Cass. Sez. III n. 27592 del 6 ottobre 2020 (PU 14 lug 2020)
Pres. Izzo Est. Corbo Ric. D’Alessio
Urbanistica. Accertamento delle violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche
In forza del combinato disposto degli artt. 96 e 103 d.P.R. n. 380 del 2001, l’attività di accertamento delle violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche non è rimessa in via esclusiva al dirigente dell’ufficio tecnico regionale, o ai funzionari del suo ufficio, ma può essere svolta, in via alternativa, anche da numerose altre autorità amministrative, tra le quali, ad esempio, come nella specie, i geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni comunali. Inoltre, a norma dell’art. 96, comma 2, d.P.R. cit., il dirigente dell’ufficio tecnico regionale deve essere sempre informato dell’avvenuta constatazione della violazione, ma dispone «ulteriori accertamenti di carattere tecnico» solo ove sia necessario, e, precisamente, per ripetere la previsione testuale del legislatore, «occorrendo»
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 15 ottobre 2019, il Tribunale di Cassino ha dichiarato la penale responsabilità di Fabrizio Andrea D’Aliesio per i reati di cui agli artt. 93 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, accertati in data 20 novembre 2014, e commessi realizzando una recinzione in muratura lunga circa 70 metri e di altezza variabile da 1,70 a 3 metri, senza darne preavviso scritto all’Ufficio Tecnico Regionale e senza ricevere l’autorizzazione del medesimo Ufficio, e lo ha condannato alla pena di 1.000,00 euro di ammenda.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe Fabrizio Andrea D’Aliesio, con atto a firma dell’avvocato Claudio Persichino, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia mancata assunzione di prova decisiva, violazione di legge, in riferimento agli artt. 495, comma 4, e 507 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata escussione del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile.
Si deduce che il Tribunale, dopo aver disposto l’esame del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile, su richiesta del Pubblico ministero, a norma dell’art. 507 cod. proc. pen., ha poi illegittimamente definito il giudizio senza assumere la precisata prova testimoniale e senza nemmeno revocare il relativo provvedimento ammissivo.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia mancata violazione di legge, in riferimento all’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata escussione del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile.
Si deduce che la mancata assunzione della testimonianza del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile costituisce puntuale violazione dell’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla affermazione di responsabilità.
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata non indica gli elementi di prova sulla cui base perviene alla affermazione di responsabilità, anche perché l’unico teste esaminato ha riferito della consistenza dell’opera e della presentazione della D.I.A. (cd. dichiarazione di inizio di attività).
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia mancata violazione di legge, in riferimento all’art. 131-bis cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha compiuto alcuna verifica in proposito, e che, inoltre, la situazione di fatto avrebbe consentito il riconoscimento della causa di non punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nei primi due motivi, e che contestano la decisione di non esaminare il responsabile dell’Ufficio del Genio Civile, sia perché tale atto istruttorio sarebbe espressamente richiesto dall’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sia perché l’effettuazione dello stesso, in un primo momento disposta ex art. 507 cod. proc. pen., sarebbe stata revocata senza alcuna motivazione.
2.1. Per quanto riguarda il primo profilo di doglianze, occorre rappresentare che la regola di cui all’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non impone di procedere all’esame del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, o di un suo delegato, tutte le volte che si proceda per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. cit.
Si è già affermato in giurisprudenza che la disposizione di cui all’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere intesa quale vincolo assoluto all'audizione del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, in quanto anche detta escussione, in ossequio al principio dell'inammissibilità della prova manifestamente superflua o irrilevante, deve essere subordinata alla valutazione circa l'utilità della deposizione in ordine all'accertamento delle contravvenzioni o all'esercizio del potere - dovere di adottare le particolari statuizioni previste dal terzo comma della disposizione citata nel caso di violazioni di carattere sostanziale (così Sez. 3, n. 58313 del 25/10/2018, Rocco, Rv. 274340-01).
Ad avviso del Collegio, il comma 2 dell’art. 98 d.P.R. cit. impone l’obbligo di procedere «in ogni caso» all’esame del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, o di un funzionario dipendente da lui delegato e a conoscenza dei fatti, solo nell’ipotesi in cui si sia proceduto ad «ulteriori accertamenti tecnici» a norma dell’art. 98, comma 1, d.P.R. cit.
Invero, l’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui: «Deve essere in ogni caso citato per il dibattimento il dirigente del competente ufficio tecnico della regione, il quale può delegare un funzionario dipendente che sia a conoscenza dei fatti», va letto in modo coordinato con il precedente comma 1, il quale prevede: «Se nel corso del procedimento penale il pubblico ministero ravvisa la necessità di ulteriori accertamenti tecnici, nomina uno o più consulenti tecnici scegliendolo fra i componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici o tra tecnici laureati appartenenti ai ruoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o di altre amministrazioni statali». Tenendo conto della immediata successione topografica tra queste due disposizioni, in effetti, appare ragionevole riferire l’art. 98, comma 2, d.P.R. cit. alle sole ipotesi di cui al comma 1, e cioè a quelle in cui l’Autorità giudiziaria «ravvisa la necessità di ulteriori accertamenti tecnici».
Né la conclusione secondo cui la disposizione di cui all’art. 98, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, è stata dettata per l’ipotesi di cui all’art. 98, comma 1, e cioè quando, nel corso del procedimento penale, debbono essere disposti accertamenti tecnici ulteriori rispetto a quelli già compiuti ai fini della trasmissione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria, sembra trovare un ostacolo nell’inciso «in ogni caso». Questo sintagma, infatti, può essere collegato alla volontà di prevedere l’esame del dirigente del competente ufficio tecnico della regione «in ogni caso» in cui il pubblico ministero procede ad ulteriori accertamenti tecnici, indipendentemente, cioè, dalla scelta discrezionale dell’autorità inquirente di nominare uno o più consulenti tecnici, ovvero di scegliere gli stessi fra i componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici, oppure tra tecnici laureati appartenenti ai ruoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, oppure ancora tra tecnici laureati appartenenti ai ruoli di altre amministrazioni statali.
Del resto, l’indicata ricostruzione è coerente con la disciplina generale in materia. In effetti, in forza del combinato disposto degli artt. 96 e 103 d.P.R. n. 380 del 2001, l’attività di accertamento delle violazioni concernenti le costruzioni in zone sismiche non è rimessa in via esclusiva al dirigente dell’ufficio tecnico regionale, o ai funzionari del suo ufficio, ma può essere svolta, in via alternativa, anche da numerose altre autorità amministrative, tra le quali, ad esempio, come nella specie, i geometri degli uffici tecnici delle amministrazioni comunali. Inoltre, a norma dell’art. 96, comma 2, d.P.R. cit., il dirigente dell’ufficio tecnico regionale deve essere sempre informato dell’avvenuta constatazione della violazione, ma dispone «ulteriori accertamenti di carattere tecnico» solo ove sia necessario, e, precisamente, per ripetere la previsione testuale del legislatore, «occorrendo».
2.2. Relativamente al secondo ordine di doglianze, va rilevato che non può ritenersi in violazione dell’obbligo di assunzione di prova decisiva, o comunque immotivata, la revoca dell’ordinanza con la quale, ex art. 507 cod. proc. pen., era stato disposto di ufficio l’esame del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile.
Si è precisato in giurisprudenza che non è sindacabile in sede di legittimità, per omessa assunzione di una prova decisiva, la revoca del provvedimento di ammissione di una prova disposta d'ufficio su sollecitazione di parte, che sia congruamente motivata in riferimento alla raggiunta completezza del quadro istruttorio (cfr. Sez. 6, n. 13571 del 12/11/2010, dep. 2011, C., Rv. 249906-01, relativa alla revoca dell'audizione del consulente tecnico della difesa non presentatosi all'udienza per impedimento).
In linea generale, poi, sembra corretto ammettere che possa essere la sentenza ad esporre compiutamente le ragioni poste a fondamento di un’ordinanza emessa nel corso del dibattimento. Ed infatti, l’art. 586 cod. proc. pen., prevede, al comma 1, che le ordinanze emesse nel corso del dibattimento (o negli atti preliminari) possono essere impugnate «soltanto con l’impugnazione contro la sentenza», e, al comma 2, che «l’impugnazione dell’ordinanza è giudicata congiuntamente a quella contro la sentenza, salvo che la legge disponga altrimenti». Da ciò, appare ragionevole inferire che l’ordinanza emessa in dibattimento (o negli atti preliminari), in quanto passibile di controllo solo unitamente alla sentenza, fa corpo con quest’ultima, e, quindi, le motivazioni della seconda sono riferibili anche alla prima.
Questa soluzione, del resto, appare coerente con plurime indicazioni giurisprudenziali. Invero, secondo alcune pronunce, la motivazione del provvedimento ordinatorio adottato nel corso del processo deve essere integrata con le ragioni esposte dal giudice in sentenza, qualora quest'ultima contenga una decisione coerente con il precedente atto e ne abbia però rielaborato l'apparato giustificativo (così Sez. 6, n. 26541 del 09/06/2015, Iurescia, Rv. 263947-01, per la quale la motivazione dell’ordinanza di revoca di un testimone, fondata esclusivamente sulla intervenuta decadenza per omessa citazione a cura di parte diversa da quella originariamente richiedente l'ammissione della prova, dove ritenersi validamente integrata dalla motivazione della sentenza di merito che aveva argomentato in ordine alla superfluità del teste). Ad avviso di altre decisioni, inoltre, la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato (così, per tutte, Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, S., Rv. 269331-01).
Nella specie, la sentenza impugnata rappresenta che, secondo gli accertamenti compiuti dall’Ufficio tecnico del Comune competente, ed oggetto di deposizione in dibattimento di un funzionario di tale ufficio, l’opera, costituita da una recinzione lunga circa 200 metri di cui 70 di altezza variabile tra metri 1,70 e 2,00 metri, è stata realizzata senza il preventivo deposito del relativo progetto presso gli uffici del Genio Civile, sebbene ubicata in zona sottoposta a vincolo sismico.
In questo modo, il giudice di merito, sia pure in sentenza, ha fornito una indiretta, ma puntuale esplicitazione delle ragioni per le quali ha ritenuto di revocare l’ordinanza ammissiva dell’esame del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile. Il Tribunale ha infatti osservato che era stata raggiunta la prova, attraverso l’esame di un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune competente, dell’avvenuta realizzazione di un’opera, e quindi di una nuova costruzione, di notevoli dimensioni, ubicata in zona sismica, in assenza del preventivo deposito del relativo progetto presso gli uffici del Genio Civile. In questo modo, si è dato atto, con congrua motivazione, della completezza del quadro istruttorio, e, quindi, della superfluità dell’esame del responsabile dell’Ufficio del Genio Civile.
3. Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel terzo motivo e che deducono il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, per la mancata indicazione delle fonti di prova rilevanti.
Come si è appena evidenziato (cfr. § 2.2.), infatti, la sentenza impugnata ha affermato di aver ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza del ricorrente in ragione della deposizione di un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune competente, il quale ha dichiarato che era stata realizzata un’opera, e quindi una nuova costruzione, delle notevoli dimensioni sopra precisate, ubicata in zona sismica, in assenza del preventivo deposito del relativo progetto presso gli uffici del Genio Civile.
4. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, infine, sono le censure esposte nel quarto motivo, e che criticano la mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Innanzitutto, la questione, che implica una valutazione eminentemente di merito, non risulta formulata nel corso del giudizio davanti al Tribunale.
In ogni caso, poi, le dimensioni dell’opera realizzata, la pluralità di violazioni commesse – costituite non solo dall’omissione del preventivo deposito del progetto presso gli uffici del Genio Civile, ma anche dall’esecuzione dei lavori in difetto dell’autorizzazione scritta del medesimo Ufficio – e l’entità della pena irrogata, nettamente superiore al minimo edittale, sono elementi che, specie a fronte del loro concorso e della sostanziale assertività delle censure del ricorrente, rendono immune da vizi la decisione (implicita) di non applicare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/07/2020