Consiglio di Stato Sez. IV n. 9525 del 27 novembre 2024
Rifiuti. Abbandono e responsabilità
Il sub-sistema normativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 reca un preciso criterio di imputazione della responsabilità da inquinamento, la quale si innesta sulla sussistenza di un nesso eziologico, non ammettendo ulteriori, diversi e più sfavorevoli criteri di imputazione (i quali, pure, sono conosciuti da altri settori dell’ordinamento) e che, sia nelle ipotesi di danno ambientale disciplinate dalle previsioni della direttiva 2004/35/UE, sia in quelle che restano regolate dalle sole previsioni del Codice ambientale, non sono configurabili ipotesi di responsabilità svincolata da un contributo causale alla determinazione del danno. La norma richiede, inoltre, che la condotta di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti “sul” suolo e “nel” suolo risulti imputabile a titolo di dolo o colpa in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati.
Pubblicato il 27/11/2024
N. 09525/2024REG.PROV.COLL.
N. 00346/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 346 del 2023, proposto dalla società -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Abbamonte e dall'avvocato Francesco Fidanza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di -OMISSIS- in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Anna Ivana Furnari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luca Leone in Roma, via Appennini 46;
il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
della Città Metropolitana di -OMISSIS-, dell’Agenzia regionale protezione ambientale Campania (Arpac), dell’Azienda Sanitaria Locale di -OMISSIS-, del Comando Carabinieri per la tutela della salute – Nas Roma, del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, dell’Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, non costituiti in giudizio;
nei confronti
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Parisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, (Sezione Quinta), n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-, del Ministero della Difesa e -OMISSIS-;
Viste le memorie di -OMISSIS- s.r.l. del 19 gennaio 2023, del 24 gennaio 2023, del 24 settembre 2023, del 25 ottobre 2023, del 10 luglio 2024, del 18 luglio 2024, del 16 settembre 2024;
Viste le memorie -OMISSIS- del 23 gennaio 2023 e del 2 ottobre 2023;
Viste le memorie del Comune di -OMISSIS- del 5 ottobre 2023 e del 29 luglio 2024;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2024 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
FATTO e DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla società -OMISSIS- s.r.l. avverso la sentenza del T.a.r. per la Campania n. -OMISSIS-.
2. Il giudizio ha ad oggetto la legittimità dell’ordinanza n. -OMISSIS-, con la quale si intima alla società di provvedere alla messa in sicurezza dell’area denominata -OMISSIS-, alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti abbandonati in loco, al ripristino dello stato dei luoghi, all’analisi e caratterizzazione ambientale, alla bonifica, nonché alla comunicazione dell’avvenuta esecuzione di quanto ordinato.
3. L’area relativa ai fatti di causa, adibita a -OMISSIS- e individuata catastalmente al Foglio di mappa n° -OMISSIS- (in parte), 346 (in parte), 27 (in parte) per complessivi 30.000 metri quadrati circa, risulta essere stata in esercizio dalla data del 1° gennaio 1986 per poi cessare l’attività nell’anno 1988.
L’area in questione fa parte di un’area di estensione maggiore pari a 293.088 metri quadrati.
3.1. Prima delle vicende strettamente riguardanti la società appellante, l’area dove è collocata la cava è stata già oggetto di sequestri penali.
Il 17 ottobre 2006, la cava è stata oggetto di un sequestro per una sua porzione di 10.000 mq, in quanto occupata da rifiuti non pericolosi provenienti da attività di costruzione e demolizione.
Il 12 maggio 2008, si è proceduto al sequestro di un’ulteriore area di cava sempre per la medesima ragione.
Il 12 novembre 2008, l’intero fondo dove è collocata la cava è stato sottoposto a sequestro penale per un totale di 293.088 mq, per la medesima ragione.
3.2. Il 7 febbraio 2011, -OMISSIS- (d’ora in avanti, per brevità, soltanto Arciconfraternita), proprietaria del fondo, ha stipulato con la società odierna appellante un contratto per l’esecuzione di un progetto di recupero ambientale finalizzato al ripristino morfologico.
3.3. Tra il 5 dicembre 2011 e il 21 dicembre 2011, la ditta proprietaria dava esecuzione al piano di indagini preliminari precedentemente discusso e approvato dalle autorità competenti, seguendo quanto previsto nella “Relazione tecnica sulle attività eseguite e considerazioni” predisposta dal tecnico di fiducia della proprietà.
3.4. Con le comunicazioni del 17 maggio 2012 e del 28 giugno 2012, inviate rispettivamente alla Guardia di Finanza ed all’Arpac, la ditta proprietaria ha comunicato di aver smaltito i rifiuti presenti sulla superficie della cava.
Con la nota prot. n. 31825 del 10 luglio 2012, l’Arpac ha attestato che: “i rifiuti rinvenuti sul suolo, presso -OMISSIS- ……, sono stati smaltiti e/o recuperati secondo la normativa vigente”.
3.5. L’odierna appellante ha, dunque, intrapreso il procedimento di autorizzazione per l’effettuazione dei lavori di ricomposizione ambientale del sito.
Con il decreto dirigenziale della regione Campania n. 444 dell’11 dicembre 2013, si sono autorizzati questi lavori di ricomposizione ambientale.
In data 20 dicembre 2013, la -OMISSIS- ha comunicato l’avvio dell’attività di ricomposizione ambientale.
3.6. Tuttavia, l’area è stata nuovamente sottoposta a sequestro penale il 12 maggio 2015, parzialmente dissequestrata il 21 dicembre 2015, e nuovamente sequestrata il 12 marzo 2016, essendo state riscontrate alcune violazioni ambientali ai sensi del d.lgs. n. 152/2006.
3.7. Con la nota prot. n. 467871 del 28 maggio 2019, il Comune di -OMISSIS- ha comunicato l’avvio del procedimento di cui all’art. 192, d.lgs. n. 152/2006.
Con la nota acquisita al prot. generale al n. 567897 del 28 giugno 2019, la ditta -OMISSIS- ha formulato osservazioni procedimentali.
3.8. L’8 agosto 2019, il Comune di -OMISSIS- ha emanato l’ordinanza sindacale n. 3, ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006.
4. L’impresa ha proposto ricorso innanzi al T.a.r. per la Campania, domandando l’annullamento del provvedimento.
4.1. Si sono costituiti il Comune di -OMISSIS-, la Regione Campania, l’A.r.p.a.C., il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Città metropolitana di -OMISSIS-, resistendo all’impugnazione.
4.2. Con l’ordinanza n. -OMISSIS- (confermata all’esito dell’appello cautelare), il T.a.r. ha respinto l’istanza cautelare.
4.3. Il 12 maggio 2022, il Comune di -OMISSIS- ha emanato il provvedimento n. 373359, con il quale ha ordinato la caratterizzazione e la messa in sicurezza e ripristino dello stato dei luoghi.
4.4. In data 26 settembre 2022 il Tribunale Penale di -OMISSIS- ha pronunciato la sentenza -OMISSIS- che definito, in primo grado, il processo penale originato dai sequestri intervenuti negli anni 2015 e 2016 e che vedeva il legale rappresentante della ditta imputato per il reato di traffico illecito di rifiuti, dichiarando il non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione del reato.
5. Parallelamente, con la sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. ha respinto il ricorso e ha condannato l’impresa al pagamento delle spese di lite nei confronti di ciascuna delle amministrazioni resistenti.
6. Con ricorso notificato il 4 gennaio 2023 e depositato il 14 gennaio 2023, la società ha proposto appello avverso la pronuncia di primo grado, formulando cinque motivi di impugnazione.
6.1. Si è costituita in giudizio l’associazione -OMISSIS-, la quale, con la memoria del 23 gennaio 2023, ha formulato difese in rito e nel merito.
6.2. Con la memoria del 24 gennaio 2023, l’appellante ha replicato brevemente alla memoria di parte resistente, in vista della camera di consiglio.
6.3. All’udienza del 26 gennaio 2023, l’appellante ha rinunciato alla domanda cautelare e il Collegio ha preso atto della relativa rinuncia.
6.4. La ditta, il Comune di -OMISSIS- e l’-OMISSIS- hanno ulteriormente illustrato con memorie difensive le rispettive posizioni in vista dell’udienza di discussione del 26 ottobre 2023.
6.5. All’udienza del 26 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
6.6. Con l’ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, il Collegio ha disposto alcuni incombenti istruttori a carico delle parti.
6.6.1. In particolare, si è ordinato al Comune di -OMISSIS-:
i. di depositare documentati chiarimenti, indicando a quali porzioni dell’area di 30.000 metri quadrati nella disponibilità della -OMISSIS- s.r.l. (-OMISSIS-) si riferisce l’ordinanza n. -OMISSIS-;
ii. di indicare quali sono gli atti del procedimento di emanazione dell’ordinanza n. -OMISSIS-, presi in considerazione, per individuare la porzione dell’area denominata -OMISSIS- in cui si trovavano i rifiuti oggetto dell’ordine di rimozione;
iii. di indicare a quanta parte dell’area di 30.000 metri quadri, nella disponibilità della società corrisponde “il piano di pendio e […] parte della “valle” (descritti nella relazione del dottore -OMISSIS-)” oltre che i “bordi di dislivello dell’area”, cui si fa riferimento nella sentenza del Tribunale penale di -OMISSIS- del -OMISSIS-;
iv. di chiarire quali sono gli sviluppi del procedimento ex art. 244 d.lgs. n. 152/2006, intrapreso dalla Città metropolitana di -OMISSIS-, a cui si fa riferimento nella nota prot. n. 145371 del 27 settembre 2023 della Città metropolitana di -OMISSIS-, depositata in giudizio il 25 ottobre 2023 dalla società appellante, impregiudicata ogni decisione sulla sua ammissibilità nel presente giudizio da parte del Collegio.
6.6.2. Si è ordinato altresì alla società appellante di far conoscere l’esito dell’appello penale avverso la sentenza del Tribunale penale di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, producendo anche la sentenza d’appello, corredata dalle motivazioni della decisione, qualora già pubblicata.
6.7. Con il deposito del 16 febbraio 2024, il Comune di -OMISSIS- ha fornito parziale adempimento all’ordinanza istruttoria, mentre il 4 giugno 2024 la ditta, in adempimento dell’ordinanza, ha depositato la sentenza della Corte d’appello di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, che ha respinto l’appello proposto dal legale rappresentante legale della ditta.
6.8. Successivamente, le parti hanno ulteriormente approfondito le rispettive difese in vista dell’udienza di discussione del 19 settembre 2024.
7. All’udienza del 19 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.
8. Seguendo l’ordine logico delle questioni, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni pregiudiziali formulate dall’-OMISSIS- nella memoria del 23 gennaio 2023 e ribadite dal Comune nella memoria di replica del 29 luglio 2024.
8.1. Relativamente alle eccezioni contenute nelle memorie di replica del Comune si tratta delle medesime eccezioni già opposte dall’-OMISSIS-.
8.1.1. Il Collegio ne deve dichiarare, tuttavia, l’inammissibilità.
8.1.2. Si tratta infatti di eccezioni che riguardano il contenuto dell’appello proposto dalla ditta appellante, sicché l’interesse alla loro proposizione non può dirsi sorto con la memoria conclusionale di quest’ultima.
Considerato che, per giurisprudenza pacifica di questo Consiglio, la memoria di replica costituisce esclusivamente l’atto processuale idoneo a controdedurre alle difese esposte nella memoria conclusionale di controparte, vanno dichiarate inammissibili le eccezioni opposte dal Comune, in quanto dedotte soltanto con le due memorie di replica depositate in giudizio dall’ente, e, pertanto, i fatti e le argomentazioni allegati non saranno valutati dal Collegio (Cons. Stato, Sez. II, 04 luglio 2023, n. 6521).
8.2. Vanno pertanto decise le sole eccezioni proposte -OMISSIS-.
8.3. Con la prima eccezione da esaminare in ordine logico, -OMISSIS- oppone l’improcedibilità dell’appello, perché la società avrebbe dato spontaneamente esecuzione all’ordinanza.
8.3.1. L’eccezione è infondata.
8.3.2. In punto di diritto, va ricordato che: “Gli elementi posti a sostegno dell'ipotesi di acquiescenza richiedono una valutazione particolarmente rigorosa atteso che l'operatività di tale istituto, il quale sussiste nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell'atto medesimo, che dimostrino la sua chiara ed incondizionata volontà di accettarne gli effetti e l'operatività, comporta la sostanziale rinuncia al diritto di agire in giudizio, tutelato dagli artt. 24 e 111 della Costituzione.” (Cons. Stato Sez. IV, -OMISSIS-).
8.3.3. L’ordinanza di rimozione emanata ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 156/2006 è un provvedimento efficace ed esecutivo i cui effetti non sono stati sospesi, e pertanto risulta doveroso per chi è destinatario di quegli effetti dare esecuzione al provvedimento.
8.3.4. Non si configura, perciò, alcuna condotta di adempimento spontaneo da parte della ditta destinataria dell’ordine impartito dal Comune, che si è limitata a dare esecuzione ad un ordine impartitole, e, quindi, non sussiste alcuna ragione di improcedibilità.
8.4. Con la seconda eccezione pregiudiziale, l’-OMISSIS- ha poi dedotto la violazione dei limiti dimensionali fissati dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016.
La resistente deduce che: “Sui capi 3,4,5,6 a partire da pag. 37 del ricorso cui si resiste non si accetta il contraddittorio atteso il superamento del limite dimensionale del ricorso introduttivo in palese violazione del c.d. principio di sinteticità degli atti e del d.P.C.S. 167\2016 gia rilevato dal Consiglio di Stato nel decreto adottato il 17/01/2023 con cui e stata rigettata l’istanza di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali per una patente violazione della procedura da porre in essere atteso che non era stata richiesta preliminarmente l’autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali e tantomeno e stato notificato alle parti appellate.”.
8.4.1. Con la memoria del 24 settembre 2023, l’impresa appellante ha preso posizione sull’eccezione, deducendo che il mancato rispetto del limite (ammesso, dunque, dalla ditta appellante) è derivato dall’ampia ricostruzione dei fatti relativi alla vicenda, compiuto nella prima parte del gravame. L’appellante ha poi evidenziato di aver riformulato l’appello, depositando in data 19 gennaio 2023 una “memoria contenente la riformulazione dell’appello nel rispetto dei limiti dimensionali”, fermo restando naturalmente il rispetto del divieto di nova” e, in subordine, di aver rinunciato alle seguenti argomentazioni presenti nella narrativa in fatto:
«- dal quinto capoverso di pagina 14 che inizia con “Seguiva un’interlocuzione…” fino a pagina 21 quinto capoverso che finisce con “…per il giorno 12.10.2022”.
- dal secondo capoverso di pagina 26 che inizia con “Ad ogni modo” fino al secondo capoverso di pagina 27 che finisce con “…dell’ordinanza sindacale”».
8.4.2. Il Collegio rileva, preliminarmente, che non può essere accolta la difesa spiegata dall’appellante, secondo cui l’eccessiva lunghezza dell’appello, in violazione del richiamato decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sarebbe giustificata dalla minuziosa ricostruzione “in fatto” compiuta.
In proposito, rileva la circostanza che qualsiasi deroga ai limiti dimensionali debba essere autorizzata con l’apposito decreto presidenziale e, nel caso di specie, con il decreto presidenziale n. 27 del 17 gennaio 2023, l’istanza proposta in calce all’appello è stata dichiarata inammissibile, perché qualificata come “autorizzazione postuma” e “perché sfornita di qualsiasi allegazione delle eventuali eccezionali ragioni che abbiano impedito la tempestiva proposizione dell’istanza”.
8.4.3. Il Collegio rileva altresì di non poter accogliere la prima delle richieste formulate dall’appellante e tenere conto della memoria di cui al 19 gennaio 2023, in quanto trattasi di memoria depositata in giudizio senza alcuna autorizzazione e, dunque, irritualmente.
8.4.4. Va invece accolta la rinuncia all’esame delle parti dell’appello indicate dall’appellante, operata dalla suddetta parte, nell’esercizio del proprio potere dispositivo, al fine di rientrare nei suddetti limiti.
Si tratta, infatti, di un diritto processuale espressamente ammesso dall’art. 7 del decreto presidenziale n. -OMISSIS-, che dispone che: “è in ogni caso fatta salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare”.
8.4.5. L’eccezione dell’-OMISSIS- risulta dunque improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, non sussistendo più, in ragione della suddetta rinuncia, la violazione dedotta. Per l’effetto possono essere esaminate interamente tutti i motivi di appello.
8.5. Con la terza eccezione pregiudiziale, l’-OMISSIS- ha eccepito la violazione dell’art. 104 c.p.a., opponendo “…l’inammissibilità delle rappresentazioni in fatto contenute nell’atto di appello cui si resiste che rappresentano null’altro che nuove difese così come già chiarito dal TAR Campania che ha dichiarato inammissibili le memorie e le rappresentazioni ivi contenute depositate il 22.10.2022.
Tale capo di sentenza non e stato gravato e pertanto le doglianze, le eccezioni e ricostruzioni (false) in esso contenute ed integralmente traposte nella rappresentazione in fatto dell’atto cui si resiste da pag. 1 a pag.27 non potranno essere tenute in considerazione ed andranno dichiarate inammissibili ed infondate atteso che mirano surrettiziamente ad ampliare il thema decidendum (come già chiarito dal TAR Campania) ed in palese violazione del disposto di cui all’art.104 c.p.a..” (pag. 10 della memoria; “prima parte dell’eccezione”) e che “le censure spiegate rappresentano TUTTE dei nova in appello non essendo MAI stato gravato il provvedimento impugnato sui capi presi in considerazioni nei punti indicati (in particolar modo sulle quantità da rimuovere).” (pag. 12 della memoria; “seconda parte dell’eccezione”).
8.5.1. L’eccezione, per come formulata, è inammissibile, nei sensi che si vanno ad esporre.
8.5.2. L’-OMISSIS- individua quale oggetto (della prima parte) dell’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 104 c.p.a., le “rappresentazioni in fatto contenute nell’atto di appello” che rappresenterebbero, secondo la resistente, “null’altro che nuove difese”.
In disparte la considerazione che la società appellante ha rinunciato alle parti dell’appello che sono indicate nell’eccezione in esame, il Collegio evidenzia che la resistente non allega con la dovuta e necessaria precisione quali fatti, nell’ambito delle prime ventisette pagine dell’appello, configurerebbero la violazione dedotta, sicché l’eccezione non può essere accolta per difetto di specificità della stessa.
Va peraltro aggiunto che qualsiasi “doglianza ed eccezione”, contenuta nella parte “in fatto” dell’appello, qualora riscontrato dal Collegio nell’esame dei motivi, risulterebbe comunque inammissibile – con declaratoria da pronunciarsi d’ufficio - in quanto costituente “motivo intruso” (sull’inammissibilità di tali motivi, cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 20 febbraio 2024, n. 1696).
8.5.3. Analoghe motivazione determinano anche la reiezione della seconda parte (o articolazione) dell’eccezione di inammissibilità per violazione del divieto dei nova, essendo onere della parte che eccepisce l’avvenuto ampliamento del tema decisorio e/o di quello probatorio del grado precedente individuare con la dovuta e necessaria specificità quali sarebbero le censure che integrerebbero la dedotta violazione.
Anche in questo caso, risulta opportuno puntualizzare che qualsiasi alterazione del thema decidendum ravvisata dal Collegio nell’ambito della disamina dei motivi di appello comporterebbe la declaratoria d’ufficio di inammissibilità di quella parte o di quelle parti che dovessero violare la suddetta preclusione.
9. Può passarsi all’esame di merito dei motivi di appello formulati da -OMISSIS-.
10. Con il primo motivo, l’appellante censura la ricostruzione dei fatti svolta dal T.a.r. e, in particolare, il punto della motivazione laddove vengono respinte le difese in fatto dell’impresa.
Tali contestazioni, nella loro diversità, mirano ad infirmare “in fatto” l’accertamento della responsabilità della società sostenendo, in buona sostanza, che l’area fosse già inquinata a causa di attività preesistenti alla presa in carico del sito da parte dell’-OMISSIS- dalla -OMISSIS- che ne è proprietaria, per lo svolgimento dell’attività di ricomposizione ambientale, che la prima si era obbligata contrattualmente a compiere a vantaggio della seconda.
10.1. Il primo motivo di appello è infondato.
10.2. Il provvedimento impugnato trae origine dai due sequestri operati dalle Forze dell’ordine il 12 maggio 2015 e il 12 marzo 2016.
10.3. In particolare, il secondo dei verbali suindicati evidenzia che l’attività ispettiva e il conseguente sequestro è scaturito da alcune segnalazioni telefoniche nelle quali si dava conto della presenza di “camion in entrata presso -OMISSIS-”.
Ambedue i verbali evidenziano la presenza di rifiuti superficiali abbancati in diversi punti dell’area che, in particolar modo nel secondo verbale, vengono descritti con maggiore precisione.
10.4. In base al criterio di valutazione del compendio probatorio costituito dalla regola del “più probabile che non”, il Collegio ritiene altamente inverosimile che il responsabile della ditta, al momento della presa in carico del sito (avvenuta quantomeno nell’anno 2014, come questi dichiara nel ricorso di primo grado a pagina 20 la medesima ditta ricorrente) o anche in un momento immediatamente successivo a tale presa in carico, riscontrata la presenza dei numerosi e consistenti cumuli di rifiuti indicati nei verbali di sequestro, non abbia svolto alcuna rimostranza alla ditta proprietaria, non si sia adoperata affinché la loro presenza constasse in qualche modo o non ne abbia denunciato la presenza alle autorità, come si tenta di far credere nel motivo di appello declinando ogni responsabilità e “scaricandola”, in parte, sulle precedenti gestioni del sito e, in parte, sulle attività di indagine successivamente compiute.
Non risulta credibile il tentativo di dimostrare che i rifiuti trovati scaturirebbero dalla “…movimentazione dei materiali e gli scavi eseguiti anche in profondità compiuti in occasione degli accertamenti nonché, più in generale, nell’ambito dei terrazzamenti della ricomposizione ambientale ha comportato che le terre e rocce da scavo conferite dalla ditta si siano mischiate con i rifiuti derivanti dalla demolizione presenti in loco da decenni.”.
Il rinvenimento dei diversi cumuli di rifiuti è stato compiuto nell’ambito dello svolgimento di operazioni delle “forze dell’ordine” in due anni distinti e parte di questi rifiuti sono stati individuati ictu oculi, senza alcuna attività di scavo o movimentazione di terra, a dimostrazione del livello di inquinamento presente in loco e della riconducibilità ad operazioni compiute dall’impresa.
Nel primo verbale di sequestro, redatto in data 12 maggio 2015, si dà conto di aver trovato, al momento dell’ispezione, in “una cava in tufo…una notevolissima quantità di rifiuti inerti, tanto che l’altezza interna della cavità si è ridotta notevolmente” il che esclude, a giudizio del Collegio, la verosimiglianza della tesi della movimentazione quale possibile causa del rinvenimento di rifiuti in loco.
Ancora più eloquente è il secondo verbale di sequestro, redatto in data 12 marzo 2016, che ha rilevato la presenza di tre aree di sversamento, definiti “tre grossi scarichi”, in “punti sparsi della cava”, individuate dagli agenti verbalizzanti “a vista”.
Anche in questo caso veniva esaminata, tra l’altro, “una grotta con tre ingressi”, descritta come “colma di rifiuti” provenienti “da attività di costruzione e demolizione”.
In ambedue gli episodi l’ispezione veniva condotta alla presenza della persona fisica responsabile in quel momento della società e in danno della quale si procedeva al sequestro, senza che dalla verbalizzazione agli atti del giudizio risulti che quest’ultima abbia tentato di fornire una spiegazione dell’accaduto agli agenti di polizia.
11. Con il secondo motivo di appello, si censura la sentenza per aver accertato la sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, consistente nell’abbandono di rifiuti.
Si deduce, in particolare, che i cumuli rinvenuti non costituirebbero “rifiuti”, ma terra e rocce di scavo il cui impiego ai fini della ricomposizione ambientale, autorizzata dal decreto regionale n. 444 del 2013, risultava pienamente ammissibile e lecito.
A tale proposito, si contestano sia gli accertamenti compiuti dall’Arpac, che la relazione ISPRA del 2019, che la sentenza del Tribunale penale di -OMISSIS-.
11.1. Il secondo motivo di appello è inammissibile.
11.2. Ai sensi dell’art. 104 c.p.a., primo periodo, “Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall’articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio”.
Ne discende che nell’ambito del giudizio amministrativo d’appello la parte processuale non può introdurre nuove domande processuali, caratterizzate da un nuovo o mutato petitum oppure da una nuova o mutata causa petendi, che determinino una nuova o mutata richiesta giudiziale ovvero nuovi o mutati fatti costitutivi della pretesa azionata (Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2024, n. 6440; Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 714; IV, -OMISSIS-).
11.3. In relazione alla censura articolata con il motivo di appello in esame e, cioè, l’insussistenza di materiali qualificabili come “rifiuti” nell’area dell’ex cava, il Collegio evidenzia che tale contestazione non risulta essere stata proposta nell’ambito delle censure articolate in primo grado.
Pertanto, in applicazione del richiamato principio che vieta i c.d. nova in appello, il motivo in esame va dichiarato inammissibile.
12. Con il terzo motivo di appello, si censura, nuovamente, la sentenza “nella parte in cui ritiene sussistente l’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie di abbandono di rifiuti ex art. 192 del D.Lgs 152/2006, non solo per la qualificazione del materiale, ma anche per la quantificazione dello stesso, avendo l’Ente comunale ingiunto alla ditta di intervenire con riferimento a tutti i 30.000 mc per un peso di 50.000 tonnellate presenti anche in profondità su una superficie di 30.000 mq.”.
L’appellante lamenta che le sarebbe stato imputato un abbandono di rifiuti anche per attività compiute in momenti antecedenti alla stipulazione del contratto e alla presa in carico dell’area.
A sostegno della sua deduzione l’appellante enumera una serie di circostanze che comproverebbero l’erroneità della statuizione, ivi compreso che il T.a.r. non avrebbe tenuto conto della sentenza del Tribunale penale che avrebbe circoscritto la responsabilità della ditta per l’abbandono di rifiuti, violando in tal modo l’art. 654 c.p.p. e il giudicato penale. Si evidenzia, in proposito, che “i fatti materiali del conferimento di soli 9585 mc ad una profondità massima di 2 mt su una porzione limitata di circa 8500 mq sono stati accertati in sede penale all’esito della compiuta istruttoria dibattimentale, con la conseguente portata vincolante nei confronti del giudizio amministrativo”.
Con il quarto motivo di appello, si censura la reiezione del motivo di ricorso con il quale si è dedotta l’illegittimità del provvedimento per indeterminatezza degli ordini impartiti all’impresa, stigmatizzandosi, in particolare, la circostanza che l’ordinanza abbia imposto al contempo l’ordine di rimozione di cui all’art. 192 e l’ordine di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica disciplinati dall’art. 242 d.lgs. n. 152/2006, così confondendo diversi istituti.
12.1. Può procedersi congiuntamente all’esame del terzo e del quarto motivo di appello, che sviluppano censure tra loro logicamente connesse, in quanto riguardano l’esatta portata dell’effetto ordinatorio del provvedimento impugnato.
12.2. In diritto, si premette che il Consiglio di Stato, sia pure in controversie riguardanti la responsabilità del proprietario dell’area rispetto alla quale gravava l’ordine di rimozione dei rifiuti, ha affermato principi che possono ritenersi universalmente valevoli rispetto all’applicazione dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, anche quando questo ordine non è rivolto al proprietario del fondo inquinato.
12.3. In particolare, è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa che il sub-sistema normativo di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 reca un preciso criterio di imputazione della responsabilità da inquinamento, la quale si innesta sulla sussistenza di un nesso eziologico, non ammettendo ulteriori, diversi e più sfavorevoli criteri di imputazione (i quali, pure, sono conosciuti da altri settori dell’ordinamento) e che, sia nelle ipotesi di danno ambientale disciplinate dalle previsioni della direttiva 2004/35/UE, sia in quelle che restano regolate dalle sole previsioni del Codice ambientale, non sono configurabili ipotesi di responsabilità svincolata da un contributo causale alla determinazione del danno (Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2023 n. 1168; sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630).
La norma richiede, inoltre, che la condotta di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti “sul” suolo e “nel” suolo risulti imputabile a titolo di dolo o colpa in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati.
12.4. In considerazione e applicazione dei suesposti principi, il Collegio rileva che dagli atti del giudizio risulta ampiamente comprovata la responsabilità della ditta rispetto all’abbandono dei rifiuti nell’area -OMISSIS-.
12.5. A tale proposito, va chiarito che il presupposto di diritto da cui muove il terzo motivo di appello è infondato, in quanto la statuizione di accertamento contenuta nella sentenza di primo grado ha un significato diverso da quello che l’appellante cerca di attribuirgli per configurare una possibile illegittimità per difetto d’istruttoria e indeterminatezza dell’atto impugnato.
La statuizione del T.a.r. (riportata nel corso della sintesi del terzo motivo, al §. 12) risulta, infatti, esclusivamente finalizzata a dichiarare la sussistenza della responsabilità della ditta rispetto all’abbandono dei rifiuti e, quindi, all’accertamento della “presenza di rifiuti nel sito “-OMISSIS-”. In questa prospettiva, il T.a.r. afferma che la sussistenza dell’elemento materiale della fattispecie, ossia l’abbandono incontrollato dei rifiuti “sul e nel suolo”, viene corroborata dalla circostanza che, “…peraltro, tale dato risulta accertato” dalla relazione Arpac del 26 maggio 2016.
È vero che, in tale relazione, versata in atti, “si rappresenta che la ricomposizione ambientale è stata realizzata con rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, come emerge dai campioni estratti dagli scavi delle trincee, con utilizzo di una notevole quantità di materiale, stimato in circa 30.000 mc per un peso di circa 50.000 tonnellate, proveniente da demolizioni di edifici senza essere sottoposto ad alcun processo di separazione, vagliatura e frantumazione in idoneo impianto autorizzato, realizzando di fatto una discarica abusiva.” e che tale assunto è anche contenuto nelle premesse dell’ordinanza impugnata. Tuttavia, questa affermazione non reca alcuna espressa attribuzione di responsabilità alla società appellante per l’intero quantitativo di rifiuti indicato, né contiene elementi che, data per presupposta questa imputazione di responsabilità alla ditta, chiariscano come essa è stata effettuata.
12.6. Questa convinzione trova conferma nella sentenza penale del Tribunale di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, che ha definito il processo avente ad oggetto (anche) le condotte, cristallizzate nei due verbali di sequestro, del 12 maggio 2015 e del 12 marzo 2016, menzionati espressamente nel provvedimento e a cui fa espresso riferimento la sentenza penale a pagina 7 e 10.
Va preliminarmente puntualizzato che la pronuncia non costituisce “di per sé” un parametro di legittimità del provvedimento, in quanto l’atto sub iudice è stato emanato prima della conclusione del processo penale e l’amministrazione non ha atteso (né era tenuta ad attendere) le risultanze del processo prima di provvedere. In proposito, va infatti ricordato che nei giudizi di annullamento, qual è quello in esame, la legittimità dell’atto impugnato va valutata con riguardo esclusivo alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui il provvedimento fu emanato, restando irrilevanti le eventuali sopravvenienze, secondo il principio tempus regit actum, sostenuto dalla costante giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, -OMISSIS-; sez. IV, -OMISSIS-; sez. III, 15 maggio 2012 n. 2801)
Parimenti, tale pronuncia non spiega nel presente processo alcuna efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 654 c.p.p., come sostiene, per converso, l’appellante, in quanto trattasi di sentenza di non luogo a provvedere per intervenuta prescrizione del reato nei confronti del legale rappresentante della società e, dunque, non ricade nell’alveo applicativo della norma suindicata (Cass. civ., Sez. unite, 26 gennaio 2011 n. 1768; Cass. civ., Sez. II, ord., 12 giugno 2024, n. 16422; Cass. civ., Sez. III, 11 marzo 2016 n. 4764).
Va ulteriormente evidenziato come la sentenza faccia espressamente salvi gli obblighi di bonifica delle aree in sequestro e di ripristino dello stato dei luoghi a carico degli imputati, ove non ancora adempiuti.
Pur nella consapevolezza che l’accertamento di responsabilità della sentenza penale è compiuto in applicazione del più rigoroso criterio probatorio finalizzato a superare “ogni ragionevole dubbio”, mentre ai fini dell’emanazione dell’ordine amministrativo l’accertamento adoperato si rifà al già richiamato criterio probabilistico condotto in base alla logica del “più probabile che non”, si ritiene che gli accertamenti contenuti nella pronuncia penale consentano di rafforzare il convincimento di questo Consiglio sulla sufficiente perimetrazione, da parte del Comune, degli effetti dispositivi dell’ordine di rimozione dei rifiuti contestati dalla parte appellante.
12.7. In particolare, se è vero, per un verso, che il Tribunale penale ha affermato che “…attribuire in termini di responsabilità penale l’ingente accumulo di rifiuti ivi rinvenuto esclusivamente alla -OMISSIS- è operazione che non troverebbe solido fondamento probatorio” e che “la circostanza che l’-OMISSIS- abbia conferito in cava non rispettando la ricomposizione ambientale, rifiuti derivanti da lavori di demolizione senza sottoporli ai preventivi processi di frantumazione – selezione – lavaggio, […] non è sufficiente a ritenere che l’abbandono di rifiuti sia esclusiva opera della -OMISSIS- s.r.l., soprattutto in presenza di un sito già contaminato almeno dal 2010”.
Per altro verso è altrettanto vero che il Giudice penale ha poi puntualizzato che “tutti i rifiuti rinvenuti lungo il piano di pendio e in parte della “valle” (descritti nella relazione del dottore -OMISSIS-) siano riconducibili all’attività di sversamento illecito della -OMISSIS-” e che “si può ritenere che i rifiuti rinvenuti sulla superficie del sito e quelli bancati sui bordi di dislivello dell’area ad un massimo di due metri di profondità (v. sequestro del 12.5.2015) siano frutto dell’attività di gestione della -OMISSIS- ad opera della -OMISSIS- s.r.l.”.
12.8. Tali affermazioni costituiscono un punto di riferimento per poter perimetrare compiutamente l’ambito oggettivo dell’ordine impartito con l’ordinanza impugnata e così fornire risposta alla censura di eccesso di potere per indeterminatezza e illegittimità per perplessità del provvedimento impugnato, articolata dall’appellante, con il terzo motivo di ricorso dal primo grado e riproposta, criticamente, in appello.
In ragione degli elementi di cui si compone la motivazione del provvedimento, l’ordine di rimozione deve intendersi riferito ai rifiuti che sono stati rinvenuti come abbandonati “sul e nel” suolo nell’ambito dei sopralluoghi effettuati nelle giornate del 12 maggio 2015 e 12 marzo 2016 e che risultano descritti nei relativi verbali.
La sentenza penale non fa altro che ricavare la portata dell’ordine per come emergente da tale attività ispettiva e di polizia, cui il provvedimento impugnato rinvia per relationem, individuando la responsabilità dell’impresa per gli sversamenti ai “rifiuti rinvenuti sulla superficie del sito e quelli bancati sui bordi di dislivello dell’area ad un massimo di due metri di profondità”, ricavando tale dato dal “sequestro del 12.5.2015”, e a cui si aggiungono i cumuli di rifiuti descritti nel verbale successivo del 12 marzo 2016.
Contrariamente a quanto affermato in primo grado risultano dunque identificabili “i materiali e le opere da rimuovere”, nonché sufficientemente localizzate “le aree interessate dall’abbandono dei rifiuti” (pag. 26 ricorso di primo grado).
12.9. Risulta irrilevante, poi, ai fini della legittimità dell’ordine impartito l’esatta quantificazione dei materiali da rimuovere, su cui pure insiste in maniera pressante l’appellante, nel terzo motivo, in quanto i rifiuti di cui si ordina la rimozione vanno individuati in quelli rinvenuti nell’area, dovendosi intendere come tali anche quelli presenti nella parte più superficiale del sottosuolo (e che la sentenza penale individua in quelli a due metri di profondità).
13. Quanto alla dedotta “sovrapposizione” fra gli effetti dispositivi dell’ordinanza concernenti la rimozione dei rifiuti abbandonati in sito e gli effetti invece riguardanti la messa in sicurezza, caratterizzazione e la bonifica dell’area, censurati con il quarto motivo di appello, si osserva quanto segue.
13.1. Come si evince dall’art. 239 d.lgs. n. 152/2006, la disciplina di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 interseca anche quella di cui all’art. 242 del medesimo testo normativo.
La prima delle due disposizioni dispone infatti, al comma 2, che: “Ferma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano:
a) all'abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell'area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo;”.
Il coordinamento fra i due disposti normativi implica che, se a seguito della rimozione dei rifiuti abbandonati si accerti il superamento dei valori di legge, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell’area per lo svolgimento dell’eventuale bonifica, così disposto dalla relativa disciplina del Titolo V del d.lgs. n. 152/2006.
Pertanto, va evidenziato che la censura di illegittimità in esame deve essere dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse in ragione della successiva attività amministrativa compiuta dalla Città metropolitana di -OMISSIS-, che ha intrapreso il procedimento finalizzato al compimento delle attività necessarie all’eventuale effettuazione della bonifica che si rendesse necessaria nell’area e di cui si è dato atto nel presente giudizio, con il deposito in data 25 ottobre 2023, proprio ad opera dell’odierna appellante, degli atti con i quali la Città metropolitana di -OMISSIS- ha intrapreso il procedimento di cui all’art. 244 d.lgs. n. 152/2006 (nota del 4 dicembre 2020 prot. n. U.0136002; nota del 13 luglio 2021 prot. n. 0108151; nota del 27 settembre 2023 prot. n. 0145371; nota del 28 settembre 2023 prot. n. 0146280).
13.2. Va puntualizzato, per completezza, che, quand’anche il procedimento in questione non fosse stato intrapreso dalla Città metropolitana, l’eventuale scrutinio della censura di illegittimità articolata, che muove dalla asserita illegittima sovrapposizione dell’ordine di rimozione con i profili ordinatori inerenti alla bonifica, facendone scaturire la conseguente illegittimità dell’intero provvedimento impugnato per indeterminatezza dell’ordine impartito, non sarebbe stata comunque accolta.
Va infatti evidenziato che l’ordinanza nella parte in cui accerta l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e, perciò, impartisce l’ordine di rimozione e smaltimento dei rifiuti risulta emanata in presenza dei presupposti di legge e in assenza dei profili di illegittimità dedotti dall’appellante. Questo effetto dispositivo non risulta in alcun caso inficiato dagli asseriti profili di illegittimità per indeterminatezza derivanti dall’aver ordinato con il medesimo atto anche quelle attività che esulano dall’ordine di rimozione e si iscrivono, invece, nell’ambito dell’attività di bonifica. Questo sia perché questa parte del provvedimento è sufficientemente determinata sia perché eventuali profili di assenza o di violazione dei presupposti di legge pertinenti alle operazioni di caratterizzazione e messa in sicurezza “invece […] regolate dall’art. 242” (pagina 44 appello) comporterebbe l’annullamento soltanto in parte qua del provvedimento.
13.3. Sul punto, inoltre, è opportuno evidenziare che in primo grado la ricorrente ha dedotto che “l’Allegato 3 della parte IV, titolo V, del D. Lgs. 152/06, definisce i criteri generali per la scelta e la realizzazione delle varie tipologie di intervento in relazione allo stato di contaminazione e di utilizzo del sito ed in particolare prevede le seguenti misure: messa in sicurezza d’urgenza, messa in sicurezza operativa, messa in sicurezza permanente, bonifica e ripristino ambientale. Nel caso l’attività richiesta non è indicata. Non può non tenersi conto che l’ordine – che null’altro precisa sugli interventi a effettuarsi né sui luoghi da mettere in sicurezza sanitaria ed ambientale- impone al privato l’esecuzione di un’attività che nei fatti risulta non dedotta, non desumibile ed irrealizzabile nei fatti” (pagina 26 del ricorso). In appello, invece, la censura si appunta su profili differenti, relativi al mancato rispetto delle “specifiche scansioni procedimentali [indagini preliminari – eventuale caratterizzazione (presupposti della caratterizzazione); superamento delle CSC a seguito delle indagini preliminari e condizioni di emergenza ex art. 240 lett. t (presupposti della messa in sicurezza d’emergenza)]”. Si viene così a configurare un evidente inammissibile mutatio libelli tra il processo incardinato innanzi al T.a.r. e quello incardinato presso il Consiglio di Stato, ricadente nel divieto dei nova previsto dall’art. 104 c.p.a..
14. Va, infine, chiarito, in considerazione della delicatezza della vicenda, che l’attività procedimentale inerente alla messa in sicurezza e alla bonifica, ancora in itinere, non costituisce oggetto del presente processo (nel quale essa risulta dedotta soltanto per sostenere la possibile indeterminatezza o perplessità dell’ordinanza impugnata) e non risulta direttamente interessata dagli effetti dispositivi scaturenti dalla presente sentenza, così come del resto disposto ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a.
15. Tenendosi conto delle puntualizzazioni precedenti, il terzo motivo può essere respinto, mentre il quarto motivo va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
16. Con il quinto motivo di appello, l’impresa si duole della declaratoria di inammissibilità della memoria del 21 ottobre 2022, ritenendola meramente illustrativa e non finalizzata ad ampliare il thema decidendum, come invece statuito dal T.a.r..
16.1. Il quinto motivo di appello è infondato.
16.2. Il Collegio rileva che la statuizione del T.a.r. risulta corretta in punto di diritto.
Risulta evidente, infatti, che con questa memoria – che, sul piano formale o redazionale o tipografico, contiene dei veri e propri paragrafi corrispondenti a dei “motivi” – la parte abbia cercato di “aggiustare il tiro” rispetto al ricorso introduttivo del giudizio, allegando nuove circostanze “in fatto” e nuove deduzioni “in diritto”.
La memoria rimane invece ammissibile nei limiti in cui, effettivamente, specifica le censure già proposte, che come tali costituiscono deduzioni già esaminate dal T.a.r. e da questo Consiglio nell’ambito dell’esame dei motivi precedentemente affrontati.
17. In conclusione, alla luce delle motivazioni sin qui esposte, l’appello va respinto.
18. Nel tenore delle questioni controverse, particolarmente complesse in fatto, e del contegno processuale del Comune di -OMISSIS-, che ha adempiuto soltanto parzialmente all’ordinanza istruttoria n. -OMISSIS-, si ravvisano le eccezionali ragioni sancite dal combinato disposto degli artt. 26 comma 1 c.p.a. e 92 comma 2 c.p.c. per compensare integralmente le spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra tutte le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e giuridiche coinvolte nel presente processo.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Michele Conforti, Consigliere, Estensore
Emanuela Loria, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere
Eugenio Tagliasacchi, Consigliere