Consiglio di Stato Sez. IV n. 9336 del 26 novembre 2025
Urbanistica.Variante S.U.A.P.

La c.d. variante S.U.A.P. dal punto di vista contenutistico è una variante urbanistica del tutto analoga a quelle “ordinarie”: la differenza consiste nelle premesse e nel procedimento. L’esito favorevole della conferenza di servizi tuttavia non vincola il Consiglio comunale, anche se l’eventuale diniego di approvazione della variante deve fondarsi su di una adeguata istruttoria e soprattutto deve essere supportato da idonea motivazione.

Pubblicato il 26/11/2025
N. 09336/2025REG.PROV.COLL.

N. 06897/2025 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6897 del 2025, proposto dal Comune di San Benedetto del Tronto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Lucchetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Associazione di Produttori Promarche Società Cooperativa Agricola per Azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Storoni, Giovanni Corbyons, Francesco Ferdinando Bargnesi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Ascoli Piceno, Presidente del Consiglio Comunale del Comune di San Benedetto del Tronto, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 00419/2025, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Associazione di Produttori Promarche Società Cooperativa Agricola per Azioni e del Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2025 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Nel presente giudizio è controversa la legittimità della delibera di Consiglio comunale n. 143 del 3 settembre 2024 con la quale il Comune di San Benedetto del Tronto ha convalidato la precedente deliberazione consiliare n. 108 del 15 giugno 2024, atti mediante i quali il Comune ha negato l’approvazione di una variante c.d. S.U.A.P., che l’Associazione di Produttori Promarche Società Cooperativa Agricola per Azioni (d’ora innanzi Promarche) ha chiesto ai sensi degli artt. 8 del D.P.R. n. 160/2010 e 26-quater della L.R. n. 34/1992 al fine di realizzare, nella zona di Porto d’Ascoli, un impianto di stoccaggio a bassa temperatura e movimentazione informatizzata degli ortaggi surgelati commercializzati dalla ricorrente.

Con ricorso iscritto al n. 376/2024 R.G., Promarche ha impugnato la deliberazione n. 108 del 2024 dinanzi al T.a.r. per le Marche che con sentenza n. 769/2024 lo ha dichiarato improcedibile a motivo della sopravvenuta deliberazione di convalida n. 143 del 3.9.24 con cui il Comune integrava la motivazione del diniego.

La sentenza, impugnata da Promarche e, in via incidentale, anche dal Comune, veniva confermata dal Consiglio di Stato con diversa motivazione, precisando, in particolare, che la deliberazione n. 143 doveva essere qualificata, per l’appunto, quale atto di convalida della precedente delibera n. 108, anziché quale conferma.

Nelle more, con separato ricorso, Promarche ha impugnato la delibera di C.C. di convalida n. 143/2024, dinanzi al T.a.r. per le Marche che con sentenza n.419/2025 ha accolto il ricorso, annullando la delibera n. 143/2024 per difetto di motivazione, dopo aver ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune sul presupposto della sussistenza di un effetto preclusivo derivante dal precedente giudizio sulla delibera n. 108 del 2024.

Secondo il T.a.r. la deliberazione n. 143/2024 sarebbe illegittima in quanto il Consiglio comunale:

- non si sarebbe confrontato, in generale, con le risultanze emerse dalla conferenza di servizi e dal sub-procedimento di screening di V.A.S.;

- la decisione finale del Consiglio Comunale poggerebbe unicamente sulla seguente affermazione: “…Non c'è bisogno di fare valutazioni d’impatto, siamo a 400 metri dal perimetro della Sentina. Non è proprio così. Perché siamo a 50 metri dal perimetro della Sentina.” Si tratta di una valutazione che, in assenza di qualsiasi dato documentale oggettivo, pretende di mettere in dubbio le valutazioni tecniche svolte in particolare dall’autorità competente in materia di V.A.S., senza considerare peraltro che la competente Soprintendenza non ha formulato alcun rilievo in assenza di vincoli sull’area;

- non sarebbe dirimente il richiamo all’ampia discrezionalità di cui il Comune è titolare in materia di pianificazione urbanistica, perché nella specie andava svolta una valutazione comparativa dei contrapposti interessi, mettendo a confronto gli elementi a favore dell’approvazione della variante (il fatto che l’area in questione è già classificata zona D2 ed è confinante con la linea ferroviaria adriatica; il ridotto consumo di suolo; il risparmio di CO2 derivante dalla concentrazione in un unico sito delle attività di Promarche; le soluzioni progettuali finalizzate a ridurre anche l’impatto visivo del nuovo capannone - si veda la relazione tecnica allegato n. 12 al ricorso; la circostanza che il progetto ha conseguito un finanziamento a valere sui fondi del PNRR; l’assenza di qualsivoglia contrasto dell’intervento con la pianificazione sovracomunale e con vincoli di qualsiasi genere) e quelli che invece militavano per la non approvazione.

Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il Comune, chiedendone la riforma in quanto errata in diritto.

Si è costituita in giudizio la Promarche per resistere all’appello, chiedendo la sua reiezione nel merito in quanto infondato ed eccependo preliminarmente la sua inammissibilità per intervenuta acquiescenza alla sentenza del T.a.r. - avendo il Comune provveduto a farvi esecuzione - ed anche per la presenza, nel corpo del ricorso, di motivi c.d. detti intrusi.

Alla udienza pubblica del 13 novembre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di replica con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive.

L’appello del Comune è stato affidato a sette motivi di censura come di seguito sintetizzati:

1. Con il primo motivo ha dedotto: “Violazione di legge in relazione all’art. 21 nonies della L. n° 241/90 per avere la sentenza omesso di considerare la qualifica della deliberazione di CC n° 143/24 come “atto di convalida” così come statuita dalla pronuncia di Codesto Ecc.mo CdS (Sez. IV, 11.03.2025 n° 2005) nonché ulteriore violazione di legge in relazione agli artt. 1 e 112 del CPA nonché dell’Art. 324 c.p.c. ed art. 2909 c.c. nella parte in cui la sentenza elude il vincolo formatosi sulla statuizione del rigetto del ricorso in appello e sulla conseguente intangibilità dei provvedimenti impugnati in Primo Grado.”

Lamenta la erroneità della sentenza del T.a.r. per violazione del giudicato formatosi sulla sentenza resa in relazione alla delibera n. 108 del 2024 oggetto di convalida e per violazione dei principi in materia di convalida degli atti amministrativi.

2. Con il secondo motivo ha dedotto: “Violazione di legge in relazione all’art. 3 della L. n° 241/90 e ss.mm.ii. quanto all’esatta configurazione degli obblighi di motivazione relativi alle scelte urbanistiche nella parte in cui la sentenza afferma l’esistenza di uno specifico obbligo di motivazione del dissenso esclusivamente circoscritto agli argomenti allegati dalla parte privata istante nonché in relazione all’art. 8 del DPR n° 160/2010 e ss.mm.ii. nella parte in cui la sentenza afferma la vincolatività della proposta degli uffici quale obbligo di motivazione rafforzata in dissenso rispetto alla proposta degli uffici medesimi ed infine in relazione all’ulteriore co. 3 del medesimo art. L. n° 241/90 e ss.mm.ii. con riguardo ai principi circa la formazione dei deliberati degli organi collegiali a carattere politico nella parte in cui la sentenza ritiene carente la motivazione (così come operata con il rinvio ai contenuti del dibattito consiliare) e in tal modo comprime le prerogative di pianificazione del territorio comunale, così come accordate in via generale dal Testo Unico dell’Ente Locale”.

Il T.a.r. avrebbe errato nel ritiene non assolto l’obbligo di motivazione della scelta urbanistica operata dal Consiglio comunale negando la variante puntuale.

L’onere di motivazione gravante sull'amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e mirata. Le scelte urbanistiche, dunque, richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un'area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledono le legittime aspettative.

La decisione urbanistica è intrinsecamente una scelta politico-amministrativa discrezionale del Consiglio Comunale volta a comporre interessi pubblici e privati molteplici. Il Consiglio comunale nell’optare per una variante di tipo generale anziché puntuale ha esercitato una scelta di merito non sindacabile. I giudici di prime cure contestano la mancanza di motivazione minima, ma la stessa è presente nel dibattito consiliare. Inoltre, la sentenza impugnata ha erroneamente conferito valore vincolate ai pareri resi nell’ambito del procedimento ex art. 8, comma 1, del DPR 160 del 2010, mentre si tratta di un procedimento speciale volto a semplificare le procedure per addivenire ad una variante della pianificazione, ma non individua, in capo al privato che ha acquisito gli assensi da parte delle amministrazioni o degli organi partecipanti alla conferenza, un interesse pretensivo rafforzato, tale da far valere in sede pianificatoria, né restringe la discrezionalità del Comune nel decidere con quali modalità procedere alla pianificazione urbanistica del suo territorio e non richiede neppure una particolare motivazione.

3. Con il terzo motivo di appello ha dedotto: “Ulteriore violazione di legge in relazione agli artt. 1 e 112 del CPA nonché dell’art. 324 c.p.c. ed art. 2909 c.c. nella parte in cui la sentenza si contrappone frontalmente all’esito del giudizio reso da Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato (con la sentenza della Sez. IV, 11.3.2025 n° 2005) e determina un sostanziale nuovo giudizio sulla domanda di annullamento in precedenza disattesa nell’ambito del procedimento conclusosi in doppio grado ed inoltre ulteriore violazione di legge in relazione all’art. 21 nonies della L. n° 241/90 2909 per avere la sentenza invertito il rapporto tra atto convalidato ed atto convalidante quanto alla decorrenza degli effetti di convalida nonché infine violazione di legge in relazione agli artt. 63 e 64 del CPA di cui al D.Lgs. n° 104/10 e ss.mm.ii. nonché all’art. 112 c.p.c. così come fondanti il principio dispositivo rispettivamente nel processo amministrativo e nel processo civile nella parte in cui la sentenza impugnata pone a fondamento della propria decisione un documento non prodotto dalla parte ricorrente ma conosciuto dal Giudicante per essere stato prodotto dalla medesima parte ricorrente in altro giudizio.”

Il T.a.r. ha violato il divieto di “bis in idem”, avendo sottoposto a nuovo sindacato di legittimità, il complesso provvedimentale già impugnato avanti agli organi di Giustizia Amministrativa e conservato intatto, nell’efficacia, all’esito di tale sindacato. La sentenza impugnata non si avvede che la pronuncia resa dal Consiglio di Stato, ben lungi dall’essere una pronuncia di rito, ha statuito sul legittimo esercizio del potere di convalida.

4. Con il quarto motivo di appello deduce: “Violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 120 comma 7 c.p.a. nonché dell’art. 12 bis del D.L. n° 68/2022 e ss.mm.ii. nella parte in cui la sentenza ritiene che non ricorresse l’onere per la parte ricorrente di impugnare con motivi aggiunti la delibera di convalida al fine di evitare l’insorgenza della sopravvenuta carenza di interesse avverso la delibera convalidata.”

L’appellante censura il capo della sentenza che ha escluso l’onere del ricorrente di impugnare con motivi aggiunti, nel primo giudizio, la sopravvenuta delibera di convalida per evitare l’insorgenza sopravvenuta di carenza di interesse. La sentenza, nel pronunciare sull’atto convalidante, omette di considerare la rilevanza del giudicato formatosi sull’atto convalidato e determina esattamente quella situazione di contrasto tra pronunce che l’onere di impugnazione degli atti della medesima sequenza procedimentale, all’interno del medesimo giudizio, era preordinato ad evitare.

5. Con il quinto motivo l’appellante censura: “Ancora ulteriore violazione di legge in relazione all’art. 21 nonies della L. n° 241/90 e ss.mm.ii. da parte della sentenza impugnata nella parte in cui la medesima sentenza afferma la distinzione tra “effetti sostanziali” ed “effetti processuali” della convalida che 2909 per avere la sentenza invertito il rapporto tra atto convalidato ed atto convalidante quanto alla decorrenza degli effetti di convalida nonché conseguente violazione di legge in relazione all’art. 29 del D.Lgs. n° 104/10 e ss.mm.ii. per avere la sentenza determinato una sostanziale elusione del termine di decadenza per l’introduzione dell’azione di annullamento in sede di giurisdizione di legittimità”.

Secondo l’appellante la sentenza impugnata ricostruisce l’istituto della convalida in modo errato. Se l’atto convalidato diviene non ulteriormente sindacabile, come affermato dal T.a.r. e dal Consiglio di Stato, la sentenza non riesce a fornire risposta al quesito su quale sia il perdurante interesse a coltivare il giudizio avverso l’atto convalidante.

L’atto convalidante doveva essere impugnato nel medesimo giudizio avverso l’atto convalidato e se così non è stato, tanto è avvenuto in esito ad una specifica scelta della parte ricorrente, la quale ha omesso tale impugnazione, non solo nel corso di tutto il giudizio di primo grado avverso l’atto convalidato ma anche nel tempo richiesto dal giudizio di appello, ancora relativo al sindacato sull’atto convalidato. La sentenza impugnata consente la riproposizione di un giudizio già definito, non solo in violazione del principio di ne bis in idem, ma altresì in sostanziale elusione del termine di decadenza per l’introduzione dell’azione di annullamento in sede di giurisdizione di legittimità, ammettendo la reintroduzione di mezzi di censura avverso la medesima determinazione provvedimentale.

6. Con il sesto motivo l’appellante deduce: “Violazione di legge in relazione all’art. 42 comma 1 in tema di potere di indirizzo del CC ed all’Art. 42 comma 2° lett. b) del Testo Unico per gli Enti Locali di cui al D.Lgs. n° 267/2000 e ss.mm.ii. relativo alle attribuzioni del CC in tema di programmazione e pianificazione del territorio nella parte in cui ala sentenza impugnata nonché ulteriore violazione di legge in relazione alle previsioni tipiche di cui all’art. 134 del CPA di cui al D.Lgs. n° 104/10 e ss.mm.ii. per le ipotesi di giurisdizione di merito nell’ambito delle quali è ammesso impingere il merito della scelta amministrativa nonché in relazione all’art. 31 comma 3° del CPA di cui al D.Lgs. n° 104/10 e ss.mm.ii. allorquando stabilisce che il “Giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione”.

La sentenza sia per l’intensità del sindacato di legittimità esercitato sia nel vincolo imposto all’amministrazione impinge in valutazioni di merito riservate all’amministrazione.

7. Con il settimo motivo l’appellante deduce in via subordinata, rispetto al motivo precedente: “Ulteriore violazione di legge in relazione all’art. 8 del DPR n° 160/10 e ss.mm.ii. allorquando la sentenza impugnata travisa la fattispecie concreta oggetto di giudizio sotto molteplici aspetti rispettivamente costituiti dall’altezza dell’insediamento ed inoltre vicinanza del sito alla Riserva naturale della Sentina dal ridotto consumo di suolo ed ancora dalla necessaria considerazione delle soluzioni progettuali finalizzate a ridurre anche l’impatto visivo del nuovo capannone nonché dalla circostanza secondo cui il progetto ha conseguito un finanziamento a valere sui fondi del PNRR nonché circa l’assenza di qualsivoglia contrasto dell’intervento con la pianificazione sovracomunale allorquando la sentenza impugnata ha ritenuto rilevanti tutti tali temi ai fini della pronuncia di annullamento infine resa”.

La sentenza impugnata avrebbe espresso valutazioni non condivisibili e comunque di merito quanto alle motivazioni addotte dal Consiglio comunale circa: l’altezza eccessiva e del tutto inedita nel territorio regionale del capannone progettato da Promarche, con conseguente impatto visivo notevole e tale da impedire la visuale delle colline retrostanti e della vallata del Tronto; la vicinanza del capannone all’area naturale protetta della Sentina; l’ampia discrezionalità del Consiglio Comunale in materia di pianificazione urbanistica; il parere contrario dell’Area Gestione del Territorio del Comune di San Benedetto del Tronto.

Tanto premesso l’appello è fondato.

Il Comune chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per le Marche di annullamento, per difetto di motivazione, del diniego di variante SUAP opposta dal Comune alla società istante (che per l’ampliamento beneficia di fondi PNRR) e che il T.a.r. non ritiene sufficientemente motivata, nemmeno nel successivo provvedimento di convalida, oggetto specifico del presente contenzioso, dopo che un precedente analogo giudizio sul diniego oggetto di successiva convalida, era stato dichiarato improcedibile stante la sopravvenuta convalida, non impugnata con motivi aggiunti ma contestata, per l’appunto, con separato giudizio poi definito con la odierna sentenza appellata.

In fatto l’appellante intende realizzare un nuovo impianto di stoccaggio automatizzato, finanziato con fondi PNRR che impone necessariamente un’altezza di m. 29 in ragione delle sue caratteristiche tecnologiche, mentre l’area nella quale è stata programmata l’opera è classificata quale zona omogenea artigianale-industriale-commerciale di completamento D2 e disciplinata dall’art. 40/b delle NTA del PRG; tuttavia i parametri urbanistici previsti dal citato art. 40/b risultano compatibili con il progetto, ad eccezione delle altezze: infatti, la norma di piano prevede che gli edifici, ad esclusione dei volumi tecnici, debbano avere un’altezza massima di mt 11,00. Alla luce di tale circostanza, dunque, l’unico strumento plausibile per la realizzazione dell’intervento è stato individuato in una variante ex artt. 8 del D.P.R. n. 160/2010 e 26-quater della L. R. n. 34/1992.

Con determinazione del 9.5.2024 n. 476, il Dirigente dell’Area Attività Produttive del Comune, preso atto dei pareri favorevoli di tutte le Amministrazioni intervenute, ha dichiarato la conclusione positiva della Conferenza di servizi ed ha trasmesso tale provvedimento al Presidente del Consiglio Comunale per le decisioni di competenza.

Con deliberazione n. 108 del 15.6.2024, pubblicata il 5.7.2024 unitamente al resoconto stenografico della seduta pubblica, il Consiglio Comunale ha però respinto la domanda di variante, mentre con nota del 16.07.2024 prot. 54898 l’Amministrazione ha poi comunicato il diniego del Titolo Unico – oggetto di un primo giudizio, definito con declaratoria di improcedibilità stante la sopravvenuta adozione di un nuovo provvedimento, avente natura di convalida, oggetto del presente giudizio.

Tanto premesso in fatto, sono infondate le eccezioni processuali sollevate dal comune appellante circa un presunto effetto preclusivo del ricorso di primo grado, derivante dalle sentenze di improcedibilità rese sul ricorso avente per oggetto il provvedimento originario di diniego poi convalidato.

L’adozione del provvedimento di convalida non solleva la parte dall’onere di impugnare tale nuovo provvedimento in cui si concentra l’effetto lesivo, in quanto:

a) la sentenza del T.a.r. Marche n. 769/2024, al pari di quella di Codesta Sezione n. 2005/2025, non sono decisioni di merito che si pronunciano sulla legittimità dell’effetto convalidante, ma si esprimono in rito e prendono solo atto dell’impossibilità di pronunciarsi nel merito a fronte di un provvedimento nuovo ed autonomo che il T.a.r. qualifica come conferma ed il Giudice d’Appello come convalida;

b) nessuna norma processuale obbligava Promarche alla proposizione di motivi aggiunti nel medesimo giudizio sicchè legittimamente ha agito con separato ricorso per contestare il provvedimento di convalida che, saldandosi con quello convalidato, sanandolo, perfeziona la fattispecie provvedimentale, rinnovando al contempo l’effetto lesivo. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito al riguardo che “l’esercizio del potere di convalida (ratifica) comporta, com’è avvenuto nel caso di specie, l’adozione di un provvedimento, nuovo ed autonomo rispetto a quella da convalidare, di carattere costitutivo, che si ricollega all’atto convalidato al fine di mantenerne gli effetti fin dal momento in cui esso è stato emanato, nuovo atto che non è affatto sottratto al sindacato giurisdizionale” (Consiglio di Stato, Sez. V, del 24.4.2013 n. 2278,); in generale Cons. Stato Sez. VI, del 27.4.2021 n. 3385 (ripresa da Cons. Stato, Sez. V, 27.10.2023 n. 9298) ha chiarito che: “La convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla "saldatura" con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma. L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (si tratta di una opinione risalente quantomeno a Consiglio di Stato, sez. V, 21 luglio 1951, n. 682). La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo.”

Donde l’infondatezza dell’eccezione e con essa dei motivi sul punto articolati (1, 3, 4 e 5).

Infondata è anche l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata da Promarche per avere il Comune dato esecuzione alla sentenza del T.a.r., adottando una nuova delibera di C.C., la n. 94 del 17 luglio 2025.

Sebbene il Comune si sia rideterminato, in dichiarata esecuzione della sentenza del T.a.r. qui impugnata, già nel luglio 2025, confermando il diniego, prima della notifica dell’appello, l’appello non è inammissibile poiché il Comune ha precisato di non aver prestato acquiescenza alla pronuncia del T.a.r. e che si è dato corso all’esecuzione solo perché dovuta, facendo ivi espressamente riferimento all’intenzione di interporre appello.

In particolare poiché nella nuova delibera si fa riferimento alla intenzione di gravare la sentenza, tanto basta ad evidenziare la insussistenza di una volontà univoca di prestare acquiescenza alla sentenza del T.a.r.: il Consiglio Comunale di San Benedetto del Tronto, come emerge testualmente dalla deliberazione n° 94 del 17.07.2025, ha evidenziato che, la nuova determinazione consiliare, è intervenuta “in fase di presentazione del ricorso in appello dell’Ente al Consiglio Stato avverso la sentenza TAR Marche n. 419/2025” (peraltro già deciso con la determinazione dirigenziale n° 871 del 09.07.2025).

Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata sempre da Promarche per la asserita presenza di motivi c.d. intrusi poiché, invero, l’appellante concentra la propria difesa sui motivi appello, dando per noti lo svolgimento del processo e la vicenda storica all’origine del contenzioso, mentre non si rilevano motivi di appello inseriti nella esposizione in fatto, in realtà assente laddove i fatti di causa sono stati richiamati solo per quanto strettamente necessario a contestualizzare il motivo di gravame.

Nel merito l’appello è fondato quanto ai motivi 2 e 6 perché la scelta del Comune, per un verso, riveste anche connotazioni latamente discrezionali e di merito e, per altro verso, la delibera di convalida esplicita in modo chiaro i motivi del diniego.

Per giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato e dei T.A.R., la c.d. variante S.U.A.P. dal punto di vista contenutistico è una variante urbanistica del tutto analoga a quelle “ordinarie”: la differenza consiste nelle premesse e nel procedimento. L’esito favorevole della conferenza di servizi tuttavia non vincola il Consiglio comunale, anche se l’eventuale diniego di approvazione della variante deve fondarsi su di una adeguata istruttoria e soprattutto deve essere supportato da idonea motivazione.

Nel caso di specie Comune con il provvedimento di convalida ha espressamente motivato ed esplicitato la propria contrarietà ad un percorso di variante “puntuale” anziché “generale” ritenuta preferibile e soprattutto ha chiarito l’impatto della deroga alla disciplina delle altezze (chiesta per la realizzazione del magazzino) rispetto al contesto paesaggistico circostante, secondo quanto emerso dal dibattito consiliare in cui i consiglieri hanno evidenziato unanimemente l’impatto del realizzando magazzino (definito come enorme “parallepipedo” avente 70 m. di larghezza, 47 m. di profondità e quasi 30 m. di altezza) sul territorio circostante (limita la vista sulle colline del Tronto, è posto a 600 m dal mare, a ridosso di nuclei abitati e a 60 m. dal perimetro esterno del Parco della Sentina).

Il dibattito ha inoltre evidenziato che analoghe proposte di variante sono state tutte respinte e che il Comune si sta difendendo in diversi giudizi per rivendicare le proprie prerogative – anche alla luce degli impegni assunti in campagna elettorale - a portare avanti una variante generale per la quale sono stati già incaricati dei professionisti.

Il fatto che le risultanze procedimentali fossero tutte favorevoli dal punto di vista tecnico giuridico non può vincolare il Consiglio Comunale ad una scelta di merito circa la modalità di intervento sul PRG vigente (variante puntuale o generale).

Sul punto deve rammentarsi che trattandosi di variante urbanistica, per costante e risalente giurisprudenza la posizione del privato rispetto a modifiche in melius della pianificazione urbanistica è di mera aspettativa di fatto, poiché il Comune gode della più ampia discrezionalità in materia; in particolare è stato chiarito che “non è comunque configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’amministrazione, ma soltanto un’aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell’immobile” (Cons. Stato, Ad. plen. n. 24/1999).

Deve aggiungersi che neppure l’esito positivo della presupposta conferenza di servizi può far sorgere in capo al soggetto istante una posizione di aspettativa qualificata idonea a condizionare la decisione dell’unico organo competente in materia, il Consiglio Comunale, decisione che resta connotata da amplissima discrezionalità anche in ragione delle presenza di valutazioni espressione dell’indirizzo politico amministrativo di maggioranza che sfuggono al sindacato giurisdizionale laddove non manifestamente abnormi o irragionevoli, ipotesi non ricorrente nel caso di specie.

Sul punto la giurisprudenza ha costantemente ribadito tale principio (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 26 settembre 2024, n. 7815) anche con riferimento agli strumenti di pianificazione attuativa, nel senso cioè che “al Comune deve essere riconosciuta una sfera di discrezionalità in ordine all’approvazione del Piano particolareggiato, nell’an e nel quando oltre che nei contenuti, anche quando questo sia d’iniziativa privata, perché spetta all’Ente, che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo (art. 3, co. 2, del TUEL), valutare i tempi e la stessa opportunità di provvedervi (sul punto si v., tra le tante, Cons. St., sez. IV, sent. n. 2572 del 2021, secondo cui «in sede di approvazione di un piano attuativo, all’Amministrazione comunale spetta un’ampia discrezionalità valutativa (a maggior ragione se si tratta di una variante), che non riguarda solo gli aspetti tecnici della conformità o meno agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma coinvolge anche l’opportunità di dare attuazione, in un certo momento e a determinate condizioni, alle previsioni dello strumento urbanistico generale (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2016, n. 888). 13.4. Quindi, a prescindere dalla posizione di soggetti esterni al Consiglio comunale, solo quest’ultimo può approvare o rigettare la proposta di PP ad iniziativa privata, conservando in tale scelta un’ampia discrezionalità esente da un pedissequo onere di motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 giugno 2020, n. 3632)»; nonché sez. VI, sent. n. 4610 del 2024, secondo cui «la pianificazione attuativa è connotata da valutazioni discrezionali, espressione di un complessivo bilanciamento di interessi e costituisce, al pari del piano regolatore generale, espressione della potestà pianificatoria, seppure declinata in ottica più specifica e, per così dire, operativa. La costitutiva finalità attuativa, propria di tale programmazione di dettaglio, impone all’Amministrazione la contestuale ponderazione di molteplici e potenzialmente contrastanti interessi anche non strettamente urbanistici ed è, pertanto, innervata da valutazioni eminentemente discrezionali in ordine non solo al quomodo, ma pure al quando; siffatto spazio ampio di discrezionalità, da un lato, non consente di predicare, in capo al privato, una pretesa giuridicamente tutelata e coercibile all’emanazione hic et nunc di un piano attuativo da parte del Comune, dall’altro circoscrive significativamente la capacità penetrativa del sindacato del giudice amministrativo nei casi in cui l’ente locale abbia esternato i motivi sottesi alla scelta di non procedere, qui ed ora, all’adozione della pianificazione di dettaglio (Consiglio di Stato sez. IV, 03/04/2017, n. 1508)»)”.

E’ evidente che quanto affermato, nel richiamato precedente, in relazione alla pianificazione attuativa vale a fortiori per una variante di P.R.G. che modifica l’atto di pianificazione generale fondamentale dove si esprime con la massima intensità l’indirizzo politico amministrativo di rappresentanza e di cura degli interessi della comunità locale di riferimento.

Poichè la sentenza del T.a.r. non ha considerato tali aspetti, entrando nel merito della scelta amministrativa del Comune, deve essere riformata poiché ha oltrepassato il limite consentito al sindacato del giudice amministrativo che resta un controllo di legittimità e non di merito delle decisioni del Consiglio comunale.

Alla luce delle motivazioni che precedono e stante la fondatezza dei motivi n. 2 e n. 6 (il n. 7 resta assorbito in quanto proposto solo in via subordinata rispetto al n. 6) l’appello deve in conclusione essere accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata e reiezione del ricorso di primo grado.

Dall’accoglimento del presente appello discende altresì che la nuova delibera di C.C. n. 94 del 2025, impugnata in primo grado, in sede di ottemperanza e tutti gli ulteriori atti del primo grado, attuativi della sentenza appellata, sono destinati ad essere travolti ex art. 336 comma 2, c.p.c. in forza del c.d. effetto espansivo esterno discendente dall’annullamento della sentenza di primo grado.

Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra l’appellante e l’Associazione di produttori Promarche mentre sussistono giusti motivi per disporne la compensazione nei rapporti tra il Comune ed il Ministero costituito.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’Associazione di Produttori Promarche Società Cooperativa Agricola per Azioni alla rifusione in favore del Comune di San Benedetto del Tronto delle spese del doppio grado che si liquidano complessivamente in euro 8.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Compensa le spese del doppio grado nei rapporti tra il Comune di San Benedetto del Tronto ed il Ministero dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2025 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

Luigi Furno, Consigliere