Corte Costituzionale sent. 272 del 22 luglio 2010
Oggetto: Telecomunicazioni - Norme della Regione Toscana in materia di impianti di radiocomunicazione - Disciplina per il rilascio dell'autorizzazione all'installazione o alla modifica degli impianti - Previsione che gli oneri relativi allo svolgimento dei controlli previsti dalla normativa regionale siano posti a carico dei richiedenti l'autorizzazione, dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale - Ricorso in opposizione all'ingiunzione di pagamento di somma dovuta a titolo di onere per lo svolgimento dei controlli ARPAT su impianti di telefonia mobile relativamente agli anni 2003-2005 - Dedotto contrasto con la disciplina statale che, in attuazione di direttive comunitarie, prescrive alle pubbliche amministrazioni e agli enti territoriali il divieto di imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - inammissibilità
SENTENZA N. 272
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n. 54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione) e dell’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104, promosso dal Tribunale di Pisa nel procedimento vertente tra la H3G s.p.a. e la S.E.PI. − Società Entrate Pisa s.p.a. con ordinanza del 3 ottobre 2008, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti l’atto di costituzione della H3G s.p.a. nonché l’atto di intervento della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Claudia Zhara Buda per la H3G s.p.a. e Lucia Bora per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1.— Il Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 117, commi primo e terzo, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli articoli 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n. 54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione) e dell’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104.
1.1.— Il remittente premette, in punto di fatto, di dover decidere in ordine all’opposizione proposta dalla società “H3G” s.p.a. avverso l’ingiunzione emessa dalla società “S.E.PI.” s.p.a., avente ad oggetto il pagamento di «oneri per lo svolgimento di controlli ARPAT sugli impianti di telefonia mobile». In particolare, si sottolinea nell’ordinanza di rimessione, la società opponente ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, di tale ingiunzione – emessa ai sensi degli artt. 6, comma 6, 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000 e dell’art. 19 del già citato Regolamento del Comune di Pisa n. 104 del 2003 – per «violazione della normativa nazionale in materia di comunicazioni elettroniche e di prevenzione del rischio connesso all’esposizione alle radiazioni elettromagnetiche».
Ai sensi, infatti, dell’art. 93 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), norma che dà attuazione – come sottolineato dalla parte ricorrente nel giudizio a quo – a talune direttive comunitarie, le «pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Provincie ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri e canoni che non siano stabiliti per legge».
1.2.— Tanto premesso, il giudice remittente – non senza osservare che, «in riferimento all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del 2003, la parte opponente nel giudizio principale ha chiesto sollevarsi questione di legittimità costituzionale dei predetti artt. 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale n. 54 del 2000, per violazione degli artt. 3, 41 e 117, della Costituzione – rammenta che sul contenuto del predetto art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche si è già espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 336 del 2005.
In particolare, è stato affermato che «la disposizione in esame deve ritenersi espressione di un principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni». Si è anche precisato che, in mancanza di un tale principio, «ciascuna Regione potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti», concludendosi, pertanto, «che la finalità della norma è anche quella di “tutela della concorrenza”, sub specie di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (così, testualmente, la sentenza n. 336 del 2005, ma è richiamata anche la sentenza n. 450 del 2006).
Sulla base di tali rilievi, il giudice a quo reputa che la Regione Toscana, con le norme censurate, abbia violato gli art. 4 e 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, stabilendo che gli oneri relativi all’effettuazione di verifiche e controlli «degli impianti radio base della telefonia mobile esistenti sul proprio territorio sono posti a carico dei titolari di detti impianti». Ed invero, se il primo di tali articoli «si mette in linea con i dettami comunitari, realizzando l’obiettivo della liberalizzazione e semplificazione delle procedure anche al fine di garantire l’attuazione delle regole della concorrenza» (è richiamata, in particolare, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica), il secondo si colloca nel novero di quei «principi fondamentali», la cui «determinazione, nelle materie di legislazione concorrente, è riservata allo Stato».
1.3.— Pertanto, i predetti artt. 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale n. 54 del 2000, nonché il già citato art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa n. 104 del 2003, sarebbero costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3 e 117, commi primo e terzo, Cost.
In particolare, il primo di tali parametri sarebbe violato giacché la disciplina regionale (e comunale) in contestazione, «imponendo per le attività inerenti al proprio territorio oneri e costi non previsti da altre Regioni, relativamente alle verifiche e controlli degli impianti radio-base» delle imprese esercenti l’attività di telefonia, determinerebbe «una disparità di trattamento tra operatori economici la cui attività è distribuita sul territorio nazionale».
Del pari, sarebbe violato anche il primo comma dell’art. 117 Cost., giacché l’imposizione di oneri e costi non contemplati in altre Regioni darebbe luogo ad «un’alterazione del sistema concorrenziale del mercato nazionale, in violazione della normativa comunitaria», la quale, tra l’altro, prescrive «che le procedure previste per la concessione del diritto di installare le predette infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva» (in tal senso si esprime il ventiduesimo considerando della direttiva 2002/21/CE).
Infine, la «deroga all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del 2003, integrando una situazione di contrasto «con la menzionata norma statale che esprime un principio fondamentale cui le Regioni, nella materie di legislazione concorrente, non possono derogare», darebbe luogo anche alla violazione del terzo comma dell’art. 117 Cost.
1.4.— Ritenendo la questione non manifestamente infondata, il remittente osserva conclusivamente che la stessa risulta rilevante nel giudizio a quo, «atteso che alla luce del petitum e della causa petendi (annullamento per illegittimità dell’ingiunzione di pagamento opposta) è necessaria la soluzione della questione di incostituzionalità», non sussistendo le condizioni per «una lettura costituzionalmente orientata delle norme in discussione».
2.— È intervenuta in giudizio la Regione Toscana, con memoria depositata il 28 gennaio 2009, chiedendo che la questione sia dichiarata «inammissibile ed infondata».
3.— È intervenuta in giudizio la società “H3G” s.p.a. con atto depositato in cancelleria il 2 marzo 2009.
3.1.— In limine, la società interveniente – nel ricostruire i termini dell’iniziativa assunta nel giudizio principale, nonché l’evoluzione legislativa intervenuta in materia – sottolinea che l’art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003, «al fine di promuovere ed agevolare l’installazione delle infrastrutture per le telecomunicazioni», ha sancito che le «pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
Ciò premesso, la società interveniente eccepisce, in via preliminare, la non assoggettabilità del Regolamento comunale al sindacato di costituzionalità, richiamando quel costante orientamento della giurisprudenza della Corte che esclude, per i regolamenti amministrativi, la possibilità del sindacato ex art. 134 Cost.
3.2.— In secondo luogo, viene eccepita «l’inammissibilità del giudizio» per sopravvenuta inefficacia delle norme contenute nella legge regionale n. 54 del 2000, in quanto incompatibili con il d.lgs. n. 259 del 2003.
Si assume, infatti, che la necessaria coerenza tra norme di principio e di dettaglio, operanti nella stessa materia, ha come conseguenza che «il mutamento delle prime non può non comportare il mutamento delle seconde». Si richiama, in merito, la giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica), secondo cui, «in conseguenza del subentrare, nella legislazione statale, di nuovi principi (espressi o impliciti che siano), bene può verificarsi l’abrogazione di precedenti norme regionali» (sentenza n. 40 del 1972).
La società interveniente richiama, a conferma dell’abrogazione per sopravvenuta incompatibilità di norme regionali di dettaglio in contrasto con norme statali di principio, un consolidato indirizzo della giurisprudenza sia di legittimità che amministrativa.
3.3.― È solo, quindi, in via di subordine che la società “H3G” s.p.a. ha chiesto la declaratoria di illegittimità delle norme regionali censurate, limitatamente, peraltro, agli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale n. 54 del 2000.
Difatti, l’art. 6 – che si compone di un solo comma, diviso in quattro lettere (diversamente da quanto indicato dal giudice remittente, che censura un inesistente comma 6) – disciplina unicamente le funzioni comunali, nulla disponendo, invece, «relativamente agli oneri per i controlli sanitari per gli impianti di telefonia mobile».
Quanto, invece, all’illegittimità costituzionale dei predetti artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale della Toscana n. 54 del 2000, la società “H3G” s.p.a. richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 336 del 2005 e n. 450 del 2006, e dunque la qualificazione come principio fondamentale, della materia “ordinamento delle comunicazione”, di quello enunciato dall’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, disatteso – a suo dire – dalla disciplina regionale in esame.
4.— Con memoria depositata presso la cancelleria il 16 giugno 2010, la Regione Toscana ha meglio precisato le proprie difese, insistendo per la declaratoria di non fondatezza della questione sollevata.
4.1.— Ricostruito il complessivo quadro normativo nel quale si inseriscono le disposizioni censurate, la difesa della Regione assume che, «diversamente da quanto sostenuto dalla società “H3G” s.p.a., la legge regionale n. 54 del 2000 deve ritenersi tuttora in vigore», nonché «pienamente compatibile con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale nelle materie qui in argomento».
In particolare, sarebbe da escludere la violazione dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Poiché esso, infatti, si limita soltanto a vietare «oneri o canoni che non siano stabiliti per legge», senza imporre che tale legge sia statale, tale condizione risulterebbe senz’altro soddisfatta dalla legge regionale n. 54 del 2000.
Del resto, la Corte costituzionale ha affermato – prosegue la difesa regionale, richiamando la sentenza n. 350 del 2008 – che «le disposizioni del Codice delle comunicazioni intervengono in molteplici ambiti materiali, diversamente tra loro caratterizzati in relazione al riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni», essendo rinvenibili, accanto a titoli di esclusiva competenza statale e di competenza ripartita, «anche materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare, l’“industria” ed il “commercio”».
4.2.— Tanto premesso, poiché «il controllo delle emissioni elettromagnetiche è un’attività che attiene alla tutela della salute, materia di competenza concorrente» e considerato, altresì, che lo stesso d.lgs. n. 259 del 2003 fa salvo il rispetto della normativa in materia di tutela dell’ambiente e della salute, occorre verificare – secondo la difesa della Regione – «quali siano i principi fondamentali in materia di controllo sulle emissioni e, di conseguenza, se questi principi siano stati o meno correttamente rispettati dalla normativa regionale impugnata».
In proposito, la difesa regionale rileva – innanzitutto – come gli stessi artt. 107, comma 6, e 185, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 259 del 2003 prevedano oneri a carico degli esercenti i servizi di comunicazione elettronica.
Sul punto, inoltre, la Regione Toscana osserva che l’art. 33 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) non solo prevede che «le tariffe per la copertura dei costi sopportati dall’autorità competente per l’organizzazione e lo svolgimento delle attività istruttorie, di monitoraggio e controllo previste dal codice siano applicate ai proponenti», ma stabilisce anche che, per le stesse finalità, «le Regioni possono definire proprie modalità di quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in capo ai proponenti».
Parimenti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11, comma 3, e 18 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), le «spese occorrenti per effettuare i rilievi, gli accertamenti ed i sopralluoghi necessari per l’istruttoria delle domande di autorizzazione integrata ambientale e per i successivi controlli previsti dall’art. 11, comma 3, sono a carico del gestore».
È lo stesso legislatore statale, dunque, ad ammettere che le Regioni possano intervenire a disciplinare gli oneri conseguenti ai controlli effettuati per finalità di tutela della salubrità ambientale.
Né, d’altra parte, indicazioni in senso contrario sembrano ricavabili – sempre secondo la difesa regionale – dalle sentenze n. 336 del 2005 e n. 450 del 2006 della Corte costituzionale, giacché le stesse avrebbero censurato soltanto la scelta del legislatore regionale «di stabilire la misura dei predetti oneri economici senza, però, prevedere alcun criterio di determinazione quantitativa degli stessi» (è citata, in particolare, la seconda di tali sentenze). Evenienza, questa, da escludere nel caso di specie, giacché tali criteri «sono quelli stabiliti dal tariffario ARPAT» ed individuati, oggi, dalla legge della Regione Toscana 22 giugno 2009, n. 30, recante «Nuova disciplina dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT)».
Infine, la difesa regionale nega «che in Toscana si operi diversamente da quanto avviene nel resto del territorio nazionale». Cita, al riguardo, le scelte compiute nelle Regioni Lombardia, Marche, Molise e Puglia e consistite nell’adozione di norme che – in sostanziale applicazione del principio cuius commoda, eius et incommoda – hanno posto «gli oneri dei controlli a carico dei gestori degli impianti», ciò che, oltretutto, escluderebbe che «l’asserita disparità di trattamento e violazione della concorrenza» abbia realmente «il rilievo lamentato».
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale ordinario di Pisa ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 117, commi primo e terzo, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale degli articoli 6, «comma 6», 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n. 54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione) e dell’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104.
1.1.— In particolare, il giudice a quo assume che gli atti normativi in contestazione sarebbero costituzionalmente illegittimi nello stabilire che gli oneri relativi all’effettuazione di verifiche e controlli degli impianti radio base della telefonia mobile, esistenti sul territorio della Regione Toscana (e in particolare nel Comune di Pisa), siano posti a carico dei titolari di detti impianti.
Tali atti derogherebbero agli artt. 4 e 93 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), atteso che, in particolare, il secondo dei citati articoli stabilisce che le «pubbliche amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri e canoni che non siano stabiliti per legge». In tal modo la disciplina regionale in contestazione (della quale il Regolamento comunale censurato costituirebbe pedissequa attuazione), «imponendo per le attività inerenti al proprio territorio oneri e costi non previsti da altre Regioni, relativamente alle verifiche e controlli degli impianti radio-base», determinerebbe «una disparità di trattamento tra operatori economici la cui attività è distribuita sul territorio nazionale», donde la violazione dell’art. 3 Cost.
Sarebbero, inoltre, violati i commi primo e terzo dell’art. 117 Cost.
Per un verso, infatti, l’imposizione di oneri e costi non contemplati in altre Regioni darebbe luogo ad «un’alterazione del sistema concorrenziale del mercato nazionale, in violazione della normativa comunitaria», la quale, tra l’altro, prescrive «che le procedure previste per la concessione del diritto di installare le predette infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva» (in tal senso dispone il ventiduesimo “considerando” della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica).
Per altro verso, la disciplina normativa in esame, nell’introdurre una «deroga all’art. 93» del d.lgs. n. 259 del 2003, si porrebbe in contrasto «con la menzionata norma statale che esprime un principio fondamentale cui le Regioni, nella materie di legislazione concorrente, non possono derogare».
2.— Ciò premesso, in via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sia nella parte in cui investe l’art. 19 del Regolamento del Comune di Pisa, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104, sia nella parte in cui ha ad oggetto l’art. 6 della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000.
2.1.— In relazione, difatti, alla censura che investe la citata disposizione regolamentare, questa Corte non può che ribadire come essa costituisca «norma sottratta al sindacato di costituzionalità» (ex multis, ordinanza n. 192 del 2010; nello stesso senso, da ultimo, anche sentenza n. 58 del 2010 e ordinanza n. 59 del 2009).
2.2.— Quanto, invece, all’art. 6 della legge regionale in esame (censurato, peraltro, dal Tribunale rimettente in un inesistente «comma 6»), deve rilevarsi che esso si limita a disciplinare le funzioni comunali in materia di impianti di radiocomunicazione, tra le quali rilevano anche – lettera c) – quelle «di vigilanza e di controllo secondo quanto previsto dall’art. 9».
È, pertanto, soltanto nell’art. 9 che si rinviene la disposizione che pone – al comma 6 – «a carico dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale» gli «oneri relativi all’effettuazione dei controlli» compiuti dall’ARPAT e «finalizzati a garantire: a) il rispetto dei limiti di esposizione e delle misure di cautela, di cui agli articoli 3 e 4 del decreto ministeriale n. 381 del 1998; b) l’attuazione, da parte dei soggetti obbligati, delle azioni di risanamento previste dall’articolo 8; c) il mantenimento dei parametri tecnici dell’impianto dichiarati dal gestore ai sensi dell’articolo 5, comma 3» (così testualmente, il comma 3 del medesimo art. 9).
L’art. 6, lettera c), non contiene, dunque, una norma che disciplina il profilo della ripartizione degli oneri economici conseguenti ai controlli effettuati dall’ARPAT, sicché essa – oltre a non porsi in contrasto, di per sé, con l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 – non viene neppure in rilievo nel giudizio a quo, che ha ad oggetto l’impugnativa del provvedimento che ha ingiunto il pagamento di somme, tra l’altro, proprio per l’effettuazione di tali controlli.
La questione relativa all’art. 6 è, pertanto, inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio principale.
3.— La questione relativa agli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale in esame, oltre ad essere ammissibile, è anche fondata.
3.1.— In limine, deve essere disattesa l’eccezione sollevata dalla difesa della parte privata, intervenuta nel presente giudizio, secondo cui le norme censurate dovrebbero ritenersi abrogate tacitamente per sopravvenuta incompatibilità con l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Sul punto è necessario premettere che il «controllo sull’attuale vigenza di una norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice comune e precede ogni possibile valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima norma» (sentenza n. 222 del 2007).
Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale remittente, nel negare che ricorrano le condizioni per «una lettura costituzionalmente orientata delle norme in discussione», ha, di fatto, implicitamente escluso la possibilità – suggerita dalla difesa della parte privata – di risolvere il contrasto tra le disposizioni regionali e la citata norma statale in applicazione dell’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Adeguamento delle leggi regionali alle leggi della Repubblica), cioè ritenendo abrogate le prime per sopravvenuta e diretta incompatibilità con la seconda.
Anche nel caso in esame, quindi, come in quello in cui il giudice a quo escluda espressamente, con affermazione non palesemente infondata, la ricorrenza di un fenomeno abrogativo, questa Corte non può che rilevare come «ragioni essenziali di certezza del diritto» impongano, di fronte a un contrasto tra le disposizioni di legge regionale censurate e una successiva norma di principio statale, di «dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme sottoposte al proprio giudizio» (sentenza n. 153 del 1995).
3.2.— Tanto premesso, deve osservarsi che gli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000 violano l’art. 117, terzo comma, Cost.
Sul punto, occorre rilevare, innanzitutto, che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 «espressione di un principio fondamentale» della materia dell’ordinamento delle comunicazioni, «in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni» (sentenza n. 336 del 2005, in particolare, punto 15.1. del Considerato in diritto). Su queste basi si è, dunque, precisato che, in «mancanza di un tale principio», ogni singola Regione «potrebbe liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti». In forza di tali rilievi, pertanto, questa Corte è pervenuta alla conclusione che «la finalità della norma è anche quella di “tutela della concorrenza”, sub specie di garanzia di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (ancora sentenza n. 336 del 2005, punto 15.1. del Considerato in diritto).
Tali principi sono stati, inoltre, puntualizzati da questa Corte con la sentenza n. 450 del 2006, che si è pronunciata sulla legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma Cost., proprio in ragione dell’ipotizzato contrasto con l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, degli artt. 6, comma 4, e 15 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 4 novembre 2005, n. 25, recante «Disciplina per l’installazione, la localizzazione e l’esercizio di stazioni radioelettriche e di strutture di radiotelecomunicazioni. Modificazioni alla legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d’Aosta), e abrogazione della legge regionale 21 agosto 2000, n. 31».
In particolare, con tale sentenza si è affermato come la previsione da parte del legislatore regionale «di oneri economici posti a carico degli operatori, in relazione all’attività di consulenza tecnica svolta dall’ARPA», sia «suscettibile di determinare un trattamento discriminatorio e non uniforme tra gli operatori del settore, con conseguente violazione del principio fissato dal legislatore statale» (cioè proprio quello desumibile dall’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003), con la conseguenza della illegittimità costituzionale della censurata disciplina valdostana.
Nella medesima sentenza è stato anche disatteso l’argomento svolto in quella sede dalla difesa regionale (secondo cui «gli oneri in esame altro non sarebbero che corrispettivi per l’attività di consulenza svolta dall’ARPA in favore degli operatori di settore»), osservandosi che l’ARPA non svolge «una attività di consulenza liberamente richiesta dalle parti, bensì una attività autoritativamente prevista», ponendosi, difatti, il parere reso da tale ente come «un momento procedimentale obbligatorio», tale da far emergere «il carattere autoritativo ed impositivo della prestazione pecuniaria stessa».
3.3.— Orbene, le suddette considerazioni valgono anche per gli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000 ora in esame.
In relazione, infatti, alla prima delle citate norme (che – come si è detto – pone «a carico dei richiedenti l’autorizzazione» all’installazione od alla modifica degli impianti di telefonia mobile gli «oneri relativi allo svolgimento dei controlli effettuati dall’ARPAT all’atto del rilascio dell’autorizzazione), la sentenza n. 450 del 2006 di questa Corte assume valore di precedente specifico, giacché anche le disposizioni allora dichiarate costituzionalmente illegittime riguardavano proprio le spese per l’attività di consulenza tecnica svolta dall’ARPA nell’ambito dei procedimenti autorizzatori.
Ad analoga conclusione si deve pervenire anche per l’art. 9, comma 6, della stessa legge regionale, che pone a carico «dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale» gli oneri relativi all’effettuazione dei controlli, compiuti dall’ARPAT nell’ambito delle sue funzioni «di vigilanza e controllo».
A favore di tale esito dello scrutinio di costituzionalità depone, innanzitutto, la formulazione letterale dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, che stabilisce un divieto di imposizione di oneri e canoni «per l’impianto di reti» e «per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica»; formula che, nel suo carattere generico, include anche la fattispecie contemplata dal predetto art. 9, comma 6 (e non soltanto quella di cui al precedente art. 7, comma 6), della legge regionale in esame.
Inoltre, se lo scopo del citato art. 93 è quello di impedire che le Regioni possano «liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio» e, dunque, di scongiurare il rischio «di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti», deve rilevarsi come tale esigenza si ponga, nello stesso modo, per tutti gli obblighi pecuniari, siano essi imposti in occasione del rilascio dell’autorizzazione ovvero previsti per interventi di vigilanza e di controllo che si rendano necessari nel corso dello svolgimento del servizio e che, dunque, siano inerenti al rapporto instauratosi con l’amministrazione proprio in forza dell’originario titolo autorizzativo.
Né, infine, può sottacersi la circostanza – messa in luce dalla parte privata intervenuta nel presente giudizio – secondo cui gli oneri di cui al citato art. 9, comma 6, si presentano del tutto «imprevedibili, in quanto non predeterminati, non conosciuti e non quantificabili in anticipo dai gestori di telefonia al momento dell’attivazione degli impianti», non avendo provveduto, nella specie, la Giunta regionale ad individuare «tutte le modalità tecniche e procedurali per lo svolgimento dei controlli» in questione.
Tale circostanza evidenzia, vieppiù, l’illegittimità costituzionale della norma suddetta, come si evince, d’altronde, anche dalla citata sentenza n. 450 del 2006.
Difatti, alla necessità di pervenire ad una pronuncia caducatoria delle norme regionali valdostane, sopra meglio identificate, non è stata estranea la considerazione che esse demandavano «alla Giunta regionale di stabilire la misura dei predetti oneri economici senza, però, prevedere alcun criterio di determinazione quantitativa degli stessi».
4.— Neppure, d’altra parte, ad escludere la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge regionale censurata, possono valere i rilievi svolti dalla difesa della Regione Toscana.
4.1.— Essa, innanzitutto, deduce che «la legittima imposizione di oneri per i controlli» sarebbe «prevista anche dal d.lgs. n. 259 del 2003». Ai sensi, infatti, dell’art. 107, comma 6, alla dichiarazione dell’interessato, finalizzata al rilascio dell’autorizzazione, devono essere allegati, tra gli altri, «gli attestati dell’avvenuto versamento del contributo a titolo di rimborso delle spese riguardanti l’attività di vigilanza e controllo relativo al primo anno da cui decorre l’autorizzazione generale»; analogamente, l’art. 185, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo, pone a carico dei titolari delle gestioni radioelettriche su navi un «contributo annuo per verifiche e controlli».
Nondimeno, tale circostanza non comporta – come ipotizzato dalla difesa regionale, in particolare nel corso della discussione in udienza – alcuna antinomia con l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Quest’ultima norma, infatti, non esclude in assoluto la possibilità di imposizione di oneri o canoni per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, prescrivendo che essi debbano essere, in ogni caso, stabiliti per atto legislativo, e dunque anche con lo stesso d.lgs. n. 259 del 2003.
4.2.— La difesa regionale, inoltre, nell’evidenziare che «il controllo delle emissioni elettromagnetiche è un’attività che attiene alla tutela della salute, materia di competenza concorrente» e che lo stesso decreto legislativo n. 259 del 2003 fa salvo il rispetto della normativa in materia di tutela dell’ambiente e della salute, ritiene di individuare, nella stessa legislazione statale, un principio in forza del quale le Regioni avrebbero libertà di disciplinare anche il profilo attinente alla ripartizione degli oneri economici conseguenti ai controlli effettuati per finalità di tutela della salubrità ambientale. In particolare, sono citati, sul punto, l’art. 33 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché gli artt. 11, comma 3, e 18 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento).
Nello svolgere simili rilievi, tuttavia, la difesa regionale non tiene conto della circostanza che, per le comunicazioni elettroniche, il disposto dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003 si pone come lex specialis non suscettibile di deroga, dettando una disciplina che esclude, per gli operatori di quel settore, l’imposizioni di oneri e canoni che non siano previsti dalla legge statale.
4.3.— L’illegittimità costituzionale delle censurate disposizioni regionali non può essere, infatti, neppure esclusa in base al rilievo che il citato art. 93 si limiterebbe a sancire una riserva di legge per così dire “generica”; ciò che, pertanto, non precluderebbe un intervento delle Regioni, purché esso sia disposto con atto legislativo.
Sul punto è sufficiente osservare che la citata disposizione ha inteso riferirsi, con tutta evidenza, alla sola legge statale.
È quanto si desume, in primo luogo, dalla circostanza che il richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve essere interpretato – in assenza di ulteriori specificazioni – come rinvio ad una fonte legislativa comunque di provenienza statale.
In secondo luogo, l’accoglimento dell’opzione ermeneutica suggerita dalla difesa regionale avrebbe come effetto di contraddire la stessa ratio legis, come individuata da questa Corte nella già citata sentenza n. 336 del 2005, e cioè evitare che ogni Regione possa «liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti».
5.— Sulla scorta delle considerazioni che precedono deve, dunque, pervenirsi alla declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana n. 54 del 2000, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con conseguente assorbimento delle altre censure.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 7, comma 6, e 9, comma 6, della legge della Regione Toscana 6 aprile 2000, n. 54 (Disciplina in materia di impianti di radiocomunicazione);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della medesima legge della Regione Toscana n. 54 del 2000 e dell’articolo 19 del Regolamento del Comune di Pisa per l’installazione, il monitoraggio e la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, approvato con delibera del Consiglio comunale del 2 dicembre 2003, n. 104, sollevata – in riferimento agli articoli 3 e 117, commi primo e terzo, della Costituzione – dal Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2010.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA