Consiglio di Stato Sez. V n. 8535 del 3 novembre 2025
Urbanistica.Prova dell'ultimazione dell’opera abusiva entro una data certa
Spetta a colui che ha commesso l'abuso, l'onere di provare la data di realizzazione dell'immobile abusivo; non può quest'ultimo limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferendo il suddetto onere di prova contraria in capo all'amministrazione.
N. 08535/2025REG.PROV.COLL.
N. 08360/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8360 del 2022, proposto dal signor Pietro De Meo, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Ciufo e Giuseppe Gallinaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
il Comune di Formia, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sezione staccata di Latina, n. 245 del 28 marzo 2022, resa inter partes, concernente un provvedimento di demolizione di opere edilizie abusive conseguente a diniego di sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 22 ottobre 2025 il consigliere Giovanni Sabbato e udito per la parte appellante l’avvocato Gallinaro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 737 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. Latina, il signor Pietro De Meo aveva chiesto l’annullamento:
a) dell’ordinanza dirigenziale n.370/2018, di demolizione delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo edilizio nonché di ogni altro provvedimento comunque inerente o connesso, preparatorio e/o consequenziale, a quello impugnato in via principale;
b) del provvedimento prot.11/19-RIG del 07.02.2019 di rigetto della domanda di PDC in sanatoria presentata in data 19/11/2018 ex art. 36 del d.P.R. 380/01 per le opere in argomento, con la motivazione che non sussisteva la doppia conformità degli interventi e mancava il lotto minimo (atto impugnato con i motivi aggiunti)
2. Ai fini della illustrazione dei fatti di causa occorre riportare quanto segue.
2.1. Il sig. Pietro De Meo è comproprietario dal 02.08.2000 di un terreno sito nel Comune di Formia (Latina), frazione di Maranola di Formia, località Limiti alla via Filetto, s.n.c. di are 10.90, in C.T. al foglio di mappa 2 sez. Maranola p.lla 281. Deduce l’appellante che sul terreno vi è un sovrastante e preesistente vecchio vano rurale realizzato dai precedenti proprietari e realizzato asseritamente più di settant’anni prima come risulterebbe dall’aerofotogrammetria del 1954. Nel tempo, l’opera sarebbe stata oggetto di interventi manutentivi.
2.2. Con ordinanza dirigenziale del Comune di Formia – VI Settore Tecnico – S.U.E. n. 370 del 03.10.2018 (notificata il 05.10.2018), veniva ordinato al sig. Pietro De Meo di demolire a proprie cure e spese le opere edilizie, realizzate senza titolo, in località Limiti, via Filetto s.n.c., in zona agricola silvopastorale del PRG, sottoposta alla tutela paesaggistica, ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettere f) e g) del d.lgs. n. 42/2004. Le opere interessate dall’ordinanza sono le seguenti:
- manufatto a destinazione residenziale di mq 110 circa e mc 360,00 circa;
- portico di mq 17,00 circa;
- manufatto in muratura destinato a locale tecnico di ml. 2,60 × 2,10 × 2,80 di altezza;
- manufatto con struttura in muratura destinato a deposito attrezzi di ml. 3,75 × 2,30 × 2,35 di altezza.
2.3. Il sig. Pietro De Meo proponeva ricorso innanzi al T.a.r. del Lazio, sezione staccata di Latina, deducendo i motivi di ricorso che sono stati così riassunti:
I) il ricorrente forniva deduzioni in data 07.09.2018 richiamando la precedente richiesta di N.O. presentata all’Ente Parco del Monti Aurunci;
II) il Comune di Formia non avrebbe considerato che l’opera era stata realizzata intorno al 1940, dunque antecedentemente al 1967, come dimostrato dal rogito di compravendita nonché dalle aerofotogrammetrie;
III) l’ordinanza sarebbe mancante delle considerazioni di interesse concreto ed attuale in ordine all’esercizio del potere sanzionatorio riferito, a tutto voler concedere, ad interventi manutentivi;
IV) l’ordinanza n. 370/2018 sarebbe illegittima poiché ai sensi dell’art. 15, comma 5, della L.R. Lazio n. 15/2008 non si procede all’acquisizione dell’area, ma esclusivamente alla demolizione, qualora il proprietario non sia responsabile dell’abuso;
V) l’applicazione della sanzione di € 5.000 non è sorretta da alcuna motivazione né dalla ricostruzione dell’iter determinativo.
2.4. In data 11.05.2019 venivano notificati i motivi aggiunti con i quali si impugnava il provvedimento prot. 11/19 del 7.2.2019, col quale il dirigente del V Settore tecnico del Comune di Formia ha respinto la domanda di permesso in sanatoria presentata in data 19.11.2018 ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/01 per le opere in argomento. Il provvedimento si basava sulla presa d’atto – meglio evidenziata nella nota UTC prot. 58291 del 13.12.2018 – della mancanza della doppia conformità degli interventi ai sensi dell’art. 36 cit., né al momento di realizzazione dell’opera, né al momento di presentazione dell’istanza, mancando il lotto minimo e i requisiti di legge ai fini dell’edificazione. 2.5. Con il ricorso per motivi aggiunti, quindi, si lamentava che:
i. il Comune non avrebbe assolutamente considerato che il manufatto oggetto dell’istanza ex art. 36 t.u. edilizia risulta identificabile nella tavola aerofotogrammetrica comunale, in scala 1:500, prodotta dal Gruppo Aereofotoconsult di Roma, il cui rilievo è datato 21/2/1998, nonché precedenti del 1954 e del 1985 e, pertanto, la costruzione deve considerarsi quantomeno preesistente a tali date;
ii. il Comune avrebbe ritenuto, del tutto illegittimamente, non necessario acquisire il pronunciamento dell’Ente Parco dei Monti Aurunci sulla richiesta di N.O., ritenendola ininfluente;
iii. l’intervento oggetto di sanatoria risulterebbe conforme agli strumenti urbanistici come descritto nella relazione tecnica del Geom. Larocca.
3. Nella resistenza dell’Amministrazione, il Tribunale adìto ha così deciso il gravame al suo esame:
- ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti;
- ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- le aerofotogrammetrie per scala e dimensioni non sono idonee a dimostrare la risalenza delle opere nella loro consistenza all’epoca di realizzazione delle prove documentali depositate;
- la valutazione delle ragioni di interesse pubblico non è necessaria per sorreggere il provvedimento di repressione degli abusi edilizi e di diniego di sanatoria, stante la loro natura vincolata;
- l’esclusione della possibilità di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R., opera solo qualora risulti la completa estraneità del proprietario dell’opera abusiva oppure quando, essendone venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedire il compimento dell’abuso; tali circostanze non si sarebbero verificate nel caso di specie;
- la determinazione della sanzione è stata ritenuta sufficientemente motivata alla luce del richiamo ai criteri stabiliti nella delibera di G.C. n. 37/2010;
- la mancanza del requisito del lotto minimo giustifica di per sé la mancanza del requisito di doppia conformità;
- l’Amministrazione non doveva attendere l’esito della domanda di nulla osta dell’Ente Parco – tra l’altro ininfluente nel caso di specie – ma sarebbe stato, eventualmente, onere dell’interessato provvedere all’allegazione dello stesso.
5. Avverso tale pronuncia il signor De Meo ha interposto l’appello in trattazione, notificato il 11/10/2022 e depositato il 04/11/2022, articolando i seguenti n. 8 motivi di gravame (pagine 4-10):
I) Error in procedendo ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla violazione della legge n. 241/1990 e delle garanzie procedimentali ed il difetto di istruttoria; vizio di omessa valutazione delle deduzioni fornite ed elementi fondamentali, in quanto il T.a.r. non si sarebbe pronunciato sul primo motivo di ricorso, con il quale si era dedotto che il Comune di Formia non aveva tenuto conto della presentazione del nulla osta presentata all’Ente Parco dei Monti Aurunci anche formulando all’Amministrazione comunale ampie deduzioni in data 07.09.2018;
II) Erroneità della pronuncia sotto altro profilo per omessa violazione [sic, ndr] degli arttt. 7 e 21-octies della legge n. 241/1990 con riferimento agli artt. 2, 6, 10, 27, 31, 32 e 41 del d.P.R. n. 380/2001. Motivazione apparente ed erroneità e falsità dei presupposti circa la presunta abusività dell’intervento per carenza di titolo edilizio; mancata valutazione della documentazione fotografica prodotta, in quanto il T.a.r. avrebbe valutato con estrema sinteticità l’assenza del permesso di costruire ritenendo irrilevante la destinazione d’uso del manufatto e ribadendo la natura vincolata dell’ingiunzione demolitoria;
III) Erroneità della pronuncia, in relazione alla preesistenza del manufatto ante 1967, violazione dell’art. 9-bis d.P.R. n. 380/2001 ed art. 31 L. n. 1150/1942; omessa disamina del vizio di carenza di motivazione e di istruttoria dell’ordinanza di demolizione n. 370/2018, atteso che dal rogito di compravendita nonché dalle aerofotogrammetrie risulterebbe che l’opera è stata realizzata antecedentemente al 1967 e, più precisamente, intorno al 1940. Alla luce dell’art. 31 della legge n. 1150/1942 non era necessario un titolo edilizio per gli immobili costruiti fuori dai centri abitati. Il Comune di Formia avrebbe anche dovuto svolgere degli autonomi accertamenti circa l’epoca di realizzazione dell’immobile, tenendo conto delle circostanze dedotte;
IV) Erroneità della pronuncia sotto il profilo della carenza dell’interesse pubblico all’eliminazione del presunto abuso ed errata qualificazione dell’efficacia del provvedimento di ingiunzione, in quanto l’appellante lamenta il mancato avvio della fase partecipativa ed istruttoria del procedimento, considerato che la partecipazione del privato avrebbe potuto portare ad un esito diverso. Lamenta il difetto di motivazione circa l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata alla luce del lungo tempo trascorso dalla realizzazione delle opere;
V) Erroneità della pronuncia in ordine preannunciata procedura di acquisizione e sanzionatoria, violazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001 ed art. 15, co. 5 della L.R. Lazio n. 15/2008, laddove viene esclusa la sanzione dell’acquisizione dell’area qualora l’opera non sia stata realizzata dall’attuale proprietario;
VI) Erroneità della pronuncia sulla determinazione della sanzione pecuniaria, in quanto la quantificazione della sanzione non sarebbe sorretta da alcuna motivazione né sarebbe stato ricostruito l’iter mediante il quale si è giunti a tale determinazione;
VII) Erroneità della pronuncia per violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 ed artt. 1, 2 e 3 della L. n. 241/1990, difetto di istruttoria e motivazione apparente, in quanto il Comune di Formia negava il permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del t.u. edilizia per mancanza del requisito di doppia conformità (momento di realizzazione dell’opera e momento di presentazione dell’istanza) stante il difetto del requisito del lotto minimo e dei requisiti ai fini dell’edificazione. L’appellante lamenta che non sarebbe stata considerata correttamente la data di realizzazione del manufatto, il quale – come risulterebbe dalla relazione del Geom. Larocca – sarebbe pienamente conforme agli strumenti urbanistici;
VIII) Erroneità della pronuncia violazione dell’art. 20 d.P.R. n. 380/2001 con riferimento all’art. 97 Costituzione, in ordine alla mancata applicazione del “soccorso istruttorio”, atteso che l’art. 20 comma 5 del t.u. edilizia, riferito al rilascio del permesso di costruire e che l’appellante ritiene applicabile al rilascio di tutti i titoli edilizi, avrebbe imposto all’Amministrazione di attivare il soccorso istruttorio. Pertanto, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha ritenuto che il Comune non dovesse attendere l’esito della domanda di nulla osta presentata all’Ente Parco.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e dei relativi motivi aggiunti e quindi l’annullamento degli atti impugnati.
7. Il Comune di Formia, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
8. In data 18 settembre 2025 parte appellante ha depositato memoria insistendo per l’accoglimento del gravame.
9. La causa, chiamata per la discussione all’udienza telematica del 22 ottobre 2025, è stata trattenuta in decisione.
10. L’appello, per le ragioni di cui infra, è da reputare infondato.
10.1. Con il primo motivo parte appellante lamenta che il T.a.r. non si sarebbe pronunciato in ordine alla mancata disamina da parte del Comune delle controdeduzioni formulate in sede endoprocedimentale, con le quali si era evidenziato di non avere ancora ricevuto richiesta di N.O. presentata all’Ente Parco dei Monti Aurunci.
Viene, quindi, in rilievo l’art. 28 della legge regionale del Lazio n. 29/2017, sulla base del quale l’appellante ha formulato detta istanza per l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria.
In particolare il primo comma del citato articolo prevede che “Il rilascio di concessioni od autorizzazioni, relativo ad interventi, impianti ed opere all'interno dell'area naturale protetta, è sottoposto a preventivo nulla osta dell'ente di gestione ai sensi dell'articolo 13, commi 1, 2 e 4, della l. 394/1991. Ai fini dell'acquisizione del nulla osta, le amministrazioni interessate convocano apposite conferenze di servizi ai sensi degli articoli 14, 14bis, 14ter, 14quater della l. 241/1990 e successive modifiche e dell'articolo 17 della legge regionale 22 ottobre 1993, n. 57 (Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa) e successive modifiche.”
Ebbene la giurisprudenza sul punto precisa che il nulla-osta dell’Ente Parco è finalizzata alla salvaguardia degli interessi a cui lo stesso è preposto, non riguardando la più generale repressione degli abusi edilizi. Si è così osservato che “la primarietà dell’interesse naturalistico-ambientale comporta l’autonomia, nonché l’irriducibilità e l’infungibilità, del regime speciale dei parchi rispetto alla disciplina generale urbanistico-edilizia, cui consegue il corollario per cui il nulla osta dell’ente parco costituisce atto non solo autonomo e preliminare rispetto al titolo edilizio, ma anche sempre preventivo rispetto agli interventi e alle opere edilizie. In altre parole, il nulla osta dell’ente parco non mutua caratteri e attitudini di altri titoli abilitativi, come la possibile acquisizione postuma, né si adatta ad altri regimi amministrativi, come quello di accertamento di conformità ex art. 36 testo unico dell’edilizia.” (cfr. Cons. Stato, Sez. II, n. 4472 del 22 maggio 2025).
Nel caso di specie, la sentenza del T.a.r. è quindi suscettibile di conferma in quanto il nulla osta dell’Ente Parco non ha assunto specifica rilevanza ai fini dell’adozione del provvedimento repressivo adottato.
10.2. Il secondo, terzo e settimo motivo d’appello sono suscettibili di essere esaminati congiuntamente poiché, in base alla valutazione di fatto circa l’epoca di realizzazione delle opere, si potrà determinare se questa siano state edificate in assenza del necessario permesso di costruire.
Ebbene le aerofotogrammetrie depositate in primo grado (documenti nn. 3 e 4) non consentono di cogliere quale sia la consistenza e la volumetria del fabbricato.
Viene in rilievo l’art. 31, comma 1, della legge n. 1150/1942, nella sua formulazione originaria:
“Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificare la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del Comune.”
Ebbene va evidenziato un preciso orientamento di questo Consiglio di Stato (Sez. VI, 28 aprile 2021, n. 3412) che così si esprime: “Spetta a colui che ha commesso l'abuso, l'onere di provare la data di realizzazione dell'immobile abusivo; non può quest'ultimo limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni, trasferendo il suddetto onere di prova contraria in capo all'amministrazione (cfr. Consiglio di Stato Sez. II, 30 aprile 2020, n. 2766)”.
La data di realizzazione dell’immobile, integra, in particolare, un fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio, tenuto conto che l’anteriorità del manufatto rispetto alla data di imposizione del vincolo invocato dal Comune a sostegno della propria decisione influirebbe sulla legittimità del provvedimento impugnato dinanzi al T.a.r., minando la correttezza del relativo accertamento amministrativo: quale fatto costitutivo, lo stesso deve, dunque, essere provato ex art. 2697 c.c dalla parte ricorrente, costituente, peraltro, in applicazione del principio di vicinanza della prova – pure rilevante ai fini del riparto dell’onere probatorio tra le parti -, l’unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2020, n. 454).
Non avendo la parte ricorrente dimostrato che le opere risalivano ad un’epoca in cui il regime amministrativo applicabile al diritto di edificazione non richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire o comunque analogo titolo edilizio, non può efficacemente lamentarsi l’illegittimità dell’ordine di demolizione di opere abusive per non avere il Comune accertato la datazione della loro realizzazione.
10.3. In ordine al difetto di motivazione, dedotto con il quarto motivo, si registra un del tutto consolidato orientamento di segno contrario alle deduzioni di parte appellante. Esso, infatti, così si esprime: << Circa il dedotto vizio di motivazione, asseritamente non rilevato dal Tar, è sufficiente richiamare l’orientamento consolidato della giurisprudenza, cui la Sezione si conforma, per il quale la natura vincolata dell’attività repressiva degli abusi edilizi «non richiede specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né comparazione alcuna con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né motivazione sulla sussistenza dell'interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione» (Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo, 2021, n.2380).
Quanto alla lamentata violazione dei diritti partecipativi, anch’essa evidenziata col motivo in esame, a tacere del fatto che la questione non costituiva oggetto di specifica impugnazione in primo grado, non può che rilevarsi come il provvedimento impugnato, in ragione della già affermata natura vincolata, «non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge per reprimere un abuso edilizio; inoltre, il presupposto di fatto del provvedimento di demolizione, ossia l'abuso, costituisce un elemento di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681; id., 25 febbraio 2019, n. 1281; Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4386)» (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2023, n. 383).
10.4. Va quindi esaminato il quinto motivo, con cui l’appellante invoca la previsione della legislazione regionale che esclude la sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune qualora il proprietario non sia responsabile dell’abuso.
Viene in rilievo l’art. 15, comma 5, della legge regionale del Lazio n. 15/2008: “Non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso.”.
La disamina del motivo impone di ripercorrere anche la normativa statale che, in base all’art. 31, comma 3, del t.u. edilizia, così statuisce: “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. Il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con atto motivato del comune fino a un massimo di duecentoquaranta giorni nei casi di serie e comprovate esigenze di salute dei soggetti residenti nell'immobile all'epoca di adozione dell'ingiunzione o di assoluto bisogno o di gravi situazioni di disagio socio-economico, che rendano inesigibile il rispetto di tale termine.”.
Ebbene, sulla questione sollevata si registra un preciso orientamento di questo Consiglio di Stato (sentenza, Sez. VII, 12 dicembre 2024, n. 10037) che così si esprime:
<< Con il secondo motivo si deduce “Censura del capo della sentenza che ha rigettato il motivo sub. 1.2 del ricorso r.g. 7138 del 2009. error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddizione della motivazione. violazione e falsa applicazione dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 15 l.r. lazio 15/2008”.
In sintesi, parte appellante ritiene che, stante il disposto dell’art. 15 comma 5, L.R. Lazio n. 15/2008 secondo cui “non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2, ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso”, l’Amministrazione non avrebbe potuto procedere all’acquisizione gratuita dall’area al patrimonio comunale sul solo presupposto dell’inerzia del proprietario appellante, in quanto non autore materiale delle opere contestate. […]
Quanto al motivo d’appello sulla non acquisibilità a titolo gratuito delle aree in caso di proprietario non responsabile dell’abuso / sull’onere di attivazione del proprietario dell’area per la rimozione delle opere abusive da parte dell’attuale detentore.
9.3 Il motivo è infondato.
L'ordinanza di demolizione può essere legittimamente notificata anche esclusivamente all'autore materiale dell'abuso, nel caso in cui non corrisponda con il proprietario dell'area interessata da lavori edilizi abusivi, ovvero a entrambi tali soggetti, ognuno onerato, per quanto di competenza, con il limite, nel caso in cui il proprietario non sia responsabile dell'abuso, della insuscettibilità del provvedimento repressivo e sanzionatorio a costituire titolo per l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime sulla quale insiste il bene.
Il ricorrente, nella qualità di proprietario, è comunque tenuto al ripristino dello status quo,
L'articolo 31 del citato DPR n. 380/2001 dispone, al comma 2, che "Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione e la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3".
Quest'ultimo prevede che "Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché, quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L'area acquisita non può essere comunque superiore a dieci volte la superficie utile abusivamente costruita".
In base al comma 4 "L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente".
Il comma 4 bis prevede che "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti".
L'articolo 15 della legge regionale n. 15 del 2008 contiene disposizioni di analogo contenuto.
È previsto, invero, che l'autorità comunale "ingiunge al responsabile dell'abuso, nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo, la demolizione dell'opera ed il ripristino dello stato dei luoghi in un congruo termine" (comma 1), che "se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi ....l'opera e l'area di sedime, nonché quella necessaria , secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio del comune "( comma 2), che "L'accertamento dell'inottemperanza comporta, altresì, l'applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2000 euro ad un massimo di 20.000 euro, in relazione all'entità delle opere"( comma 3).
Dalla lettura combinata delle disposizioni sopra citate risulta in primo luogo quali sono i soggetti "responsabili" degli abusi laddove esista un titolo abilitativo, individuati nel "titolare del titolo abilitativo, nel committente e nel costruttore", nonché nel "direttore dei lavori" (art. 29 DPR n. 380/2001 e art. 12 l.r. n. 15/2008).
La previsione è logica, trattandosi dei soggetti direttamente interessati alla realizzazione delle opere, sia in quanto intestatari del titolo abilitativo, sia in quanto soggetti alla cui volontà è ricondotta la realizzazione, sia in quanto materiali esecutori delle stesse.
In tale contesto si inseriscono, poi, le previsioni degli articoli 31 del DPR n. 380/2001 e dell'articolo 15 della citata legge regionale che prevedono, in caso di lavori abusivi, l'ingiunzione di demolizione al responsabile dell'abuso ed al proprietario.
Orbene, quest'ultimo assume logicamente una responsabilità di tipo "sussidiario", nel senso cioè che, pur quando egli non sia responsabile dell'abuso, è tenuto a dare esecuzione all'ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile.
Il perseguimento dell'interesse pubblico urbanistico è, invero, interesse pubblico di carattere preminente e, dunque, l'ordinamento vuole che la legalità violata sia ripristinata anche dal proprietario.
Tanto discende anche dalla natura "reale" dell'illecito e della sanzione urbanistica, i quali sono riferibili alla res abusiva e, dunque, il ripristino dell'equilibrio urbanistico violato viene a fare carico anche sul proprietario.
Nulla quaestio nel caso in cui egli sia soggetto connivente, ma nel caso in cui lo stesso non risulti responsabile dell'abuso né sia nella disponibilità e nel possesso del bene, risulta evidente che l'ordine non può produrre effetti nei suoi confronti se non quando egli ne riacquisti la disponibilità e il possesso e, dunque, sia nella materiale possibilità di dare corso all'esecuzione dell'ordine demolitorio.
In definitiva, va ribadito il dovere di adoperarsi per la rimozione degli abusi in capo al proprietario non responsabile
Per pacifica giurisprudenza, inoltre, sia l'acquisizione gratuita del bene e dell'area di sedime, sia le sanzioni pecuniarie, previste in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione, possono lasciare indenne il proprietario, che sia rimasto estraneo all'esecuzione delle opere prive di titolo abilitativo - e che non abbia la disponibilità delle stesse - ferma restando, tuttavia, una presunzione di corresponsabilità a carico del medesimo. Detto proprietario infatti - nel rispetto dei doveri di diligente amministrazione, correttezza e vigilanza nella gestione dei beni immobiliari, di cui abbia la titolarità - è tenuto ad adoperarsi, con i mezzi previsti dall'ordinamento, per impedire la realizzazione di abusi edilizi, o per agevolarne la rimozione, soprattutto dopo essere stato preavvertito, come nel caso di specie, dell'avvio del procedimento sanzionatorio (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 11 luglio 2014, n. 3565; Cons. St., sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2027 e 4 luglio 2014, n. 3409). >>.
Con un ulteriore condivisibile pronuncia questo Consiglio (sez. VI, sentenza 26 febbraio 2021, n. 1648) si è espresso nei termini che seguono:
<< secondo i principi generali, il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso;
- il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso;
- non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l'attuale proprietario imponga all'Amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale;
- neppure l’appellante può invocare l’argomento secondo cui, non essendo responsabile dell’abuso eseguito dal suo dante causa, la stessa non potrebbe subire gli effetti della confisca;
- in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, perché quest’ultimo possa andare esente dalla misura consistente nell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene (ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), occorre che risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone lo stesso venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento (ex plurimis, Consiglio di Stato, sentenza n. 775 del 2018);
- il proprietario incolpevole, se è ancora pendente il termine fissato nella ordinanza di demolizione, deve dunque provare la intrapresa di iniziative idonee a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall’autorità amministrativa;
- tale assunto vale a maggior ragione nelle ipotesi in cui il nuovo proprietario sia subentrato iure hereditatis nella sfera giuridica del responsabile dell’abuso, continuandone la personalità;
- anche ai fini dell’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU, l’ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni è giustificata per la tutela di un interesse generale legittimo, ovvero quello della tutela del territorio, e l’interessato non sopporta un «onere individuale eccessivo», in quanto egli può scongiurare l’effetto ablativo rimuovendo l’abuso (diversamente opinando, sarebbe agevole aggirare la normativa repressiva);
- in questo senso va interpretata anche la norma di cui all’art. 15, comma 5, della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008, secondo cui «non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso» >>.
Per giunta, come osservato di recente in prime cure, “Quanto all’art. 15, comma 5, della L.R. n. 15/2008, che parte ricorrente ritiene applicabile al caso di specie, è indubbiamente vero che tale disposizione prevede che “[n]on si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso”.
Tuttavia, da un lato, tale previsione riguarda unicamente l’acquisizione dell’area in cui l’abuso è stato realizzato e non preclude la demolizione dell’abuso a carico del proprietario dell’immobile in cui l’abuso è stato realizzato, dall’altro, sarà il proprietario dell’immobile, che assume di non avere alcuna responsabilità nella violazione edilizia, a dover far valere la dedotta violazione dell’art. 15, comma 5, della L.R. n. 15/2008, in occasione dell’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale.” (T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-stralcio, sentenza 2 gennaio 2025, n. 34).
Il motivo in esame va quindi respinto in quanto, secondo le anzidette coordinate interpretative, non emerge con adeguata evidenza l’estraneità dell’odierno appellante alla realizzazione dell’abuso.
10.5. Circa il sesto motivo d’appello, concernente l’asserita violazione del principio di proporzionalità nella quantificazione della sanzione pecuniaria, viene in rilievo l’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001: “L’autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.”
Ebbene, fatta questa premessa al fine di ricostruire la cornice normativa in materia, viene in evidenza, in ordine alla graduazione dell’importo della sanzione, una precisa pronuncia di questo Consiglio di Stato (sentenza sez. VII, 17 giugno 2025, n. 5277) che così si esprime:
<< La sanzione disposta con l'ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, invece l'acquisizione gratuita, quale conseguenza dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e della relativa omissione, ha natura afflittiva, così come la correlata sanzione pecuniaria (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 11 ottobre 2023, n. 16).
Nel caso di specie, come ha rilevato il primo giudice, sono stati realizzati due fabbricati di 400 e 300 mq. in cemento armato, dunque opere di rilevante entità che sicuramente giustificano l’applicazione della sanzione nella misura in concreto stabilita.
A ciò va aggiunto che anche il regolamento comunale impugnato gradua la sanzione in relazione all’entità dell’abuso contestato facendo rifermento ai metri quadrati o cubi realizzati senza titolo: tale graduazione è espressione del potere discrezionale esercitato dall’amministrazione nell’ambito della sua potestà regolamentare.
Si tratta di un potere che, per come esercitato, non risulta né illogico né irragionevole, proprio perché àncora l’entità della sanzione a dati oggettivi quali metri quadrati o metri cubi, così sfuggendo alle censure formulate dall’appellante.
C.G.A.R.S., Sez. riunite, parere n. 26/2024 e data 07.02.2024 Spedizione
8. Il comma 4-bis dell’art. 31 stabilisce, quindi, in via generale che, in caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, l’Amministrazione deve irrogare, a seconda della tipologia e delle caratteristiche dell’illecito, sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale, una sanzione pecuniaria il cui ammontare può variare da un importo minimo di 2.000 euro fino a un massimo di 20.000 euro. La stessa norma, rinviando al comma 2 dell’art. 27, prevede che la sanzione deve essere sempre applicata nella misura massima nei casi di abusi realizzati su aree e su edifici soggetti a vincolo di inedificabilità, o aree destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ex lege n. 167/1962 o soggette a rischio idrogeologico elevato. >>.
In conclusione sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene sì applicabile il principio di proporzionalità alle sanzioni in materia edilizia, ma i casi di annullamento per l’illegittima determinazione dell’ammontare tendono a riguardare l’irrogazione della sanzione nella misura massima, ovvero casi ben distinti da quello in esame. E’ quindi suscettibile di condivisione e, quindi, di conferma quanto osservato dal T.a.r. nel senso che l’infondatezza del motivo in esame trova adeguato conforto nella stessa quantificazione della sanzione ben lontana dal tetto massimo contemplato dalla normativa in materia.
10.6. L’ottavo motivo di appello concerne l’omessa attivazione del soccorso istruttorio per quanto riguarda il procedimento di rilascio del nulla osta a cura dell’Ente Parco.
Lamenta, in particolare, parte appellante che l’Amministrazione sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 20, comma 5, DPR n. 380/2001, secondo cui, in ordine al procedimento di rilascio del permesso di costruire, “Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell'amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa”.
Orbene, l’esigenza istruttoria addotta da parte appellante è correlata, alla luce del valorizzato passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza che inerisce a tale profilo censorio (“non spettava al Comune di Formia, attendere l’esito della domanda di nulla osta dell’Ente Parco – peraltro ininfluente ai fini della valutazione nel caso di specie – ma sarebbe stato onere dell’interessato, eventualmente, allegarlo alla domanda di sanatoria”) al rilascio di una specifica autorizzazione che, come correttamente osservato dal T.a.r., afferisce alla materia ambientale e pertanto alcuna specifica refluenza può avere sul profilo edilizio che riguarda il provvedimento impugnato in prime cure. Anche tale motivo è pertanto da reputare infondato.
11. Tanto premesso, l’appello deve essere respinto.
12. Nessuna determinazione va assunta sulle spese di giudizio stante la mancata costituzione di parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 8360/2022), lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113 con l’intervento dei magistrati:
Giovanni Sabbato, Presidente, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere
Maria Grazia Vivarelli, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere




