Corte Costituzionale ord. n. 458 del 28 dicembre 2006
Ambiente - Definizione di rifiuti -Norma interpretativa -Esclusione
dalla categoria dei rifiuti dei residui di produzione o di consumo che
siano semplicemente abbandonati dal produttoreo dal detentore o che
siano riutilizzati in qualsiasi ciclo produttivo o di consumo senza
trattamento recuperatorio (nella specie: siero di latte residuato) -
Contrasto con la nozione di rifiuti stabilita dalla direttiva
comunitaria 75/442CE, modificata dalla direttiva 91/156/CE e dalla
decisione della Commissione 96/350/CE.
ORDINANZA N. 458
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria
FLICK Presidente
-
Francesco
AMIRANTE Giudice
-
Ugo
DE SIERVO "
-
Romano
VACCARELLA "
-
Alfio
FINOCCHIARO "
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI "
-
Sabino
CASSESE
"
- Maria
Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
- Paolo
Maria
NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 del
decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia
tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa
farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree
svantaggiate), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto
2002, n. 178, promosso con ordinanza del 16 gennaio 2006 dalla Corte di
cassazione nel procedimento penale a carico di R. U. ed altro, iscritta
al n. 80 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2006.
Udito nella camera di consiglio del 6
dicembre 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe
la Corte di
cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art.
14 del decreto–legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi
urgenti in
materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa
farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree
svantaggiate), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto
2002, n. 178, che reca l'«interpretazione
autentica» della
nozione di «rifiuto» di cui all'art. 6 del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive
91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE
sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
che la Corte rimettente riferisce di
essere
investita del ricorso per cassazione proposto da due imputati, avverso
la sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere che li aveva
dichiarati colpevoli del reato continuato di cui all'art. 51, comma 1,
del d.lgs. n. 22 del 1997 e condannati alla pena, condizionalmente
sospesa, di euro 5.000 di ammenda, per aver smaltito e trasportato, in
tempi diversi, rifiuti non pericolosi senza la prescritta
autorizzazione;
che i fatti, commessi sino al 14
novembre 2000,
erano consistiti segnatamente nella vendita, da parte del primo dei
ricorrenti, del siero di latte derivante dall'attività
produttiva di un caseificio – sostanza qualificabile come
rifiuto, in quanto residuo del processo di lavorazione –
all'altro imputato, titolare di azienda zootecnica, che lo aveva
destinato ad alimento per bovini;
che il Tribunale era pervenuto alla
condanna
sull'assunto che la norma interpretativa sopravvenuta di cui all'art.
14 del d.l. n. 138 del 2002 – la quale aveva espunto dal
novero
dei rifiuti residui di produzione quali quelli oggetto del giudizio a
quo – doveva essere disapplicata in quanto contraria alla
nozione
comunitaria di rifiuto, recepita nell'art. 6 del d.lgs. n. 22 del 1997,
come interpretata dalla Corte di giustizia delle Comunità
europee con la sentenza 11 novembre 2004, in causa C–457/02;
che, ad avviso della Corte rimettente,
la norma
impugnata – pur autoqualificandosi come interpretativa
–
avrebbe modificato in senso restrittivo la nozione di rifiuto di cui
all'art. 6 del d.lgs. n. 22 del 1997, riproduttiva di quella stabilita
dall'art. 1 della direttiva 75/442/CEE (come modificata dalla direttiva
91/156/CEE);
che alla stregua di tali ultime
disposizioni,
infatti, costituisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto, rientrante
in una delle categorie elencate in apposito allegato, di cui il
detentore «si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi»;
che l'elencazione dell'allegato ha,
peraltro,
carattere «aperto»: la prima categoria di esso (Q1)
comprende, infatti, tutti i residui di produzione o di consumo di
seguito non specificati; mentre l'ultima (Q16) abbraccia qualunque
sostanza, materia o prodotto non incluso nelle altre categorie;
che l'anzidetta nozione sarebbe stata
circoscritta dalla norma impugnata sotto un duplice profilo;
che da un lato, infatti –
secondo detta norma
− il concetto di «disfarsi» dovrebbe
essere inteso
come avvio o sottoposizione della sostanza ad attività di
smaltimento o recupero, espungendo così dal novero dei
rifiuti i
materiali di cui il detentore si disfi mediante puro e semplice
«abbandono»;
che dall'altro lato, e soprattutto, la
sedicente
norma interpretativa avrebbe escluso la configurabilità
delle
fattispecie della decisione e dell'obbligo di
«disfarsi»,
ove si tratti di residui di produzione o di consumo che
«possono
essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo
o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire
alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio
all'ambiente», ovvero «dopo aver subito un
trattamento
preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di
recupero»;
che, in tal modo, il legislatore
italiano sarebbe
venuto meno agli obblighi di leale collaborazione di cui all'art. 10
del Trattato CE, pregiudicando gli obiettivi di salvaguardia, tutela e
miglioramento della qualità dell'ambiente e di protezione
della
salute umana, previsti dall'art. 174 dello stesso Trattato;
che di questo avviso si è
mostrata anche la
Corte di giustizia delle Comunità europee, investita in via
pregiudiziale della questione relativa alla compatibilità
comunitaria dell'art. 14 del d.l. n. 138 del 2002; con la sentenza 11
novembre 2004, in causa C–457/02, essa ha infatti negato che
la
nozione comunitaria di rifiuto possa essere interpretata nel senso di
ricomprendere soltanto le sostanze e i materiali destinati o soggetti
ad operazioni di smaltimento o recupero, e di escludere l'insieme dei
residui di produzione o di consumo riutilizzati in un ciclo di
produzione o consumo, senza trattamento preventivo o con trattamento
non recuperatorio;
che dalla nozione comunitaria di rifiuto
può
esulare – secondo la Corte europea – unicamente il
materiale derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione,
non destinato principalmente a produrlo, riutilizzato dal produttore
senza trasformazione preliminare, nel corso dello stesso processo
produttivo: trattandosi, in tal caso, non di un residuo, ma di un
«sottoprodotto», di cui il produttore non intende
«disfarsi», ma che vuole invece reimpiegare nel
medesimo
ciclo di produzione;
che tale ultima ipotesi non
ricorrerebbe, peraltro,
nel caso oggetto del giudizio a quo, concernente siero di latte,
residuato da una produzione casearia, che veniva ceduto dal produttore
affinché fosse riutilizzato da un'azienda zootecnica, e
dunque
in un ciclo produttivo diverso;
che – contrariamente a quanto
si afferma nella
sentenza impugnata – la norma denunciata non potrebbe essere,
tuttavia, direttamente disapplicata dal giudice nazionale in quanto
incompatibile con il diritto comunitario, giacché la
direttiva
sui rifiuti non è «autoapplicativa»,
necessitando di
un atto di recepimento da parte dei singoli Stati membri;
che, in senso contrario, non varrebbe
addurre che la
nozione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442/CEE risulta richiamata
dall'art. 2, lettera a), del regolamento CEE 1° febbraio 1993,
n.
259/93 (Regolamento del Consiglio relativo alla sorveglianza e al
controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della
Comunità
europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio),
di
diretta applicazione nell'ordinamento italiano: giacché tale
richiamo ha valenza limitata alla sola materia delle spedizioni di
rifiuti, disciplinata dal regolamento stesso, e non è dunque
riferibile né all'abbandono, né alle
attività di
gestione dei rifiuti diverse dalla spedizione (raccolta, trasporto,
recupero, smaltimento);
che neppure, poi, si potrebbe sostenere
– in
ossequio al principio della prevalenza del diritto comunitario, sia
originario che derivato – che il giudice nazionale debba dare
comunque applicazione alla sentenza della Corte di giustizia, che ha
espressamente statuito l'incompatibilità comunitaria
dell'art.
14;
che le pronunce della Corte europea che
precisano o
integrano il significato di una norma comunitaria hanno, difatti, la
stessa efficacia della norma interpretata;
che, di conseguenza, mentre nel caso di
norma
comunitaria direttamente efficace nell'ordinamento dei singoli Stati,
il giudice nazionale non deve più applicare la norma interna
con
essa contrastante alla luce dell'interpretazione offerta dalla Corte di
giustizia; nel caso in cui, invece – come nella specie
– si
tratti di norma comunitaria priva di efficacia diretta, il giudice
italiano rimarrebbe comunque vincolato dalla norma interna;
che l'unico modo per rimediare al vulnus
da questa
recato ad una direttiva comunitaria non direttamente applicabile
sarebbe, dunque, quello di sollevare questione di
legittimità
costituzionale della norma interna per violazione degli obblighi di
conformazione all'ordinamento comunitario, sanciti dall'art. 11 Cost.
e, in modo ancor più esplicito, dal primo comma del
novellato
art. 117 Cost.;
che nella specie, d'altro lato, la
violazione della
disciplina comunitaria e, con essa, dei parametri costituzionali
evocati, sarebbe resa ancor più grave dal fatto che,
all'indomani della ricordata pronuncia della Corte di giustizia, il
legislatore nazionale – nel conferire una delega al Governo
per
il riordino della legislazione in materia ambientale con legge 15
dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale
e misure di diretta applicazione) – abbia mantenuto
espressamente
fermo il disposto della norma censurata (art. 1, comma 26, della legge
citata);
che la questione sarebbe inoltre
rilevante nel
giudizio a quo, giacché se la norma resistesse al vaglio di
costituzionalità, la sentenza impugnata dovrebbe essere
annullata senza rinvio, perché il fatto non è
più
previsto dalla legge come reato; mentre, nel caso in cui fosse
dichiarata costituzionalmente illegittima, «si aprirebbe la
duplice possibilità di rigettare il ricorso, con la conferma
della condanna degli imputati, o di annullare senza rinvio la sentenza
impugnata per difetto dell'elemento soggettivo della contravvenzione
contestata, avendo gli imputati fatto affidamento incolpevole sulla
portata normativa di una disposizione (l'art. 14) successivamente
caducata»;
che all'ammissibilità della
questione non
sarebbe, per altro verso, di ostacolo la circostanza che la sentenza di
accoglimento avrebbe comunque «un effetto in malam
partem»;
che l'art. 14 del d.l. n. 308 del 2002
costituirebbe, infatti, una «norma penale di
favore»,
trattandosi di disposizione extrapenale integratrice della fattispecie
penale di cui agli artt. 6 e 51 del d.lgs. n. 22 del 1997 che
–
restringendo l'ampiezza dell'oggetto materiale del reato (i rifiuti)
– deroga o abroga parzialmente, ovvero modifica in senso
favorevole al reo, la precedente norma incriminatrice;
che, nella specie, il fatto contestato
è
stato d'altro canto commesso sotto l'impero della norma precedente
più rigorosa, sicuramente conforme al diritto comunitario;
che, conseguentemente − ove la
norma di favore
sopravvenuta fosse dichiarata costituzionalmente illegittima
– la
conferma della responsabilità degli imputati in base ai
citati
artt. 6 e 51 del d.lgs. n. 22 del 1997 non violerebbe né il
principio di irretroattività della legge penale, di cui
all'art.
25, secondo comma, Cost., dato che la norma più sfavorevole
era
entrata in vigore prima del fatto contestato; né il
principio di
retroattività dell'abolitio criminis, di cui all'art. 2,
secondo
comma, del codice penale, giacché la
retroattività della
norma parzialmente abrogatrice verrebbe meno a fronte della sua
caducazione;
che, in ogni caso, il problema
risulterebbe superato
dalla sentenza n. 148 del 1983, con la quale questa Corte ha
riconosciuto la rilevanza e l'ammissibilità delle questioni
di
legittimità costituzionale delle norme penali di favore,
sulla
base della duplice considerazione che l'accoglimento della questione
verrebbe comunque ad incidere sulle formule di proscioglimento o sul
dispositivo della sentenza penale, nonché sullo schema
argomentativo della relativa motivazione; ed avrebbe, inoltre, un
«effetto di sistema» la cui valutazione spetta ai
giudici
ordinari.
Considerato che successivamente
all'ordinanza di
rimessione è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile
2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, supplemento ordinario, il quale, in
attuazione della delega conferita dall'art. 1 della legge n. 308 del
2004, reca, nella parte quarta (Norme in tema di gestione dei rifiuti e
di bonifica dei siti inquinati), una nuova disciplina della gestione
dei rifiuti, integralmente sostitutiva di quella già
contenuta
nel d.lgs. n. 22 del 1997;
che, per quanto in questa sede
più interessa,
il citato d.lgs. n. 152 del 2006 ha espressamente abrogato, all'art.
264, comma 1, lettera l), la norma di interpretazione autentica di cui
all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2002, sottoposta a scrutinio di
costituzionalità dalla Corte rimettente;
che in luogo delle previsioni di cui al
comma 2 del
citato art. 14 – contro le quali si rivolgono, in
particolare, le
censure del giudice a quo – il medesimo decreto legislativo
ha
introdotto, all'art. 183, comma 1, lettera n), una nuova definizione di
«sottoprodotto», sottratto a determinate condizioni
all'applicazione della disciplina sui rifiuti: definizione che,
peraltro – pur ponendosi, quanto a ratio, in linea di ideale
continuità con la disposizione censurata – si
discosta da
essa sotto plurimi profili, sul piano della formulazione e dei
contenuti precettivi;
che, pertanto – a prescindere
dalle ulteriori
modifiche sopravvenute, inerenti al quadro normativo comunitario di
riferimento (abrogazione della direttiva 75/442/CEE ad opera della
nuova direttiva in materia di rifiuti 2006/12/CE del 5 aprile 2006 del
Parlamento europeo e del Consiglio; abrogazione del regolamento CEE n.
259/93 ad opera del nuovo regolamento CE 14 giugno 2006, n. 1013/2006
del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alle spedizioni di
rifiuti), non foriere, in parte qua, di innovazioni sostanziali
–
gli atti vanno restituiti alla Corte rimettente, ai fini di una nuova
valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della
questione sollevata, alla luce dello ius superveniens.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla
Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente e Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Rifiuti. Definizione di rifiuto
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