Cass. Sez. III n. 23091 del 29 maggio 2013 (ud.9 maggio 2013)
Pres. Squassoni Est. Lombardi Ric. Di Bernardino
Rifiuti. Realizzazione e gestione di discarica abusiva reato commissivo
La fattispecie della realizzazione e gestione di una discarica si configura come reato che si realizza mediante condotte commissive. Non sussiste un obbligo del proprietario dell'area adibita a discarica di attivarsi per la rimozione dei rifiuti depositati da terzi, allorché non risulti accertato Il concorso del predetto proprietario con coloro che hanno conferito i rifiuti o nel caso in cui, come nella fattispecie, debba trovare applicazione Il disposto dell'art. 40, comma secondo, c.p.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Avezzano in data 16/09/2009, con la quale D.B.M. era stato dichiarato colpevole dei reati: a) di cui al D.Lgs n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, a lui ascritto, perchè, lasciando abbandonato il complesso denominato "ex fornace (OMISSIS)", senza provvedere alla sua bonifica, faceva si che le coperture in cemento amianto dei capannoni andassero in disfacimento con la conseguenza di diffondere nell'ambiente circostante rifiuti pericolosi, nonchè per avere depositato nel sito anche altri rifiuti pericolosi e non pericolosi, trasformando la zona in una discarica non autorizzata; b) di cui all'art. 674 per avere, con la descritta condotta, provocato emissioni nell'atmosfera di fibre di amianto; c) di cui all'art. 677 c.p., comma 3, per avere omesso di provvedere ai lavori necessari per rimuovere la situazione di pericolo per le persone che si era creata.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva contestato la configurabilità del reato di realizzazione di una discarica abusiva quale conseguenza della condotta omissiva addebitata al D.B.; contestato l'accertamento della diffusione di polveri di amianto e, in ogni caso, il superamento dei limiti di legge previsti in materia;
contestato, infine, l'accertamento della violazione di cui al capo c) in quanto fondato solo sulle dichiarazioni di un teste de relato.
La sentenza ha affermato, con riferimento al reato di cui al capo a), che l'imputato aveva serbato una condotta di partecipazione attiva anche con i terzi, rimasti ignoti, che avevano effettuato il ripetuto abbandono di rifiuti, non provvedendo In alcun modo ad evitare il protrarsi o l'aggravarsi della situazione, come peraltro gli era stato imposto dal sindaco di (OMISSIS) con apposita ordinanza del 13 settembre 2007.
Quanto al reato di cui al capo b) la sentenza ha affermato che la clausola "nei casi non consentiti dalla legge" contenuta nell'art. 674 c.p. si riferisce alle emissioni di gas, vapori o fumo e non al getto o rilascio di polveri, ravvisabile nel caso in esame.
L'accertamento degli elementi costitutivi del reato di cui al capo c) emergeva Infine dalle risultanze delle fotografie in atti e dalla deposizione del teste oculare, M/llo della GG.FF. A.P..
2. Avverso la sentenza ha proposto personalmente ricorso il D. B., che la denuncia con quattro mezzi di annullamento.
2.1 Mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione.
Con il motivo di gravame si denuncia la violazione dell'art. 195 c.p.p., comma 3, art. 495 c.p.p., comma 4, e art. 603 c.p.p..
Il teste A.P. si era limitato a riferire quanto appreso da un funzionario del Genio civile, non meglio identificato, e dal M/llo della GG.FF. D.A., che avevano effettuato il sopralluogo disposto dal Genio civile. Il giudice di primo grado aveva disposto la citazione del M/llo D. su richiesta della difesa, ma aveva, poi, ingiustificatamente revocato la prova, che non è stata neppure ammessa dalla Corte territoriale. La deposizione del M/llo A. risultava pertanto inutilizzabile in quanto teste de relato.
2.2 Errata applicazione della legge penale.
Si contesta, in sintesi, la configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 quale conseguenza della condotta meramente omissiva ascritta all'imputato.
2.3 Errata applicazione di legge con riferimento al reato di cui all'art. 674.
La presunta dispersione di polveri contenenti amianto non ha formato oggetto di alcun accertamento, mentre il fatto integra un'ipotesi di reato solo ove si verifichi il superamento del limiti previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 3. Anche con riferimento a detto capo di imputazione inoltre l'affermazione di colpevolezza è fondata sulla posizione di garanzia attribuita al D.B., mentre per la configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. occorre una condotta attiva.
2.4 Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e mancanza di motivazione.
Nei motivi di appello era stato dedotto che la condotta ascritta all'imputato doveva essere inquadrata nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 255 ed anche il P.G. di udienza aveva chiesto la riqualificazione del fatto. La sentenza ha totalmente ignorato tali richieste, confondendole con quella di esclusione della recidiva, che non è configurabile nei reati contravvenzionali. Si denuncia infine violazione dell'art. 521 c.p.p. con riferimento alla rispondenza tra imputazione e fatto ritenuto in sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2.1 Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Emerge dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione integra, per l'uniformità della decisione, quella di appello, che l'accertamento dei fatti e della situazione dei luoghi è fondato sulle risultanze di numerosi sopralluoghi effettuati, in prosieguo di tempo, dall'ispettore del lavoro P.O., dal dott. G. G., biologo dell'ARTA, dal M/llo della GG.FF. A. P., che in data 26 marzo 2008 aveva provveduto al sequestro dell'area, dal M/llo dei C.C. M.A., da uno dei residenti nei pressi della ex fornace, C.V..
Sicchè la decisione del giudice di primo grado, afferente alla superfluità della deposizione dell'ulteriore teste, la cui escussione era stata chiesta dalla difesa dell'imputato, si palesa assolutamente coerente con la ritenuta esaustività delle prove già acquisite, mentre la deduzione del ricorrente, secondo la quale il M/llo A. sarebbe stato solo un teste de relato, è contraddetta dalla deposizione del medesimo teste.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Effettivamente, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, la fattispecie della realizzazione e gestione di una discarica si configura come reato che si realizza mediante condotte commissive. (Sez. U, Sentenza n. 12753 del 05/10/1994, Zaccarelli Rv. 199385; sez. 3, sentenza n. 31401 del 08/06/2006, Boccabella, Rv. 234942; sez. 3, sentenza n. 2477 del 2008, Marcianò e altri, Rv. 238541).
La giurisprudenza citata, in particolare, ha affermato l'insussistenza di un obbligo del proprietario dell'area adibita a discarica di attivarsi per la rimozione dei rifiuti depositati da terzi, allorchè non risulti accertato il concorso dei predetto proprietario con coloro che hanno conferito i rifiuti.
Nel caso In esame, però, deve trovare applicazione il disposto dell'art. 40 c.p., comma 2.
Emerge, infatti, sempre dalla sentenza di primo grado, che l'imputato era destinatario di un'ordinanza, emessa in data 13 settembre 2007 dal sindaco del Comune di Oricola, con la quale gli era stato ingiunto di provvedere alla rimozione della copertura fatiscente, alla messa in sicurezza dell'immobile ed alla recinzione dell'area, per impedire l'ulteriore accumulo di rifiuti da parte di terzi.
Detto provvedimento, pertanto, era finalizzato proprio ad impedire, che il sito, ormai trasformato in discarica, subisse ulteriori incrementi della massa di rifiuti, sia in conseguenza dell'ulteriore sfaldamento della copertura costituita da materiale contenente cemento-amianto (eternit), sia per l'apporto di ulteriori rifiuti da parte di terzi.
E' evidente, pertanto, il nesso causale tra la condotta omissiva dell'imputato e l'ulteriore incremento della discarica, che lo stesso aveva l'obbligo di impedire in esecuzione del preciso ordine impostogli dall'autorità amministrativa, con la conseguente sussistenza del reato ascritto allo stesso.
Per completezza di esame, si deve rilevare che la fattispecie, così come accertata era sostanzialmente contestata in fatto nell'imputazione e da essa ha ampiamente avuto modo di difendersi l'imputato nel corso del giudizio di merito, avendo avuto conoscenza di tutte le citate risultanze probatorie, con la conseguente insussistenza della violazione di cui all'art. 521 c.p.p.. (sez. 3, sentenza n. 15655 del 27/02/2008, Rv. 239866; conformi: sentenze n. 41663 del 2005 Rv. 232423, n. 10103 del 2007 Rv. 236099, n. 34789 del 2007 Rv. 237415, n. 45993 del 2007 Rv. 239320; di recente: sez. 6, 22/01/2013 n. 5890, RV 254419).
Ovviamente il fatto accertato è stato correttamente inquadrato nell'ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, e non in quella di cui all'art. 255, configurandosi per la situazione di degrado dei luoghi l'esistenza di una discarica.
2.3 Anche il terzo motivo di ricorso è Infondato.
E' stato già reiteratamente affermato da questa Corte che la diffusione di polveri nell'atmosfera rientra nella nozione di "versamento di cose" ai sensi della prima ipotesi dell'art. 674 c.p. e non in quella di "emissione di fumo" contemplata dalla seconda ipotesi, in relazione alla quale soltanto è richiesto il superamento dei limiti di legge, poichè, se il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione, (sez. 3, sentenza n. 16422 del 11/01/2011, P.G., P.C. Busattto e altro, Rv. 249982; Massime precedenti Conformi: N. 447 del 1994 Rv. 195922, N. 42924 del 2002 Rv. 223033, N. 16286 del 2009 Rv. 243454).
Nel resto valgono le osservazioni precedenti in ordine alla ascrivibilità all'imputato della condotta ex art. 40 c.p., comma 2.
2.4 Le censure di cui all'ultimo motivo di ricorso sono assorbite dai rilievi già esposti in punto di diritto sostanziale e processuale.
3. Osserva, però, la Corte che dalla data di commissione del fatto o di cessazione della permanenza dello stesso, coincidente con quella del sequestro dell'immobile eseguito in data 26 marzo 2008, è interamente decorso il termine di prescrizione dei reati, ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p., non rilevandosi sospensioni del decorso del termine.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio per la indicata causale.
Stante la infondatezza del ricorso, devono essere confermate le statuizioni civili della pronuncia impugnata ai sensi dell'art. 578 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione. Conferma le statuizioni civili della sentenza.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2013