
Al di là dell’erroneo richiamo all’abrogata delibera n. 923/06 (mentre è corretto il rinvio al D.M. del 2007), risulta dunque corretta la determinazione del Comune di non dare corso, per quanto di propria competenza, al procedimento autorizzativo; né coglie nel segno l’affermazione secondo cui quella di Pian Porcino non potrebbe considerarsi cava “nuova”, in senso contrario deponendo sia le norme tecniche di attuazione della variante al PRG approvata in adeguamento al PRAE del 1995, ove Pian Porcino è così qualificata, sia la stessa relazione progettuale del settembre 2007 allegata dalla ricorrente alla propria istanza di “riesame”, dalla quale emerge chiaramente come, allo stato, l’area interessata dalla cava in progetto sia destinata alla coltivazione (pag. 27). Non giova invece soffermarsi sulla coerenze dell’intervento proposto dalla ricorrente con le previsioni contenute nel Piano Strutturale del Comune, annullate da questo stesso tribunale – nella parte in cui statuiscono l’incompatibilità dell'apertura della cava di Pian Porcino con la tutela delle risorse essenziali e sospendono ogni determinazione in merito al rilascio dei provvedimenti autorizzativi richiesti – con sentenza n. 739 del 30 aprile 2009, la quale allo stato fa cadere il presupposto normativo del contrasto affermato dall’amministrazione resistente.
Venendo, infine, al problema dell’autorizzazione paesaggistica (l’area di cava è soggetta a vincolo ai sensi dell’art. 1 della legge n. 431/85 ed, ora, dell’art. 142 D.Lgs. n. 42/04, stante la prossimità del fiume Orcia ed è, inoltre, collocata all’interno di un’area protetta di interesse regionale, come risulta anche dalla relazione di progetto della ricorrente, pagg. 5 e 6), la ricorrente sostiene che essa non sarebbe dovuta, ai sensi dell’art. 146 ult. co. del D.Lgs. n. 42/04 cit., nel testo originario, e ciò sul presupposto che l’istanza di autorizzazione presentata nel 2007 debba qualificarsi come “riassunzione” dell’iniziale istanza del 2003. Venuta meno, per i motivi inizialmente esposti, tale necessaria premessa, la disciplina applicabile “ratione temporis” non può che essere quella vigente al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato, vale a dire l’art. 146 come sostituito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 63/08, il cui comma quattordicesimo stabilisce che le disposizioni in materia di autorizzazione paesaggistica si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere, se incidenti, come nella specie, su beni paesaggistici; ed anche a voler ritenere applicabile la normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza, cioè il medesimo art. 146, ma nel testo introdotto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 157/06, l’autorizzazione sarebbe comunque dovuta, sia pure con modalità differenti (previa valutazione della competente Soprintendenza, su richiesta del Ministero dell’ambiente).
Anche il rilievo comunale circa la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica finisce dunque per risultare corretto, giustificandosi anche in relazione a tale dato l’arresto procedimentale frapposto alla ricorrente. Non appare invece ostativa la mancanza del nulla osta a fini idraulici, pure evidenziata dal Comune, non essendosene ancora attualizzata la necessità, così come non riveste valenza ostativa la mancanza del bollo sull’istanza, che rappresenta, in definitiva, l’unica irregolarità sanabile della procedura.
In forza di tutte le considerazioni che precedono, ed avuto riguardo alla accertata legittimità pressoché di tutte le ragioni, fra loro indipendenti, addotte dall’amministrazione a fondamento dell’atto impugnato, la domanda di annullamento proposta dalla società ricorrente deve essere respinta, e con essa la domanda accessoria di risarcimento dei danni. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione II, definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte, e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, nonché I.V.A. e C.P.A., come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2009
N. 01786/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1786 del 2008, proposto da:
Daluema di Spennacchi M. & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pierluigi Piselli e Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Orsola Cortesini in Firenze, via Lamarmora 14;
contro
Comune di Pienza, in persona del Sindaco “pro tempore”, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Golini, persso il cui studio è elettivamente domiciliato in Firenze, via Gino Capponi 26;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota prot. n. 6846/4580, dell'11-07-2008, con la quale il Responsabile del Servizio del Comune di Pienza ha disposto l'archiviazione della pratica edilizia 72/01-49/07 relativa all'istanza della ricorrente in data 31-03-2001, volta ad ottenere l’autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione ambientale finale del sito di cava ubicato in località Pianporcino;
- della nota sopracitata, nella misura in cui con la stessa il Responsabile del Servizio del Comune di Pienza oppone un sostanziale diniego alla richiesta di autorizzazione al progetto di coltivazione e sistemazione ambientale finale del sito di cava di cui sopra;
- per quanto di ragione, di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente, presupposto, conseguente o comunque connesso a quello impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pienza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 27 ottobre 2007, la Daluema S.n.c. proponeva impugnazione avverso la nota in epigrafe, mediante la quale il Comune di Pienza aveva disposto l’archiviazione del procedimento originato dall’istanza di autorizzazione alla coltivazione della cava di inerti ubicata in località Pian Porcino, presentata da essa Daluema il 31 marzo 2001 con contestuale richiesta di variante al PRG, e seguita nel mese di luglio dello stesso anno dall’istanza di attivazione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale.
In fatto, la società ricorrente esponeva che la commissione VIA, superando l’iniziale parere negativo, nella seduta dell’11 agosto 2005 aveva dichiarato la compatibilità ambientale dell’intervento, sia pure con prescrizioni. Il giudizio di compatibilità era stato recepito nei medesimi termini dal Comune di Pienza con la determinazione n. 149 dell’11 aprile 2006; Daluema aveva pertanto provveduto ad adeguare il progetto originario alle prescrizioni ricevute, per poi sollecitare, con nuova istanza del 3 ottobre 2007, la definizione della procedura autorizzatoria, ricevendone tuttavia in risposta la comunicazione di avvio del procedimento di archiviazione della pratica; comunicazione autonomamente impugnata dinanzi a questo stesso tribunale, che aveva però dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse con sentenza n. 5042/07, trattandosi di atto endoprocedimentale. Nell’ulteriore giudizio promosso dalla medesima Daluema per l’annullamento delle misure di salvaguardia adottate dal Comune di Pienza nel corso dell’approvazione del Piano Strutturale, onde sospendere ogni determinazione sull’istanza relativa alla cava di Pian Porcino, il TAR aveva invece accolto la domanda di sospensione cautelare (ord. n. 267/08), mentre la Regione Toscana, nelle more, aveva confermato la localizzazione dell’area di cava in questione anche nel nuovo Piano Regionale delle Attività Estrattive e di Recupero. In virtù di detti provvedimenti, Daluema aveva nuovamente fatto richiesta al Comune di Pienza affinché volesse rilasciare l’autorizzazione richiesta ed, in assenza di riscontri, era stata nuovamente costretta a rivolgersi al TAR, affinché dichiarasse l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione: proprio a ridosso dell’udienza fissata per la trattazione del ricorso contro il silenzio, il Comune di Pienza, con la nota qui impugnata, aveva comunicato l’avvenuta archiviazione della pratica.
In diritto la ricorrente affidava le proprie doglianze a cinque motivi, e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensiva, nonché per la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento dei danni.
Costituitosi il Comune di Pienza, che resisteva al gravame, nella camera di consiglio del 13 novembre 2008 la ricorrente dichiarava di rinunciare alla domanda cautelare. Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 2 luglio 2009, preceduta dal deposito di documenti e memorie difensive.
DIRITTO
La controversia ha per oggetto la nota dell’11 luglio 2007, attraverso la quale il Comune di Pienza ha comunicato alla ricorrente Daluema S.n.c. l’archiviazione (“sic”) del procedimento per l’autorizzazione alla coltivazione ed alla sistemazione ambientale finale della cava sita in località Pian Porcino, originariamente avviato dalla ricorrente medesima con istanza del 31 marzo 2001, successivamente rielaborata alla luce delle prescrizioni impartite in sede di valutazione di impatto ambientale e così ripresentata – ai fini del riesame da parte del Comune – il 3 ottobre 2007. La motivazione dell’atto impugnato, articolata per punti, ha riguardo ai seguenti profili ostativi all’accoglimento della pretesa: mancanza del bollo sull’istanza 3 ottobre 2007; necessità di sottoscrizione da parte di tecnico abilitato della domanda di variante al PRG; pregressa adozione di determinazioni conclusive negative sulla originaria istanza del 31 marzo 2001; assenza di autorizzazione e relazione paesistica; competenza in materia di rilascio dell’autorizzazione unica alla coltivazione della cava riservata allo Sportello Unico per le Attività Produttive; sottoposizione della variante al piano regolatore alla procedura disciplinata dalla legge regionale n. 1/05 ed alla verifica di compatibilità con il Piano di Indirizzo Territoriale e con il Piano Territoriale di Coordinamento; incidenza dell’intervento sulla zona di protezione speciale denominata “Crete dell’Orcia e del Formone”.
Secondo la prospettazione della ricorrente, le ragioni addotte dall’amministrazione procedente a sostegno dell’archiviazione consentirebbero di ravvisare nella stessa la sostanza di un provvedimento di diniego dissimulato, ed illegittimo, frapposto alla richiesta di autorizzazione del 2001, che l’istanza del 3 ottobre 2007 avrebbe solamente “riattivato”. Di contro, la difesa del Comune resistente afferma che l’originaria istanza sarebbe stata a suo tempo definita con le determinazioni di cui al verbale della conferenza di servizi del 15 luglio 2005 ed al parere della Commissione comunale per il paesaggio del 1 marzo 2006, non impugnate dall’interessata, mentre non rileverebbe la conclusione, con atto dello stesso Comune in data 11 aprile 2006, del procedimento di VIA, almeno in parte favorevole alla realizzabilità del progetto di coltivazione della cava; nell’ottica del Comune la richiesta del 2007 implicherebbe, già nella qualificazione fornitane dall’interessata (“richiesta di riesame”), l’avvenuta definizione del procedimento autorizzativo originario.
Per dirimere la questione, occorre esaminare nella loro sequenza gli atti adottati dal Comune sull’istanza presentata dalla ricorrente nel 2001, a partire dalla menzionata determinazione della conferenza di servizi del 15 luglio 2005, che – con decisione espressamente qualificata come “conclusiva” ai sensi dell’art. 14-ter co. 3 della legge n. 241/90, il cui contenuto è recepito dal successivo parere della Commissione comunale per il paesaggio del 1 marzo 2006 – per un verso statuisce di non approvare il progetto così come presentato, mentre, per l’altro, dà atto della necessità di rielaborare il progetto stesso e la variante al PRG onde adeguarli alle prescrizioni ed ai rilievi svolti, per le rispettive competenze, dall’ARPAT e dalla Regione Toscana. Il parere favorevole all’intervento, espresso invece dalla Commissione VIA nella seduta dell’11 agosto 2005, esclude peraltro dalla compatibilità ambientale le indicazioni progettuali relative all’ampliamento dell’area di cava ed alla collocazione delle vasche di decantazione delle acque in area demaniale, ed è rilevante come, nel conformarsi ad esso, il provvedimento finale della procedura di VIA, assunto dal Comune di Pienza con determinazione dell’11 aprile 2006, allo stesso tempo faccia proprie le determinazioni già adottate dalla conferenza di servizi in merito alla necessità di rielaborazione del progetto, cui la pronuncia di compatibilità ambientale viene infatti condizionata.
Al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente, nessuna contraddittorietà è dunque ravvisabile tra gli atti del Comune, dal momento che il diniego di approvazione pronunciato dalla conferenza di servizi in sede di rilascio di autorizzazione alla coltivazione della cava non risulta smentito dal provvedimento conclusivo della procedura di VIA, svoltasi parallelamente, ed anzi ne appare confermato sotto il profilo della necessità – ravvisata nell’uno e nell’altro caso – di procedere alla revisione del progetto originale, altrimenti inadeguato anche in ordine agli aspetti strettamente ambientali; e poiché la definitività del diniego di approvazione, chiaramente affermata dalla conferenza di servizi, non può oggi venire messa in discussione (la violazione dell’art. 14-ter della legge n. 241/90, cui la ricorrente fa cenno per negare il carattere decisorio della determinazione, avrebbe dovuto essere fatta valere a suo tempo mediante tempestiva impugnazione), deve convenirsi sul fatto che l’itinerario procedimentale avviato con l’istanza del 31 marzo 2001 si sia definitivamente arrestato con il diniego del 15 luglio 2005. Il diniego, pronunciato evidentemente allo stato degli atti, fa evidentemente salva la facoltà della società interessata di adeguarsi alle indicazioni e prescrizioni impartite dal Comune anche in funzione della compatibilità ambientale del progetto, vale a dire la facoltà – sempre esercitabile, del resto – di presentare un nuovo progetto depurato delle incongruenze rilevate dall’amministrazione, e come tale idoneo sia a giustificare il superamento del diniego di approvazione frattanto consolidatosi, sia a determinare l’avveramento della condizione apposta alla pronuncia favorevole di VIA: è perciò alla stregua dell’atto di avvio di un nuovo procedimento di approvazione che deve essere trattata l’istanza presentata dalla società Daluema il 3 ottobre 2007, a maggior ragione ove si consideri che il “riesame” chiesto al Comune riguarda oramai un progetto diverso da quello del 2001, sebbene da esso derivante.
Tanto premesso vanno respinte, sia pure con le precisazioni che seguono, le censure articolate dalla ricorrente con i primi due motivi di gravame, e rivolte nei confronti della declinatoria di competenza che sarebbe contenuta nell’atto impugnato, laddove quale ufficio competente a provvedere sull’istanza di autorizzazione viene indicato il locale Sportello Unico per le Attività Produttive: atteso, infatti, che l’istanza del 3 ottobre 2007 deve essere considerata quale istanza nuova ed autonoma, e non quale mero atto di impulso di un procedimento già pendente, essa avrebbe dovuto essere presentata dinanzi al SUAP Amiata – Val d’Orcia, istituito nel 2004. Nondimeno, la trasmissione della pratica al SUAP, disposta con l’atto impugnato, non implica recesso del Comune dalle proprie prerogative e responsabilità, giacché lo Sportello Unico non rappresenta un nuovo centro di competenze, ma, com’è noto, un modulo organizzativo e procedimentale composito, una sorta di “procedimento di procedimenti” nel quale confluiscono gli atti e gli adempimenti facenti capo a diverse competenze, e richiesti dalle norme in vigore perché l'insediamento produttivo possa legittimamente essere realizzato; in questo senso, quelli che erano, in precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno dei quali veniva adottato sulla base di un procedimento a sé stante, diventano “atti istruttori” al fine dell'adozione dell'unico provvedimento conclusivo, titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto (così Corte Cost. 23 luglio 2002, n. 376). Se, allora, la concentrazione della responsabilità procedimentale presso un unico ufficio, per fini di semplificazione, non comporta il venire meno delle distinte competenze facenti capo alle amministrazioni deputate alla cura degli interessi pubblici coinvolti, nella specie l’”archiviazione” del procedimento, con contestuale inoltro al SUAP, assume il significato più limitato di una declinatoria (non della competenza dell’ente, ma) della responsabilità procedimentale da parte del titolare del diverso ufficio comunale adito, declinatoria la quale di per sé non determina alcun definitivo arresto nel corso della procedura, il che fa dubitare della stessa configurabilità di un interesse all’impugnazione.
Al contempo, deve escludersi che dalla trasmissione degli atti allo Sportello Unico possa farsi discendere la conseguenza paventata dalla ricorrente, vale a dire che occorra rinnovare la procedura per la valutazione di impatto ambientale già favorevolmente conclusasi con la determinazione comunale n. 149 dell’11 aprile 2006. Quest’ultima, come si è visto, è dichiaratamente subordinata alla preventiva rielaborazione del progetto e della variante al PRG secondo le indicazioni del Comune e della Commissione VIA, risolvendosi di fatto in una pronuncia di compatibilità condizionata, operante “ora per allora”; si aggiunga che il termine quinquennale di efficacia della pronuncia sulla VIA è fatto decorrere, dalla menzionata delibera n. 149/06, dal rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, e questo conferma l’autonomia della pronuncia medesima dall’esito negativo della prima procedura autorizzativa, e la sua perdurante validità ed efficacia, rimanendo affidata al Comune di Pienza, della Provincia di Siena, dell’ARPAT e della ASL verificare che la società istante abbia elaborato il nuovo progetto in conformità alle prescrizioni ricevute. Quanto alla variante al PRG, a prescindere dalle prescrizioni apposte alla pronuncia di VIA, che si riferisce in via immediata al progetto, e solo in via mediata alla proposta di variante, è peraltro inevitabile la sottoposizione alla disciplina introdotta dalla sopravvenuta legge regionale n. 1/05, nel cui vigore il relativo procedimento è stato avviato (sul punto, v. anche “infra”).
Della sussistenza di un interesse al ricorso non può invece dubitarsi con riferimento al contenuto realmente ostativo del provvedimento impugnato, che – nella parte in cui costituisce manifestazione di quelle competenze di esclusivo appannaggio del Comune, destinate come tali a rifluire nel procedimento unico dinanzi al SUAP – dà luogo ad un effettivo arresto procedimentale, al di là delle veste formale attribuita al provvedimento. Sulla scorta di tale conclusione, consequenziale a quanto si è affermato inizialmente circa la natura dell’atto impugnato, possono considerarsi superate le doglianze svolte dalla ricorrente con il terzo motivo (tendenti, appunto, a far emergere il diniego sottostante all’archiviazione), per passare al vaglio dei motivi rimanenti, volti a censurare le ragioni addotte dal Comune a sostegno della ritenuta inaccoglibilità dell’istanza di Daluema.
Con il quarto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in cui fa discendere dalla mera incompletezza della documentazione presentata l’archiviazione/diniego dell’istanza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 L. 241/90. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria”, la ricorrente sostiene che le carenze documentali rilevate dal Comune – mancanza del bollo, mancanza della firma di tecnico abilitato in calce alla richiesta di variante al PRG, assenza dell’autorizzazione e della relazione paesistica, dell’indagine geotecnica e della verifica di coerenza con gli statuti del PIT e del PTC, del nulla osta a fini idraulici – costituirebbero ipotesi di irregolarità sanabili, a fronte delle quali l’amministrazione avrebbe dovuto sollecitare l’integrazione o i chiarimenti da parte dell’interessata. La ricorrente contesta inoltre nel merito la correttezza dei rilievi effettuati dal Comune.
Con il quinto motivo, rubricato “Illegittimità del provvedimento nella parte in cui fa discendere da un erroneo e/o omesso esame della documentazione presentata l’archiviazione/diniego dell’istanza. Illegittimità per eccesso di potere sotto i correlati profili del difetto assoluto di istruttoria, del travisamento, dell’errore sui presupposti di fatto e di diritto. Illogicità,irragionevolezza e contraddittorietà manifesta. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 L. 241/90”, è poi dedotta l’illegittimità della pretesa del Comune di sottoporre alla procedura di approvazione prevista dalla legge regionale n. 1/05 la modesta variante al PRG residuata dopo l’espunzione dal progetto dell’ipotesi di ampliamento dell’area di cava; viene contestata, inoltre, l’affermazione del Comune, secondo cui l’intervento proposto sarebbe incompatibile con la presenza di due zone di protezione speciale, mancando oltretutto la relativa valutazione di incidenza, e con gli obiettivi, le previsioni e le prescrizioni del Piano Strutturale.
I due motivi saranno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione.
È pacifico che l’istanza di autorizzazione presentata dalla società Daluema il 31 ottobre 2007 contiene, al pari di quella risalente al 2001, la richiesta di una contestuale variante al PRG, descritta nella relazione tecnica allegata e consistente nella modifica delle NTA vigenti nel senso di consentire, quanto ai contenuti del progetto di coltivazione e ripristino, la produzione di elaborati grafici in scala da 1:500 ad 1:1000 o di maggior dettaglio, anziché in scala 1:500 o di maggior dettaglio e, quanto alla fase operativa di rimodellamento del terreno, la formazione di pendenze non inferiori allo 0,5%, anziché all’1%, ed il posizionamento dell’isoipsa (la curva altimetrica) inferiore ad una quota tale da permettere il libero deflusso delle acque superficiali, anziché a quota identica a quella originaria. Ciò posto, la circostanza che si tratti di una variante c.d. “normativa” – peraltro direttamente incidente sull’assetto del territorio, nella parte in cui modifica i criteri per la risistemazione del terreno – non toglie che essa debba ritenersi assoggettata alla disciplina stabilita per l’approvazione degli strumenti di pianificazione e degli atti di governo del territorio dalla già citata legge regionale n. 1/05, la quale non effettua alcuna distinzione tra le diverse tipologie di variante (artt. 15 co. 1 e 18 co. 1), ed anzi prevede che le norme procedurali di cui agli artt. 16 e 17 si applichino anche agli atti di governo del territorio e relative varianti ancorché non implicanti modifiche degli strumenti di pianificazione (art. 18 co. 2-bis). Legittimamente il Comune, nel rimettere la pratica allo Sportello Unico, ha ritenuto perciò necessario che il rilascio dell’autorizzazione sia preceduto dalla definizione del parallelo procedimento per l’approvazione della variante; ed altrettanto legittima appare l’ulteriore pretesa del Comune, circa la necessità che la richiesta di variante sia sottoscritta da tecnico abilitato, avendo Daluema allegato all’istanza del 2007 una relazione progettuale sottoscritta da professionisti – un geologo ed un biologo – fra le cui competenze tale attività non rientra, ai sensi degli artt. 31 e 41 del D.P.R. n. 328/01 (mentre non è in discussione la competenza di quei professionisti per gli aspetti strettamente attinenti alle rispettive specialità).
Passando all’incidenza dell’intervento proposto dalla ricorrente sulla ZPS/pSIC “Crete dell’Orcia e del Formone”, all’interno del quale l’area della cava di Pian Porcino ricade, e sulla vicina ZPS/pSIC “Lucciolabella”, occorre ancora una volta tenere distinto il progetto di coltivazione della cava dalla contestuale variante al PRG. L’art. 5 co. 4 del D.P.R. n. 357/97 e l’art. 15 della l.r. n. 56/00 stabiliscono che la valutazione di incidenza sui siti di interesse regionale dei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale sia integrata nell’ambito della stessa VIA, ed in particolare che lo studio di impatto ambientale contenga gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità di conservazione dei siti predetti. Ne discende, in prima approssimazione, che la valutazione di incidenza del progetto di coltivazione della cava di Pian Porcino deve presumersi adeguatamente svolta in seno alla procedura di VIA conclusasi con la determinazione comunale n. 149/06, e della cui perdurante validità ed efficacia si è detto in precedenza, di modo che per questo profilo non appaiono corrette le radicali affermazioni dell’atto impugnato in ordine alla mancanza della valutazione.
Diversamente è a dirsi per la variante al PRG, rispetto alla quale la valutazione di incidenza deve costituire oggetto di apposita relazione che, ai sensi dell’art. 15 co. 2-bis della citata legge regionale n. 56/00, deve confluire nella relazione di sintesi relativa alla valutazione integrata richiesta dall’art. 16 co. 3 della legge regionale n. 1/05 ai fini dell’approvazione degli atti di pianificazione e di governo del territorio e delle loro varianti. Sarà dunque nell’ambito del connesso procedimento per l’approvazione della variante che occorrerà constatare se possa venire mutuato “sic et simpliciter” il giudizio di compatibilità ambientale espresso in sede di VIA (che, lo si ripete, si riferisce al progetto e solo indirettamente alla corrispondente richiesta di variante), ovvero se detto giudizio debba essere integrato con specifico riguardo all’incidenza sui siti interessati, anche alla luce di quello che si dirà più avanti; fermo restando che l’eventuale esclusione dell’area di cava dal perimetro del pSIC n. 97 compete alla Regione, e non al Comune, al contrario di quanto sostenuto nella relazione progettuale della ricorrente.
Rimane, a questo punto, da verificare se il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava sia impedita, per la sua incidenza sulle ZPS, dagli atti normativi intervenuti successivamente alla conclusione del procedimento di VIA. In attuazione del D.M. 17 ottobre 2007, recante criteri minimi uniformi da adottarsi dalle Regioni per la definizione di misure di conservazione relative alle Zone speciali di conservazione ed alle Zone di protezione speciale, la delibera di Giunta regionale toscana n. 454 del 16 giugno 2008 – pubblicata il 25 giugno 2008 e pertanto in vigore al momento dell’adozione del provvedimento impugnato – nel revocare la precedente deliberazione n. 923 dell’11 dicembre 2006, a sua volta recante misure di conservazione per la tutela delle ZPS ai sensi del D.P.R. n. 357/97, sancisce il divieto di “apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto ivi compresi gli ambiti individuati nella Carta delle Risorse del Piano regionale delle Attività estrattive, a condizione che risulti accertata e verificata l'idoneità al loro successivo inserimento nelle Carte dei Giacimenti e delle Cave e Bacini estrattivi, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall'attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell'intervento. Sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d'incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l'attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici e sia compatibile con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie” (Allegato A, punto 1, lett. n). Come si vede, l’inciso conclusivo della disposizione condiziona la salvezza dei progetti di cava già sottoposti a valutazione di incidenza – e, per le ragioni esposte, al novero di tali progetti è ascrivibile quello di Daluema – non soltanto alla conformità agli strumenti di pianificazione vigenti, ma anche alla compatibilità dell’attività estrattiva con gli obiettivi di conservazione delle specie prioritarie e, soprattutto, con l’indirizzamento dell’attività medesima a fini naturalistici, caratteristica che il progetto in questione “ictu oculi” non possiede, e che non ha neppure costituito materia di indagine in sede di valutazione di incidenza, non essendo in quel momento richiesta; e, del resto, la stessa ricorrente rivendica di aver indirizzato a fini naturalistici non l’attività estrattiva nel suo complesso, ma la sola sistemazione finale della cava (pag. 29 dell’atto introduttivo), riconoscendo così implicitamente l’assenza del requisito richiesto per l’apertura della cava dalla sopravvenuta delibera n. 454/08.
Al di là dell’erroneo richiamo all’abrogata delibera n. 923/06 (mentre è corretto il rinvio al D.M. del 2007), risulta dunque corretta la determinazione del Comune di non dare corso, per quanto di propria competenza, al procedimento autorizzativo; né coglie nel segno l’affermazione secondo cui quella di Pian Porcino non potrebbe considerarsi cava “nuova”, in senso contrario deponendo sia le norme tecniche di attuazione della variante al PRG approvata in adeguamento al PRAE del 1995, ove Pian Porcino è così qualificata, sia la stessa relazione progettuale del settembre 2007 allegata dalla ricorrente alla propria istanza di “riesame”, dalla quale emerge chiaramente come, allo stato, l’area interessata dalla cava in progetto sia destinata alla coltivazione (pag. 27). Non giova invece soffermarsi sulla coerenze dell’intervento proposto dalla ricorrente con le previsioni contenute nel Piano Strutturale del Comune, annullate da questo stesso tribunale – nella parte in cui statuiscono l’incompatibilità dell'apertura della cava di Pian Porcino con la tutela delle risorse essenziali e sospendono ogni determinazione in merito al rilascio dei provvedimenti autorizzativi richiesti – con sentenza n. 739 del 30 aprile 2009, la quale allo stato fa cadere il presupposto normativo del contrasto affermato dall’amministrazione resistente.
Venendo, infine, al problema dell’autorizzazione paesaggistica (l’area di cava è soggetta a vincolo ai sensi dell’art. 1 della legge n. 431/85 ed, ora, dell’art. 142 D.Lgs. n. 42/04, stante la prossimità del fiume Orcia ed è, inoltre, collocata all’interno di un’area protetta di interesse regionale, come risulta anche dalla relazione di progetto della ricorrente, pagg. 5 e 6), la ricorrente sostiene che essa non sarebbe dovuta, ai sensi dell’art. 146 ult. co. del D.Lgs. n. 42/04 cit., nel testo originario, e ciò sul presupposto che l’istanza di autorizzazione presentata nel 2007 debba qualificarsi come “riassunzione” dell’iniziale istanza del 2003. Venuta meno, per i motivi inizialmente esposti, tale necessaria premessa, la disciplina applicabile “ratione temporis” non può che essere quella vigente al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato, vale a dire l’art. 146 come sostituito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 63/08, il cui comma quattordicesimo stabilisce che le disposizioni in materia di autorizzazione paesaggistica si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere, se incidenti, come nella specie, su beni paesaggistici; ed anche a voler ritenere applicabile la normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza, cioè il medesimo art. 146, ma nel testo introdotto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 157/06, l’autorizzazione sarebbe comunque dovuta, sia pure con modalità differenti (previa valutazione della competente Soprintendenza, su richiesta del Ministero dell’ambiente).
Anche il rilievo comunale circa la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica finisce dunque per risultare corretto, giustificandosi anche in relazione a tale dato l’arresto procedimentale frapposto alla ricorrente. Non appare invece ostativa la mancanza del nulla osta a fini idraulici, pure evidenziata dal Comune, non essendosene ancora attualizzata la necessità, così come non riveste valenza ostativa la mancanza del bollo sull’istanza, che rappresenta, in definitiva, l’unica irregolarità sanabile della procedura.
In forza di tutte le considerazioni che precedono, ed avuto riguardo alla accertata legittimità pressoché di tutte le ragioni, fra loro indipendenti, addotte dall’amministrazione a fondamento dell’atto impugnato, la domanda di annullamento proposta dalla società ricorrente deve essere respinta, e con essa la domanda accessoria di risarcimento dei danni. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione II, definitivamente pronunciando, respinge le domande proposte, e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, nonché I.V.A. e C.P.A., come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2009