Cass. Sez. III n. 51422 del 11 dicembre 2014 (Ud 6 nov 2014)
Pres. Squassoni Est. Scarcella Ric. D'Itri
Rifiuti. Abbandono e momento consumativo del reato

Mentre la natura istantanea con effetti permanenti ben può attagliarsi alla condotta di "abbandono incontrollato" di rifiuti (che presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento), non altrettanto può dirsi con riferimento alla condotta di "deposito incontrollato" ove legata al mancato rispetto delle condizioni dettate dall'art. 183, comma primo, lett. bb) del d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152, in tema di deposito temporaneo, segnatamente con riferimento al n. 2 (cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quantitativo di rifiuti in deposito che raggiunge complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi; in ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite in un anno, il deposito temporaneo non può essere superiore ad un anno). E' evidente, infatti, che ove la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni di legge per la qualificazione del medesimo come temporaneo, si è in presenza di un reato permanente, perché la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l'inosservanza di dette condizioni integra un'omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero (o con il sequestro).

RITENUTO IN FATTO

1. D.A. ha proposto ricorso a mezzo del difensore fiduciario cassazionista avverso la sentenza del tribunale di CASSINO, emessa in data 5/07/2013, depositata in data 6/07/2013, con cui questi era stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di Euro 5.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, perchè - nella qualità di legale rappresentante della SOCIETA' D'ARTS s.r.l., faceva depositare sul terreno antistante l'impianto di falegnameria scarti di lavorazione della falegnameria (segatura), in abbondante quantità, accatastandolo sul terreno senza adeguata protezione (fatto contestato come accertato in data (OMISSIS)).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 157 c.p. quanto all'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice di merito omesso di verificare se, alla data della pronuncia della sentenza (5 luglio 2013), fosse decorso il termine massimo di prescrizione del reato; ed infatti, essendo pacifico dalle emergenze processuali che l'accertamento era intervenuto alla data del 4 luglio 2008, il termine di prescrizione massima quinquennale era interamente decorso alla data del 4 luglio 2013, non essendovi in atti sospensione del predetto termine.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 530 c.p.p. ed al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2,.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice di merito disatteso con scarne argomentazioni la tesi difensiva con cui si sosteneva l'estraneità del ricorrente dai fatti contestati, non essendo il medesimo più il legale rappresentante della società alla data dell'accertamento; in particolare, sostiene il ricorrente come alla data del 29 maggio 2008, data in cui la società era stata messa in liquidazione, l'imputato era cessato dalla carica e, quindi, qualsiasi condotta illecita avrebbe dovuto essere attribuita ad altri soggetti; il giudice, con argomentazione illogica, avrebbe ritenuto invece che, a tale data, essendo cessata l'attività di impresa, fosse cessata anche la relativa produzione di rifiuti, sicchè era inverosimile che tra detta data e quella dell'accertamento, avvenuto il (OMISSIS), l'impresa avesse operato e prodotto i cumuli di segatura; detto argomento, secondo il ricorrente, non sarebbe di per sè idoneo, in difetto di elementi di riscontro, per sostenere la responsabilità penale del ricorrente, soprattutto alla luce dell'acquisizione documentale in sede dibattimentale che aveva confermato l'impossibilità di determinare il quantitativo e la certa riconducibilità al ricorrente; difetterebbero, in ogni caso, gli elementi per ritenere configurabile il reato contestato, atteso che difetterebbe anche la mancanza di qualsivoglia accertamento in ordine alla carenza di controllo da parte del ricorrente come, ancora, sulla consistenza dell'abbandono.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso, pur inammissibile quanto ai motivi originari per manifesta infondatezza, merita tuttavia accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

4. Ed invero, non è sindacabile il percorso argomentativo della decisione impugnata che condannato il ricorrente per il reato ascrittogli. Il giudice di merito, in particolare, ha analizzato funditus gli elementi acquisiti ritenendo, con motivazione non illogica, configurabile l'illecito contestato, in particolare osservando come alla data del (OMISSIS), data dell'accertamento, l'attività era cessata e l'impianto di falegnameria era chiuso, sicchè l'abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti (costituiti da segatura, sulla cui natura giuridica lo stesso giudice si sofferma puntualmente, come pure sull'esclusione della possibile qualificazione dell'accumulo come deposito temporaneo) era da ascrivere al ricorrente, legale rappresentante all'epoca del fatto, non rivestendo alcuna rilevanza la circostanza - in assenza di prova della prosecuzione dell'attività dopo il 29 maggio 2008, data della messa in liquidazione della società dal ricorrente amministrata - che questi non ne fosse più il legale rappresentante alla data dell'accertamento. Rileva, sul punto, il giudice di merito come al tempo della produzione e dell'abbandono dei rifiuti, fosse il ricorrente il responsabile dell'accumulo incontrollato, atteso che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 3, in materia di rimozione dei rifiuti esclude ogni responsabilità propter rem, spettando anzitutto detta rimozione al responsabile dell'abbandono, nella specie, il ricorrente, quale legale rappresentante della società di falegnameria fino al mese di maggio 2008.

Detta affermazione è giuridicamente corretta anche alla luce, si noti, della più recente giurisprudenza di legittimità che qualifica il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, come reato istantaneo. Ed invero, si è affermato sul punto che il reato di deposito incontrollato di rifiuti ha natura "permanente" se l'attività illecita è prodromica al successivo recupero o smaltimento, delle cose abbandonate, e, quindi, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella del rilascio, o, invece, natura "istantanea con effetti eventualmente permanenti", se l'attività illecita si connota per una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti, che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento (Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014 - dep. 15/07/2014, Ottonello, Rv. 260011).

5. Il Collegio - pur ritenendo di dover dare continuità a tale principio -, ritiene necessarie le seguenti puntualizzazioni.

Mentre la natura istantanea con effetti permanenti ben può attagliarsi alla condotta di "abbandono incontrollato" di rifiuti (che presuppone, come correttamente affermato da questa Corte con l'emarginata sentenza, una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento), non altrettanto può dirsi con riferimento alla condotta di "deposito incontrollato" ove legata al mancato rispetto delle condizioni dettate dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. bb), in tema di deposito temporaneo, segnatamente con riferimento al n. 2 (cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quantitativo di rifiuti in deposito che raggiunge complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi; in ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite in un anno, il deposito temporaneo non può essere superiore ad un anno). E' evidente, infatti, che ove la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni di legge per la qualificazione del medesimo come temporaneo, si è in presenza di un reato permanente, perchè la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l'inosservanza di dette condizioni integra un'omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero (o con il sequestro). Orbene, nel caso in esame è evidente che l'accumulo dei rifiuti integrasse un deposito incontrollato, trattandosi di accumulo preordinato ad una successiva attività di gestione (come, infatti, comprovato dalla circostanza che il contravventore aveva sostenuto in sede di merito la tesi, adeguatamente confutata dal giudice, del "deposito temporaneo"), donde il reato nel caso di specie si qualifica come permanente.

Tuttavia, ciò che difetta nel caso di specie - in assenza di prova della prosecuzione dell'attività dopo il 29 maggio 2008, data della messa in liquidazione della società dal ricorrente amministrata - è la prova che alla cessazione formale dalla carica da parte del D. (circostanza di per sè non risolutiva), non sia seguita una gestione "di fatto" dell'attività da parte del ricorrente in presenza della gestione "di diritto" assicurata dal liquidatore. In altri termini, difetta nel caso in esame qualsiasi accertamento in ordine alla prosecuzione dell'attività gestoria della società da parte del ricorrente, prosecuzione che consentirebbe di imputare la responsabilità per il deposito incontrollato anche oltre il momento di formale cessazione dalla carica e fino al momento di cessazione della condotta antigiuridica.

In difetto di tale prova, dunque, deve ritenersi che il momento di cessazione della permanenza coincida con la data della cessazione dalla carica del ricorrente (29 maggio 2008), momento in cui il medesimo ha perduto la disponibilità giuridica della società (e, quindi, anche il dovere "giuridico" di rimuovere i rifiuti ivi depositati in modo incontrollato ex D.Lgs. n. 52 del 2006, art. 192, comma 3).

6. Quanto sopra, dunque, consente di ritenere fondato il motivo di ricorso con cui si eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato contestato.

Ed invero, in assenza di sospensioni rilevanti ex art. 159 c.p. (in sede di merito, infatti sono state tenute quattro udienze, senza rinvii idonei a determinare una causa di sospensione: 2 aprile, 5 luglio e 16 novembre 2012 e 5 luglio 2013), il termine di prescrizione quinquennale risulta interamente decorso alla data del 29 maggio 2013, dunque in data antecedente la pronuncia della sentenza, intervenuta solo in data 5 luglio 2013 (e comunque, quand'anche si volesse ritenere cessata la condotta alla data dell'accertamento, ossia il 4 luglio 2008, il termine di prescrizione massima sarebbe comunque maturato in data antecedente la sentenza, ossia il 4 luglio 2013, giorno antecedente la pronuncia).

7. L'impugnata sentenza dev'essere, conclusivamente, annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2014.