La classificazione dei rifiuti: i rifiuti pericolosi nel sistema del T.U. ambiente - Codici a specchio
di Rosa BERTUZZI
Nell'ambito della disciplina di gestione dei rifiuti uno dei problemi pratici più rilevanti è quello della loro corretta classificazione.
Il sistema di classificazione dei rifiuti trova la sua disciplina nell'art. 184 del Dlgs.152/2006, che li distingue, a seconda della loro origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, ed in ragione delle caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.
Le questioni più rilevanti nascono in relazione all'attribuzione della qualificazione di pericolosità ad un rifiuto. A mente del quarto comma dell'art. 184 sono pericolosi i rifiuti che recano le caratteristiche di cui all'allegato I alla parte quarta dello stesso provvedimento legislativo.
Il sistema di classificazione è imperniato sull'elenco dei rifiuti, introdotto dalla Direttiva 75/442/CEE “Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti” che, all'art. 1 lett. a) secondo capoverso, attribuiva alla Commissione il compito di predisporre un elenco di rifiuti rientranti nelle categorie elencate all'Allegato I della stessa direttiva. In ottemperanza a quanto disposto dalla Direttiva la Commissione con Decisione 94/3/CEE istituì l'elenco dei rifiuti, meglio conosciuto come Catalogo Europeo dei Rifiuti, acronimo CER.
Per quanto riguardava i rifiuti pericolosi, la Direttiva 91/689/CEE “Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi” all'art. 1 quarto comma attribuiva alla Commissione il compito di predisporre un elenco di rifiuti pericolosi rientranti nelle categorie elencate all'Allegato I II della stessa direttiva. L'elenco fu istituito dalla relativa Commissione, la quale creò l’elenco con la Decisione 94/904/CEE.
In ultimo l'attuale elenco dei rifiuti è quello adottato con la Decisione della Commissione 200/532/CE che sostituisce la Decisione 94/3/CEE ed è entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2002 che comprende un catalogo di rifiuti comprensivo di quelli pericolosi e non pericolosi.
I due elenchi sono oggi ricompresi e armonizzati nell'allegato D alla parte quarta del Dlgs. 152/2006. Ad ogni tipologia di rifiuto è attribuito un codice CER, quelli pericolosi sono contrassegnati da un asterisco finale.
Si ritiene utile riepilogare, seppur in sintesi, la procedura stabilita dalla vigente disciplina normativa per l'individuazione del corretto codice identificativo CER da attribuire ad un rifiuto. Tale disciplina è rinvenibile nella Parte Introduttiva dell'Allegato D al D.Lgs. 152/06.
A mente di tale norma l'identificazione di una qualsivoglia tipologia di rifiuto, mediante l'attribuzione del CER, è così riassumibile:
a) identificazione della fonte che genera il rifiuto consultando i Titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20;
b) se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto;
c) se nessuno di questi ultimi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16;
d) se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all'attività identificata al punto a);
Come facilmente rilevabile da quanto precede, l'elenco armonizzato dei rifiuti è un elenco formato sulla base di un sistema che mira all'individuazione della fonte da cui origina il rifiuto che, considerata la molteplicità di possibili fonti di generazione, prevede necessariamente una serie di capitoli “generici” (13, 14, 15 e 16) e di codici “residuali” (99), ma solo per la codificazione di quelle tipologie di rifiuti per i quali la fonte di produzione non è nota o è di difficile categorizzazione.
Tuttavia la sola fonte di produzione, più esattamente dal processo di formazione del rifiuto, non è l'unico criterio di classificazione del rifiuto, ciò vale in particolare per i rifiuti pericolosi.
Con la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n°98 del 19.11.2008 sono state introdotte diverse novità nella specifica materia, soprattutto per quanto attiene alla disciplina dei rifiuti pericolosi. La Direttiva è stata recepita con il Dlgs. 205/2010, che ha apportato i necessari correttivi al T.U.A.
Il primo comma dell'art. 7 di detta direttiva stabilisce che «l'elenco dei rifiuti (di cui alla decisione 200/532/CE) include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerarsi pericolosi», norma oggi riprodotta al quinto comma dell'art. 184 del Dlgs. 152/2006.
Come si evince dal testo dell'art. 7 non sempre l'origine e la composizione sono decisivi per la qualificazione del rifiuto come pericoloso. Sicuramente sono tali quelli di cui al punto 3.4. della Parte introduttiva dell'allegato D alla parte IV del Dlgs. 152/2006, che così recita: «i rifiuti contrassegnati nell'elenco con un asterisco sono rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 2008/98/CE e ad essi si applicano le disposizioni della medesima direttiva». I rifiuti sono classificati pericolosi in quanto per espressa valutazione della stessa disposizione presentano una o più caratteristiche di quelle indicate nell'Allegato III della Direttiva 2008/98/CE e, in riferimento ai codici da H3 a H8, H10 e H11 del medesimo allegato, una o più delle caratteristiche specificate successivamente nella stessa disposizione. In sostanza è la norma ad attribuire al rifiuto la caratteristica di pericolosità.
Come visto l'art. 7 della direttiva 98/2008/CEE attribuisce la classificazione di rifiuto come pericoloso anche a quei rifiuti in cui le sostanze pericolose superano determinate soglie. Si tratta delle ipotesi previste dal punto 5 della Parte introduttiva dell'allegato D, a mente del quale «se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuali in peso) tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all'allegato I. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 di cui all'allegato I si applica quanto previsto dal punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14 di cui all'allegato I, la decisione 200/532/CE non prevede al momento alcuna specifica. Nelle more dell'adozione da parte del Ministero dell'ambiente di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l'attribuzione della caratteristica H 14 tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità dell'accordo ADR per la classe 9-M6 e M7»
Questa particolare ipotesi si applica in quelle che sono definite “voci a specchio”. In sostanza si tratta di categorie di rifiuti per i quali il processo di produzione o le loro intrinseche caratteristiche non consentivano di per se di poterli qualificare quali rifiuti pericolosi. La loro pericolosità dipende pertanto esclusivamente dalla concentrazione di sostanza pericolosa da accertarsi caso per caso. Pertanto per questa tipologia di rifiuti esistono due possibili tipi di codice CER, così detti speculari, uno senza asterisco e l'altro con asterisco, a seconda della concentrazione delle sostanze pericolose.
Questa particolare tipologia di rifiuti presenta alcune problematiche, in ordine alla loro corretta classificazione.
Come detto perché possano essere considerati rifiuti non pericolosi è necessario che le sostanze pericolose siano al disotto della soglia prevista. Trattandosi però di un'eccezione alla regola della classificazione del rifiuto in ragione della sua origine o composizione, chi si vuole avvalere dell'eccezione deve poterla dimostrare, cioè supportarla da apposite analisi dello stesso rifiuto, che ne certifichino la loro non pericolosità. Per cui si può affermare che il rifiuto è pericoloso, salvo che le analisi effettuate dal produttore non dimostrino la loro non pericolosità. (cfr. Cass. Pen sez. III n° 10937/2013)
In sostanza, si deve evitare che rifiuti pericolosi siano gestiti e smaltiti con regole non appropriate e quindi determinino significativi problemi ambientali, pertanto possiamo presumere la loro pericolosità salvo certificazione contraria.
Si tratta di una regola fondamentale in quanto incide sul trattamento e in particolare sulle regole di gestione e di smaltimento del rifiuto, la cui violazione può comportare la contestazione dell'illecito penale di cui all'art. 256 comma 1 lett. b) di gestione di rifiuti non autorizzata.
Ecco la sentenza della Cassazione Penale , Sez. III, n. 10937 del 8 marzo 2013 :
La Corte di appello di Milano ha riformato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di quella città, assolvendo gli imputati con la formula perché il fatto non costituisce reato. A seguito di giudizio abbreviato, gli imputati erano stati ritenuti responsabili dei reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, attività di gestione di rifiuti pericolosi non autorizzata e violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari; fatti loro attribuiti nelle rispettive qualità personali concernenti la gestione di rifiuti provenienti dallo spazzamento di strade ritirati da due differenti Comuni.
Secondo l'ipotesi accusatoria detti rifiuti, ritirati come "urbani non pericolosi", con codice CER 20.03.03 ed aventi caratteristiche di pericolosità, stante la concentrazione di idrocarburi totali superiori a 1.000 mg/kg (venivano gestiti mediante vagliatura senza ulteriori trattamenti idonei a modificarne lo stato di pericolosità e conferiti in impianti ubicati in Italia ed all'estero con codici CER 191209, 191212, 200303). Tale condotta, finalizzata a conseguire un ingiusto profitto, corrispondente al risparmio conseguente dal mancato trattamento dei rifiuti e dal successivo smaltimento come rifiuti pericolosi come non pericolosi, veniva ritenuta idonea dal giudice di prime cure a configurare le violazioni contestate, mentre la Corte territoriale, esaminata la questione concernente la classificazione dei rifiuti, perveniva alla decisione assolutoria, ritenendo che il G.U.P. aveva posto a base della sua pronuncia "decisioni e pareri che non potevano costituire una base normativa certa" e che il contrasto tra gli stessi tecnici sulla metodologia di classificazione dei rifiuti giustificava l'erroneo convincimento degli imputati "sul contenuto delle norme integratrici cui fare riferimento". Avverso tale pronuncia propongono separati ricorsi per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello nonché C.M. e S..
Il Procuratore Generale deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge, osservando che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, esisteva all'epoca dei fatti e nel vigente ordinamento una normativa certa, la quale impone la classificazione dei rifiuti speciali contenenti idrocarburi di origine minerale come rifiuti pericolosi, nel caso in cui contengano una concentrazione uguale o superiore a 1.000 mg/kg, e ciò indipendentemente dalla presenza di eventuali "marker" cancerogeni. Aggiunge che il D.M. 4 agosto 2010 richiamato dalla Corte del merito riguarderebbe soltanto gli idrocarburi totali (THC) di origine non nota, mentre è certa, nel caso in esame, la origine minerale degli idrocarburi. Rileva, inoltre, che la metodologia analitica più corretta, contrariamente da quanto affermato dai giudici del gravame, sarebbe quella a raggi infrarossi - FR – IR effettivamente utilizzata, cosicché non vi sarebbero le incertezze evidenziate nella sentenza impugnata, mentre la sussistenza dell'elemento psicologico del reato sarebbe risultata evidente dal tenore delle conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbe inequivocabilmente la preoccupazione e la consapevolezza degli interlocutori del fatto che le analisi in corso di esecuzione da parte dell'ARPA avrebbero evidenziato valori superiori a quelli consentiti.
Gli imputati, premesse alcune considerazioni in ordine alla sussistenza di un effettivo interesse all'impugnazione, deducono, con un primo motivo di ricorso, il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, dopo aver ritenuto condivisibili le argomentazioni del perito del G.U.P ed averne richiamato i contenuti e, segnatamente, i riferimenti alla individuazione di un limite di concentrazione per gli idrocarburi pari allo 0,1% (1.000 mg/kg) per la quasi totalità degli IPA e 0,01% (100 mg/kg) per i soli benzo(a)pirene e dibenzo(a,h)antracene, limite che si assumono mai superati, pur in presenza della oggettiva insussistenza del fatto reato aveva poi considerato l'assenza dell'elemento soggettivo, pervenendo ad una formula assolutoria errata.
Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, rilevando che la ritenuta pericolosità dei rifiuti sarebbe frutto di una errata applicazione della disciplina vigente alla data di accertamento dei fatti e di quella successivamente intervenuta. Tutti i ricorrenti insistono, pertanto, per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Motivi della decisione
Occorre preliminarmente osservare che il punto nodale della vicenda trattata, come posto in rilievo nel provvedimento impugnato e nei ricorsi, è costituito dalla individuazione della corretta qualificazione dei rifiuti. La classificazione dei rifiuti è disciplinata dalle disposizioni di seguito richiamate, ma l'attribuzione del relativo codice CER è determinata dalla effettiva origine del rifiuto, che necessita talvolta, come pure si dirà, di accertamenti analitici, cosicché la verifica della corretta attribuzione del codice costituisce un accertamento in fatto che, come nel caso in esame, dovrà essere effettuato dal giudice del merito.
Per quanto riguarda la classificazione dei rifiuti, va rilevato che nell'imputazione, come si è specificato in premessa, viene fatto riferimento a tipologie di rifiuti che sarebbero state fittiziamente classificate allo scopo di commettere i reati contestati con i codici CER 19.12.09 e 19.12.12. A tali ultimi codici viene fatto riferimento nel ricorso proposto dagli imputati laddove si specifica che oggetto di censura era la classificazione dei rifiuti come pericolosi o non pericolosi in ragione della presenza di una voce specchio, in quanto il codice 19 12 12 individua "altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19 12 11" e la voce 19.11.11 qualifica "altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose".
Come è noto, la classificazione dei rifiuti pericolosi mediante codice CER avviene in base all'origine ed alla composizione del rifiuto, nel qual caso il codice è contraddistinto dalla presenza di un asterisco. Nel caso in cui siano invece presenti nell'elenco di cui all'Allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006 le c.d. voci specchio, va effettuata la verifica delle caratteristiche di pericolo in base alla concentrazione di determinate sostanze.
Alla fine la Corte ritiene corretta la colpevolezza sostenuta nella sentenza di primo grado, pertanto annulla la sentenza della Corte d’Appello.