Cass. Sez. III n. 25445 del 9 settembre 2020 (CC 23 lug 2020)
Pres. Ramacci Est. Gentili Ric. Lentsch
Urbanistica. Parcheggi e permesso di costruire
I parcheggi realizzati nelle aree urbane fuori dal perimetro dell'edificio e quelli, sotterranei o meno, costruiti fuori del centro urbano richiedono il permesso di costruire, conseguendone, in difetto, il reato previsto dall'art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Messina, agendo in qualità di giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato il ricorso proposto da Lentsch Massimo avverso il provvedimento del Gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, emesso in data 18 novembre 2019, con il quale era stato sottoposto a sequestro preventivo un compendio immobiliare, contrassegnato alla mappa del catasto edilizio urbano del Comune di Lipari al fg n. 34, particella 124 ed al foglio n. 35, particelle n. 2, 3, 26, 5, 6, 7 e 8 del catasto dei terreni del medesimo Comune.
Il Tribunale ha precisato che il provvedimento cautelare in questione era stato adottato nel corso di indagini a carico del Lentsch aventi ad oggetto la commissione di plurimi reati contravvenzionali, sia di carattere urbanistico, per avere eseguito dei lavori all’interno di un preesistente manufatto, comportanti la modifica della sua destinazione d’uso da commerciale a turistico-ricettiva, in assenza del necessario permesso a costruire, sia di tipo paesaggistico, in quanto le opere in questione sarebbero state realizzate in zona sottoposta a vincolo in assenza del prescritto nulla osta da parte della competente Sopraintendenza, sia di tipo schiettamente edilizio, avendo eseguito le opere di cui sopra, comportanti l’uso di conglomerato cementizio, in assenza di un progetto esecutivo redatto da tecnico a ciò abilitato ed in assenza di un competente direttore dei lavori; ancora a carico del Lentsch era, altresì, ipotizzata la violazione degli artt. 633 e 639-bis- cod. pen., per avere invaso, nello svolgimento dei lavori di cui sopra terreno di proprietà pubblica destinato ad uso pubblico.
Avverso il predetto provvedimento di conferma della misura cautelare ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, il Letsch, in qualità di persona sottoposta alle indagini, lamentando, in primo luogo il fatto che il Tribunale di Messina abbia ritenuto integrato in relazione alle imputazioni di cui sopra il periculum in mora in assenza di qualsivoglia motivazione, senza considerare che si tratta di opere di modestissimo impatto ambientale, peraltro sostenute sia dalla presentazione di idonea CILA sia dal parere rilasciato dalla Sopraintendenza ai beni culturali ed ambientali.
Il ricorrente ha, altresì, rilevato come in relazione sia ai reati strettamente edilizi che a quelli inerenti l’occupazione del bene pubblico la ordinanza non abbia speso neppure una parola a dimostrazione della sussistenza del pericolo nel ritardo.
Con il secondo motivo di ricorso la difesa dell’indagato ha rilevato che non vi erano elementi in ordine al fumus delicti; quanto in particolare in ordine alla contestazione avente ad oggetto la realizzazione di opere all’interno del preesistente manufatto, trasformato da magazzini ad info-point, posto che esse, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, non avevano comportato la rilevante modificazione della destinazione d’uso dell’immobile da commerciale a turistico-ricettiva; peraltro, ha osservato il ricorrente, la normativa locale, cioè il regolamento edilizio vigente nel Comune di Lipari, non distingue fra una destinazione di tipo commerciale ed una destinazione di tipo turistica.
Con il terzo motivo di ricorso è stata lamentata la violazione di legge con riferimento alla sussistenza del fumus delicti anche in relazione alla contestazione riguardante lo sbancamento ed il livellamento di un terreno al fine di destinarlo a parcheggio; sul punto il ricorrente ha, in sintesi osservato che, per un verso, egli non ha posto in essere alcuna opera di sbancamento e di livellamento del terreno in questione, il cui stato è rimasto invariato rispetto a quello preesistente, come da documentazione in atti, avendo egli semplicemente ripulito tale tratto di terreno dalle erbacce infestanti, senza procedere ad alcuna cementificazione o asfaltatura del terreno; in ogni caso, ha aggiunto il ricorrente, le opere non avrebbero avuto la necessità di essere autorizzate né hanno comportato un incremento di superficie utile tale precludere l’accertamento di compatibilità paesaggistica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, ad avviso di questo Collegio, infondato.
Si ritiene opportuno ribadire con fermezza il principio tassativamente desumibile dalla piana analisi normativa, secondo il quale, giusta la espressa previsione di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., “Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324” è possibile “proporre ricorso per cassazione per violazione di legge“.
Da ciò discende la inammissibilità della impugnazione in sede di legittimità di tale genere di provvedimenti laddove la censura abbia ad oggetto la motivazione del provvedimento impugnato, fatta eccezione per la ipotesi in cui la doglianza abbia come suo sostanziale oggetto o la assoluta mancanza sotto l’aspetto grafico della motivazione ovvero la mera apparenza della medesima, circostanza questa che ricorre laddove, pur a fronte della esposizione delle ragioni che formalmente sorreggono il provvedimento giurisdizionale, non sia, tuttavia, possibile al lettore ricostruire il ragionamento che ha condotto il giudicante ad assumere una determinata decisione; ciò in quanto in così radicale vizio della motivazione, comportante la sua sostanziale assenza, ridonderebbe quale vizio di violazione di legge, posto che l’art. 125 cod. proc. pen., al suo comma 3, prevede che, a pena di nullità, le sentenze e le ordinanze debbano essere motivate.
Tanto preliminarmente considerato, risulta evidente la inammissibilità di due dei motivi sulla base dei quali è stato argomentato il presente ricorso.
Infatti, quanto al primo motivo di impugnazione, col quale il ricorrente si è doluto del fatto che il sequestro sarebbe stato dapprima disposto dal Gip e, successivamente, confermato dal Tribunale della Libertà sulla base di una valutazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora sinteticamente giustificata con “vuote e sterili formula di stile”, per ripetere le parole del ricorrente, si rileva che, programmaticamente, la censura in tal modo articolata si appunta sul requisito della adeguatezza motivazionale della ordinanza impugnata; ciò posto, considerato che siffatta caratteristica della motivazione del provvedimento impugnato è indubbiamente ricorrente, considerato che il Tribunale peloritano ha fondato la sussistenza del pericolo nel ritardo sulla considerazione che l’incrementato traffico, antropico e veicolare, sui luoghi oggetto delle innovazioni edilizie fatte eseguire dal Lentsch, avrebbe potuto, ove conservato, aggravare gli effetti dei reati per i quali si indaga, deve questo Collegio concludere ne senso che pienamente rappresentate sono state le ragioni che hanno indotto il Tribunale a rigettare il ricorso, sicchè può tranquillamente escludersi che sul punto la motivazione della ordinanza sia solo meramente apparente.
La censura, riguardando in sostanza il merito della motivazione è, pertanto, inammissibile.
Né, si osserva, ha un qualche rilievo, onde escludere sia il pericolo nel ritardo che il fumus delicti, il fatto che, secondo quanto riportato in ricorso in data 4 dicembre 2019 la competente Sopraintendenza ai beni culturali ed ambientali abbia dato parere favorevole a talune delle opere di cui al provvisorio capo di imputazione; ciò sia perché siffatto parere riguarda, a quanto emerge dallo stralcio di esso riportato in ricorso, solo alcune delle opere in discorso sia perché si tratta di un parere condizionato alla realizzazione di taluni interventi che non è dato sapere se al momento della discussione del ricorso di fronte al Tribunale del riesame già erano stati eseguiti.
Momentaneamente accantonato il secondo motivo di ricorso e passando all’ultimo, rileva il Collegio che esso riguarda in senso specifico la sussistenza del fumus delicti in relazione alla contravvenzione avente ad oggetto l’avvenuto sbancamento e livellamento ad opera del Lentsch di un tratto di terreno avente la superficie di circa 1.000 mq al fine di adibire lo stesso a parcheggio di autoveicoli, in ordine alla quale imputazione il ricorrente segnala che non sarebbe stato eseguito alcun intervento se non di ripulitura di detto campo e di sua decespugliatura, opere per le quali non sarebbe stato necessario alcun provvedimento di legittimazione edilizia, attesa la mancanza di qualsivoglia cementificazione del terreno in discorso.
Si tratta, come è evidente, di questione di mero fatto, avendo, invece, il Tribunale osservato, anche a seguito dell’esame critico dei rilievi formulati dal Consulente tecnico di parte dell’attuale ricorrente, che non solo il terreno, del quale è fuori discussione la destinazione ad uso agricolo, è stato livellato, e pertanto, modificato in un suo aspetto morfologico fondamentale, ma è stato anche dotato di una rampa di accesso in calcestruzzo, elemento questo che, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali maggiormente seguiti da questa Corte, è idoneo a rendere necessario il preventivo rilascio del permesso a costruire avendo comportato una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio (Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 gennaio 2017, n. 1308).
Quanto alla pretesa secondo la quale la realizzazione di un parcheggio, non comportando alcuna variazione volumetrica dello stato dei luoghi, andrebbe esente dalle necessarie autorizzazioni urbanistiche e paesaggistiche seppure ubicato in zona vincolata, si rileva che si tratta di affermazione non rispondente al vero, posto che, come ripetutamente ritenuto da questa Corte regolatrice, i parcheggi realizzati nelle aree urbane fuori dal perimetro dell'edificio e quelli, sotterranei o meno, costruiti fuori del centro urbano richiedono il permesso di costruire, conseguendone, in difetto, il reato previsto dall'art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 gennaio 2012, n. 2191; idem Sezione III penale, 17 maggio 2011, n. 19316, nella quale è, in specie, precisato che si è al di fuori dell’ambito della cosiddetta edilizia libera ove, come nel caso che interessa, sia destinato a parcheggio un tratto di terreno ricadente in zona qualificata come agricola).
La pretesa violazione, infine, dell’art. 6 del dPR n. 380 del 2001, per essersi il Tribunale “limitato a ricopiare la ipotesi incolpativa” del Pm, è censura che, al di là della sua irrimediabile genericità, è chiaramente contraddetta dalla più volte richiamata adeguatezza motivazionale della impugnata ordinanza.
Riprendendo, a questo punto, il secondo motivo di ricorso, riguardante specificamente il fumus delicti, si osserva che la doglianza del ricorrente è tutta giuocata con riferimento alla pretesa erroneità della affermazione contenuta nella ordinanza impugnata avente ad oggetto il, ritenuto dal Tribunale rilevante, mutamento di destinazione d’uso, da commerciale a turistico-ricettivo, che avrebbe interessato uno degli immobili elencati nel provvisorio capo di imputazione; ma anche in questo caso, rileva il Collegio, la doglianza non coglie nel segno.
Infatti essa ha per suo reale contenuto la censura rivolta alla affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale la adibizione di un locale - già costituente un magazzino - ad infopoint specificamente finalizzato a fornire ai visitatori dell’Isola di Lipari elementi informativi in ordine alle modalità di svolgimento delle escursioni turistiche nella zona della “Cave di caolino”, avrebbe comportato il mutamento della sua destinazione d’uso.
Osserva al riguardo il Collegio che, sebbene il predetto rilievo appaia effettivamente discutibile, in quanto la destinazione a finalità turistico-ricettive di un immobile ne presuppone comunque un uso di carattere abitativo - ancorchè occasionale in quanto legato alle estemporanee esigenze di chi si trovi in un certo luogo per periodi tendenzialmente brevi e per motivi legati o, appunto, al turismo ovvero a momentanee necessità lavorative – non riscontrabile nell’adibizione di un locale a centro di informazioni, sebbene queste siano connesse a finalità turistiche (diversamente argomentando, infatti, si dovrebbe ritenere che rientri nell’ambito delle edilizia turistico-ricettiva anche la apertura di un’agenzia di viaggi solo perché attraverso di essa sarebbe possibile acquistare titoli di legittimazione per lo svolgimento di viaggi o ottenere prenotazioni alberghiere), tuttavia l’affermazione in tal senso fatta dal Tribunale di Messina risulta essere solamente una delle ragioni per le quali il ricorso in sede di riesame è stato respinto, risiedendo le altre, di per sé sufficienti a sostenere anche autonomamente la plausibilità del provvedimento impugnato, nel fatto, non contestato, che le opere non erano state eseguite a seguito della redazione di un adeguato progetto esecutivo da parte di un tecnico abilitato e che, comunque, le stesse, ricadenti in zona sottoposta a vincolo di carattere ambientale, non erano state previamente dotate del necessario incondizionato nulla osta rilasciato dalla competente Sopraintendenza ai beni culturali ed ambientali.
La circostanza, infine, che il Regolamento edilizio del Comune di Lipari, allorchè prende in esame il concetto di destinazione urbanistica, accomuni la destinazione commerciale con quella turistica è argomento comunque non significativo, posto che in tal modo siffatto provvedimento, avente evidentemente un contenuto normativo di carattere secondario, si pone in patente contrasto con la disposizione normativa prevista dall’art. 23-ter del dPR n. 380 del 2001, applicabile indubbiamente anche nel territorio della Regione autonoma siciliana (come anche il ricorrente riconosce), che chiaramente distingue fra le diverse categorie funzionali cui gli immobili possono essere adibiti, la funzione turistico-ricettiva da quella commerciale, tenendo le due ben distinte e separate.
Al rigetto del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020