La condicio iuris per la vigenza dell’art. 2 d.P.R. 31/2017
(Commento a Cass. penale, Sez. III, n. 7538/2024, n. 36545/2022 e n. 39429/2018)

di Massimo GRISANTI


Con sentenza n. 39429 pubblicata il 03.09.2018, la III^ Sezione penale della Corte di Cassazione (Pres. Lapalorcia, Rel. Ramacci) ribadì che non integrano reato ex art. 181 D.Lgs. 42/2004 quelle condotte che si palesino inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori paesaggistici. Questa sentenza fece intravedere un mutamento di rotta della giurisprudenza penale per avere evidenziato, i giudici, come il bene protetto siano i valori, giammai l’aspetto esteriore di per sé degli immobili compresi nelle aree soggette a vincolo paesaggistico.
Invero, del tutto diversamente da quanto prescriveva l’art. 7 della legge 1497/1939, mediante le disposizioni dell’art. 146 del Codice il legislatore ha coniato un nuovo precetto che non è ancorato all’aspetto esteriore bensì all’attitudine di un intervento a porre in pericolo i valori espressi dai beni paeaggistici: “I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”.
Con la sentenza Molinaro n. 36545/2022 la Suprema Corte statutì che in niente rispetto a quello contenuto nell’art. 7 L. 1497/1939 si differenzia il nuovo contenuto nell’art. 146 Codice. Infatti, ad onta di una formulazione letterale in tutto diversa, i giudici affermarono che: “… La regola generale di cui all’art. 146 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che prescrive che ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all’aspetto esteriore delle aree vincolate e soggetto al previo dell’autorizzazione paesaggistica, consacrata in una fonte di rango primario, non può certamente essere derogata da una fonte di rango secondario, quale è il suddetto regolamento 31/2017, che è di attuazione e non di delegificazione, e dunque non può liberalizzare interventi che per la norma di rango primario sono assoggettati ad autorizzazione …”. In parole semplici, non è rinvenibile nel (solo) art. 146 Codice una tale regola perché ivi non è espressa in tal portata, visto che in alcuna parte della disposizione viene richiamato l’aspetto esteriore quale bene da proteggere.
La medesima statuizione è stata ribadita anche nella recente sentenza Gervasi-Noto n. 7538/2024 (Pres. Ramacci, Rel. Semeraro).
La regola ribadita dalla Suprema Corte è desumibile – invece, ad avviso dello scrivente – da un coacervo di norme (ulteriori rispetto all’art. 146, co. 1) contenute nel Codice, ossia:
    • dall’art. 149, ove utilizzando l’avverbio <comunque>, il legislatore opera espressamente un’elencazione non esaustiva degli interventi per i quali non occorre munirsi della preventiva autorizzazione paesaggistica;
    • dall’art. 143, co. 5, ove il legislatore prevede che debba essere il piano paesaggistico – formato in copianificazione Stato-Regione, preliminarmente individuando le aree aree significativamente compromesse o degradate – a stabilire quali interventi edilizi – in esse da eseguire – possano andare esenti dal munirsi dell’autorizzazione paesaggistica;
    • dall’art. 146, co. 9, nel quale è prescritto che lo specifico regolamento di semplificazione, nel caso di specie approvato prima con d.P.R. 139/2010 e poi con d.P.R. 31/2017, può riguardare solo gli interventi di lievi entità comunque soggetti ad autorizzazione (diversamente non si tratterebbe di semplificazione, bensì di liberalizzazione).
Pertanto, in considerazione che il d.P.R. 31/2017 non può porsi in contrasto con l’art. 146 Codice – pur potendo, però, esprimere i principi enunciati dalla legge, senza tuttavia veicolare la grande riforma economico-sociale impressa nel Codice (v. Corte costituzionale, n. 21/2022) – ecco che l’interpretazione del combinato disposto dell’art. 2 d.P.R. 31/2017 e del suo Allegato A che sia rispettosa del principio di gerarchia delle fonti (come statuisce la Suprema Corte di cassazione) e costituzionalmente orientata (secondo l’insegnamento della Consulta) porta a ritenere come l’applicazione dell’art. 2 stesso – per interventi diversi da quelli non comportanti modifica dell’aspetto esteriore delle aree – sia possibile solo al ricorrere della condicio iuris ex art. 143, co. 5, ossia della previa individuazione, nei piani paesaggistici, delle aree aree significativamente compromesse o degradate. Solo in tal caso opera l’elencazione degli interventi dell’Allegato A, di diritto rispetto all’eventuale numerus clausus che ai sensi della norma anzidetta possono creare lo Stato e la Regione in sede di copianificazione.