Corte Costituzionale sent. 303 del 10 luglio 2007
Giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi da 2 a 7, e 8, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 (Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), promossi con n. 2 ordinanzedel 12 dicembre 2005 dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia.
(con commento di F. Albanese)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi da 2 a 7, e 8, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 (Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), promossi con n. 2 ordinanze del 12 dicembre 2005 dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia sui ricorsi proposti da Vodafone Omnitel n.v. e da Tim Italia s.p.a. contro la Regione Friuli-Venezia Giulia ed altro iscritte ai nn. 28 e 29 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 prima serie speciale, dell'anno 2006.
Visti gli atti di costituzione della Vodafone Omnitel n.v., della Tim Italia s.p.a. e della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Marco Sica, Paolo Mantovan e Mario Libertini per la Vodafone Omnitel n.v., Giuseppe De Vergottini per la Tim Italia s.p.a. e Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 12 dicembre 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7, nonché dell'art. 8, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 (Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), in relazione agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione e all'art. 4, numero 12, dello statuto speciale adottato con la legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
Premette il TAR di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto da Vodafone Omnitel N. V. nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, per l'annullamento del regolamento di attuazione della legge regionale n. 28 del 2004, emanato con decreto del Presidente della Regione 19 aprile 2005, n. 094/Pres. e approvato con delibera della Giunta regionale 1° aprile 2005, n. 683.
Il ricorso è rivolto contro il regolamento regionale al quale, ai sensi della legge regionale n. 28 del 2004, spetta «dettare le linee guida per la predisposizione e l'aggiornamento del piano comunale di settore, definire i modelli delle istanze e la documentazione a corredo ed individuare le procedure per le azioni di risanamento». Peraltro, la società ricorrente deduce la violazione, da parte della legge regionale, dei principi derivanti dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), nonché dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), i quali consentirebbero l'installazione delle infrastrutture di telefonia mobile in ogni zona del territorio, prevedendo il rispetto solo di talune condizioni. La legge regionale, invece, prevedendo l'adozione di un piano comunale di settore, consentirebbe l'insediamento degli impianti solo sui siti previamente e specificamente individuati dallo stesso, costringendo l'ente locale ad utilizzare uno strumento di pianificazione diverso e più rigido di quello previsto dalla legge quadro, così frustrando lo sviluppo delle reti di telecomunicazione sia dal punto di vista temporale, sia della copertura territoriale.
Viene eccepita, inoltre, l'illegittimità costituzionale del comma 2 dell'art. 8, della legge reg. n. 28 del 2004. Infatti, il divieto assoluto di installazione nelle zone interessate dai «biotipi» (melius: biotopi), nonostante che queste godano di una protezione inferiore a quella dei parchi e delle riserve naturali per le quali non vige analogo divieto, pregiudicherebbe l'interesse alla realizzazione delle reti di telecomunicazione.
Ad avviso della ricorrente, inoltre, gli artt. 3 e 4 della stessa legge regionale violerebbero il principio di legalità sostanziale, dal momento che, pur demandandosi alla Giunta regionale la predisposizione delle linee guida del piano di localizzazione delle strutture per l'installazione degli impianti per telefonia mobile, la legge non avrebbe individuato i principi e i criteri a cui attenersi.
È poi eccepita l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione nonché dei principi di unificazione e semplificazione sanciti dall'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Nel ricorso si denuncia, infine, la violazione, da parte di talune disposizioni del regolamento, delle norme contenute nella legge regionale n. 28 del 2004.
2. – Ciò premesso, il TAR ritiene, innanzitutto, ammissibile il ricorso stante l'immediata lesività delle disposizioni regolamentari impugnate, che prevedono il piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti il quale introdurrebbe una «pianificazione aprioristica e vincolante», nonché la procedura per il rilascio del titolo abilitativo edilizio e la procedura per l'accertamento di conformità del progetto di impianto radio mobile ai limiti di campo elettromagnetico indicati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003.
Il rimettente, quindi, rigettate le censure aventi ad oggetto le disposizioni regolamentari per asserita violazione della legge regionale, ritiene rilevanti le eccezioni di legittimità costituzionale sollevate dalla società ricorrente, asserendo che «solo la loro fondatezza potrebbe mediatamente portare all'accoglimento del ricorso».
Quanto alla non manifesta infondatezza, il TAR osserva che nella materia dell'ordinamento della comunicazione la Regione Friuli-Venezia Giulia avrebbe potestà legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre del 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) «trattandosi di ampliamento della sfera di autonomia regionale con l'attribuzione di una materia per la quale lo statuto regionale non attribuiva alla Regione alcun tipo di competenza legislativa». La materia dell'urbanistica, invece, sarebbe attribuita alla competenza legislativa primaria della Regione.
Osserva, quindi, il rimettente che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003, avrebbe delineato i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale anche in attuazione delle direttive comunitarie, il primo tra i quali sarebbe quello dell'interesse alla realizzazione delle reti di telecomunicazione. Al riguardo la Corte avrebbe affermato che il codice delle comunicazioni elettroniche avrebbe recepito i principi di derivazione comunitaria, introducendo una disciplina volta a garantire i diritti di libertà di comunicazione, di libertà di iniziativa economica e il suo esercizio in regime di concorrenza, la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, nonché a promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica. Il TAR ricorda, ancora, come la Corte abbia riconosciuto all'art. 87 di detto codice e alla procedura ivi delineata per il rilascio del titolo abilitativo alla installazione degli impianti la natura di norma di principio.
Benché la Regione Friuli-Venezia Giulia abbia in materia di urbanistica una competenza esclusiva, tuttavia essa sarebbe vincolata al rispetto degli obblighi internazionali, «nel quale genus indubbiamente vanno fatti rientrare anche i vincoli comunitari». Inoltre, non essendo possibile ricondurre tutta la disciplina della installazione degli impianti soltanto alla materia dell'urbanistica, trattandosi di materia “mista”, il legislatore regionale avrebbe dovuto tener conto dei principi fondamentali che riguardano l'ordinamento delle comunicazioni.
Alla luce di tali considerazioni, il TAR censura innanzitutto gli artt. 3 e 4 della legge reg. n. 28 del 2004, i quali prevedono che, ai fini della localizzazione degli impianti, siano adottati dei piani comunali di settore che costituiscono lo strumento per localizzare le strutture per l'installazione di impianti fissi per telefonia mobile e ponti radio e le loro eventuali modifiche.
Tali disposizioni avrebbero previsto, in luogo del regolamento comunale contemplato dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, quale strumento per la disciplina degli insediamenti degli impianti, una pianificazione di tipo urbanistico esecutivo. Ciò determinerebbe un «vincolo della possibilità di installazione al rispetto delle scelte localizzative fatte a priori», cui conseguirebbe una sostanziale preclusione all'installazione delle infrastrutture per la telefonia mobile che sarebbero ammesse solo nelle «localizzazioni a tale scopo espressamente previste dal piano, che si spinge fino a contemplare i singoli impianti». Ciò contrasterebbe con il principio fondamentale fissato dal legislatore statale e da quello comunitario, consistente nel ritenere che «tutto il territorio nazionale – e quindi anche regionale – debba essere coperto dalla rete di telefonia mobile e, conseguentemente, che anche dal punto di vista urbanistico territoriale, la regola debba essere quella della generale ammissibilità salvo l'eccezione alla base dell'esclusione». Tale principio imporrebbe, inoltre, che la realizzazione delle infrastrutture sia improntata a criteri di efficienza e tempestività, espressioni anche del principio costituzionale del «diritto di libertà di iniziativa economica e della tutela della concorrenza, rispetto alla quale vi è la riserva di competenza legislativa statale». Per quanto attinente alla materia urbanistica, le discrepanze della normativa regionale rispetto a quella statale, costituirebbero «violazioni degli obblighi internazionali dello Stato al cui rispetto lo Statuto subordina la suddetta competenza legislativa».
Il TAR censura, inoltre, l'art. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7 della legge regionale n. 28 del 2004 per violazione degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, e dell'art. 41 della Costituzione, nonché dell'art. 4, numero 12, dello statuto speciale.
Tale articolo, infatti, nel prevedere la necessità del rilascio della concessione o autorizzazione edilizia per l'installazione dell'impianto, introdurrebbe una duplicazione di procedimenti, in contrasto con il principio fondamentale ricavabile dall'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, che imporrebbe, invece, il ricorso ad un procedimento autorizzativo unico.
Il procedimento disciplinato dalla legge regionale sarebbe ulteriormente aggravato dalla prevista acquisizione oltre che del parere vincolante dell'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) – in conformità a quanto previsto dall'art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche – anche del parere dell'Azienda per i servizi sanitari.
L'art. 5, inoltre, ometterebbe di prevedere la possibilità di ricorrere alla conferenza di servizi, istituto ritenuto dalla Corte costituzionale espressione di un principio fondamentale di semplificazione di derivazione comunitaria, che la potestà legislativa regionale dovrebbe rispettare. L'art. 5, comma 4, infine, imponendo al gestore anche gli oneri finanziari per i due pareri suddetti, aumenterebbe l'onerosità del procedimento «con indubbie ricadute in termini di durata e snellezza del procedimento».
Il TAR censura, da ultimo, l'art. 8, comma 2, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, e dell'art. 41 della Costituzione, nonché dell'art. 4, numero 12, dello statuto speciale. Esso, infatti, imporrebbe un ingiustificato divieto di installazione degli impianti in questione nelle zone interessate da biotopi naturali, mentre nulla sarebbe previsto per i parchi e le riserve naturali, che pure dovrebbero essere interessate da un maggior livello di protezione. Tale divieto, pertanto, determinerebbe «un'ingiustificata preclusione alla possibilità di perseguire l'interesse primario alla realizzazione delle reti di telecomunicazione», che sarebbe espressione di un principio fondamentale in materia di ordinamento delle telecomunicazioni posto dal legislatore statale in attuazione della normativa comunitaria.
3. – Con atto depositato in data 7 febbraio 2007, la Regione Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata e rinviando ad una successiva memoria lo svolgimento delle proprie difese
4. – Anche la società Vodafone Omnitel, con atto depositato in data 3 marzo 2007, si è costituita in giudizio chiedendo che, in accoglimento della questione sollevata dal TAR, sia dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
5. – Il medesimo TAR Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 12 dicembre 2005, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 28 del 2004, nell'ambito del giudizio instaurato sul ricorso proposto dalla società TIM Italia s.p.a. (ora Telecom Italia s.p.a.), nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia per l'annullamento degli articoli 2, 3, 9 e 11 dell'Allegato 5 del regolamento di attuazione della legge regionale n. 28 del 2004 approvato con decreto del Presidente della Regione 19 aprile 2005, n. 094/Pres.
Riferisce il rimettente che la società ricorrente, dedotta preliminarmente l'immediata lesività del regolamento di attuazione, sostiene che il medesimo e la presupposta legge regionale violerebbero l'art. 117, terzo comma, della Costituzione e i principi stabiliti dal legislatore statale sia all'art. 8 della legge n. 36 del 2001 sia all'art. 86 del codice delle comunicazioni elettroniche.
Sarebbe poi violato il principio della semplificazione nel procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi all'installazione degli impianti introdotto dall'art. 4 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Ancora, si lamenta l'introduzione, ad opera dell'art. 9 del regolamento, di un requisito – quello della compatibilità dell'impianto con il Piano di localizzazione – non richiesto dalla normativa statale. La ricorrente censura inoltre le disposizioni regolamentari in quanto sarebbero immediatamente intese a produrre effetti anche nella materia della tutela della salute attraverso la previsione di aree del territorio comunale in cui la localizzazione degli impianti sarebbe incompatibile, ovvero di aree preferenziali e neutre, in tal modo incidendo sui limiti alla esposizione ai campi elettromagnetici già regolata dal d.P.C.m 8 luglio 2003.
Le disposizioni regolamentari sono, poi, censurate nella parte in cui non prevedono che la localizzazione degli impianti venga effettuata tramite accordi con i gestori, nonché nella parte in cui non enuncerebbero con chiarezza la disciplina da seguire per il procedimento di installazione degli impianti.
Infine, il TAR riferisce che la società ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale della legge regionale per violazione dello statuto speciale, nonché dell'art. 117, terzo comma, Cost. in relazione all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto non terrebbe conto dei principi fondamentali posti dalla legge n. 36 del 2001 e dal codice delle comunicazioni elettroniche; violerebbe inoltre il principio fissato dalla Corte nella sentenza n. 307 del 2003 perché introdurrebbe disposizioni “ostative alla realizzazione degli impianti”.
Ancora, introducendo un aggravamento del procedimento, la normativa regionale contrasterebbe con quanto previsto dalla legge statale per la tutela della concorrenza, nonché con l'art. 41 della Costituzione in materia di libertà di iniziativa economica.
6. – Ciò premesso, il rimettente propone le medesime censure prospettate con la precedente ordinanza (r.o. n. 28 del 2006), fatta eccezione per quella concernente l'art. 8, comma 2, che con questa ordinanza non viene denunciato.
7. – Con atto depositato in data 7 febbraio 2007, la Regione Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata e rinviando ad una successiva memoria lo svolgimento delle proprie difese
8. – La società TIM Italia s.p.a., con atto depositato in data 22 febbraio 2007, si è costituita in giudizio chiedendo l'accoglimento delle censure prospettate dal TAR.
9. – In prossimità dell'udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato, in entrambi i giudizi, una memoria di contenuto sostanzialmente analogo, nella quale eccepisce, innanzitutto, l'inammissibilità delle questioni prospettate dal TAR per irrilevanza delle medesime, dal momento che il regolamento oggetto del giudizio a quo non sarebbe di per sé lesivo degli interessi della società ricorrente, stante il suo carattere astratto e preventivo.
Il difetto di interesse all'impugnazione del regolamento emergerebbe anche tenendo conto del contenuto normativo delle disposizioni censurate. Infatti, la previsione, contenuta nell'art. 3 della legge regionale n. 28 del 2004, di un Piano comunale che individui le parti del territorio da adibire alla localizzazione degli impianti non determinerebbe una lesione attuale e concreta, la quale potrebbe semmai prodursi al momento o del diniego di autorizzazione o di adozione del Piano qualora questo contenga una localizzazione tale da menomare direttamente le esigenze della società ricorrente.
Tale conclusione sarebbe avvalorata anche dalla considerazione che, ai sensi dell'art. 15, comma 4, della legge regionale, la realizzazione degli impianti non è bloccata in attesa della approvazione del Piano e, inoltre, dal fatto che le società TIM e Vodafone avrebbero già realizzato, dall'entrata in vigore del regolamento, circa 70 impianti, sia in assenza del Piano comunale, sia in presenza del Piano comunale.
Nel merito, la Regione rileva come la localizzazione delle strutture che, ai sensi dell'art. 4, comma 2, lettera c) della stessa legge regionale, deve essere effettuata dal Piano consisterebbe nella individuazione delle aree dove è possibile la realizzazione delle strutture e non nella localizzazione di «strutture già predefinite al momento della pianificazione».
Il rimettente, inoltre, ad avviso della Regione, non avrebbe operato il minimo tentativo di interpretare la legge in senso conforme a Costituzione.
Per quanto attiene alla dedotta violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione la difesa regionale sostiene che la materia di riferimento della normativa censurata andrebbe valutata – conformemente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale – in relazione a ciascuna norma, al fine di verificare se essa rientri nella potestà legislativa concorrente ovvero in quella primaria. Poiché la localizzazione degli impianti, secondo tale giurisprudenza, rientrerebbe nella competenza regionale in materia di governo del territorio, la previsione che assegna agli enti locali tale compito non costituirebbe un ostacolo all'insediamento degli impianti, ma rispetterebbe i limiti che anche le Regioni ordinarie incontrano nella materia in questione.
La difesa regionale, inoltre, osserva come la predisposizione del Piano, ai sensi dell'art. 4, comma 2, lettera c), debba avvenire tenendo conto anche dei programmi dei gestori della rete e, di preferenza, sulla base di protocolli d'intesa con i gestori medesimi.
La Regione sostiene, poi, che il principio fondamentale asseritamente violato e individuato nella «generale ammissibilità» degli impianti esigerebbe soltanto che i criteri localizzativi non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti medesimi.
Secondo la difesa regionale le disposizioni censurate dovrebbero, tuttavia, ricondursi alla materia dell'urbanistica e, pertanto, non varrebbe il limite dei principi fondamentali.
Per quanto attiene alle censure con cui si lamenta la violazione degli obblighi comunitari, viene in primo luogo eccepita l'inammissibilità per genericità delle medesime, non avendo il rimettente individuato quale sarebbero le fonti comunitarie violate.
Esse sarebbero comunque infondate nel merito. I principi comunitari recepiti dalla normativa nazionale dovrebbero individuarsi nella liberalizzazione delle reti e dei servizi e nella tempestività e trasparenza delle procedure e non già nel principio, ricostruito dal rimettente, secondo il quale non si potrebbe prevedere la localizzazione degli impianti di telefonia mobile.
Inammissibili per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza sarebbero le censure con cui si deduce la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), e 41 della Costituzione. Il rimettente, inoltre, avrebbe omesso di motivare la ragione per cui l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione sarebbe applicabile ad una Regione speciale.
Nel merito, la difesa della Regione esclude che le disposizioni regionali invadano la competenza statale in materia di tutela della concorrenza, dato che non sarebbe alterata la parità fra gli operatori nel richiedere l'autorizzazione all'installazione degli impianti.
Con riguardo all'art. 41 della Costituzione, si osserva che il legislatore deve bilanciare gli interessi previsti dal primo e dal secondo comma della norma costituzionale e che non sarebbe compito della Corte costituzionale sindacare il merito di queste scelte, salvo il caso di manifesta irragionevolezza.
Quanto alla censura avente ad oggetto l'art. 5, la difesa regionale ne eccepisce il difetto di incidentalità, essendo stata posta direttamente in relazione alla legge regionale, mentre il regolamento non aggiungerebbe nulla al contenuto della stessa.
Inammissibile per genericità sarebbe la censura relativa al comma 4 dell'art. 5, non risultando in qual modo esso inciderebbe sulla durata e la snellezza del procedimento.
L'esame del merito della questione sarebbe comunque precluso dalla intervenuta sostituzione dell'art. 5 ad opera della legge regionale 23 febbraio 2007, n. 5 (Riforma dell'urbanistica e disciplina dell'attività edilizia e del paesaggio), che, secondo la consolidata prassi della Corte costituzionale, determinerebbe la restituzione degli atti al rimettente.
In ogni caso, la questione sarebbe infondata dal momento che la disposizione regionale non determinerebbe alcun aggravamento del procedimento: il parere dell'Azienda servizi sanitari deve essere reso nel medesimo termine previsto per il parere dell'ARPA; inoltre, il termine per la conclusione del procedimento corrisponde a quello posto dall'art. 87, comma 9, del d.lgs. n. 259 del 2003.
Quanto alla mancata previsione della conferenza di servizi, tale omissione sarebbe giustificata dal fatto che si tratterebbe di istituto di generale applicazione previsto dalla legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso), di cui pertanto non era necessario lo specifico richiamo.
La previsione di oneri non inciderebbe, poi, sulla durata e snellezza del procedimento.
La Regione, infine, deduce l'inammissibilità della questione concernente l'art. 8, comma 2 della legge regionale n. 28 del 2004, per difetto di incidentalità della medesima. La lesione lamentata dalla società ricorrente nel giudizio a quo deriverebbe, infatti, non dal regolamento ma dalla stessa norma di legge il cui contenuto è riprodotto dalla disposizione regolamentare (art. 3, comma 2). Pertanto, l'impugnazione di tale norma, in realtà, nasconderebbe l'impugnazione diretta della legge.
Inammissibili per genericità sarebbero le censure motivate in ragione della violazione degli obblighi comunitari nonché quelle fondate sul dedotto contrasto con gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Nel merito, il divieto di installazione degli impianti nei biotopi naturali non sarebbe irragionevole dal momento che tali aree spesso contengono specie uniche nella Regione e non presenti nei parchi; inoltre, proprio il fatto che esse abbiano un'estensione limitata, renderebbe il divieto inidoneo ad ostacolare la realizzazione delle reti di comunicazione.
10. – La società Vodafone, nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, sostiene che la disciplina dettata dalle disposizioni regionali censurate dal TAR contrasterebbe con i principi comunitari e nazionali in materia di impianti di comunicazione in quanto circoscriverebbero la localizzazione dei medesimi a punti predeterminati del territorio comunale, in tal modo introducendo divieti che eccederebbero i limiti posti dalla giurisprudenza costituzionale e recepiti dalla giurisprudenza amministrativa.
Tali previsioni, inoltre, contrasterebbero con la normativa comunitaria volta al conseguimento di una sempre maggiore integrazione ed estensione delle reti e dei servizi in ambito comunitario.
L'illegittimità delle disposizioni regionali sarebbe aggravata dalla durata indeterminata del Piano di cui all'art. 4 della legge reg. n. 28 del 2004, per la cui adozione ed aggiornamento sarebbe previsto il medesimo iter lungo e complesso.
In definitiva la normativa regionale impedirebbe il perseguimento degli obiettivi fondamentali sanciti dal legislatore statale nell'art. 4 del d.lgs. n. 259 del 2003, consistenti nel garantire la fornitura del servizio universale e nel promuovere lo sviluppo della rete e dei servizi in regime di concorrenza.
Con riguardo alle censure mosse all'art. 5 della legge regionale n. 28 del 2004, la società Vodafone osserva che, nonostante le modifiche introdotte dalla legge regionale n. 5 del 2007, ne permarrebbe la rilevanza sia perché l'art. 5 nel testo originario sarebbe stato abrogato solo con effetto ex nunc, sia in quanto il regolamento impugnato avanti al giudice a quo non sarebbe stato adeguato allo ius superveniens, tenuto anche conto che esso è stato ritenuto immediatamente lesivo dei diritti del ricorrente.
Infine, con riguardo all'art. 8, la parte privata condivide le censure mosse dal TAR affermando il contrasto della esclusione generalizzata di intere zone del territorio con gli obiettivi della normativa comunitaria e statale.
11. – Anche la società TIM (nel giudizio promosso con ordinanza n. 29 del 2006), ha depositato una memoria con la quale chiede che vengano accolte le questioni sollevate dal TAR. Ad avviso della parte privata, vertendosi in una materia nella quale la Regione Friuli-Venezia Giulia ha potestà legislativa concorrente, essa avrebbe dovuto attenersi ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale in attuazione delle direttive comunitarie. Il legislatore regionale, invece, avrebbe ignorato tali disposizioni sussumendo la disciplina della installazione degli impianti di telefonia mobile nella materia urbanistica, rientrante nelle competenze statutarie.
Con specifico riguardo agli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 28 del 2004, la difesa della parte privata sostiene che la previsione di un Piano comunale quale strumento per l'individuazione dei siti di installazione degli impianti si risolverebbe in un ostacolo alla realizzazione degli impianti stessi e, dunque, eccederebbe la competenza regionale in materia, pregiudicando la concorrenza.
Inoltre, la previsione di una disciplina sostanziale e procedimentale differenziata rispetto a quella statale, si risolverebbe nella creazione di ostacoli e barriere all'esercizio dell'attività di impresa, lesivi del diritto sancito dall'art. 41 della Costituzione.
Con riguardo all'art. 5 della legge regionale n. 28 del 2004, l'intervenuta modifica normativa non modificherebbe i termini della questione, dal momento che le censure svolte si fonderebbero sostanzialmente sul sistema pianificatorio previsto dagli artt. 3 e 4 che costituirebbe il presupposto della disciplina contenuta nell'art. 5. Inoltre, anche nella nuova formulazione della norma, mancherebbe il richiamo alla conferenza di servizi di cui la Corte avrebbe riconosciuto il valore di principio fondamentale in quanto strumento di semplificazione del procedimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, nonché dell'art. 8, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 (Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), in relazione agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione e all'art. 4, numero 12), dello statuto speciale adottato con la legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) (r.o. n. 28 del 2006).
La legge regionale n. 28 del 2004 (art. 1) disciplina l'installazione degli impianti per la telefonia mobile e dei ponti radio nel territorio regionale, «in armonia con i principi di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36» (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), con cui il legislatore statale ha approntato la cornice normativa in punto di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, ed ha determinato (art. 8) le competenze delle Regioni e degli enti locali in tale materia.
In particolare, ai sensi della citata legge n. 36 del 2001, «sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato» «l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione» (art. 8, comma 1, lettera a), e le modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti di cui al presente articolo, in conformità ai criteri di semplificazione amministrativa, tenendo conto dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici preesistenti (art. 8, comma 1, lettera c).
In queste e nelle ulteriori materie indicate dall'art. 8, comma 1, le Regioni «definiscono le competenze che spettano alle province e ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249» (art. 8, comma 4), mentre «i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici» (art. 8, comma 6).
Muovendo dichiaratamente da tale premessa normativa, l'art. 3, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 28 del 2004 stabilisce che «entro 120 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, con regolamento da sottoporre a parere della Commissione consiliare competente, sono definiti: a) le linee-guida, anche temporali, alle quali i Comuni devono attenersi per la predisposizione e l'aggiornamento, ai sensi dell'articolo 4, del Piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti».
Tale Piano, disciplinato dal successivo art. 4, anch'esso oggetto di censura, «definisce, di preferenza sulla base di protocolli d'intesa con i gestori medesimi, la localizzazione delle strutture per l'installazione degli impianti fissi per telefonia mobile e ponti radio e le loro eventuali modifiche» (art. 4, comma 2, lettera c).
L'art. 5 della stessa legge regionale ha poi per oggetto il procedimento autorizzativo ai fini della installazione e della modifica delle infrastrutture per telefonia mobile, ed esige, nel testo vigente al tempo della proposizione della questione di legittimità costituzionale, il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia, fatte salve le disposizioni dell'art. 87, comma 3-bis, del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), in punto di autorizzazione all'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici.
Infine, viene censurato l'art. 8, comma 2, che vieta la localizzazione degli impianti «nelle zone interessate da biotipi» (melius: biotopi) istituiti ai sensi della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 settembre 1996, n. 42 (Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali).
2. – Il medesimo rimettente, con ordinanza pronunciata nell'ambito di altro giudizio, ha altresì sollevato, con argomenti di analogo tenore, questione di legittimità costituzionale dei soli artt. 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi 2, 3, 4, 5, 6, 7 della medesima legge regionale n. 28 del 2004, in relazione agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione e all'art. 4, numero 12), dello statuto speciale (r.o. n. 29 del 2006).
3. – Entrambi i giudizi a quibus sono stati promossi a séguito dell'approvazione del decreto del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia 19 aprile 2005, n. 094/Pres. (Regolamento di attuazione della legge regionale n. 28/2004 «Disciplina in materia di infrastrutture per telefonia mobile». Approvazione), con cui sono state dettate le linee-guida previste dall'art. 3, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 28 del 2004, e avverso il quale gli operatori di telefonia mobile Vodafone Omnitel N.V. (r.o. n. 28 del 2006), e Tim Italia s.p.a., ora Telecom Italia s.p.a. (r.o. n. 29 del 2006), hanno proposto ricorso innanzi al giudice amministrativo, chiedendone l'annullamento per violazione della predetta legge regionale n. 28 del 2004, della quale ultima sono stati peraltro denunciati numerosi profili di illegittimità costituzionale.
Il Tribunale rimettente, dopo aver scrutinato in senso positivo la conformità del regolamento oggetto di causa alla legge regionale, ha sollevato nei confronti di questa gli odierni incidenti di legittimità costituzionale.
4. – È intervenuta in entrambi i giudizi la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili ed infondate.
Vodafone Omnitel N.V. e Telecom Italia s.p.a. si sono costituite quali intervento, in qualità di parti dei giudizi a quibus, concludendo per l'accoglimento delle questioni.
5. – I giudizi possono essere riuniti e decisi con la medesima sentenza, per ragioni di omogeneità della materia e di identità dei profili di costituzionalità sottoposti all'esame di questa Corte.
6. – In via preliminare, la Regione Friuli-Venezia Giulia eccepisce l'inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, posto che i giudizi principali sarebbero stati radicati in difetto delle necessarie condizioni: in particolare, il summenzionato regolamento recante l'approvazione delle linee-guida ivi censurato non avrebbe avuto carattere immediatamente lesivo delle posizioni giuridiche attive fatte valere dai ricorrenti, e non avrebbe pertanto potuto divenire oggetto di ricorso giurisdizionale.
L'eccezione è infondata: spetta infatti al giudice a quo apprezzare la sussistenza dei requisiti e delle condizioni dell'azione giurisdizionale, a patto che gli stessi non siano ictu oculi carenti.
Nel caso di specie, il rimettente ha fornito una motivazione non implausibile circa il carattere lesivo del regolamento censurato, ciò che preclude una diversa valutazione sul punto di questa Corte (da ultimo, ordinanza n. 68 del 2007).
6.1 – Sempre in via preliminare, la Regione Friuli-Venezia Giulia eccepisce altresì l'inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto gli artt. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, e 8, comma 2, della legge regionale n. 28 del 2004 per “difetto di incidentalità”, giacché le norme regolamentari censurate innanzi al giudice amministrativo riprodurrebbero testualmente tali disposizioni legislative, disvelandosi per tale via un'ipotesi di “impugnazione diretta della norma di legge”, senza il necessario filtro incidentale.
Anche questa eccezione è infondata: ai fini dell'ingresso di una questione di costituzionalità sollevata nel corso di un giudizio dinanzi ad un'autorità giurisdizionale, è requisito necessario, unitamente al vaglio della non manifesta infondatezza, che essa sia rilevante, ovvero che investa una disposizione avente forza di legge di cui il giudice rimettente è tenuto a far applicazione, quale passaggio obbligato ai fini della risoluzione della controversia oggetto del processo principale.
Nel caso di specie, non è dubbio che l'eventuale accoglimento delle questioni prospettate avverso i denunciati artt. 5 e 8 della legge regionale n. 28 del 2004 produrrebbe un concreto effetto nei giudizi a quibus, satisfattivo, per tale misura, della pretesa ivi dedotta dalle parti private, poiché dovrebbero essere accolte le doglianze mosse contro le corrispondenti norme regolamentari censurate (sentenza n. 50 del 2007).
Le questioni di costituzionalità vertenti sugli artt. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, e 8, comma 2, sono perciò rilevanti.
6.2. – L'art. 5 della legge regionale n. 28 del 2004 è stato sostanzialmente modificato, dopo la proposizione dell'incidente di legittimità costituzionale, a seguito della sua sostituzione operata dall'art. 53 della legge regionale 23 febbraio 2007, n. 5 (Riforma dell'urbanistica e disciplina dell'attività edilizia e del paesaggio), immediatamente applicabile, per effetto di quanto previsto dall'art 66, comma 2, della medesima legge.
Il rimettente ha censurato l'art. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, poiché esso avrebbe comportato un sensibile aggravamento del procedimento di autorizzazione all'installazione degli impianti di telefonia mobile, rispetto al modello offerto in tale materia dall'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003.
Spia di tale appesantimento, in denunciato contrasto con il principio, di derivazione comunitaria, di semplificazione e celerità nella realizzazione della rete, sarebbero state la necessità di acquisire un duplice parere da parte di ARPA e ASL (art. 5, comma 2, lettera a), la mancata previsione del ricorso alla conferenza dei servizi e l'imposizione al gestore di oneri finanziari (art. 5, comma 4).
Tuttavia, l'art. 53 della legge regionale n. 5 del 2007 ha cancellato ogni riferimento al parere dell'ASL e soppresso l'originario comma 4 in punto di oneri finanziari, mentre ha introdotto un espresso rinvio, in quanto compatibili, alle disposizioni di cui all'art. 87 del d.lgs. n. 253 del 2003 e alle norme sul procedimento amministrativo.
Si impone, pertanto, la restituzione degli atti al giudice a quo, affinché questi torni a valutare la sussistenza dei requisiti di non manifesta infondatezza e di rilevanza della sollevata questione, anche sotto il profilo temporale (da ultimo, ordinanze n. 143 del 2007 e n. 288 del 2006).
6.3. – Nel solo giudizio di cui al n. 28 del r.o. 2006 il rimettente osserva incidentalmente che gli artt. 3 e 4 impugnati non indicano i «principi e i criteri direttivi cui dovrà attenersi la Giunta nella predisposizione e approvazione del regolamento», senza tuttavia sviluppare compiutamente tale rilievo nei termini di una espressa questione di costituzionalità e senza indicare alcun parametro costituzionale che risulterrebbe con ciò violato.
Si deve pertanto convenire con la difesa della Regione Friuli-Venezia Giulia nell'escludere che siffatta laconica espressione possa costituire un'autonoma censura di illegittimità costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 1° marzo 1953, n.87.
7. – Il TAR dubita della legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4 della legge regionale n. 28 del 2004, partendo dal presupposto interpretativo secondo cui essi, in luogo del regolamento comunale di cui all'art. 8, comma 6, della legge statale n. 36 del 2001, hanno introdotto una «pianificazione di tipo nettamente urbanistico esecutivo», che può assumere il contenuto di una diretta localizzazione territoriale dei singoli impianti.
La Corte condivide l'approccio interpretativo del giudice a quo, corroborato soprattutto dalla lettera dell'art. 4, comma 2, lettera c), della legge n. 28 del 2004, che ha riguardo espressamente alla «localizzazione delle strutture per l'installazione degli impianti, venendo così ad investire la fase esecutiva di distribuzione sul territorio dei singoli e specifici impianti degli operatori: non a caso tale disposizione rinvia, a tal fine, preferenzialmente ai «protocolli di intesa con i gestori», i quali in tanto si giustificano, in quanto emergano le evidenze e le necessità di una ben predeterminata localizzazione dell'impianto di cui tali gestori sono o ambiscono a divenire titolari.
Ciò detto, debbono esaminarsi nel merito le doglianze proposte dal Tar Friuli-Venezia Giulia.
Il giudice rimettente afferma che l'aggravamento del procedimento pianificatorio, conseguente all'assorbimento in esso della fase di localizzazione dei singoli impianti e alla pretesa rigidità della pianificazione comunale di settore, contrasti con il principio di celerità ed efficienza nella realizzazione della rete, espressivo delle competenze statali in materia di tutela della concorrenza (artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione) e di «ordinamento della comunicazione» (art. 117, terzo comma, della Costituzione), cui la Regione a statuto speciale sarebbe soggetta, in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
Tali rilievi esprimono un'idonea motivazione circa i profili di denunciato contrasto con i parametri costituzionali violati, anche con riguardo agli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, invocati ai sensi dell'art. 10 citato, sicché va rigettata l'eccezione svolta dalla Regione, circa la genericità delle censure fondate su queste ultime norme costituzionali.
La riconduzione delle disposizioni censurate anche alla materia «urbanistica», assegnata dall'art. 4, numero 12) dello statuto alla potestà legislativa primaria della Regione non varrebbe ad esonerare dall'osservanza del medesimo principio, atteso che esso è di derivazione comunitaria, e costituisce, perciò, un obbligo internazionale dello Stato, che si impone, ai sensi dell'alinea dell'art. 4, comma 1, dello stesso statuto a tale competenza legislativa.
Tale ultima censura, diversamente da quanto eccepito dalla difesa regionale, è ammissibile, poiché il richiamo nell'ordinanza di rinvio delle direttive comunitarie recepite dal d.lgs. n. 259 del 2003, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, (direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, direttiva 2002/22/CE del 7 marzo 2002) rende adeguata contezza della base normativa da cui il rimettente trae il predetto principio, nel contempo illustrandone con sufficiente ampiezza il contenuto, anche tramite il rinvio alla sentenza n. 336 del 2005 di questa Corte.
Il TAR aggiunge che lo stesso approccio di pianificazione globale del territorio prescelto dal legislatore regionale pare in contrasto con i parametri ora evocati, giacché esso, non limitandosi all'imposizione di particolari divieti di installazione, ma spingendosi fino alla disciplina urbanistica positiva delle aree territoriali, contravverrebbe alla «regola» di «generale ammissibilità» alla realizzazione degli impianti, tradendo una finalità di «sostanziale preclusione» in materia.
8. – Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, nel quadro della politica di protezione dall'inquinamento elettromagnetico approntata dalla legge n. 36 del 2001, riconoscendo al primo il compito di determinare i valori-soglia, ai fini della tutela della salute e dell'assetto dell'ordinamento della comunicazione, e alle seconde la normazione sulle «discipline localizzative e territoriali», a proposito delle quali «è logico che riprenda pieno vigore l'autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l'uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi» (sentenza n. 307 del 2003).
La normativa concernente l'uso e la trasformazione del territorio appartiene pertanto al titolo di competenza legislativa concorrente «governo del territorio», che, in relazione agli impianti di comunicazione, la Regione attiva unitamente alla potestà, anch'essa concorrente, in materia di «ordinamento della comunicazione» (sentenze n. 103 del 2006, n. 336 del 2005 e n. 324 del 2003).
Va aggiunto che la specialità dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia comporta l'ingresso in campo di un titolo di legittimazione più ampio, posto che gli interventi legislativi in materia di «urbanistica» (sentenza n. 450 del 2006, relativa alla Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste), ai sensi dell' art. 4, numero 12), non soggiacciono all'osservanza dei princìpi fondamentali sanciti dalla legge statale, ma ai soli limiti statutari indicati dall' alinea dello stesso art. 4.
Se ne può concludere che la Regione Friuli-Venezia Giulia è libera, per tale profilo, di strutturare in forme differenti la fase di pianificazione concernente l'insediamento urbanistico e territoriale degli impianti.
Ne segue che l'articolazione prescelta dalla legge regionale n. 28 del 2004, che, in luogo del regolamento comunale previsto dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, ruota intorno al Piano urbanistico esecutivo del Comune, non eccede, sotto tale angolatura, la sfera di competenza legislativa regionale in materia urbanistica.
Parimenti, la tesi del giudice a quo di precludere alla legge regionale un'attività pianificatoria che avvolga l'intero territorio, in luogo di limitarsi alla predisposizione di specifici divieti di localizzazione, non ha fondamento.
Il solo limite, insuperabile, che l'intervento di pianificazione regionale può incontrare, purché rispettoso dei valori soglia selezionati dalla normativa dello Stato, va infatti rinvenuto nel divieto di «impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento» degli impianti (sentenza n. 307 del 2003).
La normativa regionale recante i criteri di localizzazione degli impianti, per quanto segnata da prevalenti profili urbanistici, non può, inoltre, compromettere gli interessi affidati dalla Costituzione alla cura dello Stato, tramite le attribuzioni legislative di cui all'art. 117, secondo e terzo comma.
A tali principi, nel caso di specie, non sfugge la legislazione friulana.
Questa Corte ha già affermato infatti che, in virtù della clausola di maggior favore prevista dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la competenza legislativa concorrente prevista dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione in punto di ordinamento della comunicazione si estende alla Provincia di Bolzano (sentenza n. 312 del 2003) e alla Regione Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste (sentenza n. 450 del 2006): identica conclusione, in difetto di più ampie attribuzioni statutarie in materia, deve ora venir tratta quanto alla Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ciò comporta, contrariamente all'eccezione svolta dalla difesa regionale sul punto, l'assoggettamento della legislazione friulana in materia alla normativa trasversale posta in essere dallo Stato a titolo di tutela della concorrenza (sentenze numeri 134 del 2006 n. 383 del 2005).
È perciò necessario accertare in concreto se le norme impugnate possano arrecare pregiudizio alle esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, che la legislazione statale esprime, anche in virtù di vincoli di derivazione comunitaria (sentenza n. 336 del 2005), tali da imporsi alla competenza legislativa regionale.
Su questo piano, lo stesso art. 1 della legge regionale n. 28 del 2004 chiarisce espressamente che la legislazione regionale si svolge «nel rispetto degli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario, in armonia con i principi di cui alla legge 22 febbraio 2001 n. 36, e al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259». È, pertanto, direttamente il legislatore regionale a riconoscere la necessità che la propria attività si accordi alla parallela produzione normativa dello Stato.
Gli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4, oggetto del presente giudizio, non si discostano da siffatta premessa, giacché non recano in sé alcuna previsione contenutistica circa i criteri di pianificazione e di localizzazione degli impianti, salvo il dovuto richiamo all'osservanza dei valori soglia fissati dallo Stato (art. 4, comma 2, lettera d).
Le disposizioni annotate si limitano, invece, a prevedere un procedimento in tre fasi, ove l'autorizzazione all'installazione è preceduta dalle linee-guida regionali e dall'adozione del Piano comunale di settore.
L'obiettivo di perseguire da parte del Piano comunale «l'uso razionale del territorio, la tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni naturali, in quanto costituiscono risorse non rinnovabili e patrimonio dell'intera comunità regionale» (art. 4, comma 2, lettera a), e di tenere in conto sia le «necessità dell'Amministrazione comunale», sia i «programmi dei gestori di rete per la telefonia mobile» (art. 4, comma 2, lettera b), con ogni evidenza non implica scelte sostanziali circa le modalità con cui tali finalità saranno conseguite, per mezzo del Piano stesso.
Anzi, è doveroso che tali modalità assicurino il carattere trasparente, tempestivo e non discriminatorio della procedura (sentenze n. 265 e n. 129 del 2006), e in nessun caso pongano restrizioni, prive di finalità esclusivamente urbanistiche, ed inutili aggravamenti procedurali allo sviluppo della rete e al disegno organizzativo che i gestori le vogliano conferire, nell'esercizio della libera iniziativa economica e del gioco della concorrenza.
Fondamentale in questa prospettiva è il rispetto del programma dei gestori di rete di cui all'art. 4, comma 2, lettera b), in relazione al quale le «necessità dell'Amministrazione comunale», ivi ricordate, si risolvono nel solo e legittimo esercizio delle funzioni urbanistiche espressamente conferite ai Comuni.
Si deve perciò concludere che le norme denunciate non comportano alcuna diretta compromissione degli interessi ascrivibili alla competenza legislativa dello Stato, né ledono la libera iniziativa economica assicurata dall'art. 41 della Costituzione.
Qualora, invece, tali ostacoli alla realizzazione della rete e alla copertura con essa dell'intero territorio nazionale provenissero dagli atti di pianificazione urbanistica previsti dalla legge regionale n. 28 del 2004, nello specifico contenuto loro conferito, sarebbero questi ultimi a rivelarsi illegittimi, consentendo l'attivazione dei comuni rimedi giurisdizionali a tal scopo approntati dall'ordinamento.
Né si può convenire con il rimettente in ordine all'intollerabilità costituzionale e comunitaria dell'aggravamento del procedimento conseguente alla scelta di ricorrere ad un Piano di matrice urbanistico esecutiva.
Difatti, la predisposizione di un quadro preliminare di compatibiltà urbanistica rispetto all'insediamento, benché introduca un elemento di maggiore complessità nella fase iniziale del procedimento, ne agevola successivamente la risoluzione, posto che l'autorizzazione verrà richiesta in ragione di parametri predefiniti, adeguati alle specifiche peculiarità del caso concreto.
È chiaro però che a tal fine dovrà essere assicurato un ampio grado di flessibilità del Piano, affinché esso possa recepire le modifiche che si rendessero necessarie, anche in seguito all'emersione dell'interesse di ciascun operatore del settore. In tale direzione si colloca l'art. 4, comma 4, censurato, che stabilisce l'aggiornamento del Piano «qualora sia necessario individuare nuove o diverse localizzazioni, di norma con cadenza annuale».
Va infine rimarcato che, ai sensi dell'art. 15, comma 4, della stessa legge regionale n. 28 del 2004, la mancata approvazione del Piano non comporta la paralisi del procedimento di autorizzazione all'installazione degli impianti, che i Comuni definiranno in tal caso sulla base «delle esigenze di copertura del servizio sul territorio, della tutela della salute della popolazione, della mitigazione dell'impatto ambientale e paesaggistico, nonché del regolamento» (in effetti approvato con il menzionato D.P. Reg. 19 aprile 2005. n. 094/Pres.).
Per tali ragioni, le questioni di costituzionalità sollevate avverso gli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4 della legge regionale n. 28 del 2004 non sono fondate.
8. – Il giudice a quo dubita anche (r.o. n. 28 del 2006) della legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, della medesima legge censurata, poiché il divieto di localizzare gli impianti nelle zone interessate dai biotopi sarebbe privo di giustificazione logica e capace di ledere «l'interesse primario alla realizzazione delle reti di telecomunicazioni», garantito dagli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, anche in riferimento all'art. 4, numero12), dello statuto.
La difesa regionale ha ribadito, quanto a tale questione, le proprie eccezioni di inammissibilità per la genericità del richiamo agli obblighi internazionali violati, per l' «immotivata invocazione dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione ad una Regione speciale» e per difetto della motivazione circa la non manifesta infondatezza, in relazione ai parametri costituiti dagli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Le prime due eccezioni sono da rigettare, in forza delle medesime considerazioni svolte sul punto, a proposito delle questioni aventi ad oggetto gli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4.
Quanto al preteso difetto di motivazione, la censura si salda e si deve leggere, per tale profilo, unitamente ai rilievi già esaurientemente svolti dal rimettente con riguardo ai predetti artt. 3 e 4, sicché essa ne risulta sufficientemente argomentata.
Il biotopo naturale è «un'area di limitata estensione territoriale caratterizzata da emergenze naturalistiche di grande interesse e che corrono il rischio di distruzione e scomparsa» (art. 2, comma 1, lettera d, della legge regionale n. 42 del 1996) ed è individuato «in aree esterne ai parchi e alle riserve» con decreto del Presidente della Giunta regionale (art. 3, comma 1, della legge n. 42 del 1996), che ne precisa il perimetro.
Le dimensioni territoriali particolarmente esigue del biotopo naturale e la necessità della specifica tutela consentono di escludere che il divieto di localizzarvi gli impianti possa costituire un ostacolo effettivo alla funzionalità della rete.
La questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, della legge regionale n. 28 del 2004 non è pertanto fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera a), e 4 della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 (Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile), in riferimento agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e) e terzo comma, della Costituzione, e all'art. 4, numero 12), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con le ordinanze di cui in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28, sollevata, in riferimento agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e) e terzo comma, della Costituzione, e all'art. 4, numero 12), della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza n. 28 del 2006 di cui in epigrafe;
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge della Regione Friuli Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28, sollevata in riferimento agli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, e all'art. 4, numero 12, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Il commento
La legge regionale in materia di installazione d’infrastrutture per la telefonia mobile, può legittimamente individuare un'attività pianificatoria comunale che interessi l'intero territorio, piuttosto che limitarsi alla predisposizione di specifici divieti di localizzazione. Inoltre, le dimensioni territoriali particolarmente esigue del biotopo naturale e la necessità della specifica tutela consentono di escludere che il divieto di localizzarvi gli impianti di telefonia mobile possa costituire un ostacolo effettivo alla funzionalità della rete. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 303 del 20 luglio 2007.
La vicenda prende le mosse dalla questione di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 1, lettera a), 4 e 5, commi da 2 a 7, e 8, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 dicembre 2004, n. 28 concernente “Disciplina in materia di infrastrutture per la telefonia mobile”, sollevata da Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia con 2 ordinanze del 12 dicembre 2005, sui ricorsi proposti da Vodafone Omnitel, e da Tim Italia s.p.a. contro la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Il Tar Friuli individua nel processo di pianificazione da realizzare a monte delle installazione degli impianti di telefonia mobile elaborato dalla regione, un aggravamento del procedimento in contrasto il principio di celerità ed efficienza nella realizzazione della rete di radiocomunicazione contenuto nelle direttive comunitarie: 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, e 2002/22/CE del 7 marzo 2002 recepite dal d.lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), confermato dalla sentenza n. 336 del 2005 della Corte Costituzionale, espressivo delle competenze statali in materia di tutela della concorrenza (artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione) e di ordinamento della comunicazione (art. 117, terzo comma, della Costituzione), cui la Regione a statuto speciale sarebbe soggetta, in virtù dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
Il TAR inoltre sostiene che lo stesso approccio di pianificazione globale del territorio prescelto dal legislatore regionale, non limitandosi all'imposizione di particolari divieti di installazione, ma spingendosi fino alla disciplina urbanistica positiva delle aree territoriali, contravverrebbe alla regola di generale ammissibilità alla realizzazione degli impianti, tradendo una finalità di sostanziale preclusione in materia.
Ma la Consulta non concorda con la tesi del Tar Friuli ribadendo che:
“Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, nel quadro della politica di protezione dall'inquinamento elettromagnetico approntata dalla legge n. 36 del 2001, riconoscendo al primo il compito di determinare i valori-soglia, ai fini della tutela della salute e dell'assetto dell'ordinamento della comunicazione, e alle seconde la normazione sulle discipline localizzative e territoriali, a proposito delle quali “è logico che riprenda pieno vigore l'autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l'uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi” (sentenza n. 307 del 2003). La normativa concernente l'uso e la trasformazione del territorio appartiene pertanto, al titolo di competenza legislativa concorrente del governo del territorio, che, in relazione agli impianti di comunicazione, la Regione attiva unitamente alla potestà, anch'essa concorrente, in materia di ordinamento della comunicazione (sentenze n. 103 del 2006, n. 336 del 2005 e n. 324 del 2003).
Ne segue che l'articolazione prescelta dalla legge regionale n. 28 del 2004, che, invece del regolamento comunale previsto dall'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, prevede di elaborare il Piano urbanistico Comunale, non eccede, sotto tale angolatura, la sfera di competenza legislativa regionale in materia urbanistica, pertanto la legge regionale può legittimamente individuare un'attività pianificatoria che interessi l'intero territorio, piuttosto che limitarsi alla predisposizione di specifici divieti di localizzazione. Il solo limite insuperabile che l'intervento di pianificazione regionale può incontrare, rispettando naturalmente i valori soglia determinati dallo Stato, consiste nel divieto, più volte richiamato (sentenza n. 307 del 2003), di ostacolare o addirittura impedire senza congruo motivo l'insediamento degli impianti.
Le disposizioni contestate della legge regionale in esame si limitano, invece, a prevedere un procedimento in tre fasi, ove l'autorizzazione all'installazione è preceduta dalle linee-guida regionali e dall'adozione del Piano comunale di settore. L'obiettivo di perseguire da parte del Piano comunale l'uso razionale del territorio, la tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni naturali, in quanto costituiscono risorse non rinnovabili e patrimonio dell'intera comunità regionale (art. 4, comma 2, lettera a), e di tenere in conto sia le necessità dell'Amministrazione comunale, sia i programmi dei gestori di rete per la telefonia mobile (art. 4, comma 2, lettera b), con ogni evidenza non implica scelte sostanziali circa le modalità con cui tali finalità saranno conseguite, per mezzo del Piano stesso. Si deve perciò concludere che le norme denunciate non comportano alcuna diretta compromissione degli interessi ascrivibili alla competenza legislativa dello Stato, né ledono la libera iniziativa economica assicurata dall'art. 41 della Costituzione.
Né si può convenire con il rimettente in ordine all'intollerabilità costituzionale e comunitaria dell'aggravamento del procedimento conseguente alla scelta di ricorrere ad un Piano di matrice urbanistico esecutiva. Infatti, la predisposizione di un quadro preliminare di compatibiltà urbanistica rispetto all'insediamento, benché introduca un elemento di maggiore complessità nella fase iniziale del procedimento, ne agevola successivamente la risoluzione, posto che l'autorizzazione verrà richiesta in ragione di parametri predefiniti, adeguati alle specifiche peculiarità del caso concreto”.
Il Tar Friuli dubita anche della legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 2, della medesima legge, poiché introduce il divieto di localizzare gli impianti nelle zone interessate dai biotopi naturali. Tale divieto sarebbe privo di giustificazione logica e capace di ledere l'interesse primario alla realizzazione delle reti di telecomunicazioni, garantito dagli artt. 41, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, anche in riferimento all'art. 4, numero12), dello statuto della Regione. La Consulta anche in questo caso rigetta la tesi del Giudice rimettente:
“Il biotopo naturale è un'area di limitata estensione territoriale caratterizzata da emergenze naturalistiche di grande interesse e che corrono il rischio di distruzione e scomparsa (art. 2, comma 1, lettera d, della legge regionale n. 42 del 1996) ed è individuato in aree esterne ai parchi e alle riserve con decreto del Presidente della Giunta regionale (art. 3, comma 1, della legge n. 42 del 1996), che ne precisa il perimetro”. In conclusione il giudice delle leggi afferma: “le dimensioni territoriali particolarmente esigue del biotopo naturale e la necessità della specifica tutela consentono di escludere che il divieto di localizzarvi gli impianti possa costituire un ostacolo effettivo alla funzionalità della rete”.
(a cura di Fulvio Albanese)
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